venerdì 13 aprile 2012

Tangenti, arrestato funzionario del ministero dello Sviluppo. Rischia fino a 12 anni.


Bruno Colantonio avrebbe chiesto una mazzetta di duemila euro a un imprenditore. Dalla sua denuncia è partita l'indagine coordinata dal pm della Procura di Roma Paolo Ielo. Domani il processo per direttissima.

E’ finito in manette per aver preteso una tangente da duemila euro da un imprenditore che in questo modo avrebbe potuto evitare di pagare una multa da 20mila.

Bruno Colantonio, funzionario del ministero dello Sviluppo Economico, è stato arrestato oggi nel suo ufficio perché al momento della consegna dei soldi si sono presentati i finanzieri del nucleo di polizia tributaria.

Colantonio, accusato di concussione, si è difeso sostenendo che stava ricevendo un regalo. A preparare la trappola è stato il pm della Procura di Roma Paolo Ielo al quale l’imprenditore vessato si è rivolto denunciando l’accaduto.

A.L., di Bologna, che importa capi di abbigliamento dal Pakistan, un paio di mesi fa aveva avuto qualche problema alla dogana dove un carico di merca era stato bloccato per presunte violazioni delle regole sui marchi. L’imprenditore, a fronte di una multa da 20mila che avrebbe dovuto pagare, si è così rivolto al ministero dello Sviluppo per accertare la natura della irregolarità: in quella occasione, avrebbe ricevuto da Colantonio l’invito a versargli il dieci per cento della sanzione per chiudere il contenzioso.

Quando la vicenda è stata denunciata alla magistratura, gli investigatori hanno collocato una videocamera nell’ufficio di Colantonio e provveduto a segnare le banconote. Domani la convalida dell’arresto ed, evento molto raro per casi di concussione, il processo per direttissima. Le indagini puntano a verificare se Colantonio, il quale rischia da quattro a 12 anni di reclusione, si sia reso protagonista di analoghi episodi.

Lega, accertamenti su Calderoli Al setaccio tutti i conti di Belsito



Lega, accertamenti su Calderoli Al setaccio tutti i conti di Belsito

Le Fiamme gialle in azione nella sede della Aletti e di altri istituti di credito per acquisire
i documenti sui fondi del Carroccio. La Procura di Milano: "Nessun contrasto con Napoli"


Non solo la posizione di Umberto Bossi, dei suoi familiari e di Rosy Mauro. Al centro degli accertamenti della Procura di Milano, titolare del fascicolo sulle distrazioni dei fondi della Lega Nord che sarebbero stati utilizzati anche per le spese personali di alcuni esponenti del Carroccio, ci sarebbero anche gli atti dell'inchiesta che tirano in ballo Roberto Calderoli, nominato nei giorni scorsi uno dei tre triumviri che devono reggere il partito dopo le dimissioni del leader, travolto dallo scandalo dei rimborsi elettorali volati in parte anche verso la Tanzania e Cipro.

Il tutto trapela nel giorno in cui gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano si sono recati nella sede genovese di Banca Aletti e di altri sette istituti di credito per acquisire tutti i documenti sui conti riconducibili all'ex tesoriere Francesco Belsito, indagato per appropriazione indebita e truffa, ma anche, pare, a Umberto Bossi e più in generale al Carroccio, per andare a ricostruire tutte le movimentazioni di denaro, a caccia di altri esborsi senza giustificazioni. Oltre al tentativo di trovare riscontri su elementi già emersi dall' inchiesta, come un carnet di assegni rilasciato proprio da Banca Aletti e che reca la scritta 'Umberto Bossi'. Nel frattempo si è anche saputo che con l'ordine di esibizione, consegnato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini nelle mani del nuovo tesoriere Stefano Stefani e alla presenza di Roberto Maroni, i magistrati hanno chiesto tutta la documentazione "riguardante le proprietà immobiliari e mobiliari della Lega o comunque intestate a rappresentanti o fiduciari del movimento politico".

