Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 28 settembre 2009
La storia di Flavio Briatore.
di Gianni Barbacetto
Ora è fuori dalla Formula 1, Flavio Briatore, dopo essere stato accusato di aver pianificato l’incidente volontario di Nelson Piquet jr, che il 28 settembre 2008 a Singapore ha fatto vincere la Renault di Fernando Alonso e ha soffiato il titolo alla Ferrari. Ma il personaggio ci ha abituato a repentine cadute e a rapide resurrezioni. Briatore ha una storia piena di sorprese, che parte dall’autobomba che nel 1979 uccide il suo primo datore di lavoro, il finanziere di Cuneo Attilio Dutto, e arriva fino ai rapporti con Marcello Dell’Utri. Nel 2007 è stato interrogato a Palermo dal pubblico ministero Antonio Ingroia, nell’ambito di una indagine sul riciclaggio internazionale: «Ho conosciuto alcuni esponenti delle famiglie Gambino e Genovese, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta», ha ammesso Briatore. «Ricordo di averli conosciuti in occasione di un concerto tenuto da Iva Zanicchi e Riccardo Fogli a Brooklyn, erano loro che avevano organizzato questa manifestazione, ma con costoro non ho mai avuto rapporti di nessun tipo». Ecco i passaggi cruciali della sua vita da Formula 1, tratti dal libro “Campioni d’Italia” (G. ?Barbacetto, Tropea editore).
Partenza in salita. Giovanotto, a Cuneo lo ricordano un po’ playboy, un po’ gigolo. Il nomignolo che gli sibilano alle spalle, quando passa sotto i portici di corso Nizza, è Tribüla: in Piemonte si dice di uno che fa fatica, che si arrabatta. Ma Flavio Briatore ha fretta di arrivare. Gli sembra di aver fatto un bel salto quando diventa l’assistente di Attilio Dutto, che tra l’altro aveva rilevato la Paramatti Vernici, una ex azienda di Michele Sindona. Ma alle 8 di un mattino fine anni Settanta, Dutto salta in aria insieme alla sua auto: gran finale libanese per un piccolo uomo d’affari cuneese. La verità su quel botto del 1979 non si è mai saputa; in compenso sono fiorite leggende di provincia, secondo cui a far saltare in aria il finanziere sarebbe stato la mafia.
Di certo c’è solo che il Tribüla, dopo quel fuoco d’artificio, sparisce da Cuneo. Ricompare a Milano. Casa in piazza Tricolore, molta ricchezza esibita, occupazione incerta. Si dà arie da finanziere. Riesce a convincere il conte Achille Caproni a rilevare la Paramatti e ad affidargli la gestione della Cgi, la holding dei conti Caproni. Risultati disastrosi: la Paramatti naufraga nel crac; la Cgi lascia un buco di 14 miliardi. Briatore, però, non se ne preoccupa: per un certo periodo si presenta in pubblico come discografico, gira per feste e salotti con una cantante al seguito: Iva Zanicchi.
Milano da bere. Il Tribüla continua faticosamente a inseguire il colpo grosso, a sognare il grande affare. Nell’attesa, trova una compagnia da Amici miei con cui tira scherzi birboni ai polli di turno, spennati al tavolo verde. Cadono nella rete, tra gli altri, l’imprenditore Teofilo Sanson, quello dei gelati, il cantante Pupo, l’ex presidente della Confagricoltura Giandomenico Serra (che perde un miliardo tondo tondo, in buona parte in assegni intestati a Emilio Fede). Un gruppo di malavitosi di rango, eredi del boss Francis Turatello, aveva pianificato una truffa alla grande e Briatore era a capo di quello che i giudici chiamano “il gruppo di Milano”. Il gioco s’interrompe con una retata, una serie d’arresti, un’inchiesta giudiziaria e un paio di processi. Fede è assolto per insufficienza di prove, Briatore è condannato in primo grado a un anno e sei mesi a Bergamo, a tre anni a Milano. Ma non si fa un solo giorno di carcere, perché scappa per tempo a Saint Thomas, nelle isole Vergini, e poi una bella amnistia all’italiana cancella ogni peccato. Cancella anche dalla memoria un numero di telefono di New York (212-833337) segnato nell’agenda di Briatore accanto al nome “Genovese” e riportato negli atti giudiziari del processo per le bische: «È un numero intestato alla ditta G&G Concrete Corporation di John Gambino. Tanto il Gambino quanto il Genovese sono schedati dagli uffici di polizia americana quali esponenti di rilievo nell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra».
