martedì 6 ottobre 2020

Fiki, Grilli e Morri: il Movimento 5S dilaniato dalle tribù. - Andrea Scanzi

 















Il Risiko dei 5 Stelle si arricchisce ogni giorno di una nuova fazione. Ognuno ha la sua corrente, ognuno ha la sua ricetta. E la tensione, spesso oltremodo masochista, è arrivata al parossismo con lo scontro (l’ennesimo) di domenica tra Davide Casaleggio e i vertici M5S. Proviamo a tracciare l’identikit delle varie compagini.

I Fiki. È la corrente di Fico, ma pure di Patuanelli. Per certi versi più contiani di Conte, per loro il dialogo con il Pd e più in generale con un centrosinistra derenzizzato è sempre stato naturale. Ora più che mai. Al tempo (funesto) del governo con la Lega erano in minoranza, mentre ora è invece il contrario. Agli Stati Generali partono favoriti, ma i talebani – che stanno alla politica come Marattin ai capelloni – non mancheranno mai di insultarli.

I Crimiani. Compagine di difficile individuazione, né talebana né sinistrata, né duropurista né realmente dialogante. In via teorica ha la reggenza della leadership, ma la esercita col carisma delle betulle timide. Ancorati al “6 politico”, vantano la presenza – tra gli altri – di Crimi e Lombardi, il Duo Streaming del 2013 (che per fortuna negli anni è cresciuto). Navigano a vista, e l’unica cosa che si è capita è che non sopportano Casaleggio Jr.

I Dimaiani. Versione più diplomatica, ma anche più forte, delle due precedenti categorie. Sono molto più dialoganti (col centrosinistra) dei Crimiani, ma lo sono anche un po’ meno dei Fiki. Due nomi? Di Maio e Bonafede. Agli Stati Generali faranno squadra coi Fiki, coi quali in passato non sono mancati gli scontri, e cercheranno un dialogo sempre più costante – benché non “organico” – con il cosiddetto “campo progressista” (cit. Bersani).

I Grilli. Sono quelli che condividono le posizioni del garante Beppe Grillo. Il quale, soprattutto in questi mesi, dovrà far sentire parecchio il suo peso. La sua parola. La sua visione.

I Morri. Non amano Di Maio, ma neanche Di Battista (non fino in fondo). Non vogliono il leader, ma una segreteria (diversa però da come la vorrebbe Di Maio). Hanno sempre detestato Salvini, ma adesso – pur preferendo il Pd al Cazzaro Verde – nicchiano di fronte a un’alleanza col centrosinistra. E alle Regionali vogliono continuare a correre da soli, perché – immagino – è meglio perdere da puri che vincere con le mani non del tutto intonse. Il loro nome di punta è Morra. Minoritari, ma agguerriti. E preparati.

I Dibattisti. Si rifanno a Casaleggio padre (ma pure figlio). Credono che la Lega sia il Male (dopo averci governato con ben poco imbarazzo), ma che il Pd non sia certo meglio. Hanno per leader Di Battista, che di fronte a un accordo “organico” con Zingaretti & soci se ne andrebbe. Le loro posizioni sfociano spesso nel paragonismo (nel senso di Gianluigi Paragone). Da settimane stanno ricevendo il plauso di Repubblica, Domani e perfino Mario Lavia, ma loro – senz’altro in buona fede – sono davvero convinti di incarnare il futuro del M5S. E non invece il trapassato remoto.

I Lezzisti. Versione marginale, oltranzista e massimalista dei Dibattisti, con cui non di rado amoreggiano. Litigiosi, rancorosi, pallosi. Strategicamente sono capre ripetenti e non ne hanno indovinata mai mezza (Tap, Ilva, etc). Però urlano parecchio. E tutto sommato fanno arredo.

La speranza, mentre impazza questa immensa canizza da Asilo Mariuccia, è che nel frattempo il Paese non vada in malora. Buon Risiko a tutti!!

