martedì 1 ottobre 2019

Dissociatori molecolari, perchè non sono stati costruiti? (dicembre 2007)



Da più parti si chiedono informazioni relative ai costi da sostenere per la costruzione di un Dissociatore Molecolare, in grado di eliminare alla radice il tragico problema dello smaltimento dei rifiuti in Campania. I dati che mi accingo a presentarvi sono pubblici.
Tutti, dico tutti, gli addetti ai lavori li conoscono da tempo. Aver ignorato la tecnologia dei Dissociatori Molecolari è, di per se, una cosa grave, ma ancora più grave, anzi imperdonabile, è aver sottaciuto i costi ridicoli necessari per risolvere definitivamente il problema. Quanti dissociatori si sarebbero potuti costruire con i nove miliardi di euro spesi in Campania, negli ultimi anni, per non raggiungere nessun risultato positivo? Qualcuno, in futuro, dovrà forse essere giudicato e condannato per aver fatto finta di non sapere? Vedremo. Nell'attesa ecco il resoconto economico relativo ad un impianto in grado di trattare ben 32.000 tonnellate di rifiuti l'anno (circa quattro tonnellate l'ora per 8000 ore di funzionamento annue). Ipotizzando che l'investimento sia finanziato al 100% da un mutuo rimborsabile in 12 rate annuali costanti ad un tasso d'interesse fisso pari al 5%, il valore della rata mensile del mutuo, comprensiva di capitale più gli interessi, sarebbe di 1.700.000 euro. Oltre al costo della rata mensile si dovrebbero aggiungere 500.000 euro del contratto di manutenzione ordinaria dell'impianto con la ditta costruttrice, più 300.000 euro per il costo del personale necessario a far funzionare l'impianto stesso (una decina di persone al massimo). A questi devono essere aggiunti i costi generali dell'impianto, circa 400.000 euro più le eventuali spese di manutenzione straordinaria, altri 200.000 euro. Per completare il quadro economico calcoliamo in circa 150.000 euro il costo di smaltimento delle ceneri e in 180.000 euro l'imposta di fabbricazione sull'energia elettrica. Si, perché la vera novità sarebbe proprio questa: la produzione e rivendita d'energia elettrica alle società di distribuzione che potrebbe fruttare fino al milione di euro l'anno alle casse dell'ente gestore. L'impianto di cui sopra, infatti, potrebbe produrre fino a 2,5 MW d'energia elettrica l'anno da poter rivendere ad aziende come Enel o Edison. Per non parlare, poi, della potenza termica, pari a circa 5 MW annui, per un introito di 2.000.000 di euro (rivendendola al prezzo di mercato). Tra l'altro, la potenza termica può anche essere utilizzata direttamente, per riscaldare case, scuole, edifici pubblici, palestre, piscine ecc. oppure per riscaldare serre che producono fiori o altri prodotti agricoli ad alto valore aggiunto (altri posti di lavoro ed altri introiti per le società proprietarie delle strutture). Per finire questo breve, ma spero interessante resoconto, chiediamoci perché di fronte ad un costo così limitato (tra i 23 ed i 25 milioni di euro, calcoliamo anche le spese impreviste se ci capiamo), con la possibilità di ammortizzarlo al 100% in pochissimi anni utilizzando gli introiti della vendita dell'energia elettrica e della potenza termica, si è preferito costruire un macchinoso, dispendioso, poco efficace, pericoloso, inquinante e malvisto da tutti, impianto di termovalorizzazione ad Acerra? Io la risposta me la sono già data. Vorrei, però, che tutti quelli coinvolti in certe disastrose iniziative, avessero il coraggio di apparire in televisione per spiegare ai familiari dei malati e dei morti causati dai rifiuti, le ragioni delle loro sciagurate decisioni politiche.
http://www.pupia.tv/2007/12/aversa/dissociatori-molecolari-perch-non-sono-stati-costruiti/6893

Osterseen - Germania

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Il farmaco jolly che colpisce 29 tipi di tumori senza sapere dove si trovano. - Adriana Bazzi

Il farmaco jolly che colpisce 29 tipi di tumori senza sapere dove si trovano

È un nuovo modo di curare certe neoplasie: non in base all’organo dove hanno origine, ma a una mutazione genetica comune. Grazie al larotrectinib.

