Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 10 dicembre 2011
La Volpe colpisce ancora. - di Marco Travaglio
Sostiene Massimo D’Alema, intervistato da La Stampa, che il governo Monti è stato un trionfo della politica, ma soprattutto del Pd, ma soprattutto di D’Alema, perché un mese fa “l’alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l’ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a Palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica”. Strano: noi pensavamo che B. si fosse dimesso perché le azioni del suo gruppo erano precipitate in Borsa del 12 % in un solo giorno; ma soprattutto perché alla Camera era sceso a 308 deputati, 8 in meno della maggioranza, dunque sarebbe caduto al primo voto di sfiducia.
Avevamo anche letto da qualche parte che a portargli via l’ultima decina di “traditori”(Carlucci & C.) era stato Paolo Cirino Pomicino, usato da Casini come sherpa per traghettarli nell’Udc: ma evidentemente la Volpe del Tavoliere vuol farci capire che c’era il suo sulfureo zampino anche dietro l’Operazione Cirino. I suoi elettori superstiti, che già stravedono per Monti, ne saranno entusiasti e orgogliosi.
D’Alema spiega poi che andare alle elezioni non conveniva: si rischiava di vincerle (“non le abbiamo chieste nonostante i sondaggi a noi favorevoli”). Molto meglio il governo dei banchieri, perché “una classe dirigente seria sa sfidare anche l’impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra”. Il Molto Intelligente previene la domanda che sorge spontanea: ma sei fuori come un balcone? E replica: “Due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l’Italia nella condizione della Grecia”.
Sarà, ma due mesi di campagna elettorale han salvato la Spagna, che pareva sull’orlo del baratro e ora sta meglio di noi: di fronte alla prospettiva di un governo legittimato dagli elettori (peraltro al posto di Zapatero, non dei nostri banditi), i mercati han dato agli spagnoli il tempo necessario di votarlo. E non si vede perché non avrebbero dovuto farlo anche con noi. Si dirà: perché la nostra legge elettorale non garantisce la maggioranza nei due rami del Parlamento. Vero: ma, in nome dell’emergenza, il centrosinistra avrebbe potuto presentarsi agli elettori col Terzo polo e Monti candidato premier di un governo a tempo, due anni non di più, che facesse le riforme più urgenti e poi riportasse l’Italia alle urne, con una legge elettorale decente, destra e sinistra di nuovo su fronti contrapposti. Prevedibilmente quello schieramento avrebbe stravinto, avrebbe raso al suolo B., e all’inizio dell’anno avremmo avuto ugualmente un governo Monti. Ma non piovuto dal cielo o dal Colle o dal caveau di qualche banca: consacrato dal consenso degli elettori, dunque politicamente responsabile e non più ricattato da B. e da nessun altro.
Cioè in grado di far pagare il giusto agli evasori, a Mediaset, alla Chiesa e forse persino alla Casta. Cosa che oggi non può fare, anche se quel mattacchione di D’Alema riesce a dire che Monti “fa pagare pure i ricchi”. Chissà quali ricchi ha in mente. Forse il banchiere Geronzi, che ieri ha raccontato al Corriere del suo “ottimo rapporto con D’Alema e Fassino”? O forse Finmeccanica di Guarguaglini e Borgogni, che foraggiava la fondazione dalemiana Italianieuropei sebbene la legge proibisca alle società pubbliche di finanziare la politica? Sull’Ici alla Chiesa, Max spiega che “bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali”. Ecco, bravo: mentre lui studia, sapete chi è stato a esentare gli edifici religiosi all’Ici se esercitano “finalità non esclusivamente commerciale”, aggirando i paletti imposti dalla Cassazione? Un decreto del 2006 firmato dall’allora ministro dello Sviluppo economico. Che non era il cardinal Ruini, e nemmeno Bertone. Era Pier Luigi Bersani.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/10/la-volpe-colpisce-ancora/176551/
“La bomba a Equitalia? Era la prima rata”
L’attentato contro una delle sedi dell’ente riscossione tributi ha scatenato un’esultanza di stampo calcistico.
Tutti ormai sanno della bomba esplosa nell’agenzia Equitalia di via Millevoi a Roma. A destare sorpresa, al di là dell’atto in sé, è la reazione degli italiani, sollevati e addirittura felici dal botto.
LE REAZIONI POLITICHE – Come sempre Internet è un termometro ideale per capire bene come le persone hanno vissuto l’accaduto. Su Twitter appaiono chiarissime tre diversi atteggiamenti: alcuni politici, come Renata Polverini, condannano senza se e senza ma l’attentato di matrice anarchica, manifestando assoluta solidarietà a Equitalia e al direttore rimasto ferito nello scoppio, magari richiamando anche l’appello di Mario Monti, secondo il quale Equitalia fa il suo dovere. Altri hanno rilanciato la posizione del presidente Mastrapasqua, secondo il quale Equitalia non fa altro che applicare la legge.
E QUELLE DEI CITTADINI - Altri utenti, pochi, commentano dicendo che per quanto sia comprensibile vista la sete di denari di Equitalia, non è giusto e non ha senso prendersela con persone che lavorano. Infine, e questa è la stragrande maggioranza, qualcuno è pronto addirittura a stappare lo spumante. Ironia, cattiveria, tentativo di capire cosa ci sia dietro il disagio di un’intera generazione che esulta per una bomba esplosa in un luogo simbolo della “non equità”, a dispetto del nome, del sistema Stato italiano.
