domenica 29 luglio 2012

Infarto di Stato. - Marco Travaglio


Mentre stormi di avvoltoi e branchi di sciacalli si aggirano famelici attorno alla salma di Loris D’Ambrosio, additando improbabili colpevoli del suo infarto e scambiando per “assassinio” il dovere di cronaca e il diritto di critica, è il caso di rinfrescare la memoria agli smemorati di Libero, Giornale, Foglio, Corriere, Stampa e Repubblica, ieri macabramente uniti nel mettere alla gogna Il Fatto Quotidiano nel tentativo (vano) di spegnere ogni residua voce di dissenso.
Un’operazione tanto più indecente e ricattatoria in quanto, di fronte alla morte, tutti ammutoliscono nel doveroso cordoglio e non è molto popolare azzardarsi a criticare i morti per quel che han fatto da vivi. Ma a chi non rinuncia al dovere di informare non rimane che lasciare in pace i morti e occuparsi dei vivi, mettendo ancora una volta in fila i fatti. Se il dottor D’Ambrosio è finito sui giornali, è a causa di intercettazioni legittimamente disposte da un giudice sul telefono di Mancino e legittimamente pubblicate dalla stampa, una volta depositate alle parti e dunque non più coperte da segreto. E, se il dottor D’Ambrosio è stato indirettamente intercettato, è colpa di Mancino che ha deciso di coinvolgere il Quirinale in una sua grana privata, ma anche del Quirinale che ha deciso di dargli retta e di prodigarsi per favorirlo, mettendo a repentaglio l’imparzialità della Presidenza della Repubblica. Decisione, quest’ultima, che è rimasta finora senz’alcuna spiegazione (il Quirinale “deve” qualcosa a Mancino e, se sì, perché?). Ma che D’Ambrosio attribuiva non a una sua iniziativa personale, bensì a una precisa e perentoria scelta del “Presidente”, che “ha preso a cuore la questione” e si è “orientato a fare qualcosa”: “Il Presidente parlerà con Grasso nuovamente”, “mi ha detto di parlare con Grasso”, “parlava di vedere un secondo con Esposito”, suggeriva a Mancino di “parlare con Martelli” per concordare una versione comune, scriveva al Pg della Cassazione per “non mandare lei (Mancino, ndr) allo sbaraglio” e perché il Pg “eserciti i suoi poteri nei confronti di Grasso… Tu, Grasso, fai il lavoro tuo”, insomma “si decide insieme” e il Presidente “sa tutto, e che non lo sa?”. Sono tutte parole di D’Ambrosio, non invenzioni dei suoi assassini a mezzo stampa.
Se quelle segretissime manovre per depotenziare o addirittura scippare ai titolari l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia sono note, non è grazie alla trasparenza del Colle, ma all’inchiesta di Palermo. E, se sono finite nel nulla, non è perché il Quirinale non ci abbia provato. Ma perché Grasso le ha respinte, ricordando che l’invocato “coordinamento” delle indagini era stato assicurato un anno prima da una delibera del Csm presieduto dallo smemorato Napolitano. Checché ne dicano il Presidente e gli sciacalli, D’Ambrosio non ha subìto (almeno sul Fatto) alcuna “campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose”. Se illazioni ci sono state, hanno inevitabilmente riguardato le conversazioni rimaste segrete fra Mancino e Napolitano, a causa della decisione del Quirinale di non renderle pubbliche, anzi di pretenderne la distruzione, a costo di trascinare la Procura di Palermo davanti alla Consulta con un conflitto che Franco Cordero (sul Corriere, sul Fatto e infine su Repubblica) ha dimostrato infondato. Su D’Ambrosio non c’era da insinuare o escogitare nulla: abbiamo semplicemente pubblicato e commentato criticamente, come altri giornali, le sue testuali parole intercettate. E, unico giornale in Italia, abbiamo subito intervistato D’Ambrosio per dargli la possibilità di spiegarle. Lui l’ha fatto, ma ci ha pure esternato il suo disagio per ciò che non poteva dire, essendo vincolato dal “segreto” su parole e azioni del Presidente che – ricordava ossessivamente nell’intervista – “sono coperte da immunità”.
Gli abbiamo chiesto di farsi sciogliere dal vincolo, ma dopo qualche ora ci ha fatto rispondere dal portavoce del Quirinale che il Presidente non l’aveva sciolto. Lo stesso vincolo che ha esposto lui, magistrato, a due imbarazzanti figuracce dinanzi ai suoi colleghi di Palermo, che lo sentivano come teste su ciò che aveva confidato a Mancino di sapere sulla trattativa: lui sulle prime negò tutto, ma poi, messo di fronte alle sue parole intercettate, dovette ammettere parecchie cose fra mille contraddizioni, e sfiorò l’incriminazione per reticenza. Non conoscendo personalmente D’Ambrosio, noi possiamo soltanto immaginare con quale stato d’animo un uomo tanto riservato abbia vissuto questi 40 giorni di esposizione mediatica e il drammatico ribaltamento della sua immagine: da collaboratore di Falcone nella stesura del decreto sul 41-bis a difensore d’ufficio di chi aveva revocato il 41-bis a centinaia di mafiosi, o almeno non l’aveva impedito.
Insomma, da servitore dello Stato a servitore di Mancino. Ma, se Napolitano avesse ragione a collegare la sua morte a quanto è stato scritto di lui, dovrebbe anche domandarsi chi ha esposto D’Ambrosio a quelle critiche, a quelle figuracce e a quel ribaltamento d’immagine: non certo chi ha riferito doverosamente le cose che aveva detto e fatto, semmai chi gli aveva chiesto di dire e di fare quelle cose.
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sabato 28 luglio 2012

