venerdì 7 settembre 2012

La libertà di stampa è precaria.



"Dove vanno a finire i soldi che lo Stato da ai giornali? Di sicuro non servono a pagare i giornalisti. Anzi. Perché in Italia tranne rare eccezioni fare il giornalista significa rassegnarsi ad una vita da precario.
Se c'è un microcosmo lavorativo che riassume tutti i difetti del sistema Italia è quello del giornalismo. E allora, dove finisce il finanziamento pubblico? Nei mega stipendi a direttori, capiredattori, amministratori delegati e a tutte quelle penne illustri (?) che si ergono a guide morali che da anni non portano un straccio di notizia, ma commentano, avvertono, monitano.
Vi hanno detto che la libertà di stampa è minacciata dalla mafia, da Berlusconi, dalle mille leggi bavaglio. Minchiate. La libertà di stampa è minacciata dalla miseria in cui vivono e lavorano migliaia di giornalisti sfruttati: dagli editori, dai direttori e, infine, dai loro stessi colleghi assunti con contratto a tempo indeterminato che quando scioperano, protestano, denunciano è solo per i loro privilegi di giornalisti professionisti e assunti mentre gli altri muoiono di fame. Facciamo un esempio. Un articolo di cronaca, secondo una ricerca compiuta dall'Ordine dei giornalisti pubblicata nel 2011, viene pagato anche 5 euro lordi a 60-90 giorni dalla pubblicazione. Sono i numeri della vergogna, la cifra, vera, della censura. Ecco cosa dicono: 
La Repubblica a fronte di 16.186.244,00* euro di contributi dello Stato all'editoria elargisce un compenso che varia tra i 30 e i 50 euro lordi a pezzo. 
Il Messaggero, che riceve 1.449.995,00** euro di contributi pubblici, riconosce 9 euro di compenso per le brevi, 18 euro le notizie medie e 27 euro le aperture. Lordi, ovviamente. 
Il Sole 24 Ore: 19.222.767,00** euro di contributi pubblici e 0,90 euro a riga, con cessione dei diritti d'autore. Libero: 5.451.451** di finanziamenti pubblici e 18 euro lordi per un'apertura. 
Il Nuovo Corriere di Firenze (chiuso nel maggio 2012) riceve 2.530.638,81*** euro di contributi pubblici e paga a forfait tra i 50 e i 100 euro al mese. 
Il Giornale di Sicilia a fronte di un finanziamento di quasi 500 mila euro (anno 2006) paga 3,10 euro. 
Provate a immaginare quanti articoli servono per arrivare ad uno stipendio decente. Provate ad immaginare quale sarà la pensione di chi scrive con un simile onorario (?). Perché questi giornalisti, se iscritti all'ordine- sennò sono abusivi ed è un reato penale - i contributi devono versarli da sé, nella misura del 10 per cento del compenso netto più un due per cento di quello lordo. Che vanno a confluire nella "gestione separata" (mai nome fu più azzeccato) dell'ente pensionistico dei giornalisti, l'Inpgi. Una "serie B" della cassa principale che, invece, prevede pensioni, disoccupazione, case in affitto, mutui ipotecari, prestiti e assicurazione infortuni. Ma questa vale solo per quelli "bravi", quelli a cui viene applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico che, solo nel 2011, dopo 6 anni, è stato rinnovato. Insomma quelli assunti. Che ovviamente sono una piccola minoranza. Ma, attenzione, questo solo per quanto concerne la parte economica. Perché il contratto collettivo non disciplina solo il trattamento economico ma regola a tutti gli effetti i rapporti fra datore di lavoro (editore) e lavoratore (giornalista). 
Fissa, insomma, diritti e doveri. 
Ma, ancora una volta, questo vale solo per chi il contratto ce l'ha e, quindi, tutti gli altri vivono nel far west, perché la loro posizione non è disciplinata da nulla. 
E si tratta della stragrande maggioranza dei giornalisti della carta stampata - da Repubblica fino al più piccolo foglio di provincia: precari, sottopagati, sfruttati, senza copertura legale, senza ferie, senza nulla. È questa moltitudine, oltre il 70% degli iscritti all'Ordine, che permette ai giornali cartacei e on-line, alle agenzie di stampa di produrre notizie 24 ore al giorno. Senza di loro le pagine bianche sarebbero molte di più di quelle scritte. La carta stampata riceve centinaia di milioni di euro di contributi dallo Stato ogni anno, ma lo Stato non chiede agli editori in cambio di garantire compensi minimi e tutele contrattuali ai collaboratori. 
Poi arriva la Fornero, ministro al Lavoro (nero) e di fronte alla più elementare delle proposte di legge sull'equo compenso ai giornalisti precari dice: "Non mi sembra opportuno". Della serie siete precari, non siete figli di papà (giornalista), e allora morite. E qualcuno c'è anche morto, stufo di subire. 
Come Pierpaolo Faggiano, collaboratore della Gazzetta del Mezzogiorno, che nel giugno 2011 si è tolto la vita: non sopportava più, a quarantuno anni, di vivere da precario.