Perchè ho questa immaggine di 60 milioni di persone che fanno girare il ditino?Attentato Equitalia – Mia madre: “Già, è ora che iniziamo a mettere delle bombe in un po’ di uffici”Conosco pacifici trentenni che non condannano il pacco bomba a #Equitalia. La rabbia di questa generazione a volte mi spaventa.Bomba a #Equitalia : finalmente i primi effetti positivi della manovra.Bomba ferisce direttore Equitalia . Monti esprime solidarietà al direttore il resto degli Italiani alla prima.Quello che è successo alla sede di Equitalia denota che non c’è più gente qualificata che sappia costruire ordigni decenti.Roma, pacco bomba in una sede Equitalia. Il direttore ferito ad un artiglio.
SPINOZA – Sul forum di Spinoza, invece, ci sono tentativi più o meno riusciti di battute che possano strappare un sorriso. C’è da dire che molte di queste, nelle ultime ore, stanno rimbalzando su Facebook:
Esplode pacco bomba in Agenzia Equitalia. Era la prima rata.Esplode pacco bomba in Agenzia Equitalia. Ora ha 60 giorni per presentare ricorso.Roma: esplode pacco bomba in Agenzia Equitalia. Questi anarchici, sempre lì a rubarti le idee…Roma: esplode pacco bomba in Agenzia Equitalia – sono commosso…Esplode pacco bomba all’agenzia di Equitalia. “Le bombe sono una cosa bellissima” ha commentato l’autore del gesto.Esplode pacco bomba in Agenzia Equitalia, dopo le lacrime ecco il sangue
COME VEDONO LA COSA I GIORNALI – Anche i siti dei principali quotidiani stanno dando ampio risalto alle reazioni del web. Il Messaggero spara ad alzo zero contro i “commenti shock su Twitter e Facebook”, mentre Il Fatto Quotidiano ha lasciato aperti i commenti, salvo poi buttarsi su una moderazione senza pietà a causa degli insulti, delle accuse, delle esultanze e delle litigate tra coloro che esultavano per l’atto e altri che condannavano questa gioia senza senso.
I PERCHE’ DI UN ODIO – Equitalia, società nata per la riscossione dei tributi, partecipata per il 51 per cento dall’Agenzia delle Entrate e per il 49 per cento dall’Inps, ha dalla sua tutti gli strumenti per riscuotere multe, tasse, sanzioni con il risultato che col passare degli anni è stata vista come un’entità vampiresca buona solo a succhiare soldi ai cittadini con la minaccia di mettere la loro casa o la loro azienda all’asta. Sempre su Twitter in queste ore sta circolando la storia di un uomo, malato d’Alzheimer, che per una multa non pagata di 63 euro si è visto portare via la casa. Nel frattempo l’accusato è morto. La cosa si è risolta con un versamento di 200.000 euro. Al di là della solidarietà, queste cose portano a quanto successo stamattina.
Indennità, cinquemila euro in meno. Tra i parlamentari scatta la rivolta. - di CARMELO LOPAPA
Scontro sul decreto del governo che da gennaio taglia gli stipendi di deputati, senatori e di tutte le cariche elettive. Ma loro non ci stanno: "Decidiamo noi, lede l'autonomia del parlamento". Già tagliato il vitalizio.
LA RIVOLTA parte dalla Camera e rimbalza in poche ore al Senato. La norma della manovra Monti che prevede un decreto per tagliare già da gennaio le indennità ai parlamentari - e con loro a tutte le altre cariche elettive - non passa. "Viola l'autonomia del Parlamento", andrà riscritta. E rivista. Su deputati e senatori si abbatte una nuova scure.
La notizia è che, dopo la cancellazione del vitalizio, tra poche settimane anche l'indennità verrà dimezzata o quasi. E ora è braccio di ferro sull'ammontare del taglio. Stipendio da agganciare agli europarlamentari, è la proposta messa per iscritto dai questori del Senato. No, così le spese raddoppiano anziché ridursi, rilanciano da Montecitorio: meglio la media delle indennità nei paesi Ue.
La prima bocciatura alla stretta arriva dalla commissione Affari costituzionali della Camera, che in queste ore ha espresso parere negativo sul settimo comma dell'articolo 23 della manovra. È la norma che prevede che dal primo gennaio gli stipendi di amministratori, consiglieri, sindaci e parlamentari subiranno un taglio che li equipari ai colleghi europei. A far insorgere le Camere, la previsione del ricorso a un decreto del governo nel caso, ormai probabile, in cui la commissione guidata dal presidente Istat Enrico Giovannini non depositi il previsto studio di comparazione entro fine anno. Nel Parlamento vige l'"autodichia", protestano.
La prima commissione di Montecitorio ha già bocciato il comma. "Tocca a noi decidere come procedere". Lo stesso accade a Palazzo Madama. "Quell'intervento, giusto nel merito, lede l'autonomia del Parlamento - spiega il senatore questore Benedetto Adragna - Se non lo faranno prima i colleghi della Camera, il nostro collegio dei questori depositerà un emendamento correttivo. Puntiamo all'equiparazione ai parlamentari europei, con tutto ciò che ne consegue".