Generali in giro. Nei primi anni Ottanta, il Tribüla entra anche nella vicenda complicata di un pacchetto di oltre 330 miliardi di azioni delle Generali. Protagonisti: Mazed Rashad Pharson, sceicco arabo, e Florio Fiorini, padrone della Sasea ed ex manager Eni. Il pacchetto di Generali passa di mano per sette anni, prima di tornare in Italia, perché diventa la garanzia di opache transazioni internazionali: di petrolio tra la Libia e l’Eni, di armi ed elicotteri da guerra che dopo qualche triangolazione finiscono a Gheddafi malgrado l’embargo. La vicenda è rimasta oscura. Certo è che, nel suo giro del mondo, il superpacchetto di Generali è passato anche per una sconosciuta fiduciaria milanese, la Finclaus, fondata nel 1978 da Luigi Clausetti, ma per qualche tempo nelle mani di Flavio Briatore.
Donne e motori. Dopo l’“incidente” delle bische, Flavio, ricercato, condannato e latitante, proprio alle isole Vergini spicca il volo definitivo verso il successo. Prima della tempesta, ai bei tempi della casa di piazza Tricolore, aveva conosciuto Luciano Benetton. A presentarglielo era stato Romano Luzi, maestro di tennis di Silvio Berlusconi e poi suo fabbricante di fondi neri. Briatore apre alle isole Vergini qualche negozio Benetton, ma fa rapidamente carriera. Come venditore è bravo, la sua specialità sono però gli affari off shore. E che cosa c’è di più off shore della Formula 1? All’inizio degli anni Novanta prende in mano la scuderia Benetton, nata sulle ceneri della Toleman. «La Formula 1 non è uno sport, è un business», ripete il Tribüla ormai arrivato al successo. Da questo business (off shore per definizione, fuori da ogni regola e da ogni trasparenza) sa spremere miliardi. E anche successi sportivi: nel 1994 e nel 1995, con Michael Schumacher come pilota, vince il titolo mondiale. A Londra, dove prende casa, Flavio diventa amico di Bernie Eccleston, il re della Formula 1, ma anche di David Mills, l’avvocato londinese specialista nella costruzione di sistemi finanziari internazionali “riservati”, che ha lavorato per Berlusconi, ma anche per la Benetton.
Stinchi di santo. Negli anni Novanta, Briatore finisce dritto in una megainchiesta antimafia dei magistrati di Catania. Niente di penalmente rilevante, intendiamoci; ma la sua voce resta registrata in conversazioni con personaggi come Felice Cultrera, uomo d’affari catanese ritenuto all’epoca vicino al boss di Cosa Nostra Nitto Santapaola. Nel maggio 1992, Cultrera si offre come mediatore di un contrasto nella fornitura di motori che era scoppiato tra Briatore e Cipriani jr (il figlio di Arrigo, quello dell’Harris Bar), che diceva di avere alle spalle boss come Angelo Bonanno, Tommaso Spadaro, Tanino Corallo. Pochi mesi dopo, il 10 febbraio 1993, una bomba esplode (è la seconda, nella vita di Briatore) davanti alla porta della sua splendida casa londinese in Cadogan Place, distruggendo una colonna del porticato, sporcando di calcinacci i libri finti della libreria e facendo saltare i vetri tutt’attorno. Ma i giornali inglesi scrivono che Flavio non c’entra: è solo una “piccola bomba” dell’Ira.
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578
Il Fatto Quotidiano - pag 1 del n. 5 anno 1.
Primarie dei cittadini 2.0: Economia
Il 4 ottobre 2009 nascerà un Movimento di persone, in cui ogni persona avrà un peso, senza capibastone, mandamenti, sezioni, strutture provinciali, regionali, tessere, correnti. Sarà presentato il programma del Movimento in 7 punti: Energia, Salute,Trasporti, Economia, Informazione, Istruzione e Stato e cittadini. Oggi pubblico la proposta per l'Economia per ricevere i vostri contributi.
