domenica 13 dicembre 2020

Il silenzio. - Massimo Erbetti

 

Sta accadendo qualcosa di straordinario, c'è un cambiamento in atto, una mutazione, una trasformazione, una metamorfosi…ma nessuno ne parla…perché? Il movimento sta cambiando, cambiano i vertici, non più un capo politico, ma un organo collegiale…silenzio.
Si alle sedi fisiche…silenzio.
Si ad un nuovo rapporto con la piattaforma…silenzio.
Si a corsi di formazione politica…silenzio.
Si alla partecipazioni alle elezioni provinciali…silenzio.
Si al riconoscimento degli attivisti e dei gruppi locali…silenzio.
Si a meccanismi di valorizzazione dei consiglieri comunali per le candidature regionali, politiche ed europee…silenzio.
Si a incontri regolari tra base e vertici…silenzio.
Si ad accordi con altre forze politiche prima e dopo le elezioni, sulla base di programmi e principi…silenzio.
Si ad una oggettiva valutazione di merito per le candidature…silenzio.
E poi recall…aiuti economici alle iniziative locali…ma solo silenzio…silenzio...silenzio e basta.
Come mai? Qualche trafiletto sui giornali, due righe qua e là e niente più.
Eppure il cambiamento è evidente e sostanziale, ci stiamo preparando ad affrontare i prossimi dieci anni. Ottomila persone hanno lavorato ininterrottamente per ore, giorni, settimane….ma c'è solo silenzio. Di chi è la volontà di non far passare la notizia? Perché non se ne deve parlare? Argomento troppo complesso? Troppo difficile da far capire? Oppure è meglio che non si sappia? Mentre gli altri puntano sempre di più sull'uomo/donna "forte", sul salvatore/salvatrice della patria, noi scegliamo un organo "collegiale"...non un volto, ma tante teste che si mettono insieme a pensare, trovare soluzioni…non un uomo/donna al comando…silenzio.
Largo alle competenze nelle candidature e non procacciatori di voti, come fanno gli altri…silenzio.
Entreremo nelle province, cosa importantissima, perché forse non lo sapete, ma le province hanno competenze importanti…scuola… ambiente...acqua...viabilità…silenzio.
Un nuovo rapporto con la piattaforma…"contratto di servizio"... "accordo"...cosa di poco conto? Assolutamente no…il "mezzo" sarà veramente un mezzo è non altro…silenzio.
È meglio parlare del nulla? Meglio non farlo sapere? O c'è dell'altro?
Non è che per caso "qualcuno" non vuole che si sappia? E se così fosse…come mai?
In mezzo a tutto questo silenzio, questo assordante silenzio…io vi pongo e mi pongo domande…parliamone…perche il silenzio a volte è d'oro…altre fa paura...

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Renzi: “Numeri per nuovo governo? Per me ci sono”. Boccia: “Chi minaccia crisi scollegato dal Paese”. E Salvini: “Voto? Dopo il Covid”.

 

Il presidente della Camera Fico: "Le condizioni per una nuova maggioranza non ci sono". Ma il leader d'Italia viva ipotizza una nuova maggioranza: "In Italia, il sistema prevede che il Presidente della Repubblica debba verificare se in Parlamento ci sono i numeri per formare un altro governo. E se si trovano, è fatta. Altrimenti si va al voto". Il ministro degli Affari regionali: "Io non trovo il tempo di discutere di cose così surreali". Il leader della Lega allontana le urne subito: "Improbabile andare a votare a febbraio o a marzo in piena campagna vaccinale". E sull'elezione del nuovo presidente della Repubblica dice: "La Lega darà un contributo fondamentale".