Il conto è presto fatto. Oggi l'indennità di un deputato italiano ammonta a 11.704 euro al netto della diaria. La media delle retribuzioni nell'eurozona è invece di 5.339 euro e quello sarebbe l'implicito suggerimento del governo Monti. Invece l'eurodepuato, al quale i senatori si vorrebbero agganciare, guadagna circa 5.900 euro netti mensili. Ma a Bruxelles vigono benefit di peso: i collaboratori sono a carico del Parlamento e i rimborsi spese (come i voli) avvengono a piè di lista, dopo presentazione di ricevute, ma sono "pieni".
Così, a Montecitorio i tecnici hanno fatto due conti e hanno scoperto che l'adeguamento all'Europarlamento farebbe quasi raddoppiare i costi della "casta" anziché ridurli. Ecco perché col placet della struttura, alla Camera i relatori alla manovra depositeranno nelle prossime ore un emendamento più in linea col progetto Monti. Spiega il questore di Montecitorio Gabriele Albonetti: "Dobbiamo parametrarci a un regime molto più rigido e individuare quale sia la soglia effettiva delle indennità nette, perché il lordo non fa testo, la fiscalità è diversa da paese e paese".
Quel che è certo è che matura la vera stangata, quella sull'indennità (già decurtata di mille euro a inizio anno). Lamberto Dini si fa portavoce della protesta: "Le nostre retribuzioni sono già sotto la media Ue". Alessandra Mussolini, intervista da "Anna" sostiene che già togliere il vitalizo è istigazione al suicidio", figurarsi il resto. Al rientro degli onorevoli lunedì dal lungo ponte festivo, sarà battaglia.
Indennità parlamentari, emendamento sui tagli. Fini: "Non è un modo per prendere tempo"
La norma del decreto - che prevedeva fino a 5 mila euro in meno per gli stipendi di deputati e senatori - sarà cambiata. "Il governo non può ledere l'autonomia delle Camere", dicono gli onorevoli.
L'aula della Camera
La manovra prevede che il governo 'recepisca' gli esiti del confronto sugli stipendi degli altri parlamenti europei di cui si sta occupando la commissione guidata dal presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. Il "punto di fondo - ha sottolineato Baretta - è che non può essere il governo a 'recepire' i risultati ma deve essere il Parlamento". "Cosa faremo lo vedremo - ha aggiunto il relatore, ricordando che il Parlamento ha già dichiarato di voler assumere i risultati della commissione. Anche il vicecapogruppo del Pdl a Montecitorio, Massimo Corsaro, dice che non si tratta di un rinvio a tempo indeterminato. "Si sta lavorando per un emendamento - riferisce - in cui si stabilirà un tempo massimo entro cui la commissione Giovannini dovrà intervenire. Eventualmente la nuova formulazione per dare qualche mese in più di tempo".
Dunque gli onorevoli si appellano all'autonomia del Parlamento. Già da giorni, però, si parlava di malumori diffusi tra Camera e Senato. 1Dopo la cancellazione dei vitalizi, infatti, deputati e senatori erano sul piede di guerra. La norma scritta dal governo Monti, per l'adeguamento dello stipendio a quello dei colleghi europei, potrebbe comportare anche un taglio di 5 mila euro in meno alle indennità. I nostri onorevoli hanno infatti un'indennità di 11.700 euro, al netto della diaria mentre gli stipendi percepiti dai parlamentari dei Paesi dell'eurozona ammontano in media a 5 mila euro.
Il presidente della Camera Fini prova ad arginare le polemiche, dando rassicurazioni sui tempi dell'adeguamento: "La commissione dell'Istat terminerà il proprio lavoro nel più breve tempo possibile, mi auguro che lo faccia nelle prossime settimane, dopodichè le due Camere tradurranno in apposite norme interne il risultato dei lavori".
Yacht, bolidi e aerei privati: la maggior parte dei proprietari dichiara 20 mila euro al Fisco.
Un rapporto dell'Anagrafe tributaria, studiando gli effetti della patrimoniale sul lusso, ha scoperto che i falsi poveri con fuoriserie, elicottero o barca sono un esercito: in proporzione, superano i veri ricchi e gli abbastanza facoltosi.
Hanno lo yacht di 17 metri, il bolide in garage e, perché no, anche l’elicottero privato. Eppure la loro dichiarazione dei redditi è la stessa di un operaio: 20mila euro o giù di lì. Evasioni fiscali di pochi furbi? Macché: i finti poveri in Italia sono un esercito. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Anagrafe tributaria (pubblicato in anteprima su il Sole 24 Ore), che ha dovuto studiare gli effetti concreti della tassa sul lusso inserita nel decreto “salva-Italia” dall’esecutivo di Mario Monti. L’analisi incrociata dei dati ha portato alla luce non poche sorprese.
LE BARCHE
In Italia ci sono poco meno di centomila barche di lusso, ovvero natanti lunghi almeno 10 metri. Tra queste, ben 42mila (quindi il 42,4 per cento) sono di proprietà di individui che dichiarano al fisco 20mila euro annui di patrimonio. Saranno loro i più “penalizzati” dalla tassa sul lusso del governo Monti, che a quanto pare ci ha visto giusto nell’inserire la misura contro i “ricchi e furbi” nella finanziaria che dovrà risollevare le sorti italiane. A chi appartengono il resto degli yacht? Circa 27mila (26,7 per cento) sono di contribuenti che dichiarano dai 20mila ai 50mila euro annuali, mentre 16mila o poco più (16,5 per cento) sono intestati a cittadini più facoltosi, ovvero coloro che hanno entrate annuali che vanno dai 50mila ai 100mila euro. E i ricchi veri (con dichiarazioni di redditi da 100mila euro in su) quante barche hanno? In proporzione, pochissime: 14.235, ovvero appena il 14,4 per cento. Se fossimo in un Paese di onesti contribuenti, il dato avrebbe una chiave di lettura a dir poco paradossale (i “poveri” con le barche di lusso). Ma siamo in Italia, e lo studio dell’Anagrafe tributaria vuol dire solo una cosa: che i falsi poveri non sono neanche veri furbi, visto che con il reddito dichiarato sarebbe pressoché impossibile sopportare i costi di gestione delle loro barche. La tassa sugli yacht metterà fine al raggiro.