Gli inquirenti, inoltre, hanno conferito a un perito l'incarico di analizzare tutto il materiale informatico, computer e portatili, sequestrato nel corso delle perquisizioni della scorsa settimana. Analisi che potrebbero servire anche a trovare tracce dei presunti "fondi neri in entrata" nelle casse del partito. Mentre per quanto riguarda il capitolo dei soldi che dal Carroccio sarebbero stati dirottati a singoli soggetti, come Bossi, i suoi figli e la moglie, sotto la lente d'ingradimento dei magistrati è finito anche l'ex ministro Calderoli. In una intercettazione, l'ex responsabile amministrativa di via Bellerio, Nadia Dagrada, dice parlando con Belsito: "E invece quelli di Cald (Calderoli)come li giustifico. quelli?". E gli investigatori annotano proprio il nome "Calderoli" tra i soggetti destinatari di "rilevanti somme di denaro (...) utilizzate per sostenere esigenze personali (...) estranee alle finalità ed alle funzionalità del partito Lega Nord". E dall'analisi dei documenti acquisiti ieri nel corso della 'visita' alla sede del Sindacato Padano è venuto fuori che tra i pochi dipendenti del Sinpa - non più di tre - una sarebbe la nipote di Rosy Mauro.

E propro sul caso dei conti della Lega sarebbe emerso un contrasto fra la Procura di Milano e quella di Napoli, impegnata su altri filoni dell'inchiesta. Gli inquirenti milanesi lamentano fughe di notizie riguardo ai conti riconducibili ad alcuni personaggi coinvolti nell'inchiesta, tra cui l'ex tesoriere Belsito. In questi giorni, infatti, i magistrati napoletani hanno depositato al Riesame, ma anche inviato alla Corte dei conti della Campania, alcuni atti dell'inchiesta - diventati così, in sostanza, 'pubblici' - ritenuti però centrali per il filone di indagine su cui lavorano i colleghi milanesi. "La Procura di Milano procede in piena collaborazione con la Procura di Napoli con i necessari scambi di atti e di informazioni", ha però fatto sapere il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati, il quale ha negato categoricamente "qualsiasi contrasto con i colleghi napoletani".

Belsito e i sospetti di riciclaggio "Tentiamo di prenderci Banca Arner". - di Giuseppe Baldessarro e Francesco Viviano

Belsito e i sospetti di riciclaggio "Tentiamo di prenderci Banca Arner"
Stefano Bonet

Colloqui intercettati con Bonet e Mafrici. Lo scenario dei fondi della 'ndrangheta da ripulire. All'imprenditore veneto sequestrato un bancomat usato per "aprire porte" in Vaticano.


REGGIO CALABRIA - I soldi che maneggiavano erano tanti. Milioni e milioni. Quelli della Lega e - secondo gli inquirenti calabresi - quelli della 'ndrangheta, stimati dagli investigatori in 80 miliardi all'anno. Cifre iperboliche che da una parte venivano gestite dal tesoriere del Carroccio di origini calabresi Francesco Belsito e dall'altra dall'"avvocato" Bruno Mafrici, originario di Condofuri, provincia di Reggio Calabria, e dal suo collega e titolare dello studio Mgim di via Durini a Milano, Pasquale "Lino" Guaglianone.

I due, secondo gli investigatori, sono sospettati di fare favori alla "ndrangheta" attraverso i loro "fiduciari" (il secondo non è indagato) in Svizzera ed in altri paradisi fiscali esteri. Tutti questi passaggi però potrebbero lasciare tracce ed incuriosire Bankitalia, Consob, e Procure della Repubblica. Ed allora perché non farsi una banca propria?

