sabato 18 aprile 2020

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo. - Natascia Ronchetti

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo

Il governatore difende la delibera che chiedeva posti nelle case di riposo per i pazienti positivi: “Toccava a loro e alle Ast decidere”.
L’operazione scaricabarile sulla famosa delibera dell’8 marzo, con la quale la Regione Lombardia ha disposto il trasferimento dei pazienti Covid in via di miglioramento nella case di riposo, è iniziata. “La delibera è stata proposta dai nostri tecnici – ha detto ieri il presidente della Regione, Attilio Fontana –. I nostri esperti ci hanno riferito che a determinate condizioni, e cioè che esistessero dei reparti assolutamente isolati dal resto della struttura e addetti dedicati esclusivamente ai malati Covid, la cosa si poteva fare”.
I tecnici sono i dirigenti del settore Welfare della Regione, a partire da Luigi Cajazzo, direttore generale: e infatti la proposta di delibera è stata messa sul tavolo della giunta direttamente dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Poi c’è la questione relativa ai controlli, cioè alla verifica che effettivamente le Rsa che hanno aperto le porte ai malati Covid avessero i requisiti richiesti: tutto in capo alle aziende sanitarie – dice adesso Fontana –, vale a dire alle Ats. In Regione spiegano che il percorso è stato limpido, trasparente, regolare; che la delibera è arrivata, come sempre avviene, dopo una istruttoria tecnica: anche se con l’approvazione scatta contemporaneamente anche un’altra responsabilità, quella tutta politica. Ma tant’è.
Così, mentre procede l’indagine della magistratura, il cerino viene dato in mano ai cosiddetti tecnici, alle aziende sanitarie e, per ultime, alle stesse case di riposo. Sulle quali la Regione indaga con due sue commissioni: una sul Pio Albergo Trivulzio, l’altra sulle stesse Rsa. Alle aziende sanitarie è già stata chiesta una relazione, qualcuna l’ha già inoltrata. Lo hanno fatto quelle che hanno competenza sulle aree dove sono presenti le case di riposo che hanno effettivamente accolto pazienti Covid. Si sa, sono solo 15 su oltre 700 (dati diffusi dalla stessa Regione), delle quali sei nel Bergamasco, tre in provincia di Mantova, due nel Lodigiano, una in provincia di Brescia, una a Milano. Poi ci sono Sondrio, Pavia…
Proprio nel Bergamasco, una delle zone più colpite dal contagio, c’è chi ha aggiornato puntigliosamente i conti della mattanza dei nonni. È la Cgil. “Dal primo marzo alla prima metà di aprile, 1.326 decessi, il 24% del totale degli anziani ospiti”, dice il segretario provinciale Gianni Perecchi –. Abbiamo fatto una ricognizione noi, perché l’Ats di Bergamo i numeri non ce li fornisce”. E dire che fino a pochi giorni fa, ufficialmente, gli anziani morti erano meno della metà: 600. Perecchi è tra quelli che non ci stanno al gioco del rimpallo. Perché se è vero che le case di riposo sono strutture private, come sottolinea la Regione, è anche vero che operano su accreditamento, con un contratto di budget, condizione che le mette anche, inevitabilmente, in una posizione di subalternità. “La Regione ha una funzione di controllo, di sorveglianza e di supporto – prosegue Perecchi –. E ricordo che alle Rsa che a fine febbraio avevano chiuso agli accessi per prudenza, ordinò la riapertura, mandando degli ispettori attraverso l’Ats. Nella nostra provincia le case di riposo di pazienti Covid ne hanno accolti una settantina. L’operazione, voluta per alleggerire gli ospedali, non ha dimostrato nemmeno efficacia”.
Al gioco si sottraggono anche le associazioni delle Rsa, come Uneba, a cui ne fanno capo in Lombardia circa quattrocento: “Fino al 30 marzo la Protezione civile requisiva le mascherine destinate alle case di riposo – dice il presidente Luca Degani -, solo adesso che il dramma è esploso le cose sono cambiate. La verità che si doveva porre fin dall’inizio grande attenzione a queste strutture perché hanno in carico le persone più fragili”. È ancora Degani a ricordare che l’accreditamento da parte della Regione può essere sospeso o revocato. “È già successo”, dice. E quando questo avviene viene meno quel contributo pubblico, da parte del sistema sanitario regionale, che per ogni anziano oscilla tra i 29 e i 49 euro al giorno, a seconda delle patologie.
Questione non irrilevante, visto che sullo sfondo resta il tema del rimborso previsto dalla Regione come retta giornaliera per ogni paziente Covid degente: 150 euro, più del triplo della tariffa massima prevista. Quanto alle commissioni di indagine, tutte le associazioni hanno chiesto di essere ascoltate. “Una cosa è certa – dice Degani –. C’è stata difficoltà a cogliere il rilievo di luoghi di rischio come le nostre strutture”.

