sabato 3 settembre 2011

Il Cavaliere anti-evasione Accusato di frode fiscale per 16 milioni. - di Antonella Mascali




Il governo vuole la galera per i maxi-evasori. Berlusconi sposa l'iniziativa. Anche perché i suoi guai giudiziari (i pm gli contestano frodi milionarie) sono ben protetti dalle solite leggi ad personam.

L’ultima trovata del governo Berlusconi sul carcere (presunto) per evasori da 3 milioni in su è surreale: arriva dal premier imputato a Milano per diverse frodi fiscali. Si è salvato dalla condanna per falso in bilancio solo grazie a una delle leggi ad personam. Ma consapevole che, per quanto lo riguarda, la prescrizione è dietro l’angolo, si trasforma nel presidente manettaro.

Il 26 settembre riprende il processo “Mediaset-diritti tv”, Silvio Berlusconi è imputato di frode fiscale. La procura ipotizza costi gonfiati per l’acquisto di film e accantonamento di fondi neri all’estero. Grazie a una legge ad hoc sulla riduzione dei tempi di prescrizione (ex-Cirielli), però, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l’appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Restano le contestazioni fino al 2003. Il processo non arriverà a sentenza definitiva: la prescrizione è prevista ad aprile 2013. Senza ex-Cirielli sarebbe scattata nel 2020. Secondo i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro l’attività illecita sarebbe proseguita almeno fino al 2009.

Tant’è che si trova in fase di udienza preliminare un’altra indagine fotocopia, “Mediatrade-Rti”, che ipotizza, a partire dal 2002 (solo per problemi di prescrizione) una compravendita gonfiata di diritti tv (45% di “cresta”). Imputati Silvio Berlusconi, il figlio Pier Silvio, il presidente di MediasetFedele Confalonieri, manager della società e Farouk Agrama, produttore cinematografico. A lui nell’ottobre 2005 la Procura di Milano ha sequestrato in Svizzera 100 milioni di euro sui conti della “Wiltshire Trading” di Hong Kong. Soldi che, secondo l’accusa, sarebbero anche di Berlusconi perché ritengono Agrama un socio occulto. Al premier i magistrati contestano un’appropriazione indebita da 34 milioni di dollari, fino al 2006 e un’evasione fiscale da 8 milioni di euro per fatti fino al 30 settembre 2009. Dunque nel pieno delle sue funzioni di premier. Il 4 aprile, De Pasquale davanti al giudice Maria Vicidomini ha chiesto il rinvio a giudizio per gli 11 imputati. Riferendosi alla frode fiscale, ha detto: “Per quanto ne so, potrebbe essere ancora in corso”. E ancora: “Berlusconi agì da socio occulto di Frank Agrama, intermediario dei diritti tv con le major, anche quando era presidente del Consiglio”. La decisione del gip è attesa per il 18 ottobre.

Uno stralcio dell’inchiesta Mediatrade è finito a Roma. Il premier è accusato di frode fiscale: avrebbe concorso a un’evasione fiscale da 16 milioni di euro con false fatturazioni per 200 milioni. Il giochino è lo stesso preso di mira dai pm di Milano: la triangolazione su società estere per acquistare i diritti dei film, gonfiando i costi. I fatti, in questo caso, sia per Silvio Berlusconi che per gli altri imputati, si riferiscono esclusivamente al 2003-2004, periodo in cui la controllata di Fininvest, Rti, aveva sede legale nella capitale. Il Cavaliere e gli altri 9 indagati , tra i quali il figlio Pier Silvio, avevano ricevuto l’invito a comparire per il 26 ottobre scorso, ma non si sono presentati.

Secondo i pm romani Pierfilippo Laviani e Barbara Sargenti, Silvio Berlusconi sarebbe stato il regista delle triangolazioni con il produttore Agrama. Si legge nel disatteso invito a comparire che Berlusconi avrebbe concorso nella frode fiscale “in qualità di azionista di riferimento – per il tramite di Fininvest Spa – di Mediaset Spa (di cui Fininvest possedeva oltre il 50% del capitale sociale nel periodo 2003 e 2004), a sua volta società controllante al 100% di RTI Spa, facendo giungere alle società controllate direttive che confermassero il mantenimento delle relazioni d’affari preesistenti con Frank Agrama nella fittizia intermediazione per l’acquisto dei diritti di sfruttamento di prodotti cinematografici e televisivi”. Berlusconi e i co-indagati, però, possono stare tranquilli, la prescrizione del filone romano è prevista per una parte nell’aprile 2012 e per un’altra nell’aprile 2013.