BELSITO-BONET-MAFRICI E LA ARNER
È quello che pensano, e di cui discutono in alcune conversazioni intercettate dalla Dia di Reggio Calabria, i protagonisti dello scandalo dei fondi della Lega Nord, appunto Belsito, Mafrici e l'imprenditore Stefano Bonet. Parlano dei capitali a "disposizione" e di dove riciclarli.

Dopo avere individuato le banche di Cipro e della Tanzania, discutono su come farsi una banca propria e pensano alla banca svizzera Arner, già nota alle cronache giudiziarie italiane, commissariata, multata ed indagata e che ha avuto tra i correntisti Silvio Berlusconi (il quale ovviamente non ha nulla a che fare con gli indagati per i fondi della Lega).

È la stessa banca che si era occupata anche delle transazioni per l'acquisto della villa di Antigua dell'ex presidente del consiglio. Attraverso la Arner Belsito e Mafrici avrebbero pensato di riciclare la massa di denaro che gestivano. "Non solo i fondi della Lega Nord - dice un inquirente - ma anche quelli più sostanziosi della 'ndrangheta che da anni cerca affannosamente di riciclare i suoi soldi che altrimenti non potrebbe utilizzare. Belsito e Mafrici sarebbero stati 'scelti' perché calabresi. Belsito perché poteva fare entrare ed uscire soldi senza rendere conto a nessuno, in quanto provenienti dal rimborso ai partiti, Mafrici perché avrebbe a disposizione molti 'emissari' svizzeri che lavorano per lui".

FACCIAMO UNA BANCA D'INVESTIMENTI
E che Belsito, Mafrici e Bonet cerchino strade per collocare indisturbati i loro soldi emerge anche dalle intercettazioni finite nell'informativa della Dia di Reggio Calabria. In un sms inviato da Bonet a Belsito si legge: "Caro Francesco, con Fera abbiamo definito un piano di progetto sul 'modello banca' del quale volevamo confrontarsi con te un'oretta a cellulari spenti".

Ed in un'altra conversazione Bonet dice al suo uomo a Cipro Paolo Scala, che sta gestendo i milioni versati da Belsito, di "prendere in considerazione quello che serve a noi e cioè costruire la banca d'investimenti che opera su un capitale privato, capito?".

Bonet cerca questi nuovi percorsi bancari perché è preoccupato. Scala lo aveva fatto finire in "un giro vorticoso e pericoloso", perché se ci fosse stata un'indagine la banca di Cipro si sarebbe "insospettita" e avrebbe potuto sospendere l'operazione "in quanto potevano rilevare il reato di riciclaggio".

Bonet è anche preoccupato dei documenti falsi forniti da Belsito alla banca cipriota e che "se non vi sono protezioni da parte del Cerchio Magico corre il rischio (Belsito-ndr) di finire in galera direttamente".

"BANCOMAT" PER TANGENTI IN VATICANO
Agli atti dell'inchiesta sui fondi della Lega Nord è finito anche un "bancomat" sequestrato a Bonet. E' un "bancomat" che Bonet ha utilizzato, affermano gli investigatori, per pagare tangenti agli "emissari" che avrebbero dovuto introdurlo in Vaticano per fare affari. E tra gli "emissari" anche alcuni prelati che sono stati già identificati.

Il 9 dicembre 2011 Bonet parlando con la sua segretaria le dice: "Lunedì vedo il Vaticano e che bisogna fare un breafing per come proseguono le lobby relative alla Santa Sede". Quando escono le prime notizie sullo scandalo dei fondi della Lega e il nome di Bonet ed i suoi rapporti con Belsito, quest'ultimo si premura di fare preparare un "dossier" sulla vicenda che gli era stato chiesto dal Vaticano con il quale aveva "intrapreso un rapporto".  