Carmelitani Descalzi Marco Travaglio

Indagini Eni-Congo: la signora Descalzi indagata per corruzione ...
Marie Madeleine Ingoba e Claudio Descalzi  

Il primo burrascoso vertice di maggioranza per le nomine nelle società partecipate (Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna, Mps, Enav ecc.) ha visto Pd e 5Stelle scontrarsi su un duplice casus belli: da un lato la pretesa del Pd di tenersi tutte le poltrone più importanti con la scusa che il Quirinale spinge per non cambiare nulla in nome della “continuità”; dall’altro la richiesta dei 5Stelle di rimpiazzare alcuni manager di peso in cambio della rinuncia alla loro battaglia contro l’imbarazzante amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. La pretesa del Pd è bizzarra: il partito di maggioranza relativa sono i 5Stelle che han vinto le elezioni del 2018, non il Pd che le ha perse; e la contrarietà del Quirinale a ogni cambiamento, se confermata, sarebbe un abuso di potere: la Costituzione non assegna al capo dello Stato alcuna voce in capitolo sulle partecipate, che invece spettano al premier e al governo. Ma altrettanto bizzarra è la posizione dei 5Stelle, che si sono rassegnati alla conferma degli Ad di quasi tutte le società più rilevanti, incluso l’imbarazzante Descalzi, ma a titolo di risarcimento per averlo “ingoiato” rivendicano un bel po’ di presidenze (con funzioni poco più che decorative).
A noi, come a tutti i cittadini, dell’etichetta partitica dei manager pubblici non importa nulla. Purché si tratti di persone capaci, oneste e al di sopra di ogni sospetto: cioè inattaccabili sul piano professionale, morale, deontologico e naturalmente penale. Per questo, da mesi, ci sgoliamo a spiegare perché Descalzi è del tutto incompatibile con la carica di Ad dell’Eni. E qualche miserabile verme annidato nei soliti giornalacci arriva a insinuare che la nostra battaglia di principio celi un nostro interesse per “piazzare” all’Eni questo o quel personaggio: prima si parlò dell’economista Luigi Zingales (ex consigliere indipendente di Eni e docente a Chicago), ora si parla di Lucia Calvosa, docente di Diritto commerciale, già consigliere indipendente di Mps, poi di Telecom e ora di Seif (la società del Fatto). Ovviamente, malgrado la stima che non solo noi nutriamo per Zingales e Calvosa, non ci occupiamo delle loro carriere professionali, anche se troviamo curioso che non vengano chiamati a discolparsi gli sponsor di manager inquisiti e imputati, ma noi perché abbiamo amministratori cristallini e incensurati. Da cittadini e giornalisti, però, siamo interessati a una seria bonifica di un gruppo strategico come l’Eni, da troppi anni in mano a personaggi che si dividono fra la politica energetica nazionale e i processi per presunte corruzioni e sicuri conflitti d’interessi.
Quindi, per i senza memoria, ripetiamo i cinque motivi che dovrebbero indurre Conte, Gualtieri, 5Stelle, Pd, Iv, Sinistra e (se è interessato) Mattarella ad accompagnare Descalzi alla porta.
1. Descalzi è imputato a Milano di corruzione internazionale per la più grande tangente della storia italiana (1,1 miliardi), pagata da Eni nel 2011 per ottenere un giacimento in Nigeria e finita sui conti di politici, mediatori, faccendieri, manager.
2. L’Eni è indagato anche per le accuse di Piero Amara, suo avvocato esterno, arrestato nel 2018. Amara racconta di aver ricevuto mandato e denaro dai vertici Eni per orchestrare nel 2015 un “complotto” per depistare le indagini milanesi sulle corruzioni Eni in Nigeria e in Algeria, salvando Descalzi dalle accuse. Non solo: nel marzo 2016 incontrò a Roma Claudio Granata (braccio destro di Descalzi) e l’ex manager Vincenzo Armanna per organizzare un depistaggio sul depistaggio: Armanna, in cambio di denaro, avrebbe dovuto ritrattare le accuse contro Descalzi e scaricare tutto su due manager licenziati.
3. Secondo Amara, la security Eni avrebbe dossierato, pedinato e intercettato Zingales, la Litvack, il giornalista Claudio Gatti (che indagava su Eni) e i pm milanesi De Pasquale, Spadaro e Storari.
4. L’Eni è sotto inchiesta a Milano anche per una corruzione internazionale in Congo: avrebbe girato quote dei suoi giacimenti alle società Aogc (legata al presidente Denis Sassou Nguesso) e Wnr (legata a “persone vicine a Eni e al suo management”). Anche quella, per la Procura, era una tangente per politici congolesi e manager italiani.
5. La moglie congolese di Descalzi, Marie Madeleine Ingoba, controllava – secondo i pm, tramite schermi esteri – 5 società denominate “Petro Service” che han prestato servizi all’Eni del marito in cambio di circa 300 milioni di dollari tra il 2007 e il 2018. La signora Descalzi controllò quelle società direttamente dal 2009 al 2014. Poi, l’8 aprile 2014, sei giorni prima che Renzi indicasse Descalzi come Ad Eni, la Ingoba vendette la lussemburghese Cardon Investments che controlla le 5 Petro Services ad Alexander Haly, ritenuto dai pm un socio-prestanome della coppia Descalzi-Ingoba. Di recente, in vista del rinnovo dei vertici Eni, è filtrata la notizia di una separazione dei due coniugi, evidentemente consci del loro mega-conflitto d’interessi. Che, a prescindere dal processo e dalle inchieste in corso, basta e avanza a sconsigliare la riconferma di Descalzi al comando del primo gruppo industriale italiano.
FQ 18 aprile