Chiara Baldi, da giornalista precaria ha scritto una tesi sul precariato: "i giornalisti sono "i più precari tra i precari" – scrive Baldi - "perché lo stipendio da fame li costringe anche a rinunciare ai principi deontologici a cui invece dovrebbero attenersi. Una buona informazione è possibile solo quando chi la fornisce non deve sottostare al ricatto di uno stipendio misero. Più è basso il guadagno del giornalista e più sarà alta la sua "voglia" di produrre senza professionalità, non tanto per un desiderio malato di non essere professionale, quanto per una necessità: quella di guadagnare".
Il potere, di qualsiasi colore, non ama i giornalisti e in Italia per disinnescare il problema è stato consentito che diventare giornalisti, essere assunti, sia un privilegio di pochi, così che la stampa diventi il cagnolino del regime e non il guardiano. Assumere il figlio del giornalista è come candidare il Trota, sangue vecchio sostituisce altro sangue vecchio. Altro che bavaglio. Provate voi ad essere liberi a 5 euro a pezzo (lordi). " Nicola Biondo, giornalista freelance
Note:
* Contributo elargito alle testate Espresso e Repubblica ‐ Fonte: elaborazione Italia Oggi del 12 maggio2007, riferiti all'anno 2006
** Fonte: elaborazione Italia Oggi del 12 maggio2007, dati riferiti all'anno 2006
*** Dati tratti dal sito della Presidenza del Consiglio – Dipartimento per l'Editoria e l'Informazione, contributi 2008 erogati nell'anno 2009 (dati aggiornati al 7 maggio 2010)

Verissimo!



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=494738093869711&set=a.438282739515247.107576.438277562849098&type=1&theater

D’Agostino difende Grillo e attacca il ‘marciume’ dei partiti.