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/06/fiki-grilli-e-morri-il-movimento-5s-dilaniato-dalle-tribu/5955813/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-06

L'ora di matematica. - Massimo Erbetti

 













L'ora di matematica, oggi farò un piccolo esperimento di matematica, niente di complicato, state tranquilli e a dire il vero, non si tratta proprio di matematica, ma la matematica ci serve per capire tantissime cose. Con la matematica ci facciamo i conti ogni istante della nostra vita…e poi a me i numeri piacciono veramente tanto…i numeri, come ho già detto in altre occasioni, mi danno sicurezza…due più due, fa sempre quattro…e poi la matematica porta alla luce tante verità nascoste…
Allora...c'è contadino di nome Giuseppe, ha 300 galline, ogni gallina, gli depone 300 uova al mese…come dite? Una gallina al massimo fa un uovo al giorno per cui in un mese, non ne può fare più di 30? Si lo so, avete ragione, ma Giuseppe il contadino, ha delle galline straordinarie, galline eccezionali…che non fanno uova d'oro (?), ma ne depongono una quantità enorme: 10 al giorno…per cui, ricapitolando: 300 galline fanno ciascuna 300 uova al mese, per un totale di 90.000 uova ogni trenta giorni, che sommate per 12 mesi, fanno 1.080.000 ogni anno…un bel numero, non c'è che dire. Succede però che in base alle nuove norme che prevedono una riorganizzazione e un efficientamento dei pollai, emanate tramite una consultazione fra tutti i contadini della zona, Giuseppe sarà costretto a diminuire dal 2023 il numero delle galline del 36,5%. A Giuseppe questa nuova norma non è che piaccia molto, che c'entra, la capisce, la condivide anche e suo malgrado la accetta, ma gli affari sono affari…come farà a pagare gli stipendi dei suoi collaboratori? E gli addetti alla sicurezza del pollaio? Aveva investito tanto per evitare le intrusioni delle volpi…allarmi sonori, visivi, rete elettrificata…e poi c'è anche un altro fatto, sembrerebbe che le sue galline non siano più le più brave della zona, o meglio sono sempre le migliori, ma un suo concorrente molto scaltro, con un'ottima campagna pubblicitaria e con molte bugie, gli sta rubando molti clienti…morale della favola, Giuseppe ha paura che dal 2023, oltre a dover rinunciare al 36,5% di galline e di conseguenza il numero delle uova deposte, per le nuove normative, dovrà rinunciare ad una quota ancora maggiore…forse...il taglio della produzione arriverà al 50%. Giuseppe che oltre che ad essere un bravo contadino, ha anche un altro pregio sa fare bene i suoi conti, e allora cosa fa? Comincia a pensare e fare un po di calcoli:…metà galline…metà uova…metà incasso…
Quanto incasserà Giuseppe dal 2023?
Gli converrà tenersi il pollaio, o gli converrà disfarsene per avviare una nuova attività?
Oppure, altra soluzione: si metterà in affari con il contadino Giovanni che è bravissimo ad attirare nuovi clienti?
A volte le cose non sono come sembrano, a volte si dicono cose per farne arrivare altre, si parla a nuora, affinché suocera intenda…e forse a molti di voi la matematica non piace, forse vi sarete anche annoiati…ma non fermatevi alla prima impressione…valutate...meditate.. esaminate…ponderate…riflettete intensamente e non pensate alle galline…ma alle uova d'oro

https://www.facebook.com/photo?fbid=10218470789506662&set=a.2888902147289

Rispondendo a Morra


Come la penso io.

Non so nulla del post di Casaleggio, quindi non posso commentarlo, ma posso commentare le parole di Morra quando afferma:

“Se diventiamo partito, me ne vado anch’io”.

Non capisco, e mi rivolgo al Morra filosofo, questo voler dare ad un nome comune di cosa, e cioè alla parola "partito" un significato inesistente.

Un partito non è, forse, l'espressione di un'idea?
Quello che conta non è far parte di un movimento o di un partito, quello che conta è portare avanti le idee in cui si crede e renderle realtà, e questo si può fare anche in un partito.
Iniziare un progetto e abbandonarlo al primo intoppo è da temerari, la politica, quella seria e responsabile, necessita di persone coraggiose che combattono per portare a termine le proprie idee a prescindere dai problemi che si presentano durante il cammino.
La politica, quella buona, è sacrificio, è abnegazione e, purtroppo costa dirlo, ma è così, necessita di alleanze, necessita di discussione, necessita di rinunce, di concessioni, altrimenti non sarebbe più democrazia, pluralità.
Fare politica è come amministrare da buon padre il proprio nucleo famigliare, e un buon padre accondiscende, di tanto in tanto, accontentando le richieste dei suoi cari.