venerdì 17 aprile 2020

E alla fine Meloni ha ammesso di aver detto una fake news sul MES. - Leonardo Cecchi

meloni a

“Gualtieri ha dato l’ok….firmare è l’unica parola su cui abbiamo detto una cosa inesatta”.
È arrivata. Dopo una settimana in cui l'intera opposizione ha avvelenato il clima del Paese affermando che durante l'eurogruppo si sarebbe firmato il MES, ieri sera è arrivata la candida confessione di uno dei due capi dell'opposizione. A mezza bocca, Giorgia Meloni ammette di aver detto una cosa "inesatta. In altri termini, di aver detto una fake. Perché inesattezza significa dire una cosa a metà. Sbagliarsi, ma non troppo. Andarci vicino, quantomeno. Mentre, per una deputata ed un senatore (e rispettivamente ex ministri), che qualcosina su come funzionano trattati dovrebbero saperla, affermare che un eurogruppo in conference call avrebbe "firmato" il MES non è un'inesattezza: è una fake news. Perché lì sta la differenza: nella totale consapevolezza che quanto affermato fosse falso, giacché tecnicamente impossibile.
Il problema di questa confessione, invero, è che arriva dopo una settimana, come detto, di inferno. Di più: che arriva dopo una settimana di pesantissime accuse e di manovre (fortunatamente malriuscite) volte a screditare governo e Presidente del Consiglio. Presidente del Consiglio accusato di tradimento, di atteggiamento dittatoriale, di falsità. Tutto, badate bene, basato su quella che ieri Meloni ha galantemente classificato come "inesattezza". In altri termini: tutto ciò che è scaturito da quella inesattezza è stata propaganda di basso livello. Tutto. Tranne una cosa: il discorso di Conte. Che oggi, alla luce di questa confessione, assume il valore che per buona parte degli italiani ha sempre avuto: un momento per ristabilire la verità. Su cosa? Su quella firma, sul MES. Perché forti di questa dichiarazione della Meloni, ora non vi è più dubbio: Conte ha fatto bene. Anzi, benissimo. Perché forse per qualcuno non è ancora chiaro che mentire spudoratamente, diffondere falsità (o "cose inesatte", come le chiama qualcuno), non è confronto politico. Non è dialettica. È terrorismo. E il terrorismo, le Istituzioni, debbono combatterlo. A viso aperto, in pubblico. "Facendo nomi e cognomi". Perché sarebbe troppo comodo per chi ricorre a questi bassi mezzi scamparla così, coperti da una sorta di assurda - e del tutto impropria - "immunità della dialettica politica". Anche perché, come detto, in quell'episodio e in molti altri, di dialettica politica non c'è stata neanche l'ombra.
Chiarita dunque la vicenda, evidenziato, comprovato, assodato per tramite di una stessa pubblica confessione che l'intero impianto accusatorio di Meloni e Salvini si basasse su una fake new, attendiamo quindi qualcosa. Attendiamo tutti coloro che, il giorno dopo la diretta di Conte, si sono scagliati violentemente contro tutto e tutti. Tutti quelli che parlavano, appunto, di "dialettica politica", e quindi di colpo basso da parte del Premier.

Se quelle stanze potessero parlare: i misteri nel "Grand Hotel delle Palme" di Palermo. - Santi Gnoffo



È il luogo palermitano più denso di storia, intrighi e stranezze. Tanti i personaggi noti e meno noti che hanno lasciato al suo interno una traccia indelebile, tra misteri e misfatti.

È il luogo palermitano più denso di storia, misteri e stranezze. In principio fu la casa patrizia Ingham-Whitaker, costruita intorno al 1856. La dotarono anche di un sottopassaggio che percorrendo un tratto della via Roma la congiungeva alla chiesa Anglicana posta all’angolo della via Mariano Stabile.

Nella Sala Azzurra, c'è un grande specchio realizzato dagli Ingham che mimetizza il passaggio segreto che conduce alla vicina chiesa Anglicana. Nel 1857, fu acquistata dall’entomologo Enrico Ragusa che nel 1877 lo trasformò in un albergo di lusso. Fu denominato Grand Hotel et des Palmes perché costruito all'ombra di due grandi palme.

Tanti i personaggi noti e meno noti che hanno lasciato al suo interno una traccia indelebile, misteri e i misfatti si consumarono tra le stanze e nei saloni, alcuni mai svelati.

Il primo ospite importante fu Richard Wagner che alloggiò al primo piano nella suite 124 dal 5 novembre 1881 al primo febbraio 1882, accompagnato dalla seconda moglie Cosima Listz più un seguito di otto persone. Ormai sofferente, qui concluse la partitura di una delle sue opere migliori, il "Parsifal".
Narrano le cronache che il musicista, in contrasto con il cavaliere Enrico Ragusa lo apostrofò "l'unico brigante che conosco in Sicilia è l'albergatore Ragusa" e andò via senza saldare il conto.

Nelle sue sale, Francesco Crispi, eletto deputato nel 1882 a Palermo e divenuto in seguito presidente del Consiglio, impartiva lezioni di politica a chiunque desiderasse intraprendere la carriera politica. Il suo credo era "Non c'è buongoverno né malgoverno, ma solo il governo".