ECONOMIA
- introduzione della class action
- abolizione delle scatole cinesi in Borsa
- abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate
- introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate
- abolizione della legge Biagi
- impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno
- vietare gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale
- introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite
- impedire ai consiglieri di amministrazione di ricoprire alcuna altra carica nella stessa società se questa si è resa responsabile di gravi reati
- impedire l’acquisto prevalente a debito di una società (es. Telecom Italia)
- introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
- abolizione delle stock option
- abolizione dei monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, ENI, ENEL, Mediaset, Ferrovie dello Stato
- allineamento delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei
- riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari
- vietare la nomina di persone condannate in via definitiva (es. Scaroni all’Eni) come amministratori in aziende aventi come azionista lo Stato o quotate in Borsa
- favorire le produzioni locali
- sostenere le società no profit
- sussidio di disoccupazione garantito
- disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (es.distributori di acqua in bottiglia).
Punti precedenti: Energia, Stato e cittadini , Informazione
http://www.beppegrillo.it/2009/09/primarie_dei_cittadini_20_economia.html
domenica 27 settembre 2009
Più nobel per tutti - Silvio grande è.
di Andrea Scanzi.
Siete contenti, eh? E’ ricominciato Anno Zero, è uscito Il Fatto e voi potete tornare a recitare la parte che più è vostra: quella dei martiri (di questa ceppa).
Siete miserabili e non avete il polso della situazione. Io sì, invece, e solo perché mi ispiro ad Alessandro Meluzzi, il Freud delle casalinghe di Cologno Monzese.
La notizia del giorno non è che Michele Santoro abbia litigato con il Generale Liofredi, non è che Marco Travaglio è sgradito al Direttore Generale Sado-Masi.
La notizia del giorno è che Silvio Berlusconi vincerà il Premio Nobel per la Pace. Vamos.
L’Arafat di Arcore
La fredda cronaca (cit).
Esiste un Comitato per il Nobel a Berlusconi, hanno un sito (qui) che conquista subito per sobrietà e basso profilo. In alto c’è un gruppo di gazzillori inutilmente ilari, in posa tipo All Blacks, a sinistra c’è pure la donna di colore che sorride - ché loro mica son xenofobi - e ammicca alla fotocamera quasi come Tupac Shakur prima che gli sparassero.
In basso c’è Berlusconi con Papa Ratzinger, il primo ride e l’altro gesticola con la consueta simpatia contagiosa. In mano hanno un crocifisso di 78 chili. Dopo la foto sono caduti entrambi, vittime di una forza di gravità oltremodo sovversiva.
La navigazione nel sito è davvero piacevole. Non si fa in tempo a entrare, che subito parte un canto muezzin di un tenore verosimilmente afono. Egli (?), con sicumera ingiustificata, intona un vecchio pezzo scritto da Michele Novaro tuttora in voga (cit).
Il titolo promette bene: “Finalmente un italiano, Silvio Berlusconi“. In che senso? Che è il primo italiano dopo l’estinzione dei dinosauri? No: nel senso che, dopo 102 anni di assenza, è tempo che il Nobel per la Pace venga assegnato a un italiano (così, non per meriti: per rispetto algebrico).
E questo italiano è Berlusconi.
Ah.
Lo ammetto: la prima reazione a tale notizia non sarebbe esattamente garbata (perfino per me, che in camera ho il poster di Lupi). Candidare Silvio Berlusconi a Premio Nobel per la Pace è come nominare Borghezio per il Memorial Martin Luther King, ma non dobbiamo fermarci all’apparenza. Questo è un comitato serio, che si è riunito come si deve e che denota il piglio di chi sa (cit).
Il senso dell’idea è così riassumibile: se lo hanno vinto Yasser Arafat, Jimmy Carter e Al Gore, perché non Berlusconi? Già, perché? In fondo, tra Arafat e Berlusconi, l’unica differenza era il turbante.