SIETE RIMASTI AL VERDE? PROVATE AL BANCOMAH. - di Stefano Benni



Crediamo di essere abituati alle bugie della politica e dell’economia, ma non è vero. Le bugie si rinnovano, come i virus dei computer, e dobbiamo continuamente aggiornarci. Qualcuno già pensa che ci siamo lasciati alle spalle le vecchie panzane berlusconiane, dal milioni di posti di lavoro alle nipotine adottive. Bugie condite da ammiccamenti e barzellette. Ripetute con tale faccia tosta da generare assuefazione: costui le spara tanto grosse che non dobbiamo più farci caso. Peccato che con queste bugie smascherate e palesi, Silvio abbia regnato per vent’anni, e niente vieta di pensare a un suo ritorno con un nuovo repertorio.
Ultimamente impazza la bugia cosiddetta del Tesoriere. Traditori malvagi che hanno maneggiato soldi per anni, all’oscuro degli onestissimi partiti. Rutelli scarica Lusi, Bossi scarica Belsito. Il primo si dà del coglione ripetutamente, e per una volta tutti gli credono. Il secondo dà la colpa al figlio, al calo del potere d’acquisto della paghetta settimanale e naturalmente ai magistrati persecutori di idee. Basta guardare in faccia il Trota per capire che un’idea gli provocherebbe uno choc anafilattico. Anche il suo autista lo ha fatto padanamente fesso.
Eppure ci stiamo abituando anche a questo tipo di bugia, ci rassegniamo all’evidenza che i politici non cercano la corruzione, ma è la corruzione che cerca i politici e prima o poi li seduce con irresistibile fascino e astuzia. Non sono disonesti, sono posseduti.
Ma un nuovo tipo di bugia chiede il nostro benestare. E più elegante delle altre, è pronunciata in buon inglese, con numeri e dati garantiti da Wall Street e dagli analisti finanziari. Non siamo più dentro a un carnevale di maneggioni, ma nel politically correct e nell’economically cool, quindi non chiamiamole bugie ma comunicazioni “diversamente sincere”. Mario Monti è maestro del politically correct, il fatto che parli un buon inglese ha fatto risalire l’Italia nella stima del mondo, adesso c’è chi pensa di mandare i mafiosi in confino a Oxford. In quanto all’economically cool (leggesi cul) ognuno si sbizzarrisca nei doppi sensi preferiti. Monti non è solo correct e cool, ma anche abbastanza smart, nel senso di furbo. Ha studiato gli effetti ipnotici che ha sugli italiani l’effetto Bancomat.
Quando noi andiamo al bancomat col nostro tesserino, e la portentosa fessura sforna i soldi, ci sentiamo come se avessimo vinto, e soprattutto ci riteniamo al centro di una grande tecno-economia che fa spuntare soldi dai buchi nel muro. La chiave del sortilegio è il Pin, il numero magico. Che i soldi siano nostri non ci interessa più, siamo grati a questo sistema che ogni volta ce li regala e ce li concede. Monti, con mossa lesta, si è impossessato di tutti i nostri Pin. È colui che possiede l’abracadabra della finanza, è Pin-man. Solo lui possiede la cura, l’accesso magico alle ricchezze e, fidandoci dalle sue manovre, prima o poi dal buco nel muro sgorgherà una montagna di danaro e posti di lavoro.
Per rafforzare questo sistema Pin-man usa un metodo molto semplice. Se i dati economici sono positivi, allora vuol dire che il governo agisce bene. Se i dati sono negativi, è perché gli altri sbagliano. Della Grecia indebitata, dei mutui americani, dei toreri spagnoli, dei codardi cinesi che non investono, della speculazione contro le incolpevoli banche (come tutti sanno, gli speculatori non muovono soldi tramite le banche, ma usano carriole da muratore). Poco importa se numeri e indici cambiano valore ogni giorno: il Pil preoccupa il lunedì ma non il martedì. La disoccupazione è grave il mercoledì, un po’ meno il giovedì, lo spread passa in ventiquattro ore da tsunami a peto.
Negli ultimi mesi, fateci caso, ogni giorno un ministro ci assicura che la crisi è finita e il giorno dopo un altro ci dice che la recessione durerà cinque anni. O sono balle o siamo in mano di gente caratterialmente labile. Ma niente paura, non ci saranno nuove tasse. È però allo studio una proposta di legge: il Bancomah.
Tutti i vecchi distributori di contante verranno sostituiti da nuovi macchinari. Il bello dei nuovi Bancomah è che quando digitate il vostro Pin a volte vi danno i soldi, a volte appare la scritta. La cifra richiesta oggi non ti verrà erogata ma ti verrà tolta dal conto. Ma non perdere la speranza, riprova! Vincerà lo Stato? Vincerai tu? Mah! Avremo nello stesso tempo la suspense della slot-machine e il brivido del gioco in borsa. Se l’economia moderna è una lotteria, almeno diciamolo. Siamo in una fase nuova, la fase in cui nessuno ci dice in quale fase siamo. L’impressione è che nessuno ci capisca niente, e che il gioco sia fuori da ogni regola. Ma qualcuno, come Monti, assicura che ha il Pin, la cura, la soluzione, e che dobbiamo fidarci. Crediamoci e chiamiamolo Pinman, oppure più all’italiana PINocchio.