Altro illustre ospite fu Camilo Josè Enrique Rodò Pineyro, giornalista e filosofo uruguaiano, corrispondente in Europa della rivista argentina "Caras y Caretas". Giunse a Palermo, la mattina del 3 Aprile 1917 e vi rimase fino al giorno della sua morte, avvenuta nella mattinata del primo maggio 1917. Quando arrivò a Palermo, aveva 45 anni ed era già sofferente, il suo stato di salute abbastanza precario. Condusse una vita molto molta ritirata.
Nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio accusò una forte crisi, tanto da essere ricoverato d'urgenza all'ospedale "San Saverio" (oggi non più esistente), dove morì alle 10 del mattino. La diagnosi fu: tifo addominale e nefrite, tuttavia, secondo alcuni autorevoli esperti fu vittima di un avvelenamento graduale. Fu imbalsamato ed il suo corpo custodito dentro una speciale cassa al cimitero dei Rotoli fino al 1920, anno in cui fu rimpatriato e sepolto in Uruguay.

Altro personaggio bizzarro che vi alloggiò fu il barone Agostino La Lomia, originario di Canicattì, occupava stabilmente la stanza numero 124. Amava soggiornare in questo luogo, pur possedendo un magnifico palazzo che poi svendette per poche lire.
Amava scriversi lettere, le consegnava ad un garzone che dietro compenso che, ad una certa ora convenuta gli e la consegnava alla presenza degli altri clienti dell’albergo, gridando al alta voce il nome del barone e fare in modo che tutti vedessero l’avvenuta consegna. Tra le sue manie c’era anche il voyerismo: guardava dal buco della serratura una delle sue "signorine" a pagamento vestirsi e spogliarsi con i paramenti di un vescovo.

Tra queste mura accadde anche alcuni famosi lancio di sfida del guanto: quelli tra il conte Arrivabene e don Ignazio Florio, oppure quelli tra il conte Ernesto Perrier de La Conette ed il marchese Emanuele De Seta. Questi ultimi si sfidarono ben sette volte per difendere i loro intrighi d'amore.

Nella notte tra il 13 e il 14 Luglio 1933, nella stanza 224 che dava su via Ingham, fu trovato morto, disteso su un materasso poggiato a terra, lo scrittore surrealista francese Raymond Roussel. Secondo il personale dell’albergo, già nei giorni precedenti aveva tentato il suicidio. Si parlò, infatti, di suicidio per overdose di barbiturici ma il giornalista Mauro De Mauro, nel 1964, raccolse alcune testimonianze che misero in dubbio questo referto medico.
Ci provò anche Leonardo Sciascia sette anni più tardi, dopo aver esaminato il "dossier 6425", oggi misteriosamente scomparso ma neanche lo scrittore siciliano riuscì a scoprire la verità, pur sostenendo l’ipotesi che dietro la sua morte si nascondesse dell’altro. Anche lo scrittore Antonio Fiasconaro, scrisse un giallo poliziesco sul caso che presentò in anteprima nazionale proprio al Grand Hotel delle Palme il 6 Novembre 2013.

Quattro giorni dopo questa morte, nella stanza 242, fu rinvenuto il corpo agonizzante di una spia inglese, colpito a morte da un coltello conficcato nella schiena. Un altro bizzarro personaggio che qui soggiornò fu il barone Vincenzo Greco Militello. Il 22 Marzo del 1943, a partire dalle ore 14,25, Palermo fu martoriata dai bombardamenti aerei degli Alleati.
Il barone, a quell'ora com’era solito, stava placidamente schiacciando il pisolino pomeridiano quando uno di questi ordigni sfiorò l'albergo. Si narra che da quel giorno il barone, dopo aver visto la morte, cominciò ad apprezzare la vita trastullandosi e passando da una donna all'altra. Divenne un Casanova.

Il 22 Luglio 1943, con l’ingresso a Palermo degli Alleati, il tenente colonnello Charles Poletti, capo dell'Amgot (Organo militare Americano che amministrava i territori occupati) con il generale George Smith Patton, trasformarono il Grand Hotel nel loro quartiere generale.
Durante la loro permanenza nelle stanze dell'albergo trafugarono qualche opera d'arte che qui era custodita e la spinetta (pianoforte di piccola dimensione) su cui aveva suonato Wagner nel produrre il Parsifal.

In un documento della Dea (Agenzia federale antidroga Americana), dal titolo "Lucania Luciano, 12 gennaio 1947", si legge: "Lucky Luciano arrivò per la prima volta a Palermo, da Roma, il 19 aprile 1946. Tornò a Roma il 4 Maggio 1946. Il soggetto fece nuovamente ritorno a Palermo il 18 maggio 1946 in compagnia di un italoamericano, Gaetano Martino, un membro della guardia costiera della marina statunitense. Martino ripartì poco dopo e non è stato più visto. In albergo, Lucky Luciano, occupava una stanza in compagnia della sua amante Virginia Massa, intratteneva rapporti amichevoli con gli ufficiali americani ivi alloggiati con elementi della mafia siciliana e del Movimento separatista siciliano.