BOLIDI DA OLTRE 240 CAVALLI
Se nel Belpaese le barche sono “roba da poveri”, i bolidi a quattro ruote non fanno eccezione. In Italia ci sono quasi 595mila automobili da 185 kw, ovvero da 248 cavalli. Tra queste, 217mila (36,6 per cento) sono di proprietà di quegli italiani che dichiarano un reddito da 20 a 50mila euro, mentre addirittura 188mila (31,7 per cento) sono intestate a chi denuncia neanche 20mila euro. Per questi ultimi, oltre al danno c’è anche la beffa: oltre alla patrimoniale sul bolide in garage, saranno costretti – ogni qual volta decidono di utilizzarlo – a sborsare fior di quattrini per fare il pieno di carburante, aumentato a dismisura a causa dell’innalzamento delle accise su diesel e benzina. I veri ricchi con ‘Ferrarino’ o fuoriserie, invece, sono pochi: 117mila (19,6 per cento) quelli che dichiarano dai 50 ai 100mila euro, quasi 72mila (12,1 per cento) quelli che ‘incassano’ oltre i 100mila euro.
ELICOTTERI E AEREI PRIVATI
I più sfortunati di tutti, però, sono i 518 ‘poveri’ che, pur dichiarando 20mila euro annui, possono permettersi un aereo o un elicottero privato: oltre al balzello sul bene di lusso, saranno costretti a prosciugare i loro (presunti) averi ogni qual volta decideranno di alzarsi ‘autonomamente’ in volo. Ciò che stupisce, nella ‘evasione dei cieli’, sono le percentuali. Detto del club dei 518 finti poveri con elicottero sul tetto di casa (il 25 per cento del totale), dei circa duemila velivoli privati, 604 (30 per cento) sono di proprietà di cittadini con dichiarazione dai 20 ai 50mila euro, 523 (26 per cento) di contribuenti che dichiarano dai 50 ai 100mila euro e appena 367 (18,3 per cento) sono di color che dichiarano al fisco più di 100mila euro all’anno.
LA SITUAZIONE NEL COMPLESSO
Gli esempi di barche di lusso, bolidi a quattro ruote e aerei privati rispecchia una tendenza ormai assodata in Italia: l’evasione fiscale è un fenomeno dilagante. L’ennesima conferma dai dati generali del rapporto a firma dell’Anagrafe Tributaria. Su quasi 42milioni di contribuenti, ben più della metà (circa 28 milioni, alias il 66,3 per cento) dichiarano di non superare i 20mila euro annui, mentre sono 12 milioni (29,2 per cento) coloro che ammettono di aver guadagnato dai 20 ai 50mila euro annui. E i veri ricchi? Chi denuncia redditi che vanno dai 50 ai 100 mila euro rappresenta il 3,5 per cento (quindi un milione e mezzo scarso di italiani) della torta, mentre le briciole della stessa sono costituite dagli onesti facoltosi: appena 398mila, pari all’uno per cento del totale. Anche loro dovranno subire la patrimoniale sul lusso: colpa dei loro pari reddito che non pagano le tasse.
LE BARCHE
In Italia ci sono poco meno di centomila barche di lusso, ovvero natanti lunghi almeno 10 metri. Tra queste, ben 42mila (quindi il 42,4 per cento) sono di proprietà di individui che dichiarano al fisco 20mila euro annui di patrimonio. Saranno loro i più “penalizzati” dalla tassa sul lusso del governo Monti, che a quanto pare ci ha visto giusto nell’inserire la misura contro i “ricchi e furbi” nella finanziaria che dovrà risollevare le sorti italiane. A chi appartengono il resto degli yacht? Circa 27mila (26,7 per cento) sono di contribuenti che dichiarano dai 20mila ai 50mila euro annuali, mentre 16mila o poco più (16,5 per cento) sono intestati a cittadini più facoltosi, ovvero coloro che hanno entrate annuali che vanno dai 50mila ai 100mila euro. E i ricchi veri (con dichiarazioni di redditi da 100mila euro in su) quante barche hanno? In proporzione, pochissime: 14.235, ovvero appena il 14,4 per cento. Se fossimo in un Paese di onesti contribuenti, il dato avrebbe una chiave di lettura a dir poco paradossale (i “poveri” con le barche di lusso). Ma siamo in Italia, e lo studio dell’Anagrafe tributaria vuol dire solo una cosa: che i falsi poveri non sono neanche veri furbi, visto che con il reddito dichiarato sarebbe pressoché impossibile sopportare i costi di gestione delle loro barche. La tassa sugli yacht metterà fine al raggiro.