Cetta.

Lega, nuovo record: scoperte altre 100 operazioni sospette. - Davide Milosa

 

Milano - La Finanza lavora su nuovi documenti di Bankitalia: da Bossi a Salvini, 10 anni di flussi finanziari dei professionisti vicini al partito.

Flussi di denaro per milioni di euro e operazioni sospette. La Procura di Milano, nell’ambito dell’inchiesta sul caso Film Commission e sui commercialisti vicini alla Lega di Matteo Salvini, ora indaga su questo. L’accelerazione è arrivata anche dopo il vertice con i colleghi di Genova che stanno lavorando sulla scomparsa dei 49 milioni di rimborsi pubblici dalle casse partito. Da giorni la Guardia di finanza di Milano sta studiando cento segnalazioni per operazioni sospette (Sos), elaborate dall’Antiriciclaggio di Banca d’Italia, che riguardano gli uomini vicini alla Lega coinvolti o solo citati nel fascicolo milanese e in quello ligure.

I documenti raccontano gli ultimi dieci anni di flussi finanziari, a partire dal 2010, epoca in cui era operativa la vecchia Lega di Umberto Bossi e del tesoriere Francesco Belsito. Si tratta di documenti che non sono stati depositati e che non coincidono con le note dell’Antiriciclaggio di Banca d’Italia allegate agli atti del fascicolo. Insomma, materiale inedito allo studio della Finanza.

Vi rientrano così tutte le attività che nel tempo hanno riguardato i due commercialisti vicini alla Lega e cioè Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Tutte le società a loro collegate, anche quelle, emerge dagli atti, nelle quali risultano soci politici di rilievo del Carroccio, come il tesoriere Giulio Centemero e il senatore bresciano Stefano Borghesi. Nello specifico si tratta della Stp, società di commercialisti contabili, già oggetto di segnalazione, il cui capitale iniziale per quanto riguarda Centemero è arrivato in parte da denaro pubblico.

Sul tavolo anche le attività connesse agli imprenditori vicini alla Lega. Tra questi Francesco Barachetti, l’elettricista ed ex consigliere comunale di Casnigo vicino di casa di Di Rubba che ha ricevuto parte del denaro pubblico frutto della vendita dell’immobile di Cormano dalla società Andromeda di Scillieri alla fondazione Lombardia Film Commission (Lfc). Denaro che lo stesso Barachetti girerà a società riferibili al duo Di Rubba-Manzoni. Negli ultimi anni Barachetti, che ha un vecchio precedente per spaccio e che oggi è indagato per peculato nell’indagine sui presunti fondi neri della Lega, ha ricevuto dal partito lavori per oltre due milioni di euro. Sotto la lente vi sono poi le attività dell’imprenditore bergamasco Marzio Carrara che non risulta indagato. Allo studio della Finanza, come scritto dal Fatto, c’è un pacchetto societario acquistato a 5,5 milioni anche da Carrara e Di Rubba e rivenduto solo 4 mesi dopo a 29 milioni all’imprenditore bergamasco Mario Francesco Pozzoni (non indagato). Carrara negli anni è risultato tra i fornitori della Lega. Nuove segnalazioni riguardano il caso dell’associazione Maroni presidente e il presunto giro di fatture false riferito in parte al parlamentare leghista Fabio Boniardi (non indagato) titolare di una tipografia nel Milanese. L’associazione riguarda l’indagine genovese e 450mila euro usciti e rientrati nella casse della Lega. Unico indagato per riciclaggio, Stefano Bruno Galli, assessore regionale lombardo alla Cultura.

Una montagna di carte dalle quali quindi potrebbero uscire novità di rilievo. Non a caso, nello scambio di atti dalla procura di Genova a quella di Milano, vi sono i risultati delle perquisizioni disposte dai pm liguri nel 2018 a carico dei commercialisti bergamaschi. Nel cd, ora allo studio della Finanza, ci sono gli assetti societari dell’imprenditore bergamasco Angelo Lazzari, il cui nome è associato a sue società, una in Lussemburgo che, si legge in una Sos agli atti, hanno gestito “indirettamente” la società Taac riferibile a Di Rubba e Manzoni. In particolare Taac, risulta dall’analisi dell’Uif della Banca d’Italia, è stata controllata indirettamente dalla spa Prima fiduciaria “attraverso – si legge – l’interposizione di svariate imprese due delle quali riconducibili a Lazzari, ovvero la lussemburghese Ivad sarl e la Sevenbit Srl”.