Da quel momento il Grand Hotel delle Palme divenne meta di uomini d'affari, politici, faccendieri, mafiosi. Il 12 ottobre 1956, all'interno dell'attuale Sala Azzurra, fu proprio Luciano che organizzò il primo summit mafioso al cui tavolo si ritrovarono boss siciliani con i colleghi italo-americani.


Tra gli anni Cinquanta e Sessanta le sale del Grand Hotel delle Palme furono testimoni delle intricate e oscure trame della politica culminate con la caduta del governo autonomista di Silvio Milazzo ed il diffondersi dello scandalo della compravendita di voti di fiducia.

In seguito, l’Hotel fu frequentato dal "bel mondo": Renato Guttuso, Fabrizio Clerici, Carla Fracci, Luchino Visconti e Burt Lancaster durante le riprese del Gattopardo, Fred Buscaglione, Maria Callas, Primo Carnera, Patty Pravo, il tenore Giuseppe Di Stefano, Giorgio De Chirico, Tino Buazzelli, Francis Ford Coppola, Al Pacino e Vittorio Gassman (che proprio lì visse i giorni antecedenti alla morte) lasciando, durante le loro visite, tracce nei ricordi del personale e della cronaca locale.

Il personaggio più enigmatico, fu per eccellenza il barone Giuseppe Di Stefano. Tanto e poco si sa della sua vita benché abbia qui abitato per quasi cinquant’anni. Fu il personaggio più misterioso… ma questa è un’altra storia.


https://www.balarm.it/news/se-quelle-stanze-potessero-parlare-i-misteri-nel-grand-hotel-delle-palme-di-palermo-117830

Coronavirus, tra marzo e aprile in Italia 20 per cento di decessi in più.



Rispetto al dato medio dello stesso periodo tra il 2015 e il 2019. A Bergamo morti quintuplicate:  in 39 capoluoghi del centro-nord +77% . 
Un "aumento dei morti pari o superiore al 20 per cento nel periodo 1 marzo- 4 aprile 2020 rispetto al dato medio dello stesso periodo degli anni 2015-2019" è stato rilevato dall'Istat in un aggiornamento dei dati "anticipatori parziali relativi a una lista di comuni che viene ampliata settimanalmente e che in alcun modo possono essere considerati un campione rappresentativo della intera popolazione italiana". Si tratta del maggiore incremento dei decessi riguarda gli uomini e le persone maggiori di 74 anni di età. Le differenze tra i generi sono particolarmente accentuate nei più anziani residenti al Nord, per gli uomini infatti si osserva un incremento dei decessi del 158% a fronte del 105% per le donne, nella classe di età 75 e più. (ANSA). terza diffusione di questi dati relativa ad una selezione di 1.689 Comuni.   A marzo decessi quintuplicati a Bergamo rispetto a 2015-2019 "Il consolidamento dei dati e l'estensione del periodo di osservazione mettono ulteriormente in evidenza la situazione particolarmente critica dei Comuni della provincia di Bergamo. Il capoluogo vede quintuplicare i decessi per il complesso delle cause per il mese di marzo e per i primi quattro giorni di aprile, passando da una media di 141 casi nel 2015-2019 a 729 nel 2020. Incrementi della stessa intensità, quando non superiori, interessano la maggior parte dei comuni della provincia bergamasca". Lo fa presente l'Istat in una nota sui decessi del 2020, con "informazioni utili alla comprensione della situazione legata all'emergenza sanitaria da Covid-19". "Situazioni particolarmente allarmanti - si legge ancora - si riscontrano anche nella provincia di Brescia, nel cui capoluogo i decessi per lo stesso periodo sono triplicati: da 212 nel 2015-2019 a 638 nel 2020. Va ancora rilevato come incrementi ben superiori al 200% siano presenti anche in capoluoghi come Piacenza (283%), Pesaro (246%) o Cremona (345%). Tra i Comuni verificati che entrano nella selezione per la prima volta, si segnala Bologna che presenta un incremento del 22% dei decessi dal primo marzo al 4 aprile, rispetto alla media dei decessi dello stesso periodo degli anni 2015-2019. Tale incremento si è consolidato proprio nell'ultima settimana (28 marzo - 4 aprile), in cui si sono registrati 135 decessi contro una media di 110 delle settimane precedenti". In 39 capoluoghi del centro-nord decessi a +77 per cento   L'Istat continua a fornire i dati sui decessi dal primo marzo al 4 aprile 2020 principalmente per i comuni del centronord, tra i piu' colpiti. Restano sconosciuti per l'Istat i dati di grandi città come Torino, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Ancona, Pescara, Bari, Palermo, Reggio Calabria, Cagliari. Questo è valso sia per i dati delle prime tre settimane di marzo, sia per quelli relativi al periodo 1-28 marzo, sia per quelli, diramati in queste ore, relativi ai decessi nel periodo 1 marzo-4 aprile 2020. La questione e' dirimente, anche perché, ad esempio, i dati forniti dal comune di Roma per la mortalita' del mese di marzo 2020 segnano appena un +1,17% rispetto all'analogo periodo del 2019.     Il dato, fornito oggi dall'Istat, riguarda complessivamente 1691 comuni su 7904. I 1691 comuni sono soprattutto del centronord, nelle aree piu' colpite. Nei 39 comuni capoluogo su 111, di cui l'Istat fornisce i dati, i decessi sono aumentati nel periodo 1 marzo-4 aprile del 77% rispetto all'analogo periodo del 2019.          Il comune capoluogo piu' colpito resta Bergamo, i cui morti passano da 151 a 729 (+382,8%). Seguono Piacenza da 121 a 495 (+309,1%), Cremona da 97 a 375 (+286,6%), Pesaro da 108 a 344 (+218,5%), Lodi da 52 a 188 (+261,5%), Brescia da 210 a 638 (+203,8%), Sanluri da 6 a 21 (+250%).     Peggiora il dato di Milano: nelle prime tre settimane di marzo era al +17,4%. Nelle prime 4 settimane i decessi sono aumentati a +41%. Nel periodo dal primo marzo al 4 aprile siamo a +49,3%. Peggiora anche il dato di Genova che passa da + 33,6% di marzo a +54,4% del periodo 1 marzo-4 aprile. Bologna, che compare per la prima volta nella tabella, e' a +22%. Il comune capoluogo del centronord, i cui dati dell'Istat sono disponibili, meno colpito e' Sondrio (+6,5%). A marzo il comune capoluogo del centronord meno colpito era La Spezia, la cui mortalità è pero' aumentata da +9,9% a +20% - 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/istat-morti-20-per-cento-in-piu-678b12aa-026e-4b4f-a224-33c6cc5cb8a0.html
Alla Lega di Salvini non frega nulla degli italiani che muoiono, vuole riaprire tutto ugualmente!
E vota contro i coronabond, facendoci perdere una buona occasione, perchè alla Lega di Salvini non interessa il nostro bene, interessa soltanto far cadere il governo per vendicarsi di Conte e prenderne possesso con i pieni poteri.
Spero che i suoi seguaci si rendano conto di quanto sia irresponsabile ed egoista e di quanto poco tenga al bene comune.
C.