Lungo ed appassionato intervento di Roberto D’Agostino a difesa di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle, durante la trasmissione “Piazza Pulita”, su la7. Il “casus belli” è stato lo sfogo fuorionda del consigliere regionale Giovanni Favia contro il comico genovese e Casaleggio. Dopo gli interventi degli ospiti in studio, si è innescata una bagarre in crescendo nella quale il creatore di Dagospia ha ammonito pesantemente i presenti, accusandoli di “controllare le pulci di Grillo” e del suo movimento e di ignorare il marciume dei partiti tradizionali. “Ma tutta questa vostra attenzione su questo “scazzetto” tra i 5 Stelle la applicate per caso anche al signor Passera?” – chiede polemicamente D’Agostino – “o a Profumo o a tutti i Cuffaro che abbiamo da tanti anni tra i piedi o ai signori che detengono il potere all’interno del Corriere della Sera, come Ligresti e company?”. E sulla lista 5 Stelle dichiara: “E’ un movimento che alle amministrative ha raggiunto l’8%, più della Lega e più di quel ca…o di Casini che ogni volta viene intervistato come se fosse un dio“. E aggiunge: “Signori, Grillo, in paese di disgraziati come il nostro, è riuscito con un mouse a creare un movimento. Sarà un comico, ma gli altri sono criminali e malfattori“. Nella sua invettiva, D’Agostino sottolinea anche il fatto che il creatore del Movimento 5 Stelle non ambisce ad essere un leader di Palazzo Chigi e, rivolgendosi a Francesco Boccia, fa una domanda provocatoria: “Grillo ha per caso un Penati tra i suoi, come il Pd? Abbiamo visto che il Pdl di Berlusconi è un partito d’affari, ma questo conflitto d’interessi esce da tutti i pori, da tutti i partiti”. Piccata la reazione del deputato Pd, che invita D’Agostino a fare nomi per evitare la deriva demagogica. “Ho fatto il nome, a bello de mamma” – replica il giornalista – “Penati. Che caxxo vuol dire ‘Penati’?”. Il dibattito si infiamma quando l’esponente del Pd menziona il faccendiere Luigi Bisignani. “L’ho chiamato e lo dico davanti alle telecamere” – si difende D’Agostino – “per avere informazioni, perchè sono un giornalista, non per fare affari.D’Alema lo chiamava per altri motivi“. Il conduttore Formigli tenta di sedare la polemica, congedando il direttore di Dagospia con un ringraziamento. Ma D’Agostino non ci sta e, scatenando l’ovazione del pubblico, risponde: “Grazie al ca..o!”
7 settembre 2012

L'amaca di Michele Serra.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=314697145294851&set=a.294517440646155.59727.294507393980493&type=1&theater

5 Stelle, il fuorionda di Favia: ''Nel movimento la democrazia non esiste''



"Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste. Grillo e’ un istintivo, lo conosco bene, non sarebbe mai stato in grado di pianificare una cosa del genere". Le clamorose dichiarazioni di Giovanni Favia, consigliere regionale in Emilia Romagna del Movimento 5 Stelle, rilasciate durante il fuorionda di un’intervista esclusiva realizzata dall’inviato Gaetano Pecoraro per Piazzapulita, il programma de La7 condotto da Corrado Formigli.

http://video.repubblica.it/politica/5-stelle-il-fuorionda-di-favia-nel-movimento-la-democrazia-non-esiste/104537?video&ref=HRER3-1


Favia: “Ponto a dimettermi. Nel M5S il potere è concentrato in poche mani”

Il consigliere dell'Emilia Romagna su facebook fa chiarezza sul fuori onda trasmesso ieri sera a Piazzapulita. Spiega che non era concordato e sottolinea "la mancanza di un network nazionale del movimento dove poter costruire collettivamente scelte e decisioni, comprese le inibizioni e le attribuzioni del logo". Su Casaleggio: "Rapporti estremamente critici".

Leggi qui ,'articolo:


La democrazia del MoVimento Cinque Stelle.

"Né io, né Beppe Grillo abbiamo mai definito le liste per le elezioni comunali e regionali. Né io, né Beppe Grillo, abbiamo mai scritto un programma comunale o regionale. Né io, né Beppe Grillo abbiamo mai dato indicazioni per le votazioni consigliari, né infiltrato persone nel MoVimento Cinque Stelle." 
Gianroberto Casaleggio




Io ho sempre pensato che entrare a far parte della politica fosse una grande responsabilità; amministrare una famiglia è già un responsabilità, amministrare un comune o una regione o una nazione lo è ancora di più. Per questo ho deciso che non avrei mai preso parte attiva in politica. Ed ho avuto sempre una grande ammirazione per chi, invece, ha voluto assumersi questa responsabilità. Ora mi rendo conto che un qualcuno che ha fatto questo passo, e nel M5s, non si è reso conto di cosa stava affrontando. 
Prescindendo da chi effettivamente gestisce il movimento, il che ha pochissima importanza, non lasciamoci deviare o irretire dalle accuse che ci verranno rivolte, sia interne che esterne, il movimento porta avanti programmi interessantissimi, è questo che ci rende forti.
Non ci curiam di lor, ma guardiamo, osserviamo e passiamo.
Io ci credo, sempre e comunque; gli intoppi sono ovunque, se ne trovano tanti durante l'arco della vita, andiamo avanti a testa alta, cercando di non perdere di vista l'obiettivo: pulire il parlamento da politicanti stantii, corrotti e inutili. 
E' un nostro dovere, oltre che un nostro diritto.
Cetta.