Dalla lista dei nomi vicini alla nuova Lega di Salvini spunta anche quello del commercialista Michele Scillieri, arrestato settimane fa con Di Rubba e Manzoni. Su Scillieri che nelle intercettazioni spiegava di aver un “cassetto” da aprire pieno di notizie rilevanti, emerge un secondo dato importante. Dalle perquisizioni successive agli arresti di settembre a uno degli indagati, è stata trovata una pen-drive sulla quale è caricato il backup del computer di Scillieri. Un elemento che come per le cento sos promette sviluppi interessanti. L’inchiesta sui presunti fondi neri della Lega non si ferma.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/06/lega-nuovo-record-scoperte-altre-100-operazioni-sospette/5955791/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-06

Ascoltate gli elettori. - Marco Travaglio











Mentre i vertici grillini erano impegnatissimi a spararsi l’un l’altro, cioè sui piedi, infischiandosene dei ballottaggi di cui probabilmente ignoravano financo l’esistenza, gli elettori di Matera e Pomigliano d’Arco hanno eletto sindaci due 5Stelle. Il che ovviamente non risolve nessuno dei problemi pentastellati: l’emorragia di voti, la guerra per la leadership, la desertificazione sui territori, il caso Rousseau. Ma indica una strada che né Di Maio, convertitosi troppo tardi alle alleanze, né Di Battista, che ancora insegue velleitarie equidistanze e improbabili terzi poli, possono ignorare. Gli elettori hanno ripetuto ciò che avevano già detto alle Regionali: finché la destra sarà così impresentabile e il Pd non tornerà a somigliarle, la priorità è batterla. Meglio se con un candidato M5S, ma anche – turandosi il naso – con uno di centrosinistra. Sempreché non sia impresentabile come o peggio di quello di destra (tipo De Luca): nel qual caso va bene anche la “testimonianza” in una partita persa in partenza. Quindi le alleanze non sono obbligatorie, ma vanno tentate. Anche perché il Pd, sapendo di perdere senza i 5Stelle, è disposto a concedere molto. E lì si vede se restano un movimento o sono diventati un partito, se sono ancora il M5S o sono già l’Udeur.

Il problema non sono le poltrone, ma l’uso che se ne fa. Se per allearsi pretendono liste pulite, candidati eccellenti, cronoprogrammi vincolanti su ambiente, welfare e beni comuni, rimangono se stessi e gli elettori li premiano. Se mettono al primo posto le cadreghe, tradiscono la propria missione e vengono puniti. Di qui dovrebbero partire i loro fatidici stati generali: facendo parlare per primi Domenico Bennardi e Gianluca Del Mastro, nuovi sindaci di Matera e di Pomigliano. Il primo, 45 anni, si è laureato a Firenze in Scienze della formazione e specializzato in nuove tecnologie di restauro e beni culturali. Il secondo, 46 anni, è docente universitario di Papirologia, manager culturale e presidente delle Ville Vesuviane. Due esponenti della seconda generazione dei 5Stelle: quella che nel 2018 ha portato in Parlamento il gruppo col più alto tasso di laureati, lontanissima dalla leggenda nera degli scappati da casa incompetenti e terrapiattisti. Bennardi ha vinto da solo, strappando Matera alla destra coi voti del Pd escluso dal ballottaggio. Del Mastro – frutto del patto Di Maio-Zinga premiato pure a Caivano, Giugliano e Faenza – ha sottratto Pomigliano alla destra dopo 10 anni. Noi non li conosciamo, ma sospettiamo che abbiano priorità più concrete e contemporanee di tutte le pippe mentali su identità, terzo polo, alleanze, partito, movimento e Rousseau. Perchè non fare gli stati generali a Matera?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/06/ascoltate-gli-elettori/5955782/

lunedì 5 ottobre 2020

Nobel Medicina a scienziati per scoperta virus epatite C.

 

   Nobelel Medicina a Alter, Houghton e Rice.

Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2020 va a Harvey J. Alter, Michael Houghton e Charles M. Rice "per la scoperta del virus dell'epatite C". L'annuncio è stato dato come da tradizione dal Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, in diretta via Internet e social network. Il riconoscimento è salito a 10 milioni di corone svedesi, al cambio odierno circa 950mila euro.

I vincitori del premio 2020, due americani e un inglese, "hanno dato un contributo decisivo alla lotta contro l'epatite trasmessa attraverso il sangue - si legge nella motivazione dell'Assemblea dei Nobel - un grave problema di salute globale che causa cirrosi e cancro al fegato nelle persone di tutto il mondo".

In particolare, gli studi di Alter, Houghton e Rice hanno portato all'identificazione di un nuovo virus, il virus dell'epatite C (Hcv). Prima del loro lavoro, infatti, "la scoperta dei virus dell'epatite A e dell'epatite B era stata un passo avanti fondamentale, ma la maggior parte dei casi di epatite trasmessa per via ematica restava inspiegabile. La scoperta del virus dell'epatite C ha rivelato la causa dei rimanenti casi di epatite cronica e ha reso possibili test del sangue e nuovi farmaci che hanno salvato milioni di vite". Anche per merito di questi studi pionieristici, dunque, grazie ai nuovi super-farmaci, "per la prima volta nella storia il virus dell'epatite C ora può essere curato".

Alter, con le sue ricerche sull'epatite associata alle trasfusioni, ha dimostrato che un virus sconosciuto era una causa comune di epatite cronica. Houghton ha utilizzato una strategia inedita per isolare il genoma del nuovo virus, battezzato appunto virus dell'epatite C. Rice ha fornito le prove definitive che dimostrano che questo virus, da solo, può causare epatite.

L'epatite, ricordano gli esperti dell'Assemblea dei Nobel, è provocata principalmente da infezioni virali, benché anche altri fattori quali l'abuso di alcol, tossine ambientali o malattie autoimmunitarie possano rappresentare una causa importante. Negli anni '40 del secolo scorso divenne chiaro che esistevano due forme di epatite infettiva: la prima, denominata A, veicolata da cibo o acqua contaminati e con un impatto a lungo termine generalmente limitato in chi la contrae; la seconda, tramessa attraverso il sangue e i fluidi corporei, che costituisce invece una minaccia molto più seria perché può portare a una patologia cronica con lo sviluppo di cirrosi epatica e tumori al fegato.

Era dunque cruciale identificare il microrganismo responsabile dell'epatite trasmessa per via ematica: un'infezione silenziosa da oltre 1 milione di vittime all'anno nel pianeta, una minaccia globale paragonabile all'Hiv o alla tubercolosi. A compiere il primo passo fu Baruch Blumberg, che negli anni '60 scoprì come una delle forme di epatite trasmessa dal sangue fosse provocata da un virus che venne chiamato virus dell'epatite B. I suoi studi gli valsero il Nobel per la Medicina nel 1976 e fu proprio con Blumberg che Alter, allora giovane ricercatore, mise a segno alcune delle sue scoperte.

Rimaneva infatti un grande interrogativo al quale rispondere: capire quale fosse la causa di una quota preoccupante di epatiti croniche correlate a trasfusione, ma non collegate né al virus A né a quello B. A trovare la tessera mancante del puzzle furono Alter, Houghton e Rice, che riuscirono a dare un nome alle epatiti 'non A-non B', svelando appunto l'esistenza di un nuovo virus a Rna appartenente alla famiglia dei Flavivirus, che da solo poteva causare epatite e che spiegava le infezioni rimaste fino ad allora misteriose. Era l'Hcv, il virus dell'epatite C.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/10/05/nobel-per-medicina-scienziati-per-scoperta-virus-epatite_JpygNbnIHjjXLoy3TQ89eJ.html


Financial Times: Ernst & Young poteva fermare tre anni prima la frode di Wirecard. - Dan McCrum e Olaf Storbeck

 

Marzo 2017. Molto prima di diventare due dei manager più ricercati al mondo, il direttore operativo di Wirecard, Jan Marsalek, e un suo giovane dipendente del team finanziario, Edo Kurniawan, discutono preoccupati di India.

Succede che Ernst & Young, il revisore dei conti di Wirecard, ha avviato un accertamento su alcuni rami d’attività che l’azienda aveva acquisito nella città indiana di Chennai. L’indagine prende il nome in codice di “Project Ring”.