Lega e FI votano contro gli eurobond in Ue, Pd e M5S divisi sul Mes.


L'aula dell'Europarlamento.

M5S Europa, ci asterremo al voto finale della risoluzione del Parlamento europeo.

CORONABOND - E' polemica a Bruxelles sul voto di Lega e Forza Italia al Parlamento europeo contro gli eurobond. L'emendamento dei Verdi sulla condivisione del debito tra i Paesi Ue alla risoluzione comune di Ppe, S&D, Renew Europe e Verdi, è stato respinto ieri con 326 voti contrari, 282 sì e 74 astensioni. Favorevoli Pd, M5s e Fratelli d'Italia, contrari la Lega e Forza Italia, mentre gli eurodeputati di Italia Viva si sono astenuti.
"L'ennesimo tradimento ai danni dell'Italia da parte della Lega e di Forza Italia è servito: in aula, al Parlamento Ue, hanno votato contro gli eurobond", scrive in una nota l'europarlamentare M5s e vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo. "Se avessero votato a favore, l'emendamento sarebbe stato approvato! Eccoli i signorotti ultranazionalisti e sovranisti: prima sventolano il tricolore in ogni selfie, poi quando il loro voto può salvare il Paese si allineano all'Olanda", attacca Castaldo. "Complimenti! Almeno adesso tutti gli italiani potranno conoscere il loro vero volto".
"Il voto di Lega e FI è stato determinate per bocciare l'emendamento dei Verdi su Coronabond. Hanno votato contro la condivisione del debito futuro degli Stati membri. La verità è che la destra italiana è contro qualsiasi iniziativa per salvare Italia e UE dal fallimento. Tutto qui", commenta su twitter Alessia Rotta, vicepresidente dei deputati del Pd a proposito del voto all'Europarlamento sui coronabond.
"Ieri al Parlamento europeo, la Lega delle chiacchiere ha votato contro un emendamento che chiedeva i Coronabond, fondamentali per coprire il debito dell'Italia, permettendo così la bocciatura dell'emendamento". Lo scrive su Facebook Nicola Fratoianni portavoce nazionale di Sinistra Italiana. "Vanno ciarlando di Italia occupando tutti gli spazi tv e i tg - prosegue l'esponente di Leu - ma poi fanno tutto il contrario e vanno a braccetto con i loro amici olandesi ed ungheresi e così via". "Traditori - conclude Fratoianni - della Patria".
'Si è scelto di votare contro gli interessi strategici del Paese. Senza pudore. Solo il disgusto è più forte dello sconcerto per tale condotta". Scrive su Fb la vicepresidente del Senato del M5S, Paola Taverna.
 "La risoluzione del Parlamento Europeo in vista del Consiglio del 23, voluta da Forza Italia, punta sulla mutualizzazione del debito a carico dell'Ue. Quindi ai Recovery bond. Lasciamo ai politicanti il gioco sugli emendamenti irrealizzabili", scrive su Twitter il vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani per spiegare il voto contrario di Fi all'emendamento sui Coronabond. 
MES- E sul voto in plenaria a favore dell'attivazione del Mes, contenuto nella risoluzione sull'azione coordinata dell'Ue contro il Covid-19, Pd e M5s si dividono al Parlamento Ue. Il Pd ha votato a favore del paragrafo 23 che invita i Paesi dell'eurozona ad attivare il Mes, mentre il M5s si è espresso contro. Contrarie anche Lega e Fratelli d'Italia. Hanno votato a favore Italia Viva e Forza Italia. Il paragrafo è passato con 523 sì, 145 contrari e 17 astensioni. La risoluzione nella sua interezza - depositata da Ppe, S&D, Renew Europe e Verdi - sarà votata oggi in plenaria.
La delegazione del M5S al Parlamento Ue annuncia che oggi si asterrà al voto finale sulla risoluzione in quanto "presenta tante luci ma anche troppe ombre. Ci saremmo aspettati un chiaro e forte riferimento ai Coronabond grazie ai quali l'Ue potrebbe finanziare la ripartenza economica una volta superata l'emergenza, ma per colpa dell'irresponsabilità di Lega e Fi l'emendamento che li inseriva nel testo è stato rigettato", precisa la nota. "Registriamo l'impegno a trovare strumenti nuovi per superare la crisi e ribadiamo la nostra contrarietà al Mes".
RECOVERY BOND - M5s al Pe vota no a Recovery Bond,'nel testo c'era pure Mes'. l M5s al Parlamento Ue ha votato contro l'introduzione di Recovery Bond garantiti dal bilancio Ue. La prima parte del paragrafo 17 della risoluzione - che invita la Commissione a proporre un massiccio pacchetto di investimenti per la ripresa da finanziarie con un bilancio pluriennale potenziato, i fondi e gli strumenti già esistenti e Recovery bond garantiti dal bilancio dell'Ue - è passata con 547 sì, 92 contrari e 44 astensioni. La Lega si è astenuta, ok da Forza Italia, Pd, Italia Viva e Fratelli d'Italia. "Qualche buontempone ha messo in giro la notizia che noi del M5S avremmo votato contro i 'recovery bond' o misure di condivisione del debito in Europa che stiamo chiedendo", afferma l'eurodeputato M5S Ignazio Corrao. "Partendo dal presupposto che si parla di emendamenti di una risoluzione, quindi più o meno del nulla cosmico, questi sono i documenti in discussione. Mentre la risoluzione si voterà oggi. Il paragrafo 17, come potete vedere, ha dentro Il Mes (ma anche l'accesso non spiegato al bilancio pluriennale, che può significare maggiore contribuzione netta degli Stati membri), per questo abbiamo votato contro", spiega.