A mio modesto parere il Favia deve rassegnare le dimissioni dal movimento nel quale ha dimostrato ampiamente di non credere.
Leggo anche che è alla fine del suo secondo mandato, il che lo pone in una situazione ancora più sospetta.
Purtroppo è vero ciò che disse in passato un potente: il potere logora chi non ce l'ha.
E dire ciò che ha detto davanti alle telecamere e in un momento delicato in cui il movimento viene attaccato da tutti e di più, non è stata una mossa intelligente, ha dato il fianco all'avversario e non credo, al punto in cui siamo, che lo abbia fatto inconsciamente.
Io non lo conosco, ma da ciò che leggo, non penso che lo si possa definire un pivellino abbindola-bile. 
Cetta

giovedì 6 settembre 2012

Riforma Fornero, a Roma i primi due licenziamenti post articolo 18. - Cosimo Lanzo


huawei_interna nuova


Il caso sollevato dalla Cisl. La prima azienda ad approfittare della nuova normativa è il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Una ragazza rispedita a casa racconta a ilfattoquotidiano.it: "Via da un giorno all'altro, mi hanno detto che l'azienda è in crisi".

I primi due licenziati con contratto a tempo indeterminato per motivi economici, da poco introdotto con la riforma Fornero. Di cui ha approfittato un’azienda cinese. E’ questo il primato che un ragazzo e una ragazza dipendenti del colosso delle telecomunicazioni Huawei hanno sperimentato sulla propria pelle, il 29 agosto, poco più di due mesi dall’entrata in vigore della riforma che ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. I due facevano parte della stessa unità di lavoro, però in due team diversi. La ragazza, 26enne romana, per motivi personali vuole rimanere anonima, ma dice a ilfattoquotidiano.it:”Sono stata convocata dall’azienda il 29 agosto e mi hanno riferito che l’azienda era in crisi. Mi hanno poi detto che la mia figura era superflua perché coperta da altre persone e senza giri di parole mi hanno comunicato che da quel giorno ero fuori dall’azienda. A quel punto – afferma la ragazza – non ci ho pensato due volte e mi sono rivolta al sindacato”.
Nella lettera di licenziamento (leggi il documento), si legge che “la crisi generale del mercato delle telecomunicazioni in Italia, ha causato una significativa contrazione dei ricavi attribuili alla vendita di apparati telefonici. La Huawei poi scrive che “ciò ha comportato l’esigenza di una riorganizzazione della business unit (gruppo di lavoro) finalizzata al contenimento dei costi e alla razionalizzazione del personale”. Infine le comunicano che, a causa di tali condizioni “non sussistono motivi per una ricollocazione interna, con conseguente necessità di procedere al suo licenziamento“.
Huawei è una multinazionale leader nel mercato delle telecomunicazioni in Cina e secondo produttore mondiale di apparecchiature elettroniche. La “telco” cinese in serata ha inviato un comunicato in cui commenta spiega come “non ha, ad oggi, al contrario di quanto asserisce Serao (il sindacalista che ha sollevato il caso) comunicato alcun licenziamento alla lavoratrice avendo semmai avviato la normale procedura di conciliazione prevista dal nuovo art. 7 della legge n. 604/66  (modificato appunto dalla riforma Fornero entrata in vigore il 28 giugno 2012), finalizzata a favorire la risoluzione consensuale del rapporto e a incentivare l’esodo della lavoratrice”. A rispondere all’azienda è proprio Giorgio Serao della Fistel Cisl che sta assistendo la lavoratrice: “Non è vero che non c’è nessun licenziamento in atto. Ho le prove di quello che dico perché alla lavoratice è stata recapitata una raccomandata con una lettera di licenziamento al suo interno, che è inequivocabile. Se l’azienda pensa che ci sia in atto una conciliazione si sbaglia, perché nell’incontro di conciliazione previsto dalla riforma Fornero, il 18 settembre, noi impugneremo la decisione”. 
Data per scontata l’impugnazione, ora toccherà al giudice del lavoro decidere se reintegrare la lavoratrice o come vuole l’azienda, corrisponderle una indennità di licenziamento. Per la ragazza però rimane la beffa di essere stata contattata dall’azienda senza aver mandato mai nessun curriculum vitae e ed essere stata licenziata a due anni dall'assunzione. “Sono stata chiamata quando lavoravo in un’altra azienda. Avevo un buon contratto, circa 26 mila euro lordi l’anno. Quando è arrivata l’offerta della Huawei non ci ho pensato due volte perché mi miglioravano il contratto di circa 6 mila euro, con molti benefit in più”. Secondo l”ex lavoratrice della Huawei il licenziamento è avvenuto “perché 4 mesi fa i miei capi hanno assunto una persona nel mio stesso ruolo”. Inoltre “non ci possono essere motivi economici alla base del gesto dell’azienda, perché lo stesso giorno l’amministratore delegato comunicava via mail l’assunzione di 112 persone da Fastweb”. 
Altre notizie da Tiscali
Sarà che sono per natura una complottista, ma io in questa legge ci vedo solo l'ennesimo favoritismo elargito ai partiti. Con questa legge, infatti, si licenziano i lavoratori che non hanno stipulato alcun patto con i partiti per assumere quelli che hanno accettato il compromesso del voto di scambio.