Berlusconi è abituato a farla franca. Con la sua legge che ha depenalizzato il falso in bilancio, per esempio, è stato assolto al processo milanese All Iberian 2 perché “il fatto non costituisce più reato”, ma i conti erano truccati per 1.500 miliardi di lire. E per non far correre alla Mondadori alcun rischio di perdere in Cassazione un vecchio contenzioso fiscale da 400 miliardi di lire con l’Agenzia delle Entrate, il premier l’anno scorso ha fatto approvare una norma ad hoc per sanare la posizione pagando il 5%.


Bastardi senza Nobel. - di Lameduck


Oggi ascoltavo quel Brunetta cresciuto del ministro del Welfare. Ne ascoltavo la protervia di chi è appena sceso dall’auto blu perché lui è lui e lo guardavo gesticolare come un attore di telenovela colombiana contro i“bastardi anni 70″. Quelli che hanno permesso, tra l’altro, a quei socialisti d’Italia come lui di imperversare nei successivi anni Ottanta, con la banda dei magliari di Craxi e dei suoi compagni di tangente. Anni non bastardi ma bastardissimi che hanno incubato e nutrito a spezia e pappa reale quell’autentico flagello della democrazia che è il berlusconismo, che poi si è sdebitato arruolando nel governo del fare (schifo) tutti i cascami della vecchia politica sopravvissuta a Tangentopoli.

L’ho sentito infine rivendicare, tra i fischi di una platea cattolica, mica di punkabbestia, che non ne apprezzava il tono inutilmente scalmanato, un orgoglioso anticomunismo, forse l’ultima cedola rimastagli nel carnet di buoni salvaculo da spendere per tentare di salire sulla scialuppa di salvataggio ora che l’iceberg si sta avvicinando.
Alla fine, dopo tanto sbracciarsi, il Ministro del Welfare ha rimediato solo il nocchino sul capo nientemeno che dal Cardinal Bertone, che gli ha raccomandato di non fare strame delle cooperative. Un avvertimento oneroso in porpora magna.

Perché Sacconi è quello che voleva cancellare il riscatto di università e naja ma in realtà si è sbagliato sui calcoli; pensava che i laureati interessati fossero solo 4000 ma erano invece 600.000, e ha fatto fare la figurad’Italia al nano capo.
Sarebbe infine, giusto per non infierire, pure quello che ha rifilato alle finanze sanitarie regionali un conto di184.000.000 di euro per quel vaccino contro l’influenza maiala H1N1 che ora sta andando a male sugli scaffali. Ancora un paio di punzonature sulla scheda raccoglipunti e una bella interdizione perpetua dai pubblici uffici gli starebbe a pennello.

Prima ho citato Brunetta, altro rivolo di percolato socialista che inquina da troppi anni il terreno della politica. Ricordate quando, tutto sudato ed in preda ad un accesso di autoerotismo millantatorio, raccontava a Mentana di essere un Nobel mancato per l’economia?
Per combinazione, l’altro giorno, leggevo su “Inchiesta sul Potere”, la raccolta di articoli ed inchieste diGiuseppe D’Avanzo appena pubblicata da Repubblica, una vecchia intervista del giornalista scomparso conFrancesco De Lorenzo, il mai dimenticato Ministro della Sanità (liberale) dei begli anni di Tangentopoli.

Anche lui a millantare di essere un quasiNobel e a sbatterci in faccia un ego ipertrofico. L’intervista era del 1992 e non ho potuto fare a meno di notare come nulla sia cambiato, di come abbiamo a che fare sempre con i soliti personaggi tronfi e pieni di sé, che se li tocchi saltano su come vipere a dare dei cretini a tutti. Nullità assolute, nani di fuori e nani di dentro, incapaci alla resa dei conti di fronte ai problemi concreti ma con una grandiosa coscienza di sé ed un potere immenso in mano e per questo pericolosi come black mamba in libertà.
Arroganti so-tutto-io buoni solo ad arraffare e a cadere vittime – sia benedetta la nemesi – di chi è ancora peggio di loro e riesce ad estorcer loro il jackpot di una vita. Che l’Italia sia un paese dove tutte le valvole etiche sono saltate lo dimostra il fatto che ormai i ladri rubano in casa ai colleghi e sono convinta che chi paga non sa nemmeno più perché lo fa.
“Mi dia 500.000 euro, se no parlo”. “Eccoli, qualcosa avrò fatto senz’altro”.