Matteo Renzi insiste. E per il sesto giorno consecutivo minaccia la sopravvivenza del governo di Giuseppe Conte se la discussione sulla gestione dei fondi del Recovery plan non verrà azzerata. “Il meccanismo di discussione delle regole istituzionali non può essere compensato con un piccolo accordo. Italia Viva è un piccolo partito, ma noi siamo decisivi per il governo. Se Conte vuole pieni poteri come aveva chiesto Salvini, io dico di no. E in quel caso ritireremo il sostegno al governo”, dice l’ex segretario del Pd in un’intervista alla Stampa. L’ennesimo intervento per agitare su Palazzo Chigi lo spettro della caduta. Cosa accadrà dopo? Si tornerà al voto con l’attuale legge elettorale, come ha detto ieri il vice segretario del Pd Andrea Orlando e come ha sostenuto oggi il presidente della Camera, Roberto Fico. Per Italia viva vorrebbe dire rischiare di non rientrare in Parlamento, visto che l’attuale legge elettorale fissa la soglia di sbarramento al 3%. Il Quirinale ha già fatto sapere che è propenso a indire nuove elezioni, avverte il giornalista della Stampa a Renzi. Che replica: “Guardi, il Quirinale in Italia non parla. Quelle sono fonti attribuite a chi vuole che dica una certa cosa. Ma in Italia, il sistema prevede che il Presidente della Repubblica debba verificare se in Parlamento ci sono i numeri per formare un altro governo. E se si trovano, è fatta. Altrimenti si va al voto”. Ma questi voti in Parlamento ci sono? “Penso di sì“, sostiene Renzi, prima di lanciare l’ennesimo mezzo ultimatum: “Ma prima di arrivare a questo, vorrei che il Presidente del Consiglio si tranquilizzasse e venisse in Parlamento per cambiare tutto”.

A che voti si riferisce l’ex presidente del consiglio? A che tipo di nuovo governo pensa per evitare il voto? Non si sa, visto che è pessimista sull’entrata al governo di Forza Italia: “Forza Italia è un partito europeista che fa capo al Partito popolare europeo e che deve chiarire isuoi rapporti con Salvini e Meloni. La destra italiana è divisa tra sovranisti e popolari. Ma i sovranisti, a differenza della Spagna, sono più numerosi. Non credo che Berlusconi romperà mai con Salvini”. Antonio Tajani, però, socchiude la porta a Conte: “Siamo pronti a sederci intorno al tavolo per i progetti per utilizzare i fondi europei. Serve fare la riforma del fisco, della burocrazia della giustizia e della sanità. Avevamo proposto una bicamerale per decidere i progetti migliori per l’Italia. Quando Conte ci chiamerà a sederci intorno ad un tavolo noi saremo pronti”dice il vicepresidente di Forza Italia, a Rai Parlamento.

A Renzi replica il ministro Francesco Boccia: “Chi parla di crisi, chi minaccia la crisi è scollegato completamente dalla vita reale del Paese. Io non trovo il tempo di discutere di cose così surreali. Ma se qualcuno in maggioranza ritiene che queste siano delle priorità rispetto all’emergenza sanitarie economia e sociale, ne sia conseguente e se assuma la responsabilità davanti agli elettori e agli italiani”. Chi invece è completamente contrario a nuove maggioranze e nuovi esecutivi è Roberto Fico. “Non è tempo di ricatti. Se cadesse questo esecutivo, l’unica strada possibile sarebbe il voto. Le condizioni per una nuova maggioranza non ci sono“, dice il presidente della Camera in un’intervista a Repubblica in cui commenta le parole di Renzi al Pais: “Sono convinto che si possa affrontare qualsiasi questione su qualsiasi struttura, ma trovo che in questo momento non sia consono, anzi che sia irresponsabile, ipotizzare una crisi di governo”. Il rimpasto “non è certo quel che serve”, dice Fico. “Ben venga invece un confronto tra le forze di maggioranza, che devono trovare una linea per andare avanti. Se c’è qualcosa che non va, bisogna dirselo e affrontarlo, ma con l’obiettivo di proseguire, in un momento molto difficile per il Paese”.