Colpisce 29 tipi i tumore diversi a prescindere da dove si trovano. È un farmaco «jolly» che gli esperti definiscono «agnostico» perché non «conosce» l’organo dove il tumore ha avuto origine, ma va a interferire con una precisa mutazione genetica che può, appunto, essere comune a molti tipi di neoplasie. Il farmaco si chiama larotrectinib, ha appena ottenuto il via libera dalla Commissione Europa per la sua commercializzazione (negli Stati Uniti è già stato autorizzato da qualche tempo). E a Barcellona, dove è in corso il congresso della Società Europea di Oncologia (Esmo), gli studi presentati hanno confermato la sua efficacia.

Adulti e bambini.
Il nuovo farmaco, orale e con pochi effetti collaterali, ha dato risultati, definiti «eccezionali» dalla comunità scientifica, in molti tipi di tumori solidi, 29 per l’appunto, sia degli adulti sia dei bambini, accomunati da questa alterazione genetica: fra questi, tumori del polmone, tiroide, melanoma, colon, sarcoma, tumori gastrointestinali, delle ghiandole salivari e fibrosarcoma infantile. Ha dimostrato efficacia anche nei tumori primitivi del sistema nervoso centrale e nei pazienti con metastasi cerebrali.

La fusione Ntrk.
Più nel dettaglio, le ricerche presentate a Barcellona hanno dimostrato una riduzione del 30 per cento della massa tumorale nel 79 per cento dei pazienti valutati (su un campione di 153) e nel 75 per cento di quelli con metastasi cerebrali, e la sopravvivenza media è superiore a tre anni. Una precisazione su questa alterazione genetica che il larotrectinib va a colpire (parliamo, dunque, di un farmaco a bersaglio molecolare): viene definita fusione genica di Ntrk (in pratica questa alterazione promuove la sintesi di proteine che favoriscono la proliferazione delle cellule e quindi del tumore), è rara, ma in Italia interessa circa 4mila pazienti ogni anno.

Terapia agnostica.
«Questo nuovo approccio “agnostico” - spiega Salvatore Siena, ordinario di Oncologia all’Università di Milano e oncologo all’Ospedale Niguarda - si focalizza direttamente sull’alterazione genica che promuove la crescita del tumore e che può essere comune a più tipi di neoplasia. La sfida oggi è riuscire a scoprire i pazienti che hanno questa alterazione genica, per poterli trattare al meglio, e per questo è necessario che siano estesi i test genetici capaci di identificare questa anomalia».

Il futuro.
Grazie a questo nuovo farmaco, ci troviamo di fronte a un cambiamento di paradigma nella cura dei tumori. Da un lato non si può più pensare solamente di studiare medicine indicate «per il tumore al polmone piuttosto che a quello del seno eccetera», ma occorre capire quali sono, appunto le alterazioni genetiche alla loro origine. E qui stiamo parlando ancora della cosiddetta terapia a bersaglio molecolare (i geni alterati o le proteine da loro prodotte che favoriscono la crescita tumorale). Accanto a questo, non dimentichiamocelo, si affianca l’immunoterapia dei tumori, l’altra superstar della ricerca cui anche questo congresso Esmo a Barcellona sta dedicando ampio spazio. E anche qui ci si focalizza sempre meno sulla sede del tumore, ma sempre di più sulla sue caratteristiche biologiche e sulla capacità del sistema immunitario di aggredirlo, quale che sia la sua sede. Come dire che gli organi, che l’anatomia ci fa conoscere, stanno perdendo la loro identità (almeno quando si parla di tumori) in favore di una visione che bada di più al «microscopico» e cioè a caratteristiche che hanno a che fare con processi comuni a diverse cellule e tessuti dell’organismo.