Visto che sono bravissimi a fottersi le scialuppe di salvataggio, se la nave affonderà c’è il rischio concreto di ritrovarci questi bastardi senza Nobel tra qualche mese riciclati per l’ennesima volta. Non più socialisti né berlusconiani, democristiani, forzitalioti o pidiellini ma riformaqualcosa sicuramente. Cerchiamo di ricordarci le loro facce almeno, non dimentichiamole mai, appendiamoci il loro ritratto in bagno e tagliamoci la mano con una roncola piuttosto che votarli di nuovo.

http://www.mentecritica.net/bastardi-senza-nobel/informazione/cronache-italiane/lameduck/21274/

Non è così che si batte davvero l'evasione. - di Angelo Provasoli e Guido Tabellini


Combattere l'evasione fiscale è una priorità fondamentale per qualunque intervento strutturale di risanamento economico e fiscale del nostro paese. Purtroppo, nonostante l'enfasi, i provvedimenti contenuti nella terza versione della manovra non ci consentiranno di avvicinarci significativamente a quest'obiettivo.

La novità che ha ricevuto maggiore attenzione è l'obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi i riferimenti agli intermediari finanziari con cui il contribuente ha intrattenuto rapporti. Tuttavia questa informazione è già disponibile all'amministrazione finanziaria, poiché ogni intermediario è già tenuto a comunicarla all'anagrafe dei conti.

La questione rilevante non è chi debba fornire questa informazione, ma che uso farne. L'amministrazione intende ricostruire per ogni contribuente la consistenza dei patrimoni e confrontarla con la dichiarazione dei redditi, per identificare eventuali inconsistenze, oppure no? Nei provvedimenti governativi la risposta è negativa. L'uso delle informazioni finanziarie è previsto solo per alcune liste selettive di categorie o di contribuenti, sospette di evasione sulla base di altre informazioni. Ma questo cambia ben poco rispetto alla situazione attuale, perché l'accesso ai dati finanziari è già previsto, previa autorizzazione, negli accertamenti fiscali.

La minaccia di usare le informazioni finanziarie anche prima del vero e proprio accertamento, ma pur sempre in maniera selettiva, è quindi soprattutto un deterrente psicologico di dubbia efficacia.
Cosa ben diversa sarebbe la ricostruzione del patrimonio di ogni nucleo familiare, nelle forme della ricchezza immobiliare e mobiliare, per verificarne la coerenza con i redditi dichiarati e con le informazioni sui consumi di beni durevoli.

La dichiarazione annuale dovrebbe pertanto fornire non solo i dati dei redditi conseguiti ma anche quelli della consistenza del patrimonio. I rapporti con gli intermediari finanziari dovrebbero essere documentati con l'attestazione delle disponibilità detenute dal contribuente, comprese quelle in strumenti finanziari, alla data di riferimento della dichiarazione. Nell'era dell'informazione digitale, questa strada sarebbe facilmente percorribile anche nei controlli, e non avrebbe solo un effetto psicologico, ma consentirebbe davvero di identificare le situazioni irregolari e quantitativamente rilevanti. Eppure di questa impostazione non vi è traccia nei provvedimenti governativi.

Una seconda novità è la facoltà data ai comuni di pubblicare le dichiarazioni dei redditi dei residenti. Questo provvedimento è non solo inutile, ma anche dannoso. È inutile, perché non è ragionevole ipotizzare che i vicini diventino delatori in modo sistematico di eventuali evasori. Ma soprattutto è dannoso, perché potrebbe costituire un incentivo per iniziative delittuose e potrebbe inoltre affievolire le già scarse propensioni meritocratiche nel nostro paese. Alla base della bassa crescita della produttività in Italia, sta anche un relativo appiattimento dei redditi all'interno delle imprese e delle organizzazioni, a tutti i livelli e indipendentemente dal merito e dal talento individuale. Rendere pubbliche le dichiarazioni, specie se con specificazioni delle fonti dei redditi, aggraverebbe questa tendenza. Eventuali differenze tra colleghi all'interno della stessa organizzazione genererebbero inevitabili gelosie e riflessi nei rapporti di collaborazione. Ciò scoraggerebbe ulteriormente l'esigenza di dare di più a chi se lo merita.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-03/cosi-batte-davvero-evasione-081027.shtml?uuid=AacOoB1D

Mille volte il nome del premier nelle carte della loggia P3.