In questo quadro iniziano ad assumere un significato ben preciso le parole di Matteo Salvini. Certo il leader della Lega ha sempre chiesto e continua a chiedere “urne subito”. Ma a differenza di Giorgia Meloni ha un interesse concreto molto meno forte per le elezioni anticipate. E da Catania, dove è andato a presenziare al suo processo per il caso Gregoretti, lancia un messaggio in bottiglia in questo senso. Dopo aver messo le mani avanti definendo “l’attuale compagine di governo dannosa pere l’Italia ed assolutamente priva della capacità di rilanciare questo Paese”, dopo aver detto e ripetuto “prima si vota e meglio è”, aggiunge un distinguo: “Alle urne subito, ma usciti dal Covid“. Che vuol dire? “Ritengo evidentemente improbabile – ha detto il leader della Lega –andare a votare a febbraio o a marzo in piena campagna vaccinale. Prima si vota, meglio è, ma usciti dal Covid. Una volta superata la fase dell’emergenza sanitaria in Italia. Meno tempo lasciamo i destini del paese in mano ad Azzolina e Bonafede, meglio è”.

Problema: l’emergenza sanitaria non finirà prima della prossima primavera – estate. E a luglio comincia il semestre bianco: che si fa nel frattempo? “Non penso a governini o governetti. Certo, se ad accompagnare elezioni ci fosse una squadra più seria e competente dell’attuale, io da italiano ne sarei felice”. Una clamorosa apertura a un governo tecnico? Nì. Nel senso che all’indomani del gelo dell’alleata sovranista Meloni, sull’ipotesi del governo di transizione “per portare il paese a elezioni”, Salvini rivede parzialmente il tiro. E spiega che pensa comunque a un esecutivo “di centrodestra”, dentro cui magari portare “chi nel Parlamento si è rotto le scatole dell’attuale compagine a guida Conte”. Poi lascia aperto uno spiraglio per le politiche entro l’estate, che sembra poco più di una ipotesi fatta a tavolino: “A fine luglio inizia il semestre bianco, conto che da qui a luglio la situazione sanitaria sia più tranquilla e controllata di oggi e quindi mai dire mai. Non sto lavorando per dare spallate a nessuno ma per costruire e lo abbiamo dimostrato nelle ultime settimane”. Insomma, Salvini usa toni e frasi completamente opposti a quelle di Renzi. Ma se si trasferiscono i concetti espressi dal leader della Lega su un calendario appare evidente come le elezioni anticipate prima dell’inizio del semestre bianco ma dopo la fine dell’emergenza coronavirus siano altamente improbabili. Anche a seguire l’agenda di Salvini per tornare al voto bisognerà aspettare l’elezione del nuovo capo dello Stato. E a proposito del successore di Sergio Mattarella, Salvini aggiunge che “il prossimo il presidente della Repubblica, nuovo o vecchio che sia, dovrà essere il presidente di tutti e mi spiace che qualcuno del Pd e di Renzi parli del Quirinale come casa sua. La sua nomina avrà nel centrodestra e nella Lega il suo contributo fondamentale senza il quale non si andrà da nessuna parte”. Il leader della Lega aggiunge addirittura che “sul nome” ha un’idea. Quale? “Non ve la dico”, nicchia Salvini con i giornalisti. Chissà se a Renzi la direbbe.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/12/renzi-numeri-per-nuovo-governo-per-me-ci-sono-boccia-chi-minaccia-crisi-scollegato-dal-paese-e-salvini-voto-dopo-il-covid/6034876/



In pandemia, piagnistei ed ego dilatati. - Antonio Padellaro

 

“La nostra pandemia invece non finisce, ma perdura, fino a data da destinarsi, con un fastidioso piagnisteo”

Veronica Gentili, “Gli immutabili” La nave di Teseo.

Visto che siamo in guerra, come da quasi un anno ci rammentano gravemente i nostri cosiddetti leader (e i cosiddetti leader di tutto il mondo), magari li avremmo desiderati risoluti come Winston Churchill, che dopo i bombardamenti visitava le case colpite, e per tenere alto il morale del popolo saliva in cima a un tetto a recitare “Locksley Hall” di Alfred Tennyson, un poema ottocentesco che già intravedeva le stimmate della vittoria nel dominio dei cieli. Di gesti emozionanti, personalmente ricordo solo Papa Francesco sul sagrato deserto di piazza San Pietro, con il Vangelo di Marco: “Venuta la sera”. E (forse non solo personalmente) non dimentico il coraggio dimostrato dal premier del mio Paese, Giuseppe Conte, quando lo scorso 9 marzo proclamò il lockdown salvando molte vite e, immagino, con la morte nel cuore. Lo ringrazio. Per il resto (e la cosa ci riguarda tutti), anche questa volta, come osserva l’autrice, “abbiamo perso la nostra occasione per cambiare e siamo rimasti gli stessi di prima”. Anzi, siamo perfino peggiorati, ritornando al nostro tran tran con un sovrappiù di puerili capricci, piagnucolando e battendo i piedi per terra.

