martedì 15 maggio 2012

Di Matteo: “Nessun premio a governo che ha minato indipendenza magistratura”. - Giuseppe Pipitone

di matteo interna nuova


Dopo la proposta del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso di dare un premio speciale a Silvio Berlusconi per l'azione di lotta alla mafia del suo esecutivo, anche il sostituto procuratore della dda di Palermo, al pari di Antonio Ingroia (video), boccia senza mezzi termini la proposta.

“Ad un governo che ha spesso violentemente attaccato i magistrati e le loro inchieste quando queste riguardavano i rapporti tra mafia e politica, che ha sostenuto progetti di riforma costituzionale tendenti a comprimere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non si può attribuire nessun premio”. Dopo Antonio Ingroia anche il sostituto procuratore della dda di Palermo Nino Di Matteo replica alla provocatoria proposta di Pietro Grasso. Il capo della procura nazionale antimafia aveva proposto nei giorni scorsi di dare “un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia, perché hanno tradotto delle leggi che ci hanno consentito di sequestrare in tre anni moltissimi beni ai mafiosi: siamo arrivati a quaranta miliardi di euro”. Un suggerimento quello di Grasso che aveva fatto fare un balzo dalla sedia ad Antonio Ingroia. “Un premio a Berlusconi per la lotta del suo Governo contro la mafia? Non diamo meriti a chi non ce li ha” aveva subito commentato il procuratore aggiunto dell’antimafia palermitana.
Stamattina anche Di Matteo, che è il presidente distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha voluto replicare a Grasso, spiegando perché la sua proposta non può essere condivisibile. E lo ha fatto passando in rassegna i principali provvedimenti legislativi in chiave di giustizia dell’ultimo governo Berlusconi. “Credo – ha detto Di Matteo – che non si possa attribuire nessun premio e nessun riconoscimento ad un governo che ha sostenuto progetti di riforma in tema di intercettazioni telefoniche e ambientali, che ove approvati avrebbero definitivamente spuntato e reso meno efficace l’arma più incisiva nella lotta alla mafia, ad un governo che non ha fatto nulla per rendere più incisiva, nonostante le raccomandazioni anche europee, la lotta alla corruzione e a tutti quei fenomeni criminali che costituiscono il grimaldello con cui le organizzazioni mafiose penetrano la politica e le pubbliche amministrazioni. Nessun riconoscimento ad un governo che è stato sostenuto da forze politiche che hanno candidato anche soggetti condannati in primo e secondo grado per fatti di mafia. Per questo non credo che questo governo abbia dato dimostrazione pratica di volere a 360 gradi, e in tutte le direzioni, contrastare il fenomeno mafioso”.
La replica di Nino Di Matteo a Grasso è arrivata durante di una conferenza stampa organizzata al palazzo di giustizia di Palermo per illustrare una proposta di legge della Fondazione Progetto e Legalità. A quasi 20 anni dalle stragi di Capaci e di via d’Amelio la fondazione ha infatti proposto l’approvazione di una legge intitolata a Paolo Borsellino che preveda una maggiore punibilità del reato di voto di scambio politico mafioso. La proposta prende spunto da un incontro con alcuni studenti di Bassano del Grappa che Paolo Borsellino ebbe 1989: in quell’occasione il magistrato ucciso in via d’Amelio il 19 luglio del 1992 manifestò infatti la difficoltà per la magistratura di punire il reato di voto di scambio. “Il ricordo di Falcone e Borsellino – ha commentato sempre Di Matteo – non può essere solo uno sterile esercizio di memoria. Deve essere accompagnata da uno stimolo ad applicare quelle leggi di cui entrambi sentivano il bisogno, soprattutto per reprimere meglio il fenomeno pericolosissimo del patto politico-elettorale-mafioso”.
Nella fattispecie la proposta di legge prevede una modifica estensiva dell’articolo 416 ter del codice penale che disciplina la punibilità del voto di scambio politico mafioso. “Oggi il 416 ter del codice penale è uno strumento inadeguato – ha spiegato Di Matteo – perché punisce solo nel caso in cui il candidato paghi in denaro il sostegno delle cosche. Un’ipotesi molto rara nella pratica. Vorremmo stimolare le forze politiche a punire la stipula del patto anche quando questo patto non prevede l’erogazione di denaro, ma altre utilità come raccomandazioni favori, promesse di appalti. In questo modo si potrebbe fare un vero salto di qualità nella lotta alla mafia che fino ad ora nessun governo fino ha voluto fare”.

