Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 4 agosto 2011
Missile libico sparato contro nave italiana Tripoli conferma: obiettivo era Bersagliere.
Nel laboratorio Sardegna il Pdl va in frantumi. - di Emiliano Liuzzi
Il Popolo delle libertà perde l'ennesimo pezzo di casa Berlusconi, quello sardo, ghiotta porzione elettorale che il premier. Il governatore Cappellacci, sostenuto da Beppe Pisanu, riconsegna la tessera ad Alfano. Causa della frattura: la privatizzazione della Tirrenia
I protagonisti della casa del ricollocamento si chiamano Beppe Pisanu e Ugo Cappellacci, governatore della Regione, prodotto cresciuto dal nulla nelle mani del premier, meritevole, soprattutto, di essere figlio di uno dei tanti commercialisti della galassia B., tanto da meritarsi la poltrona più importante della Sardegna. Due protagonisti e una guerriglia che si chiama Tirrenia, l’ultima compagnia di navigazione battente bandiera statale e privatizzata da Altero Matteoli che, escludendo dal tavolo proprio la Sardegna, ha provocato – e sapeva bene che sarebbe accaduto o comunque è difficile ipotizzare il contrario – un terremoto senza precedenti. Risultato finale è stato che Cappellacci, seguito da una ventina di consiglieri regionali, ha restituito ieri nelle mani di Angelino Alfano la tessera del Pdl (virtualmente, il partito di Berlusconi non ha mai stampato tessere) e cerca, assieme a Pisanu, di mettere in piedi qualcosa che dovrebbe portare il nome di partito dei sardi, o giù di lì, lasciando a piedi Berlusconi che della Sardegna aveva fatto la sede di un governo balneare.
Parola d’ordine: ricollocarsi. Non è un mistero che Matteoli, orgogliosamente ex missino, in questo governo ci stia stretto da un pezzo. Più di una volta, nei corridoi, ha sussurrato la necessità di ripartire senza più contare su Berlusconi e il berlusconismo. E il suo rinnovamento non passava, e non passa certo, per il partito in mano ad Angelino Alfano. Così, alla prima occasione, Matteoli ha fatto capire di che pasta è fatto. Pasta nera, come la polvere da sparo che ha sganciato su villa La Certosa. Un piano neppure troppo macchinoso: escludere, con un colpo di mano, la Regione Sardegna dalla cordata che si è impossessata della Tirrenia, e affidarla a un trio di armatori che si chiamano GianluigiAponte, Manuel Grimaldi e Vincenzo Onorato, che di sardo non hanno nulla se non già le navi che portano su e giù i turisti dall’isola. Lasciando spazi aperti a una battaglia, dal punto di vista legale, che si preannuncia infinita e rischia di mettere a rischio una delle ultime grandi privatizzazioni. La Sardegna, intesa come Regione, secondo l’interpretazione della flotta di avvocati già al lavoro, aveva pieno diritto di entrare nell’azionariato; secondo Matteoli, che a fare la guerra ha inviato l’amministratore straordinario della compagnia Giancarlo D’Andrea, assolutamente no. Se la vedranno in tribunale e all’Antitrust dell’Ue.
L’effetto Matteoli e le mire di Pisanu. Per ora la mossa ha avuto l’effetto di sgretolare il centrodestra nel laboratorio Sardegna. Cappellacci è riuscito a portare dalla sua parte un gruppo consistente di ex berlusconiani sardi, ma soprattutto si è coperto le spalle grazie a Pisanu, vecchio navigante democristiano che non ha bisogno di nessun bollettino meteorologico per capire da che parte soffierà il vento. “Non possiamo permettere che una parte del governo remi contro la Sardegna”, ha detto al termine di una lunga riunione col giovane Alfano il grande manovratore e alleato inaspettato di Cappellacci.
La partita Tirrenia e il tracollo del turismo sardo. Le trattative andavano avanti da mesi. E Cappellacci, il governatore sardo, a quel tavolo c’era stato sempre a pieno titolo, anche e soprattutto in virtù delle leggi che tutelano l’autonomia e lo statuto speciale della Sardegna. La Regione aveva tutti gli interessi per entrare nell’azionariato e far sentire il suo peso. Un’esigenza dovuta alla sopravvivenza: l’unica industria rimasta è quella del turismo e quest’anno, grazie agli aumenti dei signori Grimaldi e Onorato, giustificati, la stagione chiuderà con un meno 30 per cento.
L’obiettivo del governatore sardo. L’obiettivo di Cappellacci è rimanere dov’è, sulla poltrona di governatore e giocarsi la prossima partita elettorale. Matteoli, con la mossa Tirrenia (ma ci sono altre partite aperte in Sardegna come quella delle entrate e dei fondi per le grandi opere, come l’arteria Sassari-Olbia) lo ha messo con le spalle al muro e l’unica via d’uscita era quella di mettersi contro il governo. “Una scelta meditata e lucida”, ha detto Cappellacci nel riconsegnare (sempre virtualmente) la tessera del partito ad Alfano. “Abbiamo ricevuto rassicurazioni da lui e da Matteoli”, ha detto, ma è determinato a ottenere quello che chiede e dei tavoli, visto che la Tirrenia è ormai in mani private, se ne fa di poco. In un’intervista due giorni fa alla Nuova Sardegna se l’è presa anche col suo diretto superiore, Berlusconi: “Se è così legato alla Sardegna come dice è arrivato il momento di dimostrarlo coi fatti. A partire da una nuova convenzione con la Tirrenia”.