Frignano un po’ tutti, dall’allenatore ricoperto d’oro e buttato fuori dalla Champions, che non gradisce le domande da studio, all’ex leader decaduto, per terra, che pretende le scuse altrimenti si porta via il pallone. Senza contare le calde lacrime versate dalle Alpi al Lilibeo per le disumane privazioni natalizie, con la gnagnera sui cenoni distanziati, che turbano assai la destra sovranista (roba da fare rivoltare nella tomba il Capoccione che per forgiare gli italiani dichiarava le guerre). E come dimenticare la pandemia dell’ego dilatato? Virologi, presidenti di Regione, tuttologi un tanto al chilo, il cui contributo alla conoscenza (con rare eccezioni) Veronica – che è anche conduttrice di un popolare talk show serale – liquida con un epitaffio: “Se divulgata con sufficiente convinzione, un’opinione può tranquillamente avere la meglio su un fatto”. Amen.

È al termine del suo diario pubblico e privato che troviamo la citazione di T. S. Eliot: “Il mondo finisce in questo modo, non con il rumore di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo”. Che mi ricorda ciò che in altri tempi (ma con le medesime lagne), Alberto Moravia diceva a un discepolo un po’ troppo assillante: caro, tu ti arrampichi, ti arrampichi ma non lo vedi che è tutta pianura?

Antonio Padellaro

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/in-pandemia-piagnistei-ed-ego-dilatati/6035504/

Processo alle invenzioni. - Marco Travaglio

 

C’è solo un processo più inutile di quello di Catania a Salvini per il blocco della nave Gregoretti (scelta sciagurata e demagogica, ma difficilmente inquadrabile come sequestro di persona): quello a Virginia Raggi, che domani va a sentenza alla Corte d’appello di Roma. Chi se lo fosse dimenticato si armi di santa pazienza e mi segua in questa incredibile vicenda che farebbe la gioia di Kafka. A giugno del 2016, appena osa diventare sindaca di Roma, la Raggi viene investita da un uragano politico, mediatico e giudiziario mai visto contro una persona che non ha fatto nulla di male. L’uragano diventa tsunami quando la sindaca si azzarda a sottrarre la mangiatoia delle Olimpiadi ai soliti noti. Appena nata la giunta, viene indagata la sua assessora all’Ambiente Paola Muraro per presunti reati ambientali commessi in 14 anni di consulenze per l’Ama, saltate fuori nell’attimo esatto in cui accetta l’incarico dalla Raggi e archiviate appena si dimette. Poi viene arrestato il capo del Personale Raffaele Marra, ufficiale della Finanza pluridecorato da Fiamme Gialle e Quirinale, per fatti di quattro anni prima, nell’èra Alemanno. Infine viene indagata la Raggi, che una processione di avversari e/o manigoldi ha provveduto a tempestare con decine di denunce.

Tre indagini per abuso d’ufficio per le nomine del funzionario comunale Salvatore Romeo a capo-segreteria, della giudice Carla Raineri a capo-gabinetto e del dirigente dei Vigili Renato Marra (fratello di Raffaele) a capo-ufficio Turismo. Un’indagine per rivelazione di segreto per presunti dossier contro il rivale Marcello De Vito. E un’indagine per falso ideologico per una dichiarazione all’Anticorruzione comunale sul conflitto d’interessi di Raffaele Marra nella promozione del fratello. Alla fine la montagna partorisce il topolino: tutte le accuse archiviate, tranne quella di falso per aver detto all’Anac che Marra, nella nomina del fratello, ebbe un ruolo “di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali”. Tantopiù che il Regolamento comunale affida quelle nomine alla discrezionalità del sindaco. Infatti fu la Raggi, su input dell’assessore al Commercio Adriano Meloni, a decidere. L’accusa è un doppio paradosso: nel Paese dei conflitti d’interessi, l’unico politico imputato è la Raggi; una volta archiviata l’accusa di complicità nel conflitto d’interessi di Marra (contestato a lui solo), non si vede perché la sindaca avrebbe dovuto mentire per coprire un delitto che non aveva commesso. Insomma, un caso più unico che raro di reato senza prove né movente né dolo.