Nonostante EY avesse supervisionato i libri contabili di Wirecard per diversi anni senza mai riscontrare problemi, Project Ring viene gestita da un team di investigatori diverso dal solito, che agisce sulla base di una soffiata. Un anonimo informatore aveva segnalato, infatti, che i senior manager di Wirecard potevano aver commesso una frode e avevano tentato di corrompere un revisore.

Il Financial Time è entrato in possesso di uno scambio di messaggi inviati da Marsalek a Kurniawan (che quest’ultimo ha poi condiviso con un amico) in cui Marsalek parla di un avvertimento ricevuto da qualcuno di EY. “Uno staff junior ha detto al nostro staff in via ufficiosa che ci sono dei dubbi sulle fatturazioni del nostro software e che potrebbero negarci la conferma della revisione”.

Marsalek incarica così Kurniawan, che era a capo del team finanziario di Wirecard per l’Asia, di andare a parlare con il responsabile della revisione contabile della società in India il lunedì successivo: “Dovremmo affrontare la cosa come se credessimo che si tratti di un malinteso o di una qualche stranezza indiana”, consiglia Marsalek al suo dipendente.

Lo sforzo di sviare i sospetti non funziona. Infatti, come conferma la corrispondenza esaminata dal FT, dopo tre mesi di ritardi e sotterfugi da parte di Wirecard il team antifrode di Ernst & Young ingiunge alla società tedesca di consegnare una serie di dati e documenti entro della settimana.

È a questo punto che Marsalek invia la seguente e-mail a Kurniawan: “Ciao Edo, hai tutto sotto controllo? Sembra piuttosto preoccupante. Saluti, Jan”.

Ma se Project Ring poteva essere un’occasione per smascherare una frode contabile all’interno di una delle aziende tecnologiche allora più blasonate della Germania, tre anni prima del crack di Wirecard, alla fine si è rivelata un’occasione persa. Attraverso una serie di documenti interni, corrispondenze private e il testo di una revisione di conti effettuata dalla società rivale KPMG, il Financial Times ha potuto tracciare un quadro dettagliato dei grandi sforzi fatti dai dirigenti Wirecard per soffocare l’indagine e far sì che EY continuasse a garantire alla società un certificato di buona salute delle transazioni.

Ci sarebbero voluti ancora tre anni per smascherare l’enorme inganno di Wirecard, anni durante i quali l’azienda ha raccolto miliardi di euro di capitale fresco. Ernst & Young ora sta affrontando un’indagine da parte dell’organo di controllo dei revisori dei conti tedesco, Apas, oltre a varie cause intentate dagli investitori e la fuga di clienti del calibro di DWS, ramo di gestione patrimoniale della Deutsche Bank, o Commerzbank.

Inoltre, la revisione di Project Ring realizzata da KPMG quest’anno nell’ambito di un’ampia revisione speciale sulle attività di Wirecard prima del crack di giugno, ma non resa pubblica, afferma che l’accertamento forense avviato da EY India è stato interrotto prematuramente e ha lasciato senza risposta alcune domande cruciali.

“KPMG vede prove che si oppongono alla chiusura dell’audit speciale avviato con Project Ring e che avrebbero dovuto essere oggetto di un’indagine definitiva”, si legge nel rapporto. KPMG sottolinea inoltre che EY avrebbe dovuto incaricare una terza parte di indagare il presunto tentativo di corrompere un membro del suo staff, cosa che non è avvenuta.

Il mistero del fondo alle Mauritius.

Le accuse vagliate dal team antifrode dell’EY in India si concentrano su un’acquisizione di Wirecard annunciata nell’ottobre 2015L’azienda paga in quella data 340 milioni di euro a un’opaca società con sede alle Mauritius denominata Emerging Markets Investment Fund 1A (EMIF 1A), per l’acquisto di tre società di pagamenti indiane: Hermes i Tickets, GI Technology e Star Global.

All’epoca Wirecard non rende noto il ruolo di questo fondo offshore, ma si scopre che EMIF 1A ha acquistato le attività indiane per circa 50 milioni di euro solo poche settimane prima di venderle a Wirecard, intascando quindi enormi profitti dall’operazione.