La posizione degli armatori. Vincenzo Onorato, presidente della Moby Lines, pezzo forte della cordata che ha rilevato Tirrenia e denominata Compagnia italiana di navigazione, non è tipo da preoccuparsi di fronte a scogli difficili: “Cappellacci ha sbagliato tutto”, dice, “ma soprattutto non ha capito una cosa e cioè che la convenzione tra Stato e Cin è blindatissima, soprattutto su tariffe, rotte e frequenze. L’acquirente non può toccare nulla. Per otto anni ci sono limiti che non devono preoccupare. Abbiamo contro tutti, emigrati, camionisti, industriali, amministratori e sindacati? E’ il frutto di una campagna demagogica. Se le tariffe dei traghetti sono aumentate è perché il prezzo dei carburanti è aumentato”.
Renato Soru: il grande assente è tornato a fare capolino. Il predecessore di Cappellacci, proprietario di Tiscali ed editore dell’Unità, l’uomo che dovrebbe essere sulla carta il principale oppositore del governo sardo, si è rivisto adesso. Giusto in questi giorni, perché nei mesi scorsi non ha fatto un’opposizione memorabile. La prima cosa che ha fatto in fretta e furia e in vista delle elezioni, è stata quella di mettere in piedi un altro quotidiano regionale (sfida difficile quella al duopolio Nuova Sardegna e Unione Sarda) e affidarlo nelle mani di un solido professionista come Giovanni Maria Bellu, ex condirettore dell’Unità firmata Concita De Gregorio. Una manovra, quella dell’apertura di Sardegna 24, che secondo i detrattori di uno degli uomini più ricchi dell’isola, avrebbe uno scopo elettorale. Ma soprattutto, dopo due anni di assenza, si è deciso a ristabilire buoni rapporti col Pd della Sardegna e aspettare le elezioni. Cappellacci, nel 2009, ha vinto perché Berlusconi gli ha tirato la volata. Oggi, col Pdl a pezzi e il suo leader sul viale del tramonto, ha capito che, se dovesse essere lui il candidato, forse può rimediare alla batosta presa due anni e mezzo fa.
Di Pietro: In Italia c'è una crisi nella crisi, e si chiama Silvio Berlusconi.
Un Parlamento di pellegrini. - di Peter Gomez
Ecco, la storia del suicidio dei Lemming non è vera. Ma è bene lo stesso tenerla a mente, mentre si osservano le (assai poco) memorabili gesta dei nostri nominati in Parlamento. Non solo per le dimensioni dei protagonisti – minuscole al pari di quelle dei mammiferi artici – ma soprattutto per il tragico esito di gruppo.
Nelle ultime settimane, quando ormai stava diventando chiaro a tutti come la favola del “nostro Paese sta meglio degli altri” fosse appunto una favola, la nostra classe politica è riuscita a mettere in fila una serie di colpi che avrebbero distrutto la credibilità anche di un santo. Niente abolizione delle province, nessun taglio ai costi della Casta, aumento delle tasse e scandali a ripetizione.
Poi la trovata finale. Nata proprio nelle ore in cui i tassi d’interesse sui titoli di Stato volavano oltre il 6 per cento, rendendo pressoché certa un’ulteriore manovra lacrime e sangue da far scattare in autunno.
È in quel momento che nella riunione dei capigruppo della Camera ci si mette a discutere sulla durata delle ferie. Con il Pd Dario Franceschini che preme perché Montecitorio riapra i battenti il 5 settembre, e l’ex massone ed ex socialista Fabrizio Cicchitto che, irremovibile, chiede di far rientrare tutti il 12, visto che il 3 settembre cento deputati e senatori andranno in Terra Santa per un pellegrinaggio.
Vince, ovviamente, Cicchitto. Mica si può proporre ai pii parlamentari di anticipare il loro sacro viaggio.
Così, per la gioia degli elettori di destra, di centro e di sinistra, Montecitorio chiuderà per 38 giorni filati, dopo essere rimasta bloccata per 4 settimane tra Natale e Capodanno, ed essersi riunita in media tre volte alla settimana. Un record.
A vedere una simile corsa verso il baratro persino i leggendari Lemming impallidiscono. È ormai evidente che questa storia finirà male. Tutte le volte che le nostre classi dirigenti hanno avuto l’occasione per dare un segnale al Paese (la cosa naturale da dire era: “si deve stringere la cinghia, ma lo facciamo tutti, a partire da noi”), l’hanno bellamente sprecata. E, quel che è peggio, si è arrivati a tentare di prendere in giro gli elettori spacciando per tagli alle spese delle istituzioni (dalle Camere fino alla Presidenza della Repubblica) degli interventi che invece stabilivano semplicemente di non aumentarle in futuro.