Il processo alle intenzioni finisce direttamente in tribunale, perché la sindaca sceglie il rito immediato. E lì si scopre ciò che si era sempre saputo: la nomina di Renato Marra non fu una promozione ad personam, ma era parte di un “interpello” per la rotazione di ben 190 dirigenti comunali; lì, per evitare sospetti di conflitti d’interessi, la Raggi respinse la candidatura di Renato a capo dei Vigili e optò per un ruolo di fascia inferiore; Raffaele fece pressioni per il fratello su Meloni e non sulla Raggi, anzi alle sue spalle; quando lei scoprì che la nomina comportava un forte aumento di stipendio, si lamentò in chat con lui per non averla avvertita; nessun elemento dimostra che la sindaca fosse informata delle sue pressioni. Infatti il Tribunale la assolve perché “il fatto non costituisce reato”. Motivo: “Nel complesso la risposta del Sindaco Raggi alla richiesta” dell’Anticorruzione “appare veritiera”: nessun falso. Fu solo imprecisa quando, con linguaggio avvocatesco, parlò di “istruttoria” in senso giudiziario e non amministrativo. Il buonsenso vorrebbe che la cosa finisse lì. Invece la Procura, crollate tutte le indagini sulla giunta, ricorre in appello con un atto di 31 pagine in cui non prova neppure a confutare nel merito le 316 pagine della sentenza, né porta elementi fattuali in grado di ribaltarle. Per giunta, i pm ripetono il movente-patacca già sostenuto invano in Tribunale: e cioè che la sindaca mentì per non essere indagata per il conflitto d’interessi di Marra, visto che all’epoca (2016) per il Codice etico dei 5Stelle bastava un avviso di garanzia per imporre le dimissioni di un loro sindaco. Peccato che sia falso: Pizzarotti, Nogarin e la stessa Raggi furono indagati nel 2016 e restarono al loro posto.
La Corte ha concesso ai pm di riascoltare due testimoni, che hanno confermato come la sindaca fosse ignara delle pressioni di Marra. Dunque, ancora una volta, l’assoluto deserto probatorio e anche il buonsenso suggeriscono un’assoluzione-bis. Ma tutto è possibile. E, in caso di condanna, il Codice etico dei 5Stelle vieterebbe alla Raggi di ricandidarsi sotto le loro bandiere. A meno che si decidessero a rimetter mano alle regole interne. L’obbligo di dimissioni è sacrosanto anche per un semplice avviso di garanzia (o anche senza) quando sia acclarata una condotta immorale e infamante che metta in serio dubbio l’onestà dell’eletto. Ma, se c’è di mezzo una posta nei bilanci comunali o un incidente di piazza (processi Appendino), o una frase controversa (processo Raggi), giustizia e politica devono viaggiare su binari separati. Confonderli significa condizionare i magistrati e condannarsi a combattere gli avversari con le mani legate dietro la schiena.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/processo-alle-invenzioni-2/6035479/

Il “sistema del 15%”. Ecco la prova che inchioda la lega. - Stefano Vergine

 

“Dovere morale”. Soldi al partito dai nominati.

Versamenti al partito in cambio di nomine pubbliche. Posti nei più importanti cda d’Italia, nelle direzioni di ospedali e aziende sanitarie locali, nei consigli di revisione contabile delle partecipate pubbliche. Poltrone assegnate in cambio della restituzione alla Lega di una parte dello stipendio. È il “sistema del 15%” – la quota da restituire al partito per i nominati –, un sistema scritto nero su bianco. Così il Carroccio avrebbe gestito il suo potere politico negli ultimi vent’anni, con un vero e proprio sistema di finanziamento per le casse del partito, stando a quanto emerge sia da documenti inediti (in parte pubblicati in queste pagine) sia da diverse testimonianze raccolte.