Mille volte il nome del premier  nelle carte della loggia P3

Dal caso Caldoro al Lodo, ecco le telefonate che portano al "capo supremo". Spesso il Cavaliere viene chiamato Cesare. Nelle 66 mila pagine di inchiesta gli indagati dicono di comunicare con lui regolarmente.

di FEDERICA ANGELI e FABIO TONACCI

ROMA - È il convitato di pietra di ogni pranzo organizzato dalla P3. L'uomo "ombra" evocato in centinaia di conversazioni intercettate. A volte è "Cesare". Altre volte è "l'uomo più importante d'Italia", il "capo supremo". E non c'è affare, decisione o azione della cosiddetta loggia P3 - dalle pressioni sui giudici alla assegnazione delle poltrone - nella quale a un certo punto i protagonisti non sentano l'esigenza di avere l'approvazione del premier, di chiamarlo.

LEGGI Così funzionava il potere della P3
La P3, la P4 e quei milioni regalati

Questo raccontano le migliaia di telefonate contenute nei faldoni dell'inchiesta: 66 mila pagine depositate dai magistrati romani all'inizio di agosto, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio dei venti indagati.

Silvio Berlusconi, per i protagonisti di quella che i pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli hanno definito "una loggia segreta", è più di un'ossessione. Viene citato centinaia di volte, nascosto goffamente dietro nomignoli persino troppo scontati. Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino e Flavio Carboni, i principali indagati insieme agli uomini di partito Denis Verdini e Marcello Dell'Utri, non sembrano leader autonomi. Dicono di comunicare con Berlusconi regolarmente. La P3 non si muove, se "Cesare" non vuole. E il riferimento al premier è presente negli "affari" sporchi dell'associazione.

CANDIDATO COSENTINO
In un'intercettazione del primo marzo 2010 il faccendiere Flavio Carboni e l'ex assessore campano Arcangelo Martino parlano della candidatura di Cosentino alle Regionali. Carboni sostiene che Verdini sia favorevole al coordinatore regionale del Pdl. Ma il parere di Berlusconi è fondamentale. "E poi chiamo anche Cesare d'accordo?", dice Carboni. Il giorno dopo Lombardi al telefono con Cosentino è contento. "Uè, habemus papam, lo sai? Allora ieri abbiamo tenuto una riunione con i tuoi vertici dove abbiamo consolidato la tua candidatura a cons... Presidente, ne abbiamo parlato, perché ieri abbiamo fatto un lungo discorso proprio con il vertice, ci mancava solo Silvio e poi stavano tutti là". Dopo poco Carboni chiamerà Martino e nell'appunto della finanza che precede la trascrizione della conversazione tra i due si legge: "Martino chiede se Cesare è rimasto contento e Carboni risponde di sì".

Il 3 giugno Cosentino e Martino parlano ancora delle candidature per le elezioni regionali. Martino: "M'ha chiamato il gran capo". Cosentino: "Quando quando?" "Il gran capo m'ha chiamato oggi. E mi detto "ti abbiamo accontentato"". Lo stesso giorno Arcangelo Martino avverte anche Lombardi: "Eh eh... mi ha chiamato il grande capo... ha detto "wow, siete una potenza". Ho detto no, siamo gente seria". Nonostante le rassicurazioni di Berlusconi, la candidatura di Cosentino però sfumerà a vantaggio di Caldoro.

L'EOLICO
Per l'affare sull'energia eolica in Sardegna Flavio Carboni riesce a farsi dare 6 milioni di euro da due imprenditori forlivesi, Alessandro Fornari e Fabio Porcellini. Secondo i pm Carboni girerà poi 800 mila euro ai deputati toscani Verdini e Parisi, mentre 100 mila euro finiscono nelle tasche di Dell'Utri. Durante l'operazione, però, ancora una volta i protagonisti si pongono il problema - stando alle carte - di sapere cosa ne pensa il premier.

A marzo del 2010 Carboni e Martino si parlano per mettere a punto gli ultimi passaggi dell'affare. "Ecco - dice al telefono Carboni - io vado (in Sardegna, ndr) stasera per quel contratto importante. Col "supremo" non faccio nessuna chiamata per il momento". "No, no, no - risponde Martino - non serve".

