domenica 6 novembre 2011

"Sapeva che l’ostello in realtà era diventato hotel di lusso"




Ravenna, 4 novembre 2011 - Fra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta per la gestione dei fondi del Giubileofinalizzati alla trasformazione dell’ex orfanotrofio in un ostello per giovani e pellegrini, c’è anche il vescovo monsignor Giuseppe Verucchi. La notizia è filtrata ieri, a indagine già conclusa. Il nome dell’alto prelato sembra sia stato iscritto solo recentemente nel registro degli indagati. Nel provvedimento con cui il gip ha autorizzato alcuni mesi fa, l’ultima proroga alle indagini, infatti, risultano solo i primi due nominativi iscritti, ovvero quelli di monsignor Guido Marchetti, tesoriere della curia e quello di Raffaele Calisesi, titolare della Ayr, la società che dal 25 gennaio 2005 ha assunto la gestione della struttura prima affidata all’Archidiocesi ravennate.
E sempre ieri si è appreso che l’ipotesi di reato formulata dal pm Monica Gargiulo, il magistrato titolare dell’indagine, è per tutti quella di malversazione ai danni dello Stato, un reato previsto dall’articolo 316 bis la cui pena va da sei mesi a quattro anni. La condotta punita è quella di chi avendo ricevuto finanzimenti pubblici «destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità».
Al momento nessuno dei tre indagati è stato sentito dal pm. Posto che un indagato ha il diritto di essere interrogato, se lo chiede, una volta che gli sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini, nel caso in questione, pur risultando scaduto il termine per effettuare indagini, il pm può ancora procedere all’interrogatorio degli indagati. E in questa ottica non si può escludere che ai tre venga presto notificato il cosiddetto avviso a comparire per rendere l’interrogatorio. Va da sè che gli interessati possono sempre avvalersi del diritto al silenzio anche in questa fase.
Ripercorriamo, per una migliore comprensione della vicenda, le tappe che vedono protagonista, negli anni fra il 1998 e il 2007, il ‘Galletti Abbiosi’. Il 20 marzo 1998 la Presidenza del Consiglio- Ufficio per Roma capitale, deliberò, assieme a tanti altri, il finanziamento di cinque miliardi di lire all’Archidiocesi, per la ristrutturazione dell’ex orfanotrofio di via di Roma 140 finalizzata alla realizzazione di un ostello per i pellegrini e che, concluso il Giubileo, avrebbe dovuto svolgere la funzione di struttura ricettiva a basso costo una-due stelle, vale a dire uno studentato. Il 9 giugno 1998 gli uffici comunali rilasciarono alla ‘Istitutizioni assistenze riunite Galletti Abbiosi’ la concessione edilizia n. 1050 per i lavori. Il 28 ottobre fu rilasciata una concessione in variante.
L’11 agosto 2000 il Sedrvizio commercio del comune autorizzò l’archidiocesi all’esercizio dell’ostello. Il 24 luglio 2001 la gestione passò all’Opera di Religione della Diocesi. Il 25 gennaio 2005 la gestione passò alla società Ayr. Il 16 novembre 2007 fra Ayr e Comune venne firmata la convenzione relativa alla gestione della struttura, così come previsto dall’atto unilaterale d’obbligo collegato alla concessione edilizia. Nella convenzione si faceva riferimento alla destinazione della struttura come studentato. Tant’è che della bozza della convenzione fu resa partecipe anche il polo universitario. Il fatto è che la struttura già allora (e fin dalla conclusione dei lavori di ristrutturazione) aveva le caratteristiche dell’albergo di lusso; di lì a poco, gli studenti, furono ‘cacciati’ e la struttura fu adibita esclusivamente ad albergo di gran classe. Pur senza averne la licenza perchè solo nell’agosto del 2010 il consiglio comunale ha approvato il nuovo Rue che prevede per quella zona un nuovo esercizio alberghiero.
Redazione.

Parlamentare vs cittadino



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sabato 5 novembre 2011

Genova, Berlusconi: “Si è costruito dove non si doveva”. Ma dimentica i suoi due condoni. - di Elena Rosselli

In una nota il premier stigmatizza l'eccessiva cementificazione della Liguria senza ricordare le sanatorie edilizie varate nel 2003 e nel 2009. Immediata la polemica. A livello locale il sindaco Pd Marta Vincenzi rivendica la scelta di non aver chiuso ieri le scuole: "Decisione provvidenziale". La mamma della 19enne morta: "Dovevano chiudere quei maledetti edifici".