Il “sistema del 15%” il Fatto lo ha raccontato, nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, riportando quanto avrebbe detto il commercialista Michele Scillieri durante l’interrogatorio con i pm di Milano. Ma quello che ora siamo in grado di svelare è un meccanismo strutturato e ben collaudato, in vigore da anni. Tutto è raccontato nei dettagli da alcuni documenti contabili interni alla Lega e dalle testimonianze di tre ex leghisti che fino a pochi anni fa sedevano in posti cruciali dell’amministrazione del partito. I documenti inediti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde. Molti ancora in attività. Nomi e cifre: quelle che ognuno di loro versava alla Lega, il partito del Nord. Che, a dispetto delle intemerate d’origine contro il clientelismo romano, ha creato un sistema perfetto per controllare le nomine. Tutto fatto in modo trasparente, con bonifico bancario, così che la spesa sia anche detraibile fiscalmente. Un sistema perfetto, che si basa però su un presupposto molto scivoloso, come vedremo più avanti: la donazione deve essere spontanea.

Nero su bianco: la delibera del consiglio federale

Analizzare tutti i nomi è un lavoro lungo: questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che pubblicheremo nella prossima settimana. Di certo il sistema del 15% è stato istituzionalizzato, formalizzato in un Consiglio federale della Lega dell’autunno 2001. Lo dimostra un documento del partito, mai pubblicato finora, firmato dall’allora segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi. Il 23 ottobre del 2001 Salmoiraghi informa le varie sezioni della Lega che una settimana prima, in occasione del Consiglio federale (l’organo esecutivo della Lega), è stato deciso che sarà Giancarlo Giorgetti ad avere “l’incarico di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti”. Citando il verbale del Consiglio federale, Salmoiraghi aggiunge che secondo quanto deciso “è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del Movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15% di quanto introitato”.

Esattamente la stessa percentuale di cui ha parlato Scillieri ai magistrati di Milano pochi giorni fa. Il commercialista e socio d’affari dei contabili della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni – indagato insieme a loro per peculato nella vicenda della Lombardia Film Commission – ha messo a verbale di aver dovuto restituire al partito il 15% del suo compenso ottenuto come revisore contabile della stessa Lombardia Film Commission, un ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia. Ma la testimonianza di Scillieri, alla luce di questi documenti inediti, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

“Tutti sapevano. Eri nominato e poi aiutavi la Lega”

Che tutto sia andato così per molti anni lo conferma al Fatto Daniela Cantamessa, in Lega dagli albori, segretaria di Umberto Bossi fino all’arrivo di Roberto Maroni alla segreteria federale. “Lo sapevano tutti che funzionava così – racconta – era normale: tu eri nominato dalla Lega e poi aiutavi il partito. Io però non ero in amministrazione, non vedevo personalmente le donazioni”. Chi ha conosciuto bene la macchina contabile per qualche anno è Francesco Belsito, tesoriere dal 2007 al 2012, poi cacciato per lo scandalo degli investimenti in Tanzania e condannato in via definitiva per appropriazione indebita nell’ambito della vicenda dei 49 milioni. I saldi sui conti correnti dei partito Belsito li vedeva, e spiega al Fatto che “i manager nominati nelle partecipate di Stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti. Quelli che versavano sul conto della Lega Nord federale erano i nominati delle partecipate di Stato. I nominati nelle società locali versavano invece alle sezioni regionali. Per esempio, Regione Liguria nomina persone nella finanziaria di riferimento regionale, in quella del turismo: 7-8 partecipate in tutto. Quei pagamenti li seguiva il segretario regionale del partito. Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord”. Chi ha visto con i suoi occhi ogni singolo versamento, almeno in Lombardia, è una segretaria che ci ha chiesto l’anonimato. Ha lavorato nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni, e dice che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema funzionava così. “Tutti quelli nominati avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli si diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”. C’erano contratti scritti? “No, era su base volontaria, che però volontaria non era. Il discorso era semplice: ‘La Lega ti ha messo lì, e tu devi contribuire’”. Funziona ancora così nel partito guidato oggi da Salvini? Alle nostre domande, inviate ieri al segretario federale e al suo vice, Giorgetti, non è stata data per ora risposta.