Coronavirus – Milano-Venezia, fronte leghista per riaprire. Fontana: “Spalmiamo lavoro su 7 giorni”. Zaia: “Venerdì il piano”.

Coronavirus – Milano-Venezia, fronte leghista per riaprire. Fontana: “Spalmiamo lavoro su 7 giorni”. Zaia: “Venerdì il piano”

Il governatore lombardo chiede a Conte di riaprire, il veneto si accoda. Si apre un nuovo fronte con Roma. La sottosegretaria Zampa: “Dal primo giorno tutto un contraddire”. Gallera “disgustato da sciacallaggio politico”. Da Zingaretti a Di Maio: “Regole nazionali, basta furbizie.”
Fontana parte, Salvini benedice, Zaia rilancia. Più passano le ore e più la “via lombardo-veneta alla libertà” (per dirla con Fontana) assume i contorni di una strategia politica della Lega. Una fuga in avanti (bocciata sia dall’Oms che dall’epidemiologo Pierluigi Lopalco) che irrita la maggioranza, snobba, anticipa e di fatto depotenzia i suggerimenti che arriveranno dalla task force guidata da Vittorio Colao.
Il triangolo Fontana-Salvini-Zaia – Il disegno politico, del resto, si delinea mettendo i fatti in fila. Ieri il governatore lombardo, con tanto di lettera al governo, ha chiesto di riaprire le attività produttive dal 4 maggio. Come? Seguendo la rotta delle Quattro D (distanza, dispositivi, diagnosi e digitalizzazione) e ipotizzando di spalmare la settimana lavorativa non su cinque ma su sette giorni, “con orari di inizio diversi per evitare l’utilizzo eccessivo dei mezzi pubblici in determinate fasce”. Neanche il tempo di metabolizzare le critiche e il mezzo passo indietro di Fontana (che in serata aveva sottolineato che comunque le eventuali riaperture sarebbero state concordate col governo) ed ecco che in mattinata il leader del Carroccio ha benedetto la trovata del compagno di partito, facendo suo il messaggio e girandolo direttamente a Palazzo Chigi. “Il governo ne tenga conto”, ha detto Salvini. Ancora critiche, ancora veleni, ancora un rilancio, guarda caso proveniente da un altro governatore del CarroccioLuca Zaia, presidente del Veneto, ha preannunciato che anche lui domani presenterà a sua volta un piano per la ripartenza. “Noi abbiamo di fatto completato il nostro masterplan per la riapertura”, ha detto. “Abbiamo voluto scrivere delle regole che siano uguali per tutti e che siano una messa in sicurezza. Se ci sono ulteriori indicazioni, siamo qui per accoglierle”.
Il Friuli (leghista) a rimorchio – 
Se Lombardia e Veneto accelerano, da segnalare anche le parole del terzo governatore leghista, quello del Friuli Venezia Giulia. In giornata anche Massimiliano Fedriga ha annunciato che a breve presenterà un piano regionale per le riaperture da sottoporre all’esecutivo centrale: “Le Regioni non sono autonome nella riapertura e si devono muovere coordinate con il governo – ha detto – Nel frattempo, il Friuli sta lavorando a un piano”. Una posizione solo apparentemente più sfumata quella di Fedriga, il cui slogan è “ripresa presto e in sicurezza”, perché “tutela della salute e del lavoro vanno di pari passo”. La ricetta della regione sarà contenuta in alcune “linee guida, declinate per i diversi ambiti, con una task force – ha detto – In queste linee guida ci saranno i consigli utili per le imprese per riaprire in sicurezza“.