Ecco dov’era finita la società civile
Voi direte: è la solita trovata del Pdl. Farabutti che non siete altro. L’idea, spiegano gli esegeti di Silvio Nostro, “Non nasce per inziativa del PDL, nè di Silvio Berlusconi” (scritto così, un refuso e un accento sbagliato: così si fa). “Nasce per volontà della società civile”. Capito? La società civile si è trovata, un bel giorno, e ha detto: con tutti i problemi che abbiamo, qual è la nostra prima urgenza? Di cosa abbiamo davvero bisogno? Cosa può salvarci? Essi, in coro, si sono così risposti: il Nobel per la pace a Berlusconi. Certo, mi sembra logico (come un’elaborazione di Tony Polito).
Volete far parte di questo movimento? Volete partecipare al Comitato di Liberazione? Si può. Yes you can. “Se vorrai, potrai sostenere con un’oblazione (una OBLAZIONE) le spese per la promozione della candidatura di Silvio Berlusconi al Premio Nobel per la Pace o con carta di credito, cliccando sul bottone “donazione”, oppure effettuando un bonifico bancario intestato al Comitato della Liberta”. Che bell’esempio di democrazia partecipativa. Un bonifico - anzi: una oblazione - per Berlusconi. Come fare l’elemosina ad Abramovich.
Testimonial d’eccezione (e che eccezione)
“Il presente Comitato”, leggo dall’augusto sito, “è completamente autofinanziato dai cinque soci fondatori”. Oh, questo è importante. Chi sono i cinque salvatori della patria? Dai che son curioso. Clicco e trovo subito il ritratto di un uomo che trasuda carisma manco fosse un geyser. Mi guarda in tralice, gli occhialini della cresima, la cravatta coi pixel fuori scala e lo sguardo di chi è stato baciato per la prima volta a 97 anni (e ciò nonostante si crede precoce).
Il Comitato è composto da Emanuele Verghini, Alessandro Carnevali, Gianmario Battaglia, Valerio Cianciulli e Edoardo Babusci: peccato, il Canaro di Frascati all’ultimo momento non ha aderito. All’iniziativa, tra gli altri, partecipano Pasquale Calzetta (apperò), Giuseppe Ciarrapico (una garanzia), Emerenzio Barbieri (chiiiii???) e… Laura Ravetto. Laura Ravetto. LAURA RAVETTO! Grande Laura, idolo di sempre, compagna di mille serate e tanti sogni andati via con la brezza del mattino (questa è di Bondi, scusate). Laura: il mio amore, la mia vita, il mio faro. Che bella. Je t’aime. Ovviamente, Laura ha mandato la sua adesione tramite il blackberry (confondendosi col T9).
Ci sono anche testimonial d’eccezione. Lo garantisce il sito: d’eccezione. Clicco ancora, certo di trovarmi davanti una carrellata di nomi indimenticabili. Josè Saramago, Noam Chomsky, Tony Renis.
La pagina si apre e c’è ancora una foto: è lei, è lei, è Loriana Lana. Ha il petto in fuori, il mento eroicamente teso in un prognatismo stentoreo. L’effetto d’insieme ricorda i poster della Sagra del Baccello di Battifolle, quelli con le foto della banda del liscio che suonerà mazurca per tutta la notte, a uso e consumo di arzilli ottuagenari.
Sì, perché Loriana Lana è una cantante. Di più: una musicista. Di più: una testimonial d’eccezione. Di più: ha debuttato a RaiUno conducendo un programma per ragazzi (e poi ci si stupisce della fortuna dei pusher). Di più: ha collaborato con Paolo Conte (quando????). Di più: collabora con Fonopoli di Renato Zero (una sorcina, quindi). Di più: collabora al portale MyMovies (che sarebbe fatto anche bene, porcaccia la miseria). Di più: è coautrice de “Il mondo dello zainetto” (immagino l’inno dell’Invicta). Di più: ha firmato con Mariano Apicella “Tempo di rumba”, brano di punta del cd “L’ultimo amore” (“ultimo” era una promessa?).
Loriana Lana: l’anello di congiunzione tra le adenoidi infiammate e Cristina D’Avena.
Ne riparleremo più avanti, perché la ragazza merita.
Perché proprio Berlusconi?