1 – Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/il-sistema-del-15-ecco-la-prova-che-inchioda-la-lega/6035488/

sabato 12 dicembre 2020

Volpi in pellicceria, Ghino di Renzi e Matteo di tacco. - Antonio Padellaro

 

Non so perché (anzi lo so) ma quando mercoledì ascoltavo l’accaldato Matteo Renzi, rivolto a Giuseppe Conte, minacciare sfracelli mi veniva in mente una famosa frase di Bettino Craxi a proposito dell’astuto, astutissimo Giulio Andreotti. Ovvero che “prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria”. Certo, parliamo della lontana Prima Repubblica ma quello che andava in scena mercoledì sera nell’aula del Senato non sembrava forse uno sketch del Bagaglino? Di quelli, per intenderci, dove gli inarrivabili Pippo Franco e Oreste Lionello cucinavano la ribollita dei rimpasti, delle verifiche, dei doppi sensi sui gabinetti ministeriali, e altre simili prelibatezze, con la platea del Salone Margherita a sganasciarsi. Purtroppo, l’altra sera mancava Pamela Prati e non rideva nessuno. Dobbiamo ammettere però che la battutissima del senatore del Mugello sul perché propiziare la caduta del governo, con novecento morti al giorno, l’Italia in ginocchio e l’annunciata terza ondata del Covid, neppure Pingitore (o Dracula) l’avrebbe mai pensata. Perché (tenetevi forte) lui dice: “voglio salvare l’Italia”. A proposito di volpi e volpini qualcuno potrebbe obiettare che Renzi nel reparto delle pelli sartoriali c’era già finito dopo il catastrofico (per lui e i suoi cari) referendum costituzionale del 2016. Quando (insieme alla Boschi) aveva promesso, giurin giurello, che se sconfitto si sarebbe ritirato dalla politica.

Così non è stato e lui ha preferito costruirsi un partitino che ricorda quell’altra maschera che fu coniata, sempre a proposito di Craxi (corsi e ricorsi della politica). Chiamato da Eugenio Scalfari, Ghino di Tacco, come il trecentesco brigante di Radicofani che controllava l’accesso alla strada che da Firenze porta a Roma esigendo al passaggio un pesante tributo. Collocatosi proprio al confine tra la risicata maggioranza e l’opposizione, a Ghino di Renzi si dev’essere dilatato l’ego e adesso non si accontenta più “di qualche strapuntino”. Un altro paio di ministri? Di più, di più. Una bella fetta della torta del Recovery (per “salvare l’Italia”, beninteso)? Fuochino. Poi, non ha resistito e a Barbara Jerkov del Messaggero ha confidato il suo sogno nel cassetto: un governo con “un’ampia maggioranza parlamentare” per arrivare alle politiche del 2023. Magari con Matteo di Tacco premier? Mai dire mai. Siccome, in fondo, ci è simpatico vorremmo dargli, aggratis, due consigli non richiesti. A proposito di furbacchioni da Bagaglino, tenga d’occhio Matteo Salvini che si è subito fatto avanti scambiandosi con Conte un paio di messaggini dialoganti (come diceva Clémenceau: i cimiteri sono pieni di persone indispensabili). Infine, ci duole segnalargli il seguente titolo della Stampa (con puntuale cronaca di Fabio Martini) che la chiama in causa: “‘Stavolta sono tutti d’accordo con me’. Ma nessuno si fida di lui”. E qui non può mancare quell’altro proverbio che dice: quando la volpe predica, guardatevi, galline.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/12/volpi-in-pellicceria-ghino-di-renzi-e-matteo-di-tacco/6034728/

Vaccino anti Covid: quando arriverà in Italia, come prenotarsi e chi avrà le prime dosi. - Biagio Chiarello

 

Ci sarà una app per telefonini per prenotare e controllare le vaccinazioni e le prime dosi andranno al personale sanitario e agli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili anche con l’aiuto di medici in pensione e gli specializzandi. Ecco come avverrà la somministrazione di massa del vaccino anti Covid (gratuito e non obbligatorio).