Speciale Olimpiadi - Oro, argento e bronzo nel fioretto

Oro per Elisa Di Francisca, argento ad Arianna Errigo e bronzo a Valentina Vezzali. Foto Bizzi

Di Francisca oro, Errani argento, Vezzali bronzo.

Legge elettorale, scontro in Parlamento Bersani: "Rottura se colpo di mano Pdl".

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"Con un colpo di mano da parte del Pdl, la rottura è irrimediabile", avverte Pier Luigi Bersani, minacciando di interrompere le trattative per cercare una riforma elettorale che vada bene a tutti i partiti. (L'Unione Sarda)


Bersani, la riforma elettorale DEVE andare bene agli ITALIANI!

Speciale Olimpiadi - Medaglia di bronzo alla Vezzali.




Presidente, in morte di D'Ambrosio doveva dire altro. - Massimiliano Gallo


È morto oggi Loris D’Ambrosio, consigliere del presidente Napolitano e al centro dell’attenzione per le intercettazioni con Nicola Mancino finite nelle indagini sulla trattativa stato-mafia. Noi che non abbiamo mai amato quel modo di fare indagini e giornalismo, rimaniamo però colpiti in negativo dalla tempestiva reazione del Colle. Che punta il dito contro “una campagna violenta”, per cui esprime “atroce rammarico”. In un momento come questo, dal Presidente della Repubblica, avremmo voluto tutt’altro atteggiamento.
No, presidente Napolitano, quella dichiarazione, quella frase non l’avrebbe mai dovuta dettare a poche ore dalla morte di Loris D’Ambrosio. Una dichiarazione che un presidente della Repubblica, e presidente del Csm, non deve mai sottoscrivere, e a nostro avviso nemmeno pensare. Quella frase “atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato” suona come un’accusa di omicidio, preterintenzionale fin quanto si vuole, ma suona come un’accusa di colpevolezza nei confronti del Fatto quotidiano. E anche, perfino, di quella magistratura che quelle indagini stava conducendo.
Ora, qui a Linkiesta abbiamo sempre scritto il nostro pensiero su una vicenda che adesso nessuno più toglierà mai dal già ricolmo cassetto dei misteri della repubblica italiani. E il nostro pensiero era ed è che non si può costruire un’accusa così grave sulla base dell’ascolto di conversazioni telefoniche: nè da un punto di vista giudiziario nè, tantomeno, da un punto di vista giornalistico. Tanto che non avevamo esitato a schierarci col presidente Napolitano e la sua scelta di intraprendere la via del conflitto di attribuzione tra poteri costituzionali: perchè, in piena coscienza, un presidente della Repubblica ha il diritto e il dovere di tutelare il proprio ruolo, al di là di se stesso, nelle forme che la Costituzione prevede.
Ma neppure a chi, come giornalista, ha duramente criticato quella campagna di stampa, sarebbe venuto in mente di associare quelle pagine di intercettazioni all’infarto che oggi ha stroncato il consigliere giuridico del Quirinale. Figuriamoci a un’autorità qual è il presidente della Repubblica, cui si richiede quel sangue freddo, quella calma, quel senso di unità nazionale che oggi francamente non abbiamo ritrovato in quelle dichiarazioni. Lei rappresenta lo Stato italiano, è il capo dello Stato. Suo compito è unire, giammai dividere.
Di tutto, francamente, aveva bisogno l’Italia in queste ore tranne che di una nuova ridda di accuse e sospetti che contribuiranno ancora una volta a dividere il nostro Paese in guelfi e ghibellini. Queste dichiarazioni, così rapide, esplicite e in definitiva fuori luogo del presidente della Repubblica, rafforzano i complottisti di ogni sorta, e invece di svelenire un clima tesissimo in un paese spaventato peggiorano un’aria già grama. Proprio il contrario di quello che ci saremmo aspettati dall’autorità morale di Giorgio Napolitano.
http://www.linkiesta.it/napolitano-d-ambrosio-morte