La lezione di Cerveteri: quando l’onestà paga .


Alessio Pascucci

Dunque, prendete un giovane di 29 anni, consigliere comunale di una città di Provincia, con una laurea in ingegneria informatica in tasca e alle spalle un record di preferenze (il più votato nella storia). Fate che questo giovane politico si veda offrire da un imprenditore del posto una tangente di 375mila euro per una variante urbanistica. E che la rifiuti, denunciando tutto alla Procura della Repubblica.

Fantascienza? No, pura realtà: il giovane, in questione, è Alessio Pascucci, la città invece è Cerveteri, in Provincia di Roma, 36mila anime. Alle ultime amministrative Alessio è stato eletto sindaco della sua città con 8.434 voti. Piccole storie d’Italia che ti rendono orgoglioso.

Ora, pensate un po’ se Alessio avesse accettato quella tangente: sarebbe stato ricchissimo, perché una volta che ne accetti una, poi ti integri nel sistema e vai avanti a prenderne altre: vacanze di lusso, rolex, macchina nuova, ci sono tante cose che si possono comprare. Magari estinguere anche il mutuo della casa, perché no. E se poi l’avessero scoperto? Processi, fango su di sé, la propria storia personale e la famiglia, nonché la nomea di politico corrotto agli occhi della gente.

Il che, per carità, non significa che magari non sarebbe stato rieletto e magari alla fine sindaco, tra una ventina d’anni, una volta dimenticato il peccatuccio di gioventù, lo sarebbe anche diventato. Eppure volete mettere il fatto di essere diventato Sindaco senza scendere a compromessi, senza doversi tenere impresentabili in giunta perché “portano voti”?

In definitiva, volete mettere la serenità di poter guardare senza vergogna in faccia i propri figli, i figli dei propri figli e, anzitutto, se stessi allo specchio? Qualcuno forse non lo capirà. Io dico però che i tanti buoni esempi come Alessio, in Italia, dovrebbero mettersi sotto una stessa bandiera contro corrotti e, anzitutto, corruttori.

E’ da storie come questa, dove la Questione Morale viene affrontata senza guardare alle tessere di partito, che passa il risanamento morale, politico, economico e sociale dell’Italia.


http://www.enricoberlinguer.it/qualcosadisinistra/2012/09/06/la-lezione-di-cerveteri-quando-lonesta-paga/
 — con Matteo Censori e Bruna Marzullo

L'Italia è il paese dove la legalità è l'eccezione.