Torino, a giudizio i consiglieri Pd e Pdl che aggredirono in aula i colleghi del M5S.

     Massimiliano Motta (Pdl)                         Nino Boeti (Pd)           


Massimiliano Motta (Pdl) e Nino Boeti (Pd) dovranno rispondere davanti al giudice di pace di minacce e percosse ai danni di Davide Bono e Fabrizio Biolè, eletti in Regione Piemonte. I due erano stati aggrediti mentre chiedevano all'aula di tagliare gli stipendi dei consiglieri regionali.

Citazione a giudizio bipartisan a Torino per i consiglieri regionali Massimiliano Motta (Pdl)  e Nino Boeti (Pd): i due dovranno rispondere davanti al giudice di pace delle accuse – formulate dal pubblico ministero Vincenzo Pacileo - di minacce e percosse ai danni dei due rappresentati del Movimento 5 Stelle Davide Bono e Fabrizio Biolè.
I consiglieri del Movimento il 30 dicembre scorso si erano concessi una provocazione nel presentare la loro proposta di legge per tagliare gli stipendi dei rappresentanti di palazzo Lascaris (respinta): avevano lanciato verso i banchi di maggioranza e opposizione dei fac-simile di banconote. Il gesto aveva fatto andare in bestia molti e fra toni sempre più accesi si era arrivati anche alle mani. 
Bono e Biolè avevano subito presentato querela, perché secondo loro “a tali gravi atti non erano purtroppo seguiti adeguati provvedimenti di sanzione da parte della Presidenza del Consiglio regionale; al contrario eravamo stati pesantemente redarguiti per aver compiuto un gesto dimostrativo non violento, lanciando delle finte banconote, e per avere video-ripreso l’accaduto”. Bono, capogruppo del Movimento, ha invece raccontato che “il consigliere Boeti aveva spintonato e colpito alle spalle Biolè, mentre Motta, dopo avermi spintonato, mi prendeva addirittura a calci minacciandomi di farmela pagare”. La storia, però, potrebbe non finire qui. Per Bono, infatti, “sembra che Boeti, colui che invitava a pranzo il boss rivolese ‘ndranghetista a sua insaputa, stia raccogliendo materiale per querelarmi”.

Spagna. Viaggio nel paese dove la disoccupazione non esiste. - Miguel Hernandez



A Marinaleda, non lontano da Siviglia, la parola crisi non la pronuncia nessuno: tutti hanno un lavoro e una casa, i bambini trovano posto negli asili e la piscina costa tre euro per tutta l’estate. Il loro motto? Un’utopia per la pace.