L’Italia civile contro il regime. - Paolo Flores d'Arcais




Il regime continua. Formigoni, governatore berlusconiano, di fronte a indagini che svelano ciclopici “do ut des” con faccendieri in galera dichiara “tutto qua?”, ufficializzando l’indigenza assoluta della fibra morale di un intero ceto politico. Nicolò Zanon, membro berlusconiano del Csm, propone il procedimento disciplinare contro Roberto Scarpinato che ha ricordato una verità nota anche ai sassi: nelle commemorazioni per Borsellino si vedono “talora nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità” per i quali Borsellino ha sacrificato la vita. 

Due gesti impensabili in ogni altro paese europeo, da noi di ordinaria tracotanza partitocratica. Lo spread istituzionale, politico, morale, è tutto in questi due episodi, e nella “banalità del male” con cui ogni giorno le nomenklature ne compiono di analoghi.

La vedova di Paolo Borsellino, Agnese, con i figli Rita e Salvatore, ha reagito facendo propria “ogni parola della lettera emozionante con la quale Roberto Scarpinato si è rivolto a Paolo lo scorso 19 luglio in via D’Amelio”. E’ evidente che di Borsellino si vuole ormai uccidere la memoria. L’Italia civile ha cominciato a reagire, e speriamo che nei prossimi giorni insorga moralmente con i suoi “intellettuali pubblici” di recente troppo spesso afoni. 

Formigoni e Zanon non fanno scandalo. La partitocrazia oscilla tra compiacimento, omertoso silenzio o polemica “specchio per le allodole”. Qualche lettore ci accusa talvolta di non distinguere tra le forze politiche, cadendo nel qualunquismo. Ma se anche in casi del genere non sanno distinguersi tra loro come il bianco dal nero, è colpa nostra? Pd e berlusconiani si stanno accordando su una legge elettorale peggio della “porcata”, e se non ci riusciranno è solo perché l’ometto di Arcore vuole ancora di più e non sa bene cosa.

Ma di fronte alla debacle dei partiti, è ormai acclarato anche il fallimento dei “tecnici” liberisti. Tutte le loro misure (che tolgono ai poveri e impoveriscano i ceti medi, lasciando a evasori, ladri e banchieri ogni privilegio) falliscono, perché solo una redistribuzione delle ricchezze in chiave neo-keynesiana può invertire la deriva. Partitocrazia e “tecnici” di Monti sono ormai la padella e la brace.

Se ne esce solo con una classe dirigente del tutto nuova, da selezionare nella società civile. Il Terzo Stato sarà capace di esprimerla? O subirà il monopolio di un establishment politico-finanziario ammanicato che ci sta portando alla rovina?



http://temi.repubblica.it/micromega-online/litalia-civile-contro-il-regime/

Speciale Olimpiadi - Olimpiadi, primo oro nel tiro con l'arco.

Marco Galiazzo

Marco Galiazzo

Arco. L'Italia ha vinto la medaglia d'oro nella prova maschile a squadre di tiro con l'arco. In finale, gli azzurri Michele Frangilli, Mauro Nespoli e Marco Galiazzo hanno sconfitto gli Stati Uniti per 219-218. L'Italia conquista il primo oro ai Giochi di Londra 2012. Decisiva l'ultima freccia da 10, scagliata da Frangilli. (Il Messaggero)