Nello scorso mese di febbraio si erano presentati una prima volta davanti a Montecitorio con un’intenzione ben precisa: richiamare l’attenzione del Governo sul tema della Ttf, quella tassa sulle transazioni finanziarie che i leader dell’eurozona Merkel e Sarkozy avevano ormai inserito nell’agenda delle riforme. Qualcuno si era vestito da Robin Hood, in ossequio all’ormai diffuso soprannome dell’imposta. Qualcun altro aveva indossato la maschera del premier, rigorosamente sorridente. Altri, infine, avevano inscenato un simbolico tiro alla fune tra società civile e speculatori, nella metafora di un balletto contabile tradottosi dallo scoppio della crisi a oggi in un flusso di fondi salva-finanza stimato in non meno di 13 mila miliardi di dollari (dei contribuenti). A otto mesi di distanza, gli attivisti della Campagna 005 concederanno domani una replica dell’iniziativa (la terza dopo quella datata giugno scorso) con i medesimi obiettivi e i medesimi argomenti. Ma questa volta il valore simbolico dell’evento, in programma (salvo pioggia) a piazza Vidoni, a Roma, a mezzogiorno potrebbe essere decisamente superiore. E così, in vista del super vertice Ecofin, rimandato oggi a data da destinarsi, la tormentata questione Ttf rischia seriamente di trasformarsi nell’ultima cosa di cui il governo può avere bisogno: l’ennesimo imbarazzo diplomatico da scontare in sede Ue.
E sì, perché la proposta di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, sulla quale il governo non ha ancora espresso una posizione ufficiale, continua a conservare il suo spazio nei programmi a breve, brevissimo termine di Francia e Germania. Chi ha potuto visionare in anteprima la bozza delle conclusioni del Consiglio europeo di domenica, tra gli altri Il Sole 24 ore, assicura che Germania e Francia non hanno cambiato idea. La Ttf, sostengono i leader europei, dovrà essere necessariamente introdotta, se non altro per un’esigenza di breve termine: quella della “raccolta fondi”. All’ampliamento del fondo salva Stati si affiancherà ora un ulteriore esborso da 100 miliardi di euro da destinare alla ricapitalizzazione delle banche. Lo stato dei conti pubblici, nel frattempo, preoccupa un po’ ovunque. Rimarcando la necessità di nuove entrate che, possibilmente, non penalizzino ancora una volta l’economia reale. Per questo, dunque, Parigi e Berlino proseguono sulla stessa linea. Il problema, tuttavia, è che qualcuno si ostina a non seguirli.
“Mentre in tutta Europa si discute di questa proposta, spicca ancora oggi il silenzio dell’Italia”, spiega Andrea Baranes, portavoce della campagna. “Invece di aumentare l’IVA, imposta regressiva e che deprime i consumi, cos’altro sta aspettando il nostro governo per schierarsi da subito e con convinzione in favore della tassazione delle transazioni finanziarie?”. Il silenzio, in realtà, non è stato assoluto. Interpellato sulla questione più di un anno fa, Berlusconi ha parlato addirittura di “proposta ridicola”, vantandosi al tempo stesso del suo personale impegno per bloccarne l’introduzione in sede Ue. Solo che nel frattempo il contesto è cambiato. Francia e Germania hanno incassato il sostegno di molti altri Paesi membri riuscendo, se non altro in termini di principio, a mettere d’accordo tra gli altri Portogallo e Finlandia, notoriamente collocati agli antipodi del dibattito sull’eurocrisi.
A esprimere netta contrarietà, a oggi, soprattutto Svezia e Gran Bretagna e, tra le grandi economie dell’eurozona la sola Olanda per la quale, sottolineano tuttavia alcune indiscrezioni provenienti dall’Ecofin, si farebbe anche strada l’ipotesi di un ripensamento. L’Italia, dal canto suo, non ha espresso ulteriori prese di posizione.
Ma quanto peserebbe una simile tassa sull’economia europea? I conti sono opinabili ma gli studi non mancano. Tre anni fa il Center for Economic and Policy Research di Londra (Cepr) ipotizzò che un’aliquota dello 0,1% avrebbe permesso alle casse statali di Ue e Nord America di incassare oltre 630 miliardi di dollari in un anno. L’anno scorso, l’economista austriaco Stephan Schulmeister, si concentrò invece sui dettagli della proposta europea. Un’imposta dello 0,05% applicata nel vecchio continente permetterebbe di raccogliere ogni anno circa 350 miliardi di dollari. Quanto all’Italia, le stime appaiono particolarmente complicate. Di recente, la società di consulenza 99 Partners Advisory di Parigi ha ipotizzato la cifra di 12 miliardi di euro per la sola Francia. Sollecitata dai promotori della campagna, la stessa società ha abbassato la stima a 10 miliardi per l’Italia anche se la cifra rischia di essere sopravvalutata visto che il nostro mercato finanziario è notoriamente poco sviluppato rispetto a quello delle altre principali economie europee. Ciò non toglie tuttavia che anche un forte ridimensionamento delle stime potrebbe comunque non intaccare il giudizio di convenienza dell’operazione rispetto ad altri provvedimenti fiscali (l’aumento dell’Iva al 21% dovrebbe garantire entrate per poco più di 4 miliardi ma solo a partire dal 2012).