https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/19_settembre_28/farmaco-jolly-che-colpisce-29-tipi-tumori-senza-sapere-dove-si-trovano-028736fa-e20e-11e9-a114-86d8f3deb29e.shtml?fbclid=IwAR2po--xyINJA1LZVDrrnjF2DUn7_5XiBGk1oO__lYWab8eqZFr4mcY4oMU&refresh_ce-cp

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato. - Ilaria Proietti

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato

Dai Responsabili di Razzi e Scilipoti agli Italiani Vivi: in tre legislature contati oltre 900 cambi di casacca.

È un fenomeno che pare inarrestabile: in poco più di dieci anni sono stati oltre 900 i cambi di casacca in Parlamento. E la cifra è destinata a salire sfondando agevolmente quota mille. Perché Matteo Renzi conta di poter vampirizzare ulteriormente il Pd a cui ha già sfilato 40 eletti tra cui l’ex capogruppo Rosato, la neo ministra Bellanova, il già tesoriere del Nazareno Francesco Bonifazi. Ma l’emorragia non è finita. L’ultima arrivata è Silvia Vono che si è trasferita nel gruppo Italia Viva dopo aver abbandonato i 5 Stelle che già erano dimagriti a causa delle espulsioni, 13 tra deputati e senatori solo dall’inizio della legislatura. Ma accanto agli epurati ora c’è che si guarda intorno: la Lega cerca di fare proseliti e non solo tra i 5 Stelle. Silvio Berlusconi teme che pezzi da novanta di Forza Italia, con il loro abbandono, diano il colpo di grazia al partito in calo vertiginoso nei sondaggi. Per molti azzurri è appetibile l’approdo nel Carroccio e in Fratelli d’Italia: il coordinatore azzurro dell’Emilia Romagna, Galeazzo Bignami con le Regionali alle porte è passato con FdI.
E che dire di Giovanni Toti? Per ora pochi azzurri lo hanno seguito nella avventura di “Cambiamo” ma la diaspora azzurra è iniziata da tempo, almeno dall’addio di Denis Verdini che qualche hanno fa ha fondato l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. E da quello di Raffaele Fitto che aveva scommesso sul big bang berlusconiano e si era messo su il partito dei Conservatori & Riformisti. Dilettanti al confronto di Luigi Compagna che in Parlamento ci era entrato una prima volta con il Pli per poi passare all’Udc e via nel Popolo delle Libertà e di lì nella Federazione delle Libertà non prima di un passaggio nel gruppo Misto, in Grandi autonomie e libertà (Gal), in Area popolare, ancora in Gal, poi coi fittiani, al Misto e di nuovo a Gal.
Se Compagna ha fatto scuola pure gli altri ci hanno dato dentro: solo nella XVII legislatura (2013-2018) si è registrato un record di cambi di casacca: 566 che hanno coinvolto ben 347 parlamentari, il 36,53% degli eletti. “Il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione” aveva suggerimento Gustavo Zagrebelsky, con una proposta legislativa diversa dal vincolo di mandato, in un’intervista al Fatto. Ovviamente inascoltato.
Perché l’andazzo prosegue da tempo: nella XVI legislatura (2008-2013) le giravolte sono state un po’ meno (261 per 180 parlamentari coinvolti) ma di un certo rilievo: come dimenticare la pattuglia dei “Responsabili” di Razzi e Scilipoti che impallinarono il governo di Romano Prodi favorendo il ritorno di B.? “Io sono un fan, dipendente, anche schiavo, ma sì, mettiamoci pure schiavo di Berlusconi” si giustificò Antonio Razzi nel frattempo rieletto grazie ai voti di Forza Italia.
Ma c’è chi ha fatto di più: 11 parlamentari hanno battuto ogni primato, cambiando maglia sia nella XVI che nella XVII legislatura. Come nel caso di Dorina Bianchi eletta nel 2008 con il Pd poi passata nel Popolo delle Libertà. Una volta ricandidata con Berlusconi lo aveva infine abbandonato per il Nuovo Centro destra di Angelino Alfano. Ma poi nell’elenco c’è pure Linda Lanzillotta che partendo dal Pd dopo un lunghissimo giro era tornata nella XVII legislatura alla casa madre come pure Alessandro Maran.
Ancora: Benedetto Della Vedova. Onora fedelmente il motto caro ai radicali “rendetevi irriconoscibili senza timore di fare scandalo”: ha alle spalle due legislature in cui ha infilato l’elezione con Berlusconi, il passaggio con Futuro e Libertà di Gianfranco Fini per poi aderire al partito di Mario Monti che ha lasciato per il gruppo Misto: ora è deputato di +Europa per il futuro chissà.
Bruno Tabacci era invece stato eletto con l’Udc, con cui si era candidato nella XVI legislatura, per poi fare un percorso che lo ha portato a concludere la legislatura successiva con il Centro democratico: ora è di nuovo in Parlamento con +Europa non immune dal virus della scissione: Tabacci ha annunciato il divorzio da Emma Bonino.
Non gli è da meno Paola Binetti oggi eletta per Forza Italia ma che, andando a ritroso, si era unita a Alfano dopo aver abbandonato Scelta Civica. E prima ancora era passata all’Udc dopo aver salutato il Pd. Scatenando le ire dell’allora Rottamatore dem Matteo Renzi che a un certo punto sbottò contro di lei e gli altri che avevano traslocato: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Appunto.