Un lettore (criminoso) potrebbe a questo punto chiedersi: sì, ma Berlusconi che ha fatto per meritarsi proprio il Nobel per la pace? Che domande idiote che vi fate, a volte. Siete davvero farabutti. Fortunatamente per voi, il Comitato dei Cinque Carneadi ha riassunto in comode 78 pagine i meriti pacifisti di Berlusconi. Poiché però lo stile di Gianmario Battaglia è rimasto ai fonogrammi marziali dell’Istituto Luce, ve ne riassumo i passaggi irrinunciabili.
1) Berlusconi ha rinsaldato i legami con gli Stati Uniti (tattica straordinaria e inedita, la sua: ha totalmente azzerbinato l’Italia a Bush e alle sue paturnie, denotando un coraggio inedito).
2) Ha mediato risolutamente nella crisi in Georgia (così bene che la Georgia non se n’è accorta).
3) Ha avuto un ruolo riconosciuto (da chi, a parte Bonaiuti?) per una duratura pace (quale?) tra Israeliani e Palestinesi (qua siamo oltre la mitomania).
4) “Ha ricreato tra Stati Uniti e Federazione Russa lo stesso clima di dialogo e di amicizia che era sfociato nel vertice di Pratica di Mare del 2003, e che pose definitivamente fine alla Guerra Fredda” (occazzo, Berlusconi ha posto fine alla Guerra Fredda e io non me n’ero accorto. Pensavo che il merito fosse di Cindy Lauper, durante il concerto per la Caduta del Muro di Berlino).
5) Ha sempre sostenuto missioni di pace (con in mano una Luger e nell’altra uno strale per Gino Strada).
6) Ha riconosciuto, primo al mondo, le proprie responsabilità nei confronti di una ex-colonia, la Libia, al punto che di lui Gheddafi (noto epigono di Gandhi) ha detto: “Berlusconi è un uomo di ferro che ha preso una decisione storica”. Parole di cui vantarsi a tavola, tra una tartaruga e una farfallina (potresti dirmi sorellina in cosa credi tu/ cosa speri cosa sogni da grande che farai/ se ti blocchi contro il vento o spingi più che puoi/ se hai paura certe notti ti senti sola mai - mega-cit canterina).
7) Ha fatto sì che Rasmussen fosse nominato segretario generale della Nato (quando Rasmussen l’ha saputo, si è dissociato da se stesso).
Conclusione: Silvio Berlusconi ha salvato milioni di vite. Anche se erano solo quelle di Second Life.
Silvio Silvio grande è (garantisce Panajia)
Simili momenti, di cui ci renderà conto la storia, vanno accompagnati da musiche all’altezza. Per questo occorreva una nuova canzone, un salvifico inno di pace e gioia: una santificazione sonora che divinizzasse definitivamente Silvio Berlusconi. Ecco quindi che, in nostro soccorso, per la gioia di grandi e piccini, è stata scritta La pace può.
Qui urge un’analisi doviziosa, perché l’opera merita. Già il titolo, La pace può, lascia il messaggio sospeso, alimenta il nostro afflato di libertà, fortifica il bisogno di uomini - come Silvio Nostro - che ci salvino la Vita. Il titolo, in buona sostanza, anticipa così la bellezza della canzone (per chi capisce d’arte, certo: mica come voi, che ancora siete convinti che Vecchioni è bravo).
La musica è del maestro Pino Di Pietro, e anche questo è straordinario. L’inno di Berlusconi è stato scritto da uno che si chiama Di Pietro. Come se Brunetta giocasse in una squadra di basket Nba.
Il testo è di Loriana Lana, la sorcina di cui sopra, quella che ha scritto l’inno Invicta e ha collaborato con Paolo Conte senza che Conte se ne accorgesse (si scherza, eh Lory: sono un tuo fanboy).Con lei canta un tenore famosissimo, di cui ho tutti i dischi e i bootleg, addirittura Sergio Panajia. Mica cazzi: Sergio Panajia. E poi dicono che gli artisti sono di sinistra. Voi avevate De André e loro hanno Panajia. Vi mangiano in testa (cit).