La vocazione al suicidio di massa, insomma, impera. Il Titanic, per dirla con il futuro ex ministro Tremonti, non cambia rotta. La ciurma si diverte, gli ufficiali ballano, il comandante tace o, attendendo il botto, dice che non c’è da preoccuparsi.
Unica consolazione, per chi ci crede, il pio pellegrinaggio dei nostri sedicenti rappresentanti. Almeno in Palestina, dal 3 a 9 settembre, ci sarà qualcuno che prega. Molto per loro. Ma, arrivati a questo punto (non ci resta che augurarcelo) un poco pure per noi.
PS: dopo le polemiche di ieri, la Conferenza dei capigruppo ha deciso di aprire la Camera nel pomeriggio di martedì 6 settembre. Le ferie estive dei nostri onorevoli scendono così da 38 a 32 giorni. Più ovviamente le 4 settimane di riposo trascorse tra Natale e Pasqua .
mercoledì 3 agosto 2011
L’Azzeccagarbugli dell’impunità. - di Lidia Ravera
E intanto si sarà provveduto ad abbreviare il tempo di prescrizione. Se tiri di qua e stringi di là, se meni il can per l’aia quanto basta, puoi usufruire della Grande Rimozione. L’obiettivo, di questa ennesima personalissima iniziativa, non è difendere i cittadini con la legge, ma difenderli dallalegge. Ladri ed evasori, stragisti e concussori, mafiosi e truffatori, sentitamente, ringraziano.
E noi? Noi, ordinary people, gente comune e banalmente onesta, noi che non viviamo dei proventi del crimine e quindi non possiamo investire in Azzeccagarbugli, pagando parcelle decennali, noi, se ci fanno un torto, come ce la caviamo? Da domani saremo un po’ più soli e un po’ più vulnerabili.
INTERVISTA ALL'ANSA / Marchionne, ok Napolitano, serve leadeship forte.
In Italia non so con chi parlare; e non si dimette mai nessuno.
dell'inviato Marcello Campo
TRAVERSE CITY (MICHIGAN) - "Sto con Giorgio Napolitano: è arrivato il momento della coesione. Non ci possiamo più permettere questa confusione. E' necessario avere una leadership più forte che ridia credibilità al Paese". Sergio Marchionne, polo nera, la versione estiva del famoso golfino, si fuma una sigaretta, dopo aver parlato dei risultati ottenuti dal matrimonio tra Fiat e Chrysler al Car, il Center for Automotive Research, l'appuntamento annuale dell'industria automobilistica americana. Ha appena abbracciato e baciato Bob King, il presidente del Uaw, il capo incontrastato del principale sindacato metalmeccanico Usa. All'inizio non vorrebbe parlare di cose italiane. Poi, però, è un fiume in piena. "Ha visto i nostri rapporti. Bob anche oggi ha spiegato esattamente qual è la sua visione del sindacato. Ha detto che in un mercato globalizzato, il loro obbiettivo è lavorare assieme all'azienda per migliorare la qualità del prodotto, aumentare le vendite. Ha spiegato le ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare la via giudiziaria, le querele e le denunce".
Da noi è molto diverso? "Ci sono sette sindacati e nessuno di loro è realmente rappresentativo. Se vogliamo un futuro dobbiamo lavorare assieme per il successo comune". Quindi annuncia che già ad autunno tornerà sulla questione della fuoriuscita dalla Confindustria: "Aspetto solo la decisione del Tribunale di Torino per tornare alla carica. Fiat ha bisogno della certezza del diritto, non possiamo vivere nell'incertezza". Pochi minuti prima ha presentato un video in cui si raccontano i talenti della città di Detroit, c'é un pugile e una ballerina. Dice che grazie all'impegno di queste persone l'economia e l'America possono riprendersi. Ma anche l'Italia ha i suoi talenti: "Certamente. Però ora io non so con chi parlare. Abbiamo un grande problema di credibilità del Paese. Serve una leadership in grado di recuperale la coesione. Sono d'accordo con il Capo dello Stato. Ovviamente non tocca a me fare nomi, non è il mio mestiere. Ma il mondo non capisce la nostra confusione, non capisce cosa accade in Italia e tutto ciò ci danneggia moltissimo. C'é chi ha compiuto anche scorrettezze nella sua vita quotidiana. In altri paesi sarebbe stato costretto a dimettersi immediatamente. Invece da noi non succede nulla".
Qual è la sua ricetta? "Serve una leadership impegnata nel fare, nel risolvere i problemi in modo credibile. Poi la gente non è fessa, farà la sua parte e la seguirà...". Con la maglietta 'Imported in Detroit' ha risvegliato l'orgoglio di una nazione e la loro voglia di 'comprare un'auto americanà. Quanto dovremo aspettare per avere una maglietta simile, anche in Italia. "Non vedo l'ora, con una nuova situazione, ci metto due ore a fare una maglietta dello stesso tipo". Poi un saluto veloce, prima di tornare a bordo della sua Chrysler Town and Country nera, alla volta di Detroit. Speriamo di rivederci a Washington. "Con piacere - risponde sorridente - lì ho molti amici".
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