Il piacere dell’onestà - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Ottobre

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Questi giallo-rosa sono dei bei tipi. Hanno l’occasione storica di cambiare l’Italia con una manovra che non solo combatte per la prima volta l’evasione, ma rende pure conveniente pagare le tasse a chi non le paga, le taglia a chi le paga e manda in galera chi continua a non pagarle. Questo è il senso del “patto con gli onesti” lanciato da Conte a tutti gli italiani: agli onesti perché lo rimangano senza sentirsi i soliti fessi, pagando meno tasse; e ai disonesti che vogliono diventare onesti perché si mettano in regola a condizioni vantaggiose, prima che cali la mannaia giudiziaria.

Ma, anziché fare a pugni per intestarsi questa campagna, strapparsela di mano e metterci la faccia, i leader della maggioranza fanno a gara a prenderne le distanze, a lanciare ultimatum su Iva e manette, a fare gli schizzinosi. Renziani e pidini difendono le loro soglie d’impunità, che rendono impossibile arrestare (e pure scoprire, intercettare e processare) un evasore o un frodatore, anche se s’impegna allo spasimo per finire dentro. Il M5S, che pure ha l’ottima legge Bonafede bocciata da Salvini, insiste sui “grandi evasori”, come se i 110-150 miliardi all’anno di evasione non fossero la somma di operazioni di varia grandezza: quelle grandi verso i paradisi fiscali, quelle medio-piccole verso i materassi, le cassette di sicurezza, l’economia nera e i pagamenti in contanti. Perciò Conte vuole agire su più fronti con incentivi alle condotte virtuose e deterrenti a quelle viziose.

Il primo vizio è quello che fa dell’Italia l’ultimo paese Ue (persino dietro la Grecia) per pagamenti elettronici. Lo si combatte alzando un po’ l’Iva (dell’1-1,5%) a chi paga in contanti e abbassandola (sotto le soglie attuali) a chi paga con carta, previa garanzia di commissioni bancarie gratuite sotto una certa soglia. Chi non ha la carta di credito o il bancomat basterà che vada alle Poste, anche per la pensione, e chieda una prepagata a costo zero; o, se naviga online, usi una app ad hoc. Così l’Iva non aumenterà per nessuno, salvo per chi se la aumenta da solo ostinandosi a pagare in contanti.