BOLIDI DA OLTRE 240 CAVALLI
Se nel Belpaese le barche sono “roba da poveri”, i bolidi a quattro ruote non fanno eccezione. In Italia ci sono quasi 595mila automobili da 185 kw, ovvero da 248 cavalli. Tra queste, 217mila (36,6 per cento) sono di proprietà di quegli italiani che dichiarano un reddito da 20 a 50mila euro, mentre addirittura 188mila (31,7 per cento) sono intestate a chi denuncia neanche 20mila euro. Per questi ultimi, oltre al danno c’è anche la beffa: oltre alla patrimoniale sul bolide in garage, saranno costretti – ogni qual volta decidono di utilizzarlo – a sborsare fior di quattrini per fare il pieno di carburante, aumentato a dismisura a causa dell’innalzamento delle accise su diesel e benzina. I veri ricchi con ‘Ferrarino’ o fuoriserie, invece, sono pochi: 117mila (19,6 per cento) quelli che dichiarano dai 50 ai 100mila euro, quasi 72mila (12,1 per cento) quelli che ‘incassano’ oltre i 100mila euro.
ELICOTTERI E AEREI PRIVATI
I più sfortunati di tutti, però, sono i 518 ‘poveri’ che, pur dichiarando 20mila euro annui, possono permettersi un aereo o un elicottero privato: oltre al balzello sul bene di lusso, saranno costretti a prosciugare i loro (presunti) averi ogni qual volta decideranno di alzarsi ‘autonomamente’ in volo. Ciò che stupisce, nella ‘evasione dei cieli’, sono le percentuali. Detto del club dei 518 finti poveri con elicottero sul tetto di casa (il 25 per cento del totale), dei circa duemila velivoli privati, 604 (30 per cento) sono di proprietà di cittadini con dichiarazione dai 20 ai 50mila euro, 523 (26 per cento) di contribuenti che dichiarano dai 50 ai 100mila euro e appena 367 (18,3 per cento) sono di color che dichiarano al fisco più di 100mila euro all’anno.
LA SITUAZIONE NEL COMPLESSO
Gli esempi di barche di lusso, bolidi a quattro ruote e aerei privati rispecchia una tendenza ormai assodata in Italia: l’evasione fiscale è un fenomeno dilagante. L’ennesima conferma dai dati generali del rapporto a firma dell’Anagrafe Tributaria. Su quasi 42milioni di contribuenti, ben più della metà (circa 28 milioni, alias il 66,3 per cento) dichiarano di non superare i 20mila euro annui, mentre sono 12 milioni (29,2 per cento) coloro che ammettono di aver guadagnato dai 20 ai 50mila euro annui. E i veri ricchi? Chi denuncia redditi che vanno dai 50 ai 100 mila euro rappresenta il 3,5 per cento (quindi un milione e mezzo scarso di italiani) della torta, mentre le briciole della stessa sono costituite dagli onesti facoltosi: appena 398mila, pari all’uno per cento del totale. Anche loro dovranno subire la patrimoniale sul lusso: colpa dei loro pari reddito che non pagano le tasse.
Russia, in piazza per contestare i risultati elettorali. Centomila persone contro Putin
Alle elezioni del 4 dicembre scorso ha trionfato Russia Unita, in calo di consensi rispetto al 2007. Le opposizioni denunciano brogli elettorali e chiedono di andare di nuovo alle urne. Moltissime le persone con rose, tulipani e nastrini bianchi, il colore di questa nuova rivolta tanto che qualcuno, l’ha già ribattezzata la “Rivoluzione bianca”
Dalla Siberia a Mosca, i russi scendono in piazza per contestare i risultati delle elezioni politiche dello scorso 4 dicembre, che lanciano Vladimir Putin verso la vittoria alle presidenziali di marzo. L’opposizione ha organizzato manifestazioni in 46 città per protestare contro i brogli nelle elezioni per la Duma: i dati definitivi del voto assegnano infatti il 49,32 per cento delle preferenze aRussia Unita, il partito di Putin e Medvedev, che potrà pertanto contare su 238 seggi sui 450 disponibili. Oggi la Commissione elettorale centrale ha ufficializzato la vittoria del partito di governo, che resta quindi il primo partito russo, ma rispetto al 2007 ha perso oltre il 15 per cento dei consensi. Le prime manifestazioni sono inziate nelle città siberiane, per la differenza di fuso orario, sfidando le temperature polari. Poi è stata la volta della capitale: gli organizzatori hanno annunciato che i partecipanti sono tra i 100 e i 150mila. Un risultato quindi al di sopra di ogni aspettativa, ben superiore ai 30mila autorizzati dal Comune. Secondo fonti non ufficiali di polizia, i manifestanti sarebbero 70mila.
In parallelo alle proteste, sono iniziati anche i primi fermi: una trentina di persone a Khabarovs e una decina a Perm negli Urali, mentre a San Pietroburgo, membri dell’unità antisommossa (Omon) sono intervenuti per disperdere una manifestazione per la quale non era stata concessa alcuna autorizzazione. Sono stati denunciati pestaggi. Tra gli slogan dei manifestanti, “Il pesce puzza dalla testa”, “Prigione per i falsificatori”, “Elezioni libere” e “Libertà per le persone arrestate a Mosca”. Già a ridosso delle votazioni, le piazze si erano riempite, complice il passaparola sul web, per protestare contro il partito di Putin: il numero degli arresti compiuti a Mosca e in altre città del paese era arrivato a superare quota 800, di cui, secondo i dati ufficiali, 569 a Mosca e 250 a San Pietroburgo. Molti dei fermati sono ancora in custodia. “Dobbiamo continuare a fare appello alla gente – aveva detto in un’intervista poco prima di essere fermato dalla polizia il blogger Alexei Navalni, condannato a 15 giorni di prigione – i brogli sono stati maldestri e stupidi e le grandi città sono le più insoddisfatte. Se il potere non fa qualcosa – concludeva – la situazione diventa rischiosa”.