Qualcuno all’interno di EY sente puzza di bruciato. A maggio 2016, un informatore anonimo di EY invia una lettera alla sede centrale tedesca dell’azienda a Stoccarda, affermando che “i senior manager di Wirecard Germania” detengono direttamente o indirettamente partecipazioni in EMIF 1A.

L’informatore accusa anche i dirigenti di Wirecard di aver gonfiato artificialmente il profitto operativo delle attività acquistate, il cui prezzo era legato alla redditività.

Il rapporto di KPMG riporta che l’unico manager nominato dall’informatore dell’EY si chiama Stephan von Erffa ed è vicedirettore finanziario di Wirecard in Germania. Il team antifronde di EY non lo interrogherà mai, e Wirecard rifiuterà di dare accesso alla sua posta elettronica, negando qualsiasi illecito.

In una mail vista dal FT e datata 23 marzo 2017 von Erffa dà visibilmente l’impressione di rispondere alle richieste di Project Ring cercando di evitare altre indagini: “Se cominciamo ora a verificare aree totalmente nuove non vedremo mai la fine. Pertanto ho chiesto al mio team di concentrarsi sulla revisione avviata da EY India e di non lavorare su questi nuovi compiti da voi richiesti”. (Un avvocato di von Erffa non ha risposto alla richiesta di commento inoltratagli dal FT).

Un viaggio lampo a Chennai.

Tra i destinatari di questa e-mail c’è Andreas Loetscher, il principale partner di Ernst & Young nelle operazioni di revisione contabile di Wirecard, che ora è responsabile contabilità di Deutsche Bank. Un mese dopo Wirecard riceve da EY il consueto nulla osta.

A dicembre Loetscher vola a Chennai per una visita di due giorni a Hermes, una delle aziende acquisite da Wirecard nel 2015. In seguito scrive a Edo Kurniawan per ringraziarlo della “preparazione, delle discussioni, delle spiegazioni e dello svago”.

Ma a gennaio 2018, mentre l’audit di gruppo di EY su Wirecard è in corso, il ruolo misterioso giocato dal fondo EMIF 1A delle Mauritius nell’affare indiano di Wirecard, e il prezzo molto basso che la società ha pagato per gli asset, entra nel radar dell’organizzazione no-profit Foundation for Financial Journalism. Di fronte alle accuse, Wirecard nega categoricamente di aver derubato gli azionisti e cita proprio le revisioni sempre positive firmate da EY.

Nel frattempo il team antifrode di Ernest & Young continua a nutrire sospetti. A marzo 2018 condivide infatti un aggiornamento di stato con il top management di Wirecard: “Alcune delle osservazioni potrebbero potenzialmente supportare l’ipotesi che le entrate selezionate abbiano avuto un impatto significativo sul margine operativo lordo, fruttando al venditore di Hermes maggiore earn-out nei pagamenti”.

Insabbiare Project Ring.

Meno di un mese dopo, però, i dirigenti di Wirecard riescono a mettere a tacere Project Ring.

Il 3 aprile, in una mail indirizzata al team antifrode di EY e inviata in copia anche a Loetscher, Marsalek scrive: “Prendiamo atto che l’accertamento e l’analisi delle accuse contenute nella ‘lettera di denuncia’ del maggio 2016 non hanno portato alla luce alcuna prova a sostegno delle accuse”. Aggiunge poi che un’indagine interna portata avanti parallelamente da Wirecard ha concluso che non esistono prove di cattiva condotta da parte di nessun dipendente della società.

“Riteniamo quindi che le accuse siano infondate e non condurremo ulteriori indagini”. Alla fine del messaggio il manager ringrazia EY per “le analisi sempre trasparenti e altamente professionali e la relativa reportistica”.

Una settimana dopo, i responsabili del team antifrode di EY rispondono alla mail segnalando una errata caratterizzazione del loro lavoro da parte di Marsalek. Al contrario di quanto scritto dal manager, sottolineano che l’analisi ha effettivamente individuato “transazioni commerciali e collegamenti” che potrebbero sostenere le accuse sollevate nella lettera di denuncia, ma non contestano esplicitamente le dichiarazioni del loro cliente.

Il giorno dopo, l’11 aprile del 2018, Loetscher e il suo collega Martin Dahmen firmano la nota di revisione dei bilanci di Wirecard del 2017. Loetscher ha rifiutato di commentare la vicenda al FT.