La seconda mossa è quella delle detrazioni fiscali sulle prestazioni da lavoro autonomo, sia a chi le fa sia a chi le riceve: se posso detrarre dalle tasse i lavori dell’idraulico, dell’operaio o dell’elettricista e anche qualche cena al ristorante, avrò interesse a chiedere la fattura o la ricevuta al professionista, che ci guadagnerà anche lui; e, se rifiuta, rischierà non solo la galera, ma anche la concorrenza dei colleghi pronti ad accettare. Un politico degno di questo nome si vanterebbe con gli elettori di questa rivoluzione e rischierebbe persino di guadagnarci dei voti: cosa vogliono di più, questi giallo-rosa?

lunedì 30 settembre 2019

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 30 Settembre:

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Di Papi in figlio/1. “Posso dire che secondo me Berlusconi non voleva uccidere Maurizio Costanzo, o è lesa maestà?” (Matteo Renzi, deputato Italia Viva, 28.9). Deve averglielo detto Silvio, quindi è vero.

Di Papi in figlio /2. “Ho sognato che Berlusconi era mio padre” (Stefano Accorsi, attore protagonista di 1994, 19.9). Dev’essere un’epidemia.

Pisalvini/1. “Sulla giustizia il primo governo Conte è stato un incubo su prescrizione, durata dei processi, intercettazioni, criteri di nomina del Csm” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, Repubblica, 29.9). È quello che dicevano anche Salvini e la Bongiorno.

Pisalvini/2
. “Diritti, subito le leggi. Decreti sicurezza e cittadinanza ai nuovi italiani, i 5Stelle rompano con il passato” (Pisapia, ibidem). È quello che spera ardentemente anche Salvini.

Colpa di Virginia/1. “Rifiuti e degrado, il turismo frena. Per Natale occupato solo il 60% degli hotel: ‘Città senza eventi e poco accogliente’. ‘Topi, borseggiatori e abusivi’. Gli stranieri bocciano la Capitale” (Il Messaggero, 9.12.17). “Allarme Onu: troppi turisti. Roma tra le città a rischio” (Il Messaggero, 23.9.19). Se i turisti calano, è colpa della Raggi. Invece, se aumentano, è colpa della Raggi.

Colpa di Virginia/2. “L’alleanza impossibile tra il Pd e Raggi: ‘Ha rovinato Roma’” (Repubblica, 26.9). Giusto: aridatece Mafia Capitale.

Colpa di Virginia/3. “Spazzatura, degrado e topi: Parigi città più sporca d’Europa. Attacco alla sindaca socialista” (Libero, 24.9). Pure Parigi ha rovinato, ’sta Raggi.

Fake news di gruppo. “Prima delle elezioni Di Maio era stato mandato a fare un Governo esclusivamente da solo” (Luca Bottura, Repubblica, gruppo Gedi, 27.9). “Si immagini, Di Maio, un partito nel quale un capo politico si presenta alle elezioni dicendo mai alleanze” (Mattia Feltri, La Stampa, gruppo Gedi, 27.9). “Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40%, potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello alle altre forze politiche presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta” (Luigi Di Maio, capo M5S, prima delle elezioni, Circo Massimo, Radio Capital, gruppo Gedi, 18.12.2017). Ma quelli delle fake news non erano i 5Stelle e i nemici delle fake news quelli di Repubblica e Stampa?

L’oltrista/1. “Chi ha problemi va dallo psicologo o si iscrive ai 5Stelle. Di Maio è un falso big” (Gelsomina Vono, senatrice M5S passata a Italia Viva di Renzi, il Giornale, 27.9). Lei, quando si iscrisse e si candidò con i 5Stelle e fu eletta grazie al falso big, che problemi aveva, a parte la labirintite?

L’oltrista/2
. “Io sono oltre i partiti, oltre le ideologie, le casacche. Oltre le barriere… Oltre Salvini, oltre anche Di Maio” (Vono, il Fatto, 28.9). Ma soprattutto oltre la decenza.

Anti, cioè pro
. “Alzare le pene non serve a evitare l’evasione” (Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, il Fatto, 26.9). Giusto: per combattere davvero l’evasione, bisogna renderla obbligatoria e poi premiarla.