”Nuove elezioni”, ha chiesto dal palco di Piazza Bolotnaia il popolare scrittore Boris Akunin, facendosi interprete di quello che è il principale obiettivo della protesta di oggi nel cuore di Mosca, a 200 metri dal Cremlino. I nazionalisti hanno iniziato a bruciare alcune bandiere di Russia Unita. Moltissime le persone con rose o tulipani e nastrini bianchi, il colore di questa nuova rivolta che sta scuotendo la Russia, tanto che qualcuno, sotto i fiocchi di neve, l’ha già ribattezzata la “Rivoluzione bianca”. Sul palco si sono alternati politici e star dello spettacolo mentre la folla gridava slogan come “Ladri e corrotti” (come viene comunemente chiamato adesso il partito di Putin), “Elezioni pulite” e “Uno per tutti, tutti per uno”. In piazza c’è anche il leader del partito riformatore filo-occidentale Grigori Iavlinski, che finora aveva disertato tutte le proteste non condividendo le manifestazioni in strada.
Il numero due del partito di centrosinistra, Ghennadi Gudkov, ha chiesto di annullare il voto legislativo del 4 dicembre e di indirne uno nuovo, acclamato dal pubblico. In una risoluzione letta dal palco e approvata a “furor di popolo” la folla ha chiesto cinque punti: il rilascio di tutti i prigionieri politici, la dichiarazione che i risultati delle elezioni parlamentari non sono da considerarsi validi, le dimissioni dell’attuale presidente della commissione elettorale Vladimir Churov, un’inchiesta su tutte le denunce di brogli con l’assunzione di provvedimenti punitivi per i responsabili e, infine, la possibilità che tutti i partiti dell’opposizione possano partecipare a nuove elezioni, veramente democratiche.
In parallelo alle proteste, sono iniziati anche i primi fermi: una trentina di persone a Khabarovs e una decina a Perm negli Urali, mentre a San Pietroburgo, membri dell’unità antisommossa (Omon) sono intervenuti per disperdere una manifestazione per la quale non era stata concessa alcuna autorizzazione. Sono stati denunciati pestaggi. Tra gli slogan dei manifestanti, “Il pesce puzza dalla testa”, “Prigione per i falsificatori”, “Elezioni libere” e “Libertà per le persone arrestate a Mosca”. Già a ridosso delle votazioni, le piazze si erano riempite, complice il passaparola sul web, per protestare contro il partito di Putin: il numero degli arresti compiuti a Mosca e in altre città del paese era arrivato a superare quota 800, di cui, secondo i dati ufficiali, 569 a Mosca e 250 a San Pietroburgo. Molti dei fermati sono ancora in custodia. “Dobbiamo continuare a fare appello alla gente – aveva detto in un’intervista poco prima di essere fermato dalla polizia il blogger Alexei Navalni, condannato a 15 giorni di prigione – i brogli sono stati maldestri e stupidi e le grandi città sono le più insoddisfatte. Se il potere non fa qualcosa – concludeva – la situazione diventa rischiosa”.
”Nuove elezioni”, ha chiesto dal palco di Piazza Bolotnaia il popolare scrittore Boris Akunin, facendosi interprete di quello che è il principale obiettivo della protesta di oggi nel cuore di Mosca, a 200 metri dal Cremlino. I nazionalisti hanno iniziato a bruciare alcune bandiere di Russia Unita. Moltissime le persone con rose o tulipani e nastrini bianchi, il colore di questa nuova rivolta che sta scuotendo la Russia, tanto che qualcuno, sotto i fiocchi di neve, l’ha già ribattezzata la “Rivoluzione bianca”. Sul palco si sono alternati politici e star dello spettacolo mentre la folla gridava slogan come “Ladri e corrotti” (come viene comunemente chiamato adesso il partito di Putin), “Elezioni pulite” e “Uno per tutti, tutti per uno”. In piazza c’è anche il leader del partito riformatore filo-occidentale Grigori Iavlinski, che finora aveva disertato tutte le proteste non condividendo le manifestazioni in strada.
Il numero due del partito di centrosinistra, Ghennadi Gudkov, ha chiesto di annullare il voto legislativo del 4 dicembre e di indirne uno nuovo, acclamato dal pubblico. In una risoluzione letta dal palco e approvata a “furor di popolo” la folla ha chiesto cinque punti: il rilascio di tutti i prigionieri politici, la dichiarazione che i risultati delle elezioni parlamentari non sono da considerarsi validi, le dimissioni dell’attuale presidente della commissione elettorale Vladimir Churov, un’inchiesta su tutte le denunce di brogli con l’assunzione di provvedimenti punitivi per i responsabili e, infine, la possibilità che tutti i partiti dell’opposizione possano partecipare a nuove elezioni, veramente democratiche.
venerdì 9 dicembre 2011
Manovra, l’apertura di Bagnasco “Disponibili a discutere di Ici”
Il presidente della Cei: "Se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra". Ma poi ricorda: "Il Concordato prevede un particolare riconoscimento del valore sociale delle attività degli enti no profit, tra cui la Chiesa". Monti glissa. Lupi (Pdl): "Polemica segnata da anticlericalismo".