La canzone potete ascoltarla qui. E’ bellissima, a me ingrifa davvero tanto. Loriana ne dà un’interpretazione squisitamente atonale e amusicale (doppia alfa privativa greca, per chi non ci fosse arrivato). La sua voce mi ha ricordato quella di Janis Joplin dopo una colecisti fulminante. Se Iva Zanicchi è l’Aquila di Ligonchio, Loriana Lana è il Fringuello Fioco de Roma (si scherza sempre, eh Lory: siamo tutti tuoi famboy). I suoi fraseggi con il Divino Panajia, che da par suo ricorda Andrea Bocelli a cui hanno trapiantato le corde vocali di Aldo Forbice, sono inebrianti.
Non provavo un’emozione musicale così dai tempi dei duetti di Aleandro Baldi con Francesca Alotta.
Parole come pietre
Se ne legga, ora, il testo.
Parte una musica elaborata col Vic 20, c’è Berlusconi che cammina tra le macerie aquilane con Barack Obama. Obama è comprensibilmente sgomento (e non per le macerie).
Vai Loriana, facce sogna’.
“La pace può…ripeterò… (già ripeti dopo tre parole? Che fantasia. Andiamo bene, vai)… queste parole senza smettere (suona come una minaccia)…e il vento penserà a diffonderle (pure il vento? Non bastavano Youtube e Brachino?)…e il mondo ascolteeeràààà (certo, non vedeva l’ora)”.
Qui entra il Divino Panajia, il cui impatto sulla canzone è paragonabile a quello di un quarterback ubriaco in una cristalleria.
“La pace può (vibrato tipo Pavarotti con gli U2 in Miss Sarajevo, ma appena un po’ peggio)…guarda anche tu (sul video compare un’insegna della Croce Rossa: bella prospettiva, grazie dell’ottimismo Sergio)…l’Abruzzo si risveglia incredulo (così incredulo che deve ancora risvegliarsi)…la neve e il sole che si incontrano (immagine di una banalità tale da imbarazzare financo Daniele Groff)…e la tua mano è qua… (qua dove? In Abruzzo? A Palazzo Grazioli? È un’allusione?)”.
Qui parte il coro. All’unisono, Loriana e Sergio. Come allo Zecchino d’Oro.
“C’è un preeeeesidente sempre presente (eh, lo so)…. Che ci accompagnerà (sì, contro un iceberg a bordo del Titanic)… SIAMO QUI PER TEEEEEEE, CUORE E ANIMAAAAAAA, UN NOBEL DI PACE, SILVIO GRANDE E’ (qui Sergio gliene dà secche, ci va giù con l’ugola)… SIAMO QUI PER TE, CORO UNANIME (ma anche no), UN’UNICA VOCE SILVIO SILVIO GRAAAAAANDE EEEEEEE!!!”.
Bello. Bello. Bello. Quest’inno mi gasa. Mi gasa. Al punto che mi è quasi venuta voglia di invadere la Polonia.
E ora scusatemi, vado a chiedere l’amicizia a Loriana Lana. Perché Silvio Silvio grande è (è la tivù che lo rimpicciolisce).
Nelle note
Andrea Scanzi scrive:
26 settembre 2009 alle 15:44
Ricevo e pubblico una replica del Comitato Silvio Berlusconi Nobel per la Pace.
——– Messaggio Originale ——– Oggetto: Alla C.A. di Andrea ScanziData: Sat, 26 Sep 2009 02:59:11 +0200Da: Silvio Berlusconi Nobel per la PaceRispondi-a: Silvio Berlusconi Nobel per la PaceA: redazione@micromega.net
Gentile Dr. Andrea Scanzi,
ho avuto il piacere di leggere il suo articolo dedicato alla nostra iniziativa per il Premio Nobel per la Pace a Silvio Berlusconi e mi sono convinto che querelarLa per le dichiarazioni infelici da Lei usate nei confronti dell’avv. Emanuele Verghini sarebbe un’ingiustizia nei confronti della sua verve poetica.
Lei, anzi, merita un ambito riconoscimento. Potrebbe, infatti, essere il candidato perfetto al Premio Nobel per la letteratura.
Continueremo a seguirLa con molta, molta attenzione ed a fare il tifo per Lei.
Cordiali saluti.
COMITATO DELLA LIBERTA’Il portavoceDott. Giammario Battaglia
————————