Imprenditore agricolo si uccide nel trevigiano.







Secondo i familiari, il gesto è da collegare alla difficile situazione economica dell'azienda.


TREVISO - Un imprenditore agricolo di Altivole (Treviso), Paolo Tonin, 53 anni, si è ucciso nella sua azienda. L'uomo si è impiccato nel capannone attiguo all'abitazione. Secondo i familiari, il suicidio è da collegare alla difficile situazione economica in cui versava l'impresa. A fare la scoperta stamani è stato il figlio
Tonin, che lascia la moglie e quattro figli, due dei quali lavorano nell'azienda, di recente aveva acceso un mutuo per la casa e per il nuovo capannone. Ad aggravare la sua situazione economica anche la siccità delle ultime settimane che aveva compromesso il raccolto di asparagi. I Carabinieri di Castelfranco non hanno trovato nessun biglietto di spiegazione del gesto. Agli amici l'uomo aveva confidato i gravi problemi finanziari ai quali non riusciva a trovare una soluzione.

Due nuovi reati e pene più severe niente giro di vite sul falso in bilancio. - Liana Milella




Ecco il piano Severino, inviato ieri ai partiti di maggioranza, sulla riforma della giustizia. Intercettazioni, stop alla pubblicazione dei nastri prima del processo. Per corrotti e corruttori si allunga la prescrizione. Nell'ordinamento la novità del "traffico d'influenze" 

DETTA con un colpo d'occhio: i reati di corruzione si arricchiscono di fattispecie, aumentano le pene e quindi, ma di poco, la prescrizione. Nascono due nuovi reati, corruzione privata e traffico di influenze. Si allarga il range dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici (ma non abbastanza per il Pd) e della confisca dei beni di chi corrompe. Non c'è la riforma del falso in bilancio, come chiedevano Di Pietro e i magistrati esperti di delitti economici da Davigo a Greco.

Un salto d'argomento, ed eccoci alla responsabilità civile dei giudici, la famosa norma del leghista Pini. Con il testo Severino cade un pericolo, non sarà più diretta, torna indiretta, ma la stretta sulle toghe rimane.

Ancora un salto d'argomento, e siamo alle intercettazioni, il fantasma del bavaglio sulla stampa che ritorna. Qui siamo solo all'inizio, il Pdl spinge per imporre la famosa udienza filtro, prima della quale non si potrà pubblicare alcuna intercettazione, né nel testo integrale, né nel contenuto. Comunque le telefonate registrate, se passa la legge, non si potranno più mettere integralmente sui giornali prima del processo. 