Quando arriverà il vaccino Covid in Italia? Chi lo farà per primo? Quali sono le categorie privilegiate? Sarà obbligatorio? Le risposte degli addetti ai lavori non sono sempre concordanti, quindi è opportuno fare chiarezza. Il 29 dicembre dovrebbe comunque essere la data da cerchiare in rosso, come confermato anche dal commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri.

Quando arriverà il vaccino in Italia.

C'è attesa per l'okay definitivo dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco, per la distribuzione. Il "sì" finale dovrebbe arrivare, appunto, il 29 dicembre, il successivo "semaforo verde" della Commissione Europea è atteso per i primi di gennaio e poi si potrebbe partire con il piano vaccini del governo per portare le "202 milioni di dosi nel primo trimestre del 2021" annunciate dal ministro della Salute Roberto Speranza. "Noi siamo pronti per qualsiasi giorno dopo il 29 dicembre, e siamo contenti se sarà più prima che dopo" ha spiegato Arcuri. "Noi facciamo il tifo perché la vaccinazione possa partire lo stesso giorno in tutta Europa – ha aggiunto il commissario –  e confidiamo che questo accadrà e verrà reso ufficiale nei prossimi giorni".

Chi avrà le prime dosi del vaccino.

Sono quasi quasi 6,5 milioni gli italiani che rientrano nelle categorie ‘prioritari' da vaccinare:  1.404.037 operatori sanitari e socio sanitari, 570.287 personale e ospiti di Rsa, 4.442.048 anziani sopra gli 80 anni. Più nello specifico, le 3,4 milioni di dosi del vaccino della Pfizer (che necessitano di una catena del freddo estrema, tra i -20 e i -70 gradi) dovrebbero essere disponibili entro la fine di gennaio e saranno consegnate direttamente dall'azienda produttrice nei 300 siti indicati dal governo, ospedali e case di riposo, per la prima fase della campagna che riguarderà appunto il personale sanitario e gli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili.

Come prenotarsi.

Sarà realizzata una app per smartphone per prenotarsi e monitorare eventuali reazioni avverse con un sistema di farmacovigilanza. L’applicazione manderà l’avviso sulla data del richiamo. Arcuri ha parlato della piattaforma digitale per il vaccino: “Poste Italiane ed Eni ci stanno aiutando nell’implementazione di una app, è un sistema molto complesso nel quale ci saranno molte componenti: un call center, elementi di tracciabilità, riconoscibilità e possibilità di alimentare i sistemi informativi delle regioni e del ministero della salute nell’implementazione di una sorta di anagrafe dei vaccini uguale a quella che c’è per tutti i vaccini somministrati per la popolazione italiana”.

Chi eseguirà le vaccinazioni.

Il ministero della Salute ha ipotizzato servano 20 mila persone tra medici, infermieri, assistenti sanitari, operatori socio sanitari, personale amministrativo e anche specializzandi per la somministrazione del vaccino nella prima fase. C'è la possibilità che anche i medici in pensione possano dare un contributo per sgravare il personale degli enti locali, oltre che gli specializzandi e le farmacie.

Dove si farà il vaccino.

L'hub di stoccaggio nazionale, come ha già spiegato Arcuri, sarà all'aeroporto militare di Pratica di Mare, un sito protetto dove transiteranno tutte le 202 milioni di dosi previste in arrivo in Italia da gennaio al primo trimestre del 2022. Da lì arriverà in almeno 300 centri ospedalieri per poi giungere a destinazione, ad esempio nelle Rsa. In una seconda fase il vaccino sarà presente in 1500 punti di somministrazione e le unità mobili lo faranno arrivare direttamente a casa delle persone anziane o con problemi di salute impossibilitate a muoversi.

Gratuito e non obbligatorio.

Il vaccino contro il coronavirus sarà su base volontaria e gratuito per tutti, come ha confermato il Ministro della Salute Roberto Speranza.

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