La pulce con la tosse. “… È necessario mobilitare tutte le energie. Quelle di chi non si rassegna a fare della nostra casa uno tra i tanti soggetti di un centro-sinistra ‘col trattino’. Quelle dei tanti che, come me, non sono ‘ex’ di nulla, per i quali il Pd è stato il primo e unico partito… Insieme a tutte queste persone, che con le loro idee e la loro energia hanno scelto, come me, di rimanere nel Pd, abbiamo ancora moltissimo da dire e da dare alla nostra comunità. Per farlo credo sia necessario dare vita a un primo nucleo di una nuova area politica, che si chiamerà ENERGIA DEMOCRATICA. Già nelle prossime settimane incontreremo in giro per i territori i tanti militanti e iscritti che mi hanno e ci hanno contattato chiedendo un riferimento e un confronto… Con loro lavoreremo per costruire una rete e formulare una proposta politica che spero – anzi, ne sono certa! – potrà essere utile a tutto il Partito Democratico in questo momento così cruciale” (Anna Ascani, sottosegretaria Pd all’Istruzione, Facebook, 29.9). Asca’, magna pure tranquilla.

Il titolo della settimana. “La P4 non c’era: imputati tutti assolti” (Luigi Bisignani, Libero, 27.9). A parte Alfonso Papa, appena miracolato dalla prescrizione in appello dopo la condanna a 4 anni e mezzo in primo grado, ci sarebbe un certo Luigi Bisignani, che al processo P4 ha patteggiato 1 anno e 7 mesi per 10 capi di imputazione, tra cui associazione per delinquere, favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione. Pensate: la P4 non esisteva, Bisignani era innocente, ma lui non lo sapeva.


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Riforma giustizia, Bonafede: “Prescrizione? Niente melina. Disposto a incontrare Renzi. E mi interessa il confronto con Pietro Grasso”. - Luca De Carolis

Riforma giustizia, ministro Bonafede: “Prescrizione: niente melina. Disposto a incontrare Renzi”

Alfonso Bonafede - Il Guardasigilli del M5S: “Col Pd partiamo da posizioni differenti, ma non accetto che si perda tempo sulla riforma della giustizia”.