L’apertura del cardinal Bagnasco arriva verso la fine dell’ennesima giornata di polemica sulla questione dell’applicazione dell’Ici agli immobili della Chiesa: ”Se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra”, ha detto il presidente della Cei rispondendo a una domanda a margine di un convegno a Genova. ”Com’è noto – ha aggiunto Bagnasco – il Concordato prevede un particolare riconoscimento del valore sociale delle attività degli enti no profit, tra cui la Chiesa cattolica e, quindi, anche di quegli ambienti che vengono utilizzati per specifiche finalità. Bisogna aggiungere che laddove si verificasse qualche inadempienza, auspichiamo che ci sia l’accertamento e l’assunzione conseguente come è giusto per tutti”.
Prima del cardinale era intervenuta l’agenzia della Conferenza episcopale italiana (Sir) con una nota: ”La Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare, paga quello che è previsto, come tutti, e non gode di nessun privilegio”. Se è vero che “c’è bisogno di una rendicontazione puntuale e scrupolosa sui soldi”, questo deve valere anche per i “beni immateriali”, relativi cioè ai servizi che la Chiesa offre, sottolinea il Sir.
Sulla questione si è espresso in termini molto generali anche il premier Mario Monti: “In 17 giorni non abbiamo preso alcuna decisione e sono a conoscenza di una procedura di aiuti di Stato”, ha detto in conferenza stampa a Bruxelles.
Dalla politica arrivano proposte di emendamenti alla manovra: quattro deputati del Pdl – Maurizio Bianconi, Viviana Beccalossi, Monica Faenzi e Francesco Biava – hanno proposto di far pagare l’Ici anche alle parrocchie, agli oratori e agli edifici di culto o, almeno a quegli oratori che affittano campi di calcio o sale per le feste di compleanno. L’emendamento, spiegano, renderebbe la manovra più equa. Viene proposto di esentare dal pagamento dell’imposta chi possiede una sola casa sotto i 100 metri quadrati. E come copertura propongono di colpire gli Enti Religiosi, con due diverse ipotesi. La prima è quella far pagare l’Ici agli “enti ecclesiastici che svolgono attività commerciale, anche in parte”. Ed è quello che fanno abitualmente tutte le parrocchie e gli oratori che affittano sale per le feste di compleanno dei bambini o campi di calcio la sera, per poter pagare le attività sociali. I quattro parlamentari propongono anche di elevare l’Imposta sugli immobili delle banche. La seconda forma di copertura è ancora più “hard’’. Verrebbe eliminata l’esenzione dall’Ici per gli edifici di culto, per tutte le Associazioni (enti ecclesiastici, onlus, sindacati e partiti) e per gli immobili a destinazione uso culturale”. “Siamo davanti ad una manovra – dichiarano Bianconi, Beccalossi, Biava e Faenzi – che, al di là del nome che porta, deve offrire un forte segnale di equità. E se equità deve essere quindi, è giusto che anche quegli enti, quelle associazioni e tutti quei soggetti che finora sono stati esenti dal pagamento di una tassa, quella sugli immobili, che non fa davvero piacere a nessuno pagare, contribuiscano a risollevare le casse dello Stato”. Secondo i quattro deputati vanno corrette “vere e proprie storture della normativa, che ha permesso ad enti che svolgono attività ‘non esclusivamente commercialì sulla carta, ma che nella pratica sono veri e propri centri di business, di non pagare l’Ici”. Infine c’è “un profilo di concorrenza sleale rispetto ad analoghe attività in mano a privati che non va affatto sottovalutato”.
Una proposta arriva anche da un’altra deputata Pdl, Gabriella Giammanco: “Propongo che, solo e soltanto, gli edifici che hanno finalità commerciali siano sottoposti a tassazione. E’ necessario – prosegue la deputata Pdl – sostenere le attività meritorie che ogni giorno la Chiesa porta avanti a favore del prossimo, ma se per correggere la manovra a favore delle fasce più deboli, sul fronte delle pensioni e su quello dell’Imu sulla prima casa, il problema rimane quello della copertura finanziaria credo che anche la Chiesa, come tutti, debba essere chiamata a un piccolo sacrificio”. “Ferma restando la buona fede della Chiesa, per evitare zone grigie e dubbi interpretativi sulla legge vigente – conclude – penso sia necessario abrogare la norma del 2006 per cui anche gli immobili che non hanno ‘esclusivamente natura commerciale’ possono essere esentati dal pagamento dell’Ici. In questo modo si manterrebbero ferme le esenzioni della legge del ’92 e pagherebbero solo gli edifici utilizzati a scopi commerciali”
Contrario invece alla tassazione sugli immobili della Chiesa è Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera: “Mi sembra che nel dibattito sul pagamento dell’Ici da parte della Chiesa si stia facendo una gran confusione. In discussione non è infatti un privilegio ma un principio di libertà e di sussidiarietà che interessa tutti quei soggetti che svolgono una funzione pubblica. In tal senso è giusto che determinate attività, in parte svolte dalla Chiesa, in parte da altri soggetti, siano esenti”. Insomma, per Lupi “la discussione di questi giorni” è viziata da “rigurgiti di anticlericalismo”.