Il sindaco di Genova Marta Vincenzi viene contestata durante la visita in via Fereggiano
“E’ evidente che si è costruito là dove non si doveva costruire”. A mettere nero su bianco queste parole, dopo l’alluvione che ha colpito Genova e ha visto la morte di quattro donne e due bambine, non è un ambientalista della prima ora, ma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che per un giorno intero ha deciso di non dire nulla e tantomeno di farsi vedere nelle zone alluvionate. Ma che, 24 ore dopo la tragedia, decide comunque di emettere una nota. A far notare l’incoerenza, per primo, il responsabile Green economy del Pd Ermete Realacci: “Le parole di Berlusconi a commento della tragedia di Genova sono senza vergogna – spiega – Le migliaia di case abusive sono infatti il risultato deidue condoni (edilizi, nel 2003 e nel 2009, ndr) che portano la sua firma, provvedimenti che solo qualche giorno fa pensava di riproporre per l’ennesima volta tra le pieghe delle misure di risanamento finanziario del suo governo”.

E infatti, proprio a inizio ottobre, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto aveva parlato di una doppia sanatoria – edilizia e fiscale – da inserire nella manovra finanziaria in via di approvazione. Un progetto messo da parte dopo la levata di scudi che aveva coinvolto non solo l’opposizione, ma anche parte della stessa maggioranza (Tremonti in primis), la Chiesa e Confindustria.

La frase di Berlusconi scatena immediatamente la polemica. Di “stupro dell’ambiente” parla il presidente della Camera Gianfranco Fini che, pur senza chiamare in causa il Cavaliere, attacca: “Nessuno può avere la presunzione che si possa stuprare l’ambiente senza che ci sia la vendetta della natura”. Il nome di Berlusconi viene pronunciato esplicitamente dall’Idv: “Quanto accaduto ieri a Genova, e solo dieci giorni fa alle Cinque Terre e in Lunigiana, è figlia degli ingentissimi tagli inferti da questo governo alla difesa del suolo per un miliardo di euro e di quella politica dei condoni edilizi ‘a gogò’ e delle sanatorie degli abusivismi con cui l’ineffabile duo Berlusconi-Tremonti ha caratterizzato la sua azione politica”, ha detto Antonio Borghesi, vicepresidente del gruppo Idv alla Camera. Il presidente della Regione Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni Vasco Errani chiede invece “prevenzione” e “risorse” perché “le scelte del governo, confermate dai tagli per realizzare le opere di conservazione e messa in sicurezza del territorio e dalla rigidità delle nuove norme sulla protezione civile, vanno purtroppo nella direzione opposta”.

Contro l’Italia “del cemento, del fango, senza legge, senza giustizia e senza vergogna” si scaglia il comico genovese Beppe Grillo con un post dal suo blog: “Oggi mi sento impotente. La distruzione di Genova era annunciata. E io non ho potuto fare nulla. Ho visto la mia città trasformata in fanghiglia con le auto che cadevano sul porto insieme alla pioggia e ai morti sapendo che si poteva evitare – scrive Grillo – L’Italia del Fango sta mostrando la sua faccia, il suo ghigno, il suo sberleffo. L’Italia Senza Giustizia che manda in galera chi denuncia”. Perché, spiega l’ideatore del Movimento 5 stelle, “il cittadino è solo, senza rifermenti, senza informazione, senza rappresentanti. L’Italia del Cemento – continua Grillo – lo sta seppellendo vivo”. E chiede: “Chi arresteranno ora per disastro colposo? I meteorologi? Persino di fronte al default dell’Italia non si arresta questa bulimia criminale, questo pasto immondo dei partiti sul corpo della Nazione. L’aria è gonfia di pioggia e di rabbia. Genova è tagliata in due come il Paese”.

E’ bufera sul sindaco di Genova: “Si dovevano chiudere le scuole”. A livello locale le polemiche si concentrano sul sindaco di Genova Marta Vincenzi, colpevole per i cittadini di non aver chiuso le scuole ieri. A chi  questa mattina, in via Fereggiano – la strada in cui ieri hanno perso la vita 6 persone – le urlava “dimettiti, vergogna, il primo cittadino ha ribattuto esattamente quanto dichiarato ai giornali il giorno prima in piena tragedia: “La scelta di mandare i bambini a scuola è stata provvidenziale – ha spiegato la Vincenzi – Immaginate cosa sarebbero stati 40mila bambini portati in macchina dai nonni, dai parenti o dagli amici in giro per la città durante l’alluvione”.