Il ministro che è rimasto dov’era doveva ripartire da lì, dalla sua riforma della giustizia: “Uno dei motivi per cui Matteo Salvini ha fatto saltare il governo è stato quello di fermarla”.
Venerdì scorso, il Guardasigilli Alfonso Bonafede, numero due di fatto del M5S, si è ritrovato a Palazzo Chigi con un altro alleato di governo, il Pd, a misurare la distanza su prescrizione e riforma del Csm. Mentre quello rimasto fuori, Matteo Renzi, gli ricordava che dovranno comunque passare da lui per varare qualsiasi legge.
Uscendo da Palazzo Chigi, lei si era mostrato molto soddisfatto sull’incontro con i dem. Ma poi il Pd ha diffuso comunicati critici sulla sua riforma della prescrizione. Spiazzato?
B. - Non esiste alcun problema sulla prescrizione. Noi e il Pd partiamo da posizioni differenti sul tema, ma quelle sono norme già approvate, che entreranno in vigore a gennaio. Io e gli esponenti democratici siamo stati invece pienamente d’accordo sul varare una legge delega per una riforma che dimezzerà i tempi dei processi penali e civili.
Tanti dem hanno parlato contro la prescrizione: il problema esiste.
B. - Non capisco perché se ne continui a parlare. E comunque io non accetto che qualcuno possa fare melina sulla riforma per poi magari dire a dicembre che esiste un nodo sulla prescrizione. Lavoriamo per ridurre i tempi dei processi.
Conferma che la riforma verrà spacchettata in due leggi delega?
B. - Potrebbe accadere, per permettere al Parlamento di valutare tutto nel modo giusto. La riforma penale e del Csm e quella civile partirebbero in contemporanea in due rami differenti del Parlamento. Ma la priorità sarà approvare entro il 31 dicembre la riforma penale.
Prima della prescrizione, perché non si sa mai…
B. - Guardi, un fatto che nessuno ricorda mai è che i primi effetti processuali della riforma sulla prescrizione entreranno in vigore non prima di quattro anni. Con le nuove norme elimineremo un’isola di impunità, innanzitutto per i colletti bianchi, ed è doveroso nei confronti di persone come i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
La nuova prescrizione non piace neanche a Renzi. Non lo avete invitato al tavolo, ma con lui dovrete parlare.
B. - Intendo incontrare gli addetti ai lavori e tutte le forze di governo, prima che la riforma della giustizia arrivi in aula. Per esempio mi interessa molto confrontarmi con Pietro Grasso di LeU.
È disposto a incontrare anche Renzi?
B. - Certamente.
La riforma della prescrizione non convince neanche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini. Soprattutto, è assolutamente critico al sorteggio per i membri del Csm. E venerdì su questo le ha detto no anche il Pd.
B. - È suo diritto esprimere perplessità, ma il punto principale è che la riforma del Consiglio non è contro i magistrati, bensì contro le degenerazioni del correntismo. Io ho difeso le istituzioni e la magistratura quando è scoppiato lo scandalo del Csm, e dal vicepresidente mi aspetterei un atteggiamento positivo, perché è innegabile che ci siano cose da cambiare.
Sul sorteggio sono critici anche tanti addetti ai lavori. E, insisto, il Pd. Lei stesso ha parlato di “divergenze”.
B. - I democratici sollevano un problema di legittimità costituzionale del sorteggio. So che questo aspetto è stato posto da altri, e lo valuteremo assieme. Continuo a pensare che sia una misura giusta, ma l’essenziale è riformare il Csm, cancellando le porte girevoli tra politica e magistratura. È un pacchetto di norme molto ambizioso, e chi lo ostacola rischia di difendere un sistema malato.
Lei è in un governo di cui fa parte Luca Lotti, al centro del caso del Csm. Non è un problema politico che la pone a disagio?
B. - Non parlo di inchieste o di singoli elementi di altre forze politiche. Io valuto quello che mi arriva sul tavolo. Il Pd era consapevole del patto di governo sottoscritto con il M5S, dove tra i punti c’è anche l’esigenza di interrompere i rapporti tra politica e magistratura. I democratici non possono avere dubbi su questo. Anzi, la riforma della giustizia rappresenta un’occasione per eliminare qualsiasi tipo di equivoco sull’argomento.
Invece il Renzi che difende Berlusconi che equivoci genera? Ha detto che a Firenze lo hanno indagato senza prove. Grave, non pensa?
B. - Non mi interessa rispondere a un singolo senatore. Da quando sono ministro però ripeto che la politica deve rispettare la magistratura, a maggior ragione quando si tratta di magistrati che indagano su mafia e terrorismo, mettendo a rischio la propria vita per servire lo Stato.
Torniamo alla trattativa con il Pd. Lei ha bloccato la riforma delle intercettazioni del precedente ministro della Giustizia, quell’Andrea Orlando con cui ora deve trattare. Un problema in più?
B. - Ma no. Venerdì non abbiamo parlato di questo, ma ci confronteremo. Le intercettazioni sono uno strumento fondamentale per la lotta alla corruzione e alla criminalità. Vanno tutelati tutti gli interessi in gioco, a partire da quello alla privacy, e quella riforma pregiudicava per esempio il diritto alla difesa e la qualità delle registrazioni perché i magistrati venivano estromessi nella prima parte delle indagini.
Promettete da tempo il carcere per i grandi evasori. Darete corpo alle promesse, e come?
B. - Certamente, anche se dobbiamo ancora decidere lo strumento. Di certo verranno rideterminate le soglie di punibilità, abbassandole.
Manettari, diranno. E magari hanno ragione…
L’intenzione è colpire persone condannate in via definitiva.
Chi sbaglia deve pagare.