Un'utopia per la pace. E’ questo il motto di Marinaleda, la località sivigliana governata ininterrottamente dal 1979 (anno delle prime elezioni municipali della Spagna post-franchista) da Juan Manuel Sánchez Gordillo, un luogo che è diventato un punto di riferimento non solo della sinistra spagnola, ma della sinistra mondiale, tanto da meritarsi un articolo  sul prestigiosissimo New York Times. Oltre ad essere sindaco, Sánchez Gordillo è anche portavoce del CUT-BAI (Collettivo di unità di lavoratori- Blocco della sinistra andalusa), una delle parti che compongono Izquierda Unida,ed è deputato al Parlamento autonomista dell'Andalusia. Per comprendere quanto sia duraturo e profondo il radicamento della sinistra nella città, basta guardare i risultati elettorali del 2011: alle elezioni comunali di maggio, Izquierda Unida ha eletto nove degli undici consiglieri (gli altri due sono del PSOE, il partito socialista) e nelle elezioni generali di novembre ha raggiunto il 65,59% dei voti, la più alta percentuale di IU in Spagna.
Ma qual è il motivo di questo “orgoglio rosso”, che si riflette anche nella toponomastica, come si può vedere passeggiando tra via Ernesto Che Guevara e piazza Salvador Allende? Una chiave di lettura è legata alla questione della abitazione. Come spiegato dal sito del comune, infatti, anche se il diritto alla casa è riconosciuto dalla Costituzione spagnola, molto spesso non è ottemperato. Ed è questo il motivo per cui gli abitanti hanno deciso di espropriare e municipalizzare migliaia di metri quadrati nei dintorni di Marinaleda, per poterci successivamente edificare la propria casa. Il processo di “autocostruzione” inizia con  l’assegnazione del luogo e dei muratori da parte del Comune. Successivamente, la Junta de Andalucía (il governo andaluso), presta i soldi per i materiali e l’acquirente della casa se la costruisce lui stesso (altrimenti paga 45 euro al giorno per muratori ed elettricisti). Attualmente, la rata mensile è di 15 euro, che restituisce il prestito di materiali per l’abitazione, che finirà per diventare proprietà dell’acquirente. Proprio così: questo è il prezzo delle abitazioni a Marinaleda (e senza ipoteche).
PIENA OCCUPAZIONE. L'altro fattore importante che dimostra che “un altro mondo è possibile”, almeno secondo i sostenitori di questo modello, è la disoccupazione. Con il tasso di disoccupazione che c’è in Spagna (quasi il 25%) e in Andalusia (oltre il 30%), risulta paradossale come a Marinaleda non vi sia disoccupazione, come riconosce anche il blog di un gruppo di destra come Intereconomia. Come si è riusciti a raggiungere la piena occupazione, smentendo teorici ed economisti di fama mondiale? In questo paesino di braccianti, nei decenni passati vennero occupati i possedimenti dei proprietari terrieri latifondisti, dando vita alla cooperativa “El Humoso”, grazie alla quale 500 famiglie trovano impiego e sono cooproprietarie, ricevendo uno stipendio di 1.125 euro per sei ore e mezza di lavoro giornaliero.
ASILI, PISCINA E DOMENICHE "ROSSE". Altri segni distintivi di Marinaleda sono le “domeniche rosse”, durante le quali la popolazione pulisce le strade, coltiva i giardini, insomma fa di tutto per rendere più accogliente il territorio. Ma non solo, anche l’asilo municipale, dove i bambini fanno colazione a 12 euro al mese, o la piscina comunale, il cui costo per tutta l'estate è di 3 euro. E poi, (come potrebbe essere altrimenti?), Marinaleda è molto legata a coloro che si trovano in difficoltà anche al di fuori della campagna andalusa: lo scorso aprile, nell'ambito della Settimana della Pace, ci fu un concerto in solidarietà con il popolo del Sahara occidentale, tema questo molto caro alla sinistra spagnola. E anche gli Ska-p, famoso gruppo musicale di Madrid, sono venuti a suonare in questa città di meno di 3.000 abitanti, a sostegno della Palestina. Forse è azzardato citare questo paesino come modello per uscire dalla crisi. In ogni caso se, come diceva Galeano, l'utopia è una scusa per andare avanti, questa utopia per la pace è servita per avanzare. E non di poco.

Imputati 29 dipendenti del ministero “fannulloni”. Ma promossi. - David Marceddu




L'impiegato che denunciò i colleghi ha ricevuto provvedimenti disciplinari. Quelli filmati dalla Finanza mentre durante l'orario di lavoro si assentavano senza giustificazione (alcuni andavano in palestra) hanno avuto un avanzamento di carriera. Tra dieci giorni però in 29 compariranno davanti al gup con l'accusa di truffa.