La concussione
Cresce la detenzione
arriva l'"indebita induzione"

Concussione, com'era e come sarà. È diventato il fulcro più osservato della riforma Severino. Lei ha fatto la sua proposta. Questa. La concussione perde "l'induzione" che diventa un nuovo reato. L'articolo 317 del codice penale resta lì dov'è adesso. Continua a punire "il pubblico ufficiale che abusa della sua qualità e dei suoi poteri e costringe taluno a dare o promettere denaro o altra utilità". Pena rafforzata, dagli attuali quattro anni di minima pena si passa a sei, e si confermano i dodici di massima. Ma ecco il nuovo reato, quello destinato a dividere, il 319 quater, "indebita induzione a dare o promettere utilità. "Figlia" da quel verbo, "induce", che prima stava nel 317. Con una pena minore, dai tre agli otto anni, sarà punito "il pubblico ufficiale che induce taluno a dare o promettere denaro o altra utilità". Sarà punito fino a tre anni anche chi completa l'operazione e materialmente "dà o promette" denaro o altro. Sarà determinante capire quale sarà l'impatto di una simile modifica sui processi in corso. Di certo, è una potente carta in mano agli avvocati per metterli in crisi. 

Pene da 1 a 3 anni
Altolà agli specialisti
dei favori tra privati

Nuovi reati di corruzione, che l'Europa, con la convenzione di Strasburgo del '99 ancora da ratificare in Italia, ci ha chiesto per tempo. Adesso la corruzione tra privati fa assumere una veste del tutto nuova all'articolo 2635 del codice civile e il traffico di influenze illecite, articolo 346 del codice penale, reinventa il vecchio millantato credito. Rischiano il carcere da uno a tre anni (prima c'era un generico "fino a tre anni") amministratori, direttori generali, dirigenti, sindaci, liquidatori che, in cambio di dazione o della promessa di utilità, compiono o omettono atti violandogli obblighi del loro ufficio e della fedeltà che ciò comporta. La dazione o la sua promessa vale "per sé e per altri". Punito anche fino a un anno e sei mesi chi è "sottoposto alla direzione o alla vigilanza" e incorre negli stessi comportamenti. Le pene saranno raddoppiate se le società sono quotate in borsa in Italia o all'estero. Punito lo stesso fino a tre anni il faccendiere che si fa pagare per la sua mediazione con il pubblico ufficiale. 

Le intercettazioni
L'intesa è ancora lontana
si riparte dal testo Alfano

Intercettazioni, l'ossessione di un'intera legislatura che ritorna. Dagli uffici di via Arenula è l'ultimo testo inviato ai partiti. Compare per e-mail solo alle 21 e trenta. Non si può assolutamente definire il disegno di legge Severino. È il vecchio testo Alfano (giugno 2008) rivisitato progressivamente da Bongiorno nelle battaglie con Ghedini e Berlusconi. È quello che, con la sigla 1415-A attende di essere discusso dall'aula della Camera dal settembre 2011. Le forze di maggioranza sono ben lontane da un'intesa sul nodo di fondo, la stretta sulla possibilità di pubblicare intercettazioni. Tant'è che l'ipotesi di Bongiorno - non si pubblicano nella versione integrale, ma nel contenuto quando man mano c'è una discovery degli atti - viene per il momento congelata per tornare, come ha chiesto il pidiellino Enrico Costa, all'attuale articolo 114 del codice di procedura penale, nel quale è scritto che "è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto". Saltano i tribunali collegiali per autorizzare il pm a mettere i telefoni sotto controllo, si torna al solo gip.