Milano attacca, Roma risponde – Il triangolo leghista è subito diventato l’ultimo fronte degli attriti tra Roma e Milano. “In sicurezza e quando la comunità scientifica ce lo dirà è auspicabile che le attività produttive riprendano ma dobbiamo farlo con attenzione per non trovarci come alcuni Stati all’estero che per la fretta di riaprire tutto hanno dovuto chiudere tutto” ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Più diretta la critica del Pd. “L’uscita dal lockdown deve avvenire, ma avvenga dentro tempi e regole nazionali da individuare in fretta senza furbizie. Ciò che accade a una Regione condiziona pesantemente ciò che accade su tutto il resto del Paese. Errare è umano, perseverare è diabolico”, ha risposto il segretario Pd Nicola Zingaretti, che però ha parlato prima dell’intervento di Luca Zaia, e ha denunciato il cambio di direzione sospetto della Lombardia. Solo sabato, del resto, Fontana ha emesso un’ordinanza nella quale imponeva misure più stringenti di quelle previste dal governo, come il no alla riapertura delle librerie. Le ultime 48 ore, del resto, in Regione sono state scandite dall’inchiesta sulle Rsacon il blitz dei finanzieri anche dentro il Pirellone.
Tanto che la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, lo dice in maniera neanche troppo velata: “Visto che dal primo giorno è stato tutto un disattendere e contraddire il governo, dobbiamo interrogarci se non sia una ragione politica quella che porta la Lombardia a prendere le distanze dal lockdown”. Senza giri di parole anche il sindaco di Milano, Beppe Sala: “La ripartenza il 4 maggio in Lombardia l’ha decisa la Regione o Salvini? Stanno passando dal terrore sul numero dei contagi di due giorni fa al liberi tutti. Un po’ più di equilibrio non guasterebbe”. Ancora più incendiario il capogruppo M5s alla Camera Crippa, secondo cui la mossa del Carroccio serve a “sviare l’attenzione dalle indagini della magistratura sulle rsa lombarde”. Il leader della Lega, come detto, guarda caso è stato tra i primi ad applaudire la nota con cui Fontana annunciava la “via lombarda alla libertà” e ancora mercoledì sera, ribadiva: “Chiedere la riapertura da parte della Lombardia è un grande segnale di concretezza e di speranza, spero che il governo ne tenga conto”.
Il (mezzo) passo indietro di Attilio Fontana – Nel frattempo, però, era arrivata la frenata di Fontana. Rispondendo al viceministro del Mise, Stefano Buffagni, che aveva ricordato come la Regione aveva sostenuto una linea “fortemente restrittiva”, il numero uno della Lombardia ha puntualizzato: “Le attività produttive sono di esclusiva competenza del governo centrale”. E dicendo di essere stato “male interpretato”, ha aggiunto: “Noi parliamo di una graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il governo. Credo che sia giusto anche iniziare a pensare come ci si dovrà attrezzare per convivere con questo virus. Non possiamo rimanere chiusi come in questo periodo”. “Io – ha aggiunto – sono stato la persona più prudente, ma bisogna iniziare a capire come cambiare la propria vita e trovare delle soluzioni”. Quelle vengono chieste da tutti, demandando comunque alla cabina di regia le decisioni su modalità e tempi.
Anche Sala, in un’intervista a Repubblica, si dice “non contrario a rimettere in moto l’economia” ma avverte: “Devono essere fornite le garanzie adeguate per chi andrà a lavorare. Quello del 4D è uno slogan senza contenuto”. Per tornare al lavoro in sicurezza, sottolinea il sindaco, occorre fare i test di immunità “e purtroppo in Lombardia siamo indietrissimo”, osserva. “Siccome a Milano non si fanno, ho rotto gli indugi e mi sono accordato con il Sacco per farli in autonomia, cominciamo con i 4mila del personale Atm che lavorano nei trasporti, poi vediamo”.
Gallera in difesa di Fontana: “Disgustato, sciacallaggio politico” – All’ondata di critiche, Fontana ha risposto con un post su Facebook: “Per giorni ci hanno raccontato, anche dal governo, che la Lombardia doveva fare di più e da sola – scrive – Ora, dopo che la Regione ha lanciato una proposta per riaprire le attività con attenzione e buonsenso, da Roma parlano addirittura di fughe in avanti”. “Non inseguiamo le polemiche – aggiunge – ma badiamo alla sostanza: molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro”. Meno diplomatico l’assessore al Welfare, Giulio Gallera: “Assisto disgustato a molteplici azioni di gigantesca deformazione della realtà e di sciacallaggio politico e mediatico. Il senno di poi è un gioco facile per chi è rimasto a guardare. Noi eravamo in trincea, e lo siamo ancora”.