Ma se la polemica politica si accende in maniera trasversale, l’opinione pubblica sembra avere le idee molto chiare. Non solo l’appello di Micromega per reintrodurre l’imposta sugli immobili ecclesiastici raggiunge 100 mila adesioni in tre giorni, ma anche il sondaggio di Sky fornisce un quadro preciso con la quasi totalità (il 93%) dei partecipanti alla domanda del giorno che riterrebbe opportuna una stretta sull’Ici a carico della Chiesa.
Prima del cardinale era intervenuta l’agenzia della Conferenza episcopale italiana (Sir) con una nota: ”La Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare, paga quello che è previsto, come tutti, e non gode di nessun privilegio”. Se è vero che “c’è bisogno di una rendicontazione puntuale e scrupolosa sui soldi”, questo deve valere anche per i “beni immateriali”, relativi cioè ai servizi che la Chiesa offre, sottolinea il Sir.
Sulla questione si è espresso in termini molto generali anche il premier Mario Monti: “In 17 giorni non abbiamo preso alcuna decisione e sono a conoscenza di una procedura di aiuti di Stato”, ha detto in conferenza stampa a Bruxelles.
Dalla politica arrivano proposte di emendamenti alla manovra: quattro deputati del Pdl – Maurizio Bianconi, Viviana Beccalossi, Monica Faenzi e Francesco Biava – hanno proposto di far pagare l’Ici anche alle parrocchie, agli oratori e agli edifici di culto o, almeno a quegli oratori che affittano campi di calcio o sale per le feste di compleanno. L’emendamento, spiegano, renderebbe la manovra più equa. Viene proposto di esentare dal pagamento dell’imposta chi possiede una sola casa sotto i 100 metri quadrati. E come copertura propongono di colpire gli Enti Religiosi, con due diverse ipotesi. La prima è quella far pagare l’Ici agli “enti ecclesiastici che svolgono attività commerciale, anche in parte”. Ed è quello che fanno abitualmente tutte le parrocchie e gli oratori che affittano sale per le feste di compleanno dei bambini o campi di calcio la sera, per poter pagare le attività sociali. I quattro parlamentari propongono anche di elevare l’Imposta sugli immobili delle banche. La seconda forma di copertura è ancora più “hard’’. Verrebbe eliminata l’esenzione dall’Ici per gli edifici di culto, per tutte le Associazioni (enti ecclesiastici, onlus, sindacati e partiti) e per gli immobili a destinazione uso culturale”. “Siamo davanti ad una manovra – dichiarano Bianconi, Beccalossi, Biava e Faenzi – che, al di là del nome che porta, deve offrire un forte segnale di equità. E se equità deve essere quindi, è giusto che anche quegli enti, quelle associazioni e tutti quei soggetti che finora sono stati esenti dal pagamento di una tassa, quella sugli immobili, che non fa davvero piacere a nessuno pagare, contribuiscano a risollevare le casse dello Stato”. Secondo i quattro deputati vanno corrette “vere e proprie storture della normativa, che ha permesso ad enti che svolgono attività ‘non esclusivamente commercialì sulla carta, ma che nella pratica sono veri e propri centri di business, di non pagare l’Ici”. Infine c’è “un profilo di concorrenza sleale rispetto ad analoghe attività in mano a privati che non va affatto sottovalutato”.
Una proposta arriva anche da un’altra deputata Pdl, Gabriella Giammanco: “Propongo che, solo e soltanto, gli edifici che hanno finalità commerciali siano sottoposti a tassazione. E’ necessario – prosegue la deputata Pdl – sostenere le attività meritorie che ogni giorno la Chiesa porta avanti a favore del prossimo, ma se per correggere la manovra a favore delle fasce più deboli, sul fronte delle pensioni e su quello dell’Imu sulla prima casa, il problema rimane quello della copertura finanziaria credo che anche la Chiesa, come tutti, debba essere chiamata a un piccolo sacrificio”. “Ferma restando la buona fede della Chiesa, per evitare zone grigie e dubbi interpretativi sulla legge vigente – conclude – penso sia necessario abrogare la norma del 2006 per cui anche gli immobili che non hanno ‘esclusivamente natura commerciale’ possono essere esentati dal pagamento dell’Ici. In questo modo si manterrebbero ferme le esenzioni della legge del ’92 e pagherebbero solo gli edifici utilizzati a scopi commerciali”
Contrario invece alla tassazione sugli immobili della Chiesa è Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera: “Mi sembra che nel dibattito sul pagamento dell’Ici da parte della Chiesa si stia facendo una gran confusione. In discussione non è infatti un privilegio ma un principio di libertà e di sussidiarietà che interessa tutti quei soggetti che svolgono una funzione pubblica. In tal senso è giusto che determinate attività, in parte svolte dalla Chiesa, in parte da altri soggetti, siano esenti”. Insomma, per Lupi “la discussione di questi giorni” è viziata da “rigurgiti di anticlericalismo”.
Ma se la polemica politica si accende in maniera trasversale, l’opinione pubblica sembra avere le idee molto chiare. Non solo l’appello di Micromega per reintrodurre l’imposta sugli immobili ecclesiastici raggiunge 100 mila adesioni in tre giorni, ma anche il sondaggio di Sky fornisce un quadro preciso con la quasi totalità (il 93%) dei partecipanti alla domanda del giorno che riterrebbe opportuna una stretta sull’Ici a carico della Chiesa.
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