Responsabilità civile
Lo Stato paga i danni al cittadino
ma la toga rischia metà stipendio

Responsabilità civile dei giudici, si torna parzialmente indietro rispetto all'emendamento del leghista Gianluca Pini. Il quale, con il voto favorevole del Pdl, aveva inserito nella legge Comunitaria alla Camera, la responsabilità diretta per le toghe, non solo "per dolo o colpa grave", ma anche per "manifesta violazione del diritto". Adesso il testo Severino, sul quale il Pd vuole che il governo imponga il voto di fiducia per evitare sorprese, torna alla responsabilità indiretta, paga lo Stato per la toga che sbaglia, il quale poi si rivale sulla stessa toga. Rivalsa che cresce in quantità, si passa da un terzo dello stipendio previsto oggi alla "metà". Il cittadino potrà "agire contro lo Stato" per aver subito "un danno ingiusto per diniego di giustizia o per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento compiuto per dolo o colpa grave", ma anche "per la violazione manifesta della legge e del diritto comunitario". Scansione ravvicinata per il tribunale che deve valutare l'ammissibilità della citazione. Sarà misurato "il grado di precisione e chiarezza delle norme violate, la scusabilità o inescusabilità dell'errore in diritto". 

Danni d’immagine da De Lorenzo e Poggiolini Dovranno pagare 5 milioni a testa allo Stato. -






Sentenza definitiva della Corte di Cassazione al termine dei processi per corruzione e concussione dopo gli scandali dei primi anni Ottanta. Confermati anche i risarcimenti che dovranno pagare funzionari e dipendenti del ministero: in totale si tratta quasi 13 milioni e mezzo.


Dovranno risarcire lo Stato con oltre 5 milioni di euro ciascuno, per danno di immagine l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo e l’ex dg del Servizio farmaceutico Duilio Poggiolini. E’ la sentenza della Corte di Cassazione che, pronunciandosi a sezioni unite civili, ha confermato una decisione dell’aprile 2011, della Corte dei conti sullo scandalo della sanità del 1982-1992.

Nel dettaglio, la somma che De Lorenzo e Poggiolini dovranno versare allo Stato è di 5.164.569euro ciascuno. La sentenza aveva preso le mosse dalle sentenze penali definitive per i reati di corruzione o concussione “ascritti ai convenuti – si legge nella sentenza – che, negli anni 1982-1992, nelle posizioni rispettivamente rivestite nell’ambito della pubblica amministrazione, avevano percepito somme da numerose case farmaceutiche, producendo un danno erariale derivato dalla ingiustificata lievitazione della complessiva spesa farmaceutica”.

La Suprema corte, con la sentenza depositata oggi ha rigettato il ricorso di De Lorenzo e Poggiolini, all’epoca dei fatti direttore generale del Servizio farmaceutico nazionale del ministero. “Con la sentenza impugnata – osserva la Cassazione – la Corte dei Conti ha ritenuto di liquidare il danno non patrimoniale, inteso come vulnus in sé all’immagine e alla moralità della pubblica amministrazione”. Nel ricorso in Cassazione sia De Lorenzo sia Poggiolini avevano contestato, tra gli altri motivi, anche la giurisdizione della Corte dei conti in materia sostenendo che la sfera di danno alla Pubblica amministrazione fosse riservata al giudice ordinario. Entrambi i ricorsi sono stati rigettati dalle sezioni unite civili. Secondo la Cassazione, “che un ministro o un sottosegretario siano in rapporto di servizio con lo Stato non è revocabile in dubbio. Ed è del tutto irrilevante che il danno patrimoniale sia stato arrecato all’una o all’altra branca della Pubblica amministrazione statale giacchè quello all’immagine comunque concerne l’unica entità soggettiva costituita dallo Stato-persona”.

Nella stessa sentenza sono state confermate anche le condanne ai risarcimenti per il danno di immagine nei confronti dell’ex segretario personale del ministro Giovanni Marone, nonchè di Antonio Boccia, componente della Cip farmaci, entrambi a 2.582.284,50 euro; confermate le condanne anche per Elio Guido Rondanelli (dipendente del ministero) e Pier Carlo Muzio a 516.456 mila euro ciascuno e Antonio Brenna (presidente della commissione Cip farmaci) a 2.582.284 euro.

In totale il risarcimento ammonta a 13 milioni e 427.878 euro.

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