Difficile dimenticare però che le vittime di questa alluvione sono state travolte dalla “bomba d’acqua” proprio mentre andavano a prendere i loro figli o fratelli a scuola. E’ accaduto così per la 19enne Serena Costa inghiottita dall’acqua del torrente Fereggiano mentre tentava di riportare a casa il fratello 13enne. Stessa sorte è toccata ad Angela Chiaramonte, infermiera di 40 anni, morta per raggiungere il figlio Domenico al liceo Cassini, così vicino alla stazione Brignole e al Bisagno. E sempre dopo aver portato via dalla scuola ‘Giovanni XXIII’ la sua bambina Joia, è morta anche Shiprese Djala, donna albanese di 28 anni. Solo Evelina Pietranera, 50 anni, è morta per essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, dopo aver dato il cambio al maritoAttilio Toffi all’edicola di via Giacometti. “Le dovevano chiudere quelle maledette scuole, le dovevano chiudere – ha gridato a distanza, piena di dolore, la mamma di Serena, Rosanna Costa – Mi hanno chiamata dalla scuola di mio figlio e mi hanno detto di andarlo a prendere. Io ero al lavoro e non potevo così l’ho detto a mia figlia. Ma non l’ho più vista rientrare”.

Ma Marta Vincenzi non ci sta a dire ‘ho sbagliato’ e rivendica le scelte dell’amministrazione comunale: “Abbiamo avvisato la cittadinanza di non usare i mezzi privati. Ma ricordare i comportamenti da tenere in queste occasioni non è bastato. C’erano, in giro per la città, più auto di quelle che normalmente transitano sulle nostre strade”, dice il sindaco che anzi contrattacca: “Buonsenso, senso civico sono concetti che evidentemente non basta ricordare. Vanno intimati, fatti oggetto di divieti”. E mentre il presidente della Regione Claudio Burlando cerca di smarcarsi dalle polemiche con un pilatesco “è difficile decidere cosa fare”, il capo della Protezione civileFranco Gabrielli evoca il “patto sociale” necessario per “evitare che in certe situazioni i sindaci possano essere poi crocifissi” anche se ”le scuole di Genova ieri potevano essere tranquillamente chiuse per ridurre gli spostamenti”.

Ora la paura è tale che il Comune ha deciso di tenere chiusi gli edifici scolastici di ogni ordine e grado anche lunedì 7 novembre, giorno in cui è stato proclamato il lutto cittadino. Tommaso Pezzano, dirigente scolastico della scuola materna, elementare e media Giovanni XXIII nel quartiere di Marassi (quella frequentata dalla piccola Joia), spiega com’è avvenuto il coordinamento tra scuola e amministrazione: “Ci hanno mandato una nota dal Comune, poche righe: stato di allerta meteo due, ma che cosa significa? Tutto e nulla. E noi cosa avremmo dovuto fare? Nessuno ci dava indicazioni”. Nella comunicazione scritta del Comune di Genova, testualmente si legge: “Si invitano le famiglie a connettersi tempestivamente con i mezzi di comunicazione pubblici (Raitre, Emittenti televisive locali, sito del Comune) per acquisire informazioni su eventuali provvedimenti adottati a tutela della pubblica incolumità”. Peccato però che alle 11 la corrente elettrica fosse saltata in quasi tutta la città impedendo ogni forma di comunicazione. “Neppure i cellulari funzionavano – spiega Pezzano – e anche per questo molti genitori sono corsi a scuola per prendere i loro bambini, per portarli a casa”. Una corsa fatale.

I ristoranti pieni...



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Chi mantiene l'economia.



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Anche il Financial Times scarica Berlusconi “In nome di Dio e dell’Italia, vattene”



Il quotidiano inglese dedica alle vicende nostrane tutta la prima pagina per affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: "Solo un cambio di leadership potrà ridare credibilità all'Italia"



Il Financial Times ha rivolto al presidente del Consiglio italiano un invito inequivocabile: “In nome di Dio, dell’Italia e dell’Europa, vai”. Il quotidiano inglese dedica alle vicende italiane tutta la prima pagina per affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: “solo un cambio di leadership potrà ridare credibilità all’Italia”. Se il cambio della guardia a Palazzo Chigi è un “imperativo”, il Ft mette però in guardia anche quelli che pensano che la cacciata di  possa essere la panacea di tutti i mali per uscire dalle secche della crisi economica e del debito. “Sarebbe ingenuo credere che quando Berlusconi se ne andrà, l’Italia possa reclamare subito piena fiducia dei mercati”, scrive il foglio britannico.