Delle accuse mosse dall’informatore e dello stesso Project Ring, nelle 42 pagine dell’audit di Ernst & Young sui bilanci 2017 consegnato al consiglio di sorveglianza di Wirecard non si trova che un breve accenno. Il rapporto, visionato dal FT, afferma che l’accertamento si è “concluso” senza “alcuna prova che indicasse una contabilità errata o altre violazioni della legge”. La stessa affermazione verrà ripetuta nella relazione di revisione di Ernest & Young sui bilanci del 2018.

Hansrudi Lenz, professore di contabilità all’Università di Würzburg, ravvisa il profilo di una falsa dichiarazione da parte dei revisori contabili di EY. “Se gli eventi si sono verificati come descritto, a mio parere, il trattamento (da parte di EY, ndr) della questione ‘Whistleblower indiano’ nelle relazioni di revisione dei conti per il 2017 e il 2018 è inadeguata”, ha dichiarato Lenz al Financial Times.

Chi fossero i beneficiari finali dell’EMIF 1A resta un mistero. Di fronte alle domande sul fondo, Wirecard si è sempre schermita indicando nomi di rispettabili consulenti esterni coinvolti nell’affare. Nomi come quello di Linklaters, uno studio legale britannico specializzato in offshore.

La vicenda continua ad avere ripercussioni anche dopo l’implosione di Wirecard. A luglio, per esempio, un giudice dell’Alta Corte del Regno Unito ha rigettato la richiesta di risarcimento per frode avviata da alcune parti civili contro Wirecard con la seguente motivazione: “Fondamentalmente EMIF è stata certificata da Linklaters. Uno studio legale rispettabile come questo avrà indagato sulla posizione dell’EMIF e si sarà ritenuta soddisfatta su questioni quali la proprietà effettiva della società, il rispetto delle leggi sul riciclaggio di denaro e sul finanziamento del terrorismo, e l’assenza di frodi fiscali o altri tipi di frode”.

Tuttavia, il rapporto di KPMG dimostra invece (valutando accuse più ampie di irregolarità contabile del 2019) che il team antifrode di EY aveva già avanzato il sospetto che lo stesso Marsalek avesse legami con il fondo delle Mauritius.

Mancavano però le prove concrete, e Marsalek, dal canto suo, di fronte al consiglio di vigilanza di Wirecard negava qualsiasi rapporto. Tuttavia, secondo quanto hanno riferito al FT diverse persone al corrente dei fatti, insoddisfatto della risposta del top manager, il consiglio di vigilanza aveva chiesto una conferma al suo consulente fiscale, volta a certificare che Marsalek non aveva mai ricevuto entrate dalle Mauritius. Le stesse fonti raccontano che il direttore operativo di Wirecard ha ignorato la richiesta per molti mesi.

Wanted.

Oggi Marsalek è ricercato dall’Interpol e la sua faccia è sui manifesti affissi in tutta la GermaniaKurniawan, che ha detto agli avvocati di Wirecard di aver sempre agito secondo le istruzioni ricevute dal direttore operativo di Wirecard (cioè da Marsalek), è stato avvistato per l’ultima volta a Dubai 18 mesi fa. Quanto a von Erffa, attualmente si trova in custodia con l’accusa di frode contabile, appropriazione indebita e manipolazione del mercato.

Ernst & Young ha fatto sapere al Financial Times questa settimana che “le problematiche relative a potenziali problemi di frode e corruzione in India” sono state sollevate da un dipendente che stava seguendo “protocolli standard”.

Lo studio di consulenza ha anche sottolineato che le accuse “sono state vagliate dall’azienda e dal team di revisione contabile e forense di EY Germania” e che le osservazioni sono state riferite a Wirecard. “Sulla base delle informazioni a nostra disposizione – continua la nota –, riteniamo che il personale di EY India e di altri paesi abbia seguito le procedure in modo professionale e in buona fede”.

Ernst & Young ricorda inoltre che la prassi standard del settore prevede che i revisori contabil siano selezionati tra “i migliori revisori locali, a cui viene fornito uno schema chiaro di procedure di audit” e conclude che la transazione indiana di Wirecard “è stata oggetto di un’ampia due diligence da parte di studi legali e società di contabilità internazionali”.

Fonte: FT.com

(foto ilFQ)

Traduzione di Riccardo Antoniucci

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