IL LODO ALFANO
La P3 cerca di pilotare il verdetto dei giudici che dovranno decidere sul lodo Alfano. Prova ad avvicinare alcuni magistrati. Il verdetto è previsto inizialmente per il 6 ottobre, poi slitterà al 7 e sarà negativo: il lodo è illegittimo. Settimane prima però, in un incontro a pranzo del 23 settembre, Lombardi aggiorna gli altri sulla conta dei voti favorevoli e contrari. "Abbiamo fissato che ogni giorno, ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere ando stà o' buono e ando sta o' malamente - spiega - e poi ammo vedè Cesare quanto prima".

Il 2 ottobre, è ancora Berlusconi il protagonista delle chiacchierate della P3. E' importante sapere se approva o no l'azione nei confronti della Corte Costituzionale. "Io la settimana prossima mi incontro con Cesare - rivela Nicola Cosentino a Lombardi - lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 e allora giustamente ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non m'ha scassà o' cazz'".

Processo Aldrovandi, poliziotti colpevoli spalleggiati dalla Questura




Gli hanno schiacciato il cuore. Anche la corte d’appello di Bologna ha messo nero su bianco che Federico Aldrovandi è stato ucciso dalla «violenta e pesante contenzione da parte delle forze di polizia». La droga non c’entra («dato tossicologico modesto»), né c’entra la “excited delirium syndrome” su cui si sono asserragliati i consulenti della difesa degli agenti - uno dei quali ritenuto tanto poco attendibile quanto pronto a smentire sé stesso - tanto nel primo, quanto nel secondo processo di cui sono appena uscite le motivazioni che confermano le condanne a 3 anni e mezzo per eccesso colposo.
E’ partito dal cuore di Federico il ragionamento del giudice di secondo grado. Da quella foto spuntata dopo molto dopo le «tormentate indagini preliminari» che hanno prodotto inservibili perizie. Quel cuore aveva due ematomi contrapposti: «Segno evidente e inequivocabile» di un trauma. In breve: il ragazzo ammanettato a faccia in giù aveva una fame d’ossigeno che non poteva soddisfare visto che lo schiacciavano i corpi dei suoi aggressori e la sua pressione arteriosa era aggravata dalla «violenta colluttazione fisica». I segni sul corpo sono anche quelli dei manganelli riportati a pezzi in centrale.
Stabilito questo la Corte ha provato a ricostruire lo scenario stabilendo che la volante Alpha 3, la prima a giungere in via Ippodromo all’alba di quel 25 settembre del 2005, fosse sul luogo del delitto ben prima di quanto dichiararono gli agenti. Prima delle chiamate al 112 e al 113 di due abitanti della stradina allarmati dalle grida e dai rumori. Il giudice non ha creduto che il primo “scontro” tra il ragazzo e la volante, con la ritirata degli agenti, l’arrivo dei rinforzi di Alpha 2 e la predisposizione allo scontro finale tra quattro armati di manganelli e un diciottenne a mani nude «non particolarmente corpulento», si sia svolto in una manciata di minuti a cavallo delle 6. Tanto più che uno dei quattro colpevoli è stato registrato mentre ammetteva al telefono di averlo «bastonato di brutto per mezz’ora». L’ambulanza fu chiamata solo a cose fatte e arrivò «quando ormai il tragico epilogo del pesante intervento si era compito». Tuttavia la Corte d’appello ritiene anche che Federico quella notte fosse in stato di agitazione per via delle sostanze, smentendo in parte le conclusioni del processo ferrarese. Ma anche un “bad trip”, un violento senso di angoscia e terrore forse per il tardivo effetto dell’Lsd, avrebbe imposto agli agenti un contegno ben diverso dall’«assalto a manganellate». Dunque le grida sentite da chi allertò la questura sarebbero quelle prodotte dall’incontro tra Aldrovandi e due dei suoi assalitori. E questo fa tornare in mente il «mancato testimone», quel signore che chiamò “Chi l’ha visto?” per descrivere una scena simile salvo poi rimangiarsi tutto in Aula nello scetticismo generale. Infatti, il giudice di secondo grado non crede alla versione ufficiale dell’assalto di Federico alla prima volante poiché «priva di un serio supporto probatorio, smentita dall’assenza sul cofano di qualunque segno di rotture». I segni sullo scroto del ragazzo sono da ricondurre alle botte. In generale, l’intervento degli agenti «cooperanti» fra loro, oltre che violentissimo e consapevole, è anche stato inadeguato per fermare un ragazzo che aveva posto in essere un «goffo» tentativo di sforbiciata testimoniato dalla superteste camerunense. Anche fosse stato solo «un pazzo che si agita da solo in un parco e ingiustificatamente li aggredisce» resta l’«assoluta distanza della condotta degli imputati dalla doverosa linea comportamentale».
Ma «perché c’era una volante a fari spenti in una stradina chiusa», via Ippodromo, e «perché l’intera ricostruzione degli imputati e della Questura di Ferrara, fin dal primo momento, sia stata indirizzata a creare e avvalorare apparenze tali da contrastare tale dato?». La domanda del giudice resta «priva di risposta».
Una sentenza che, per Patrizia Moretti, la mamma di Federico, si incrocia con le risultanze della cosiddetta inchiesta bis, quella per cui altri quattro poliziotti hanno dovuto rispondere dei depistaggi delle prime ore. «Manipolazioni ordite dai superiori», dirà anche Daniela Margaroli, la giudice d’appello, «attività di falsificazione e distorsione dei dati probatori» che vanno a comporre, assieme alle condotte dei quattro un contesto di «discredito» per il corpo di Polizia che lo stesso Viminale ha «implicitamente riconosciuto» con il risarcimento alla famiglia già prima del secondo grado.
Le difese dei quattro poliziotti hanno già annunciato ricorso in Cassazione. Resta, per i genitori del diciottenne ucciso, Lino e Patrizia, quella domanda senza risposta sulla prima fase del contatto tra gli agenti. Resta l’appello di sei anni fa, «chi sa parli», e a cui ha risposto in pieno, forse, solo una cittadina. Restano i danni dei depistaggi della prima «tormentata» fase delle indagini preliminari che avrebbero influenzato la prima pm che seguì il caso. «Quello che vorrei - spiega Fabio Anselmo, legale degli Aldrovandi, a Liberazione - è che questo caso serva per spazzare via il pregiudizio deleterio della presunzione di fidefacenza degli imputati in divisa e dei loro colleghi che indagano. Gli imputati in divisa andrebbero trattati come imputati normali e le indagini su di loro affidate a terzi. Ma questo non accade mai».