Negli articoli di cronaca si sottolinea poi che al G20 di Cannes, l’Italia ha accettato un monitoraggio del Fondo monetario internazionale “altamente intrusivo”. E, secondo i cronisti inglesi, è una “concessione senza precedenti” perché l’Italia, per il momento, è un paese che non è ancora fallito.

Ma le parole più brucianti sono nell’editoriale in cui il Cavaliere viene paragonato a  George Papandreou, primo ministro greco. “Tutti e due si reggono su una sottile e risicata maggioranza parlamentare, e tutti e due stanno litigando con il loro ministro delle Finanze. Ma, la cosa più importante di tutte, hanno entrambe la tendenza a rinnegare le loro promesse in un periodo nel quale i mercati sono preoccupati sulle finanze pubbliche dei loro paesi”. E poi la stoccata finale: “Il rischio che potrebbe minare il Paese riguarda il leader attuale: avendo fallito l’obiettivo di realizzare riforme nelle due decadi passate in politica, Berlusconi manca della credibilità per portare avanti questi significativi cambiamenti”.

Così, anche se non sarebbe una soluzione a tutti i problemi, “il cambio di leadership è imperativo” e “un nuovo primo ministro impegnato nell’agenda della riforma potrebbe rassicurare il mercato, che è alla ricerca disperato di un piano credibile per bloccare la corsa del quarto debito più grande del mondo”.

Tuttavia il fatto che il Cavaliere sia arroccato alla sua poltrona, è cosa nota anche in riva al Tamigi. Tant’è che il pezzo dedicato alla politica di casa nostra viene titolato così: “il sopravvissuto dell’Italia determinato a durare”.


“La maggioranza non c’è più”. Letta, Bonaiuti, Alfano e Verdini avvertono il premier. - di Sara Nicoli




I vertici del Pdl accolgono Berlusconi di ritorno da Cannes con una comunicazione allarmata sui numeri della maggioranza in vista del prossimo voto di fiducia. Il coordinatore: "Siamo a 306, non c’è verso di riportarli indietro, forse se ci parli tu, ma io a questo punto ci conterei poco..”. Paradossalmente, a salvare il governo anche martedì, potrebbe essere l'effetto dell'appello di Napolitano sulla credibilità del Paese, che deve evitare di entrare in esercizio economico straordinario.


Quattro giorni all’alba. Cioè, quattro giorni alla fine del ventennio berlusconiano. Roba da non crederci, tanto che ieri sera, tornato fresco da quello che lui considerava l’ennesimo successo internazionale a Cannes, credeva davvero di essere davanti a quattro matti che gli raccontavano di un incubo incomprensibile ai suoi occhi e alle sue orecchie: “Silvio, la maggioranza non c’è più”. Gliel’avesse detto un altro, al Cavaliere, che il suo tempo politico era finito, questione di ore più che di giorni, ecco lui l’avrebbe licenziato con il solito sorrisetto sardonico di chi ne sa di più. E, invece, sentirselo dire da Letta, Bonaiuti, dallo sguardo vitreo del delfino di cartone Angelino Alfano e, soprattutto, da Denis Verdini, è stato un colpo anche per Berlusconi.


Raccontano che ieri sera, a palazzo Grazioli, assenti i suoi “famigli” come Valentino Valentini e il neo deputato Luca D’Alessandro, entrambi maratoneti a New York, il Cavaliere sia rimasto silenzioso per qualche minuto a guardare nel vuoto, gesto quantomeno inusuale durante questi mini vertici della nomenklatura più stretta dove lui, di solito, detta la linea e gli altri stanno zitti e prendono appunti mentalmente. Invece, ha parlato Verdini. Lapidario. “Siamo a 306, non c’è verso di riportarli indietro, forse se ci parli tu, ma io a questo punto ci conterei poco..”.


Certo, che schiaffo. Vedere la propria condanna firmata da quelli che lui ha sempre considerato mezzecalze, gente di poco conto, buoni solo per la propaganda e ad obbedir tacendo, quelli che si sono fatti belli in tv (Stracquadanio, per esempio) solo perché lui ce li ha mandati a difendere la sua immagine. Oppure una come la Bertolini, uno come Mazzuca, incapaci di qualunque azione autonoma. Prima di oggi, prima di ieri.