Lui, dipendente pubblico, denuncia i fannulloni del suo ufficio alla magistratura e riceve provvedimenti disciplinari. Gli altri, i presunti responsabili della truffa, nonostante i video della Guardia di finanza provino che andassero persino in palestra durante l’ora di lavoro, vengono promossi.
Siamo a Bologna, all’ufficio territoriale del Ministero per lo sviluppo economico. Tutto inizia nell’aprile di tre anni fa, quando Ciro Rinaldi, dopo aver segnalato inutilmente ai suoi superiori molti casi di assenteismo, decide di rivolgersi alla magistratura. Il dovere glielo impone, anche perché lui è un sindacalista della Cgil e diversi colleghi hanno fatto notare che sono costretti a lavorare il doppio a causa delle “scappatine” di altri. Partono le indagini dirette dal sostituto procuratore Antonella Scandellari. La Guardia di finanza piazza delle telecamere negli uffici della centralissima via Nazario Sauro e scopre che in realtà si trova di fronte a un vero e proprio sistema, che neppure Rinaldi aveva probabilmente percepito.
Dei circa 50 dipendenti totali, infatti, ben 29 andranno tra dieci giorni davanti al giudice per le udienze preliminari, Pasquale Gianniti, che deciderà se mandarli a processo come richiesto dalla Procura, per truffa aggravata ai danni dello Stato. A loro carico ci sono le riprese filmate dalle fiamme gialle mentre uscivano dall’ufficio in orari da lavoro. Ad alcuni sono contestati ritardi di venti minuti e assenze ‘clandestine’ di tre quarti d’ora, mentre altri uscivano sistematicamente (c’è una dipendente che andava abitualmente in palestra). E c’è anche chi era solito sparire per quattro o cinque ore.
Tra gli imputati, nonostante l’evidenza delle immagini registrate dagli inquirenti, nessuno avrebbe subito alcun provvedimento disciplinare. “Mentre due capi-settore implicati nell’inchiesta sono andati in pensione – racconta Rinaldi – altri due imputati sono stati promossi proprio al loro posto”. Per Mario Marcuz, l’avvocato del lavoratore, con le leggi Brunetta il ministero poteva addirittura sospendere cautelativamente queste persone in attesa del giudizio. Cosa che non è avvenuta.
I guai per Ciro Rinaldi, funzionario dell’ufficio ispettivo, cominciano quando le sette persone (solo dopo le persone implicate diventeranno 29) da lui inizialmente denunciate ricevono gli avvisi di garanzia. Lettere di disprezzo e volantini minacciosi appesi in bacheca: “Credi che sia possibile lavorare ancora qui? Credi che le persone ti possano perdonare? Ti sei rovinato con le tue mani. Non era più bello vivere in pace”.
E non solo. Recentemente subisce anche un provvedimento disciplinare. “Uno di questi capi settore finiti nell’inchiesta, ha mandato un’informativa al dirigente su una mia presunta irregolarità nell’uso dell’auto aziendale e mi sono beccato un giorno di sospensione. Naturalmente farò ricorso al giudice del lavoro, ma questo è il clima”, spiega Rinaldi. “Ai nuovi assunti è stato detto di non darmi troppa confidenza”.
Una collega che lavorava insieme a Rinaldi nel settore postale del dipartimento bolognese, dopo avere testimoniato contro i colleghi fannulloni ha dovuto chiedere più volte di essere trasferitaprima di essere mandata finalmente in un altro ufficio. Dopo avere parlato con gli inquirenti le era stata data una mansione più bassa ed era sempre a contatto con le persone contro cui aveva testimoniato. “Succedeva che squillasse il telefono cordless – racconta Rinaldi – e che i suoi superiori glielo buttassero sulla scrivania dicendole: Io sto uscendo, rispondi al mio posto”.
Ora per Rinaldi lavorare sarebbe diventato più complicato. Dopo il trasferimento della sua collega che ha collaborato, l’incarico ispettivo per tutta l’Emilia se lo deve fare da solo, mentre in Romagna, tanto per dare un’idea, la stessa mansione è portata avanti da tre persone. Una situazione di persecuzione per la quale potrebbe esserci scattare un’ulteriore azione legale da parte di Rinaldi. L’avvocato non esclude neppure un’azione per mobbing.
Tuttavia la cosa più grave, spiega l’avvocato del lavoratore è che il ministero stesso potrebbe non costituirsi parte civile al processo, nonostante la presunta truffa sarebbe stata commessa proprio ai danni dello Stato: “C’è tempo solo fino all’udienza preliminare”. E se quel passo non arrivasse, potrebbe essere un segnale poco incoraggiante sia per Rinaldi, sia per la pubblica amministrazione.
Intanto, in risposta, nel pomeriggio dall’ufficio di Bologna del ministero fanno sapere che i procedimenti disciplinari sono stati aperti dalla sede centrale di Roma, ma poi, “come prevede la legge, sono stati subito sospesi in attesa della sentenza“.