Due Metri Sottoterra non si Negano a Nessuno. Comandante Nebbia


69. Un bel numero. Simmetrico, elegante, anche un po’ osé con il suo riferimento ad uno dei tanti modi con i quali le persone possono dimostrarsi affetto.
Eppure, qualcosa mi dice che all’11 novembre 2001, la data entro la quale secondo il Sole 24 Ore, statisticamente l’Italia dovrebbe dichiarare default, non ci si arriverà.

Stamattina le pagine dei giornali sono inondate dall’ennesimo scandalo nel quale è coinvolto Silvio Berlusconi. Nel corso della mia vita mi sono imbattuto spesso in situazioni nelle quali mi sono chiesto: ma come fanno queste persone a vivere così? La risposta è: si fa l’abitudine a tutto.
Noi, per strano che possa sembrare, ci siamo abituati ad avere un presidente del consiglio coinvolto nello sfruttamento della prostituzione (come utilizzatore finale, intendiamoci), nelle estorsioni (come estorto), nella corruzione dei testi (ma è solo colpa di Mills che si è fatto corrompere), nelle società segrete (P2,P3,P4; Pn. Ci siamo abituati agli attacchi del Fatto Quotidiano, ai sermoni di Saviano, alle difese di Sallusti, alle menzogne di Minzolini.

Ecco, in questo quadro, la maniera dilettantesca, picaresca e strapasticciata con la quale si sta affrontando la crisi è, paradossalmente il male minore.
Alla peggio, per novembre (o prima), saremo in default. Abbiamo già raccontato su queste pagine cosa vuol dire andare in default per una nazione. Si rimane senza soldi, senza servizi, senza opportunità, ma vivi. L’Islanda insegna che non necessariamente il fallimento equivale alla morte.

Invece, il problema più grosso e che si arriva al default con la predisposizione alla tolleranza per questo modo di vivere, con l’abitudine alla puzza di merda, non si potrà mai ripartire seriamente, ma solo rimanere in un lunghissimo stato di coma profondo.

Negli ultimi giorni, su queste pagine, si è variamente vagheggiata la catarsi. Provocazione? No, nessuna provocazione, solo la serena consapevolezza che un nuovo paese può nascere solo se non ci sarà più abitudine ad un certo genere di cose.
Forse, fra un certo numero di generazioni, gli italiani saranno così educati dal punto di vista civico, che non sarà più il terrore di essere puniti severamente a farne dei bravi cittadini, ma la consapevolezza che una società stabile e serena è un investimento vantaggioso per tutti.
Fino ad allora, però, quando serve la severità della pena deve rappresentare il baluardo che obbliga a non oltrepassare certi limiti.

Questo vale per tutti: per questa classe politica che va completamente estirpata dalla storia di questa nazione, per i giornalisti e gli intellettuali che hanno servito per decenni un sistema degenerato, per gli “imprenditori” che hanno munto la vacca fino a farne sanguinare le mammelle, per “i comuni cittadini” che hanno evaso le tasse, lucrato sulle pieghe del sistema e approfittato della fiducia che, ingenuamente, gli era stata concessa.

Niente chiacchiere, quindi, ma una vera e propria guerra civile tra chi vuole una nazione da costruire e chi vuole solo una tavola a cui sedersi per mangiare. O gli uni o gli altri. In questo mondo non c’è spazio per tutte e due le categorie.

Abbiamo poco tempo per deciderci. Poco tempo per arrotolarci le maniche e iniziare a rimettere in riga il paese e chi, dopo aver lucrato, vorrà cambiare e collaborare. Chi vuole continuare a mungere deve andarsene. Se rimane qui avrà diritto al suo spazio. Una cella di tre metri per tre se non sono io a decidere, ma se toccasse a me ho un’idea che riduce gli spazi necessari e sfrutta anche il sottosuolo.
Aspettare per vedere.

https://www.facebook.com/notes/mario-scarpanti/da-wwwmentecriticanet/10150307435055909

Sacchi e piedi di porco. By ilsimplicissimus


L’etimologia della parola sacco è incerta. Secondo alcuni deriva dal fenicio saq, per altri più plausibilmente, deriva dal latino saccare, ovvero saccheggiare, fare bottino da cui poi si sarebbe evoluta la parola saccus. E la permanenza di espressioni in cui sacco sta per razzia o spoliazione, mi fa propendere per questa ipotesi. Ma in questo post mi voglio occupare solo di accrescitivi e precisamente dei Sacconi, ovvero degli strumenti di saccheggio dei diritti che si sono evoluti dal brodo primordiale dell’era berlusconiana .

Strumenti rozzi ovviamente, sfridi di fabbrica del craxismo, buoni a nulla, piedi di porco utili solo a sfasciare e manomettere, ma con i quali non si può costruire nulla. Eppure in questo perverso mondo rivoltato, in questa Italia di merda, come dice l’utilizzatore finale dei sacconi, questi strumenti fingono di essere dei sofisticati dispositivi che possono dare lezioni a tutta la ferramenta.

Così un sacconi qualunque si permette di parlare in pubblico di cattivi genitori, di cattivi maestri, di bastardi anni ’70, proprio lui, nullità servile, proprio lui che faceva il ministro della sanità quando la moglie reggeva Farmitalia e ha fatto spendere a questo Paese decine di milioni in vaccini inutili e oltretutto pericolosi. E chi sa se nei sacconi non sia rimasto qualcosa appiccicato. Proprio lui noto per parlare a vanvera, per non avere mai un dato preciso e per mentire spudoratamente sugli stessi.

Proprio lui che adesso prende ordini da quell’altro saccone di Bonanni, che a sua volta pende dalle labbra del cardinal Bagnasco, in quanto neo catecumeno, cioè appartenente a una setta sulla cui “riservatezza” persino Papa Woityla ebbe a dire. Questo signore invece di andare in giro con i santini, fa il sindacalista.

Che all’assemblea delle Acli dove il sacconi si è allargato con le intelligenti dichiarazioni citate prima, facendo uscire il maleodorante contenuto, gli hanno gridato “fascista!” Ma a uno strumento usato per manomettere cosa gliene può importare da quali mani è usato. Lui manomette e basta. E certo dire piede di porco è riduttivo. Altro che piede.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/09/03/sacchi-e-piedi-di-porco/#comment-3414

Leggi anche:

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/09/01/il-pallottoliere-di-sacconi/