Insomma, il regno crolla. Verdini li ha contati e ricontati. Ha provato – senz’altro – con il solito sortilegio del denaro, dell’offerta, dell’incarico di privilegio, ma niente da fare; i numeri parlano chiaro. Da una maggioranza di 316 dell’ultima fiducia del 14 ottobre, si è passati di schianto a quota 306, per colpa di questi “maiali” , li ha chiamati Cicchitto – ma pare che il suggerimento del vocabolo sia direttamente del Cavaliere – che visto il baratro “preferiscono rifarsi una verginità subito – sempre parola di Cicchitto – per paura di essere travolti e non riemergere più”.


Adesso si va allo show down, quindi. Martedì, in aula, ripassa per la seconda volta il rendiconto dello Stato, quello già bocciato l’11 ottobre scorso “per una svista”, si è sempre detto nel Pdl, perché erano tutti alla bouvette a bere il caffè e il governo è andato sotto sull’articolo 1. L’hanno riscritto, lo hanno fatto ripartire velocemente dal Senato e martedì 8 novembre sarà di nuovo lì, alla Camera. Tutti vorrebbero vederla questa scena di Berlusconi che assiste al tramonto del suo regime mentre il tabellone dell’Aula impietosamente sancisce che no, la Camera non approva. Ma c’è qualcosa che, paradossalmente, anche stavolta gioca a suo favore. Ed è il Quirinale. Perché bocciare ancora il rendiconto generale dello Stato significa certo far cadere il governo, ma anche mettere il Paese in esercizio economico straordinario (succede quando la legge finanziaria, ovvero il rendiconto, viene bocciato) in un momento in cui l’Italia “non è credibile” agli occhi del mondo, come è stato ricordato in mille modi durante il G20 di Cannes, ecco questo Napolitano proprio non può permetterlo. Certo, il Capo dello Stato non interverrà direttamente sui singoli deputati per far capire loro che, in questo caso, andrebbe fatto uno sforzo e che a far cadere Berlusconi si potrà pensare un po’ più avanti, casomai sulla legge di Stabilità quando arriverà alla Camera, questione prevista per la fine del mese. Ma di sicuro un tentativo di moral suasion su alcuni sarà fatto. Come andrà a finire, tuttavia, è un’incognita. A cui Napolitano, ovviamente, guarda con grande apprensione.


E’ da settimane, d’altra parte, che al Colle si lavora, sottotraccia, per dare forma ad un nuovo esecutivo e ad una maggioranza solita che possa traghettare il Paese a fine legislatura (o anche solo fino a giugno) in modo da portare a termine le misure che l’Europa (e anche il mondo, a questo punto) hanno chiesto con grande forza all’Italia “commissariata dal Fmi” . Nei giorni scorsi, per esempio, Napolitano ha visto Mario Monti. Con il professore varesino il Capo dello Stato ha un’antica consuetudine, ma l’incontro dei giorni scorsi non è passato ovviamente inosservato. Pare che, nell’occasione, Napolitano abbia chiesto a Monti persino un elenco di nomi di possibili ministri, trovando un interlocutore già molto preparato sulla materia, ma il colloquio si è poi fermato lì: ad un nuovo governo serve anche una maggioranza che lo sostenga. E, in questo caso, non si può fare i conti senza la Lega. Ecco perché, alla fine, il nome che pià circola in queste ore come possibile successore a tempo di Berlusconi è quello di Gianni Letta. L’unico, si sostiene in ambienti della maggioranza, a cui il Cavaliere proprio “non potrebbe dire di no”, che garantirebbe la permanenza di Maroni al Viminale e una sorta di continuità politica dell’esecutivo uscito dalle urne del 2008. Nessun ribaltone, nessun governo istituzionale, solo un passo indietro del Cavaliere, “il vero problema di tutto”. La questione è sul tavolo in queste ore. Ore drammatiche, durante le quali si dovrà capire se Berlusconi, per una volta almeno, darà ascolto ai suoi e farà un passo indietro prima di martedì, oppure accetterà la sfida dei numeri sperando nel fatto che nessuno si vorrà prendere la responsabilità politica di portare l’Italia in esercizio straordinario in pieno tsunami finanziario. Ancora una volta, forse, la sua temerarietà potrebbe dargli ragione. Ma di certo sarà l’ultima.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/05/la-maggioranza-non-ce-piu-letta-bonaiuti-alfano-e-verdini-avvertono-il-premier/168654/