I critici della Ttf ridotta alla sola Europa sottolineano il pericolo di una fuga delle operazioni finanziarie al di là dell’Atlantico (Londra, Wall Street, o magari i paradisi naturali e fiscali dei Caraibi), evento, quest’ultimo, che avrebbe un impatto negativo sulla liquidità del mercato continentale. Eurolandia, tuttavia, sembra aver fatto prevalere una posizione diversa. L’ipotesi evocata è quella di tassare le transazioni alla fonte, ovvero di caricare l’imposta direttamente in base alla residenza di chi compie l’operazione, senza cioè tenere conto del luogo in cui la transazione viene materialmente effettuata. In questo modo, si sostiene, sarebbero scongiurate tanto le fughe dei capitali quanto l’evasione fiscale stessa. Facile, in caso di approvazione del provvedimento, che la scelta dei regolatori cada proprio su questo tipo di approccio decentrato.
E sì, perché la proposta di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, sulla quale il governo non ha ancora espresso una posizione ufficiale, continua a conservare il suo spazio nei programmi a breve, brevissimo termine di Francia e Germania. Chi ha potuto visionare in anteprima la bozza delle conclusioni del Consiglio europeo di domenica, tra gli altri Il Sole 24 ore, assicura che Germania e Francia non hanno cambiato idea. La Ttf, sostengono i leader europei, dovrà essere necessariamente introdotta, se non altro per un’esigenza di breve termine: quella della “raccolta fondi”. All’ampliamento del fondo salva Stati si affiancherà ora un ulteriore esborso da 100 miliardi di euro da destinare alla ricapitalizzazione delle banche. Lo stato dei conti pubblici, nel frattempo, preoccupa un po’ ovunque. Rimarcando la necessità di nuove entrate che, possibilmente, non penalizzino ancora una volta l’economia reale. Per questo, dunque, Parigi e Berlino proseguono sulla stessa linea. Il problema, tuttavia, è che qualcuno si ostina a non seguirli.
“Mentre in tutta Europa si discute di questa proposta, spicca ancora oggi il silenzio dell’Italia”, spiega Andrea Baranes, portavoce della campagna. “Invece di aumentare l’IVA, imposta regressiva e che deprime i consumi, cos’altro sta aspettando il nostro governo per schierarsi da subito e con convinzione in favore della tassazione delle transazioni finanziarie?”. Il silenzio, in realtà, non è stato assoluto. Interpellato sulla questione più di un anno fa, Berlusconi ha parlato addirittura di “proposta ridicola”, vantandosi al tempo stesso del suo personale impegno per bloccarne l’introduzione in sede Ue. Solo che nel frattempo il contesto è cambiato. Francia e Germania hanno incassato il sostegno di molti altri Paesi membri riuscendo, se non altro in termini di principio, a mettere d’accordo tra gli altri Portogallo e Finlandia, notoriamente collocati agli antipodi del dibattito sull’eurocrisi.
A esprimere netta contrarietà, a oggi, soprattutto Svezia e Gran Bretagna e, tra le grandi economie dell’eurozona la sola Olanda per la quale, sottolineano tuttavia alcune indiscrezioni provenienti dall’Ecofin, si farebbe anche strada l’ipotesi di un ripensamento. L’Italia, dal canto suo, non ha espresso ulteriori prese di posizione.
Ma quanto peserebbe una simile tassa sull’economia europea? I conti sono opinabili ma gli studi non mancano. Tre anni fa il Center for Economic and Policy Research di Londra (Cepr) ipotizzò che un’aliquota dello 0,1% avrebbe permesso alle casse statali di Ue e Nord America di incassare oltre 630 miliardi di dollari in un anno. L’anno scorso, l’economista austriaco Stephan Schulmeister, si concentrò invece sui dettagli della proposta europea. Un’imposta dello 0,05% applicata nel vecchio continente permetterebbe di raccogliere ogni anno circa 350 miliardi di dollari. Quanto all’Italia, le stime appaiono particolarmente complicate. Di recente, la società di consulenza 99 Partners Advisory di Parigi ha ipotizzato la cifra di 12 miliardi di euro per la sola Francia. Sollecitata dai promotori della campagna, la stessa società ha abbassato la stima a 10 miliardi per l’Italia anche se la cifra rischia di essere sopravvalutata visto che il nostro mercato finanziario è notoriamente poco sviluppato rispetto a quello delle altre principali economie europee. Ciò non toglie tuttavia che anche un forte ridimensionamento delle stime potrebbe comunque non intaccare il giudizio di convenienza dell’operazione rispetto ad altri provvedimenti fiscali (l’aumento dell’Iva al 21% dovrebbe garantire entrate per poco più di 4 miliardi ma solo a partire dal 2012).
I critici della Ttf ridotta alla sola Europa sottolineano il pericolo di una fuga delle operazioni finanziarie al di là dell’Atlantico (Londra, Wall Street, o magari i paradisi naturali e fiscali dei Caraibi), evento, quest’ultimo, che avrebbe un impatto negativo sulla liquidità del mercato continentale. Eurolandia, tuttavia, sembra aver fatto prevalere una posizione diversa. L’ipotesi evocata è quella di tassare le transazioni alla fonte, ovvero di caricare l’imposta direttamente in base alla residenza di chi compie l’operazione, senza cioè tenere conto del luogo in cui la transazione viene materialmente effettuata. In questo modo, si sostiene, sarebbero scongiurate tanto le fughe dei capitali quanto l’evasione fiscale stessa. Facile, in caso di approvazione del provvedimento, che la scelta dei regolatori cada proprio su questo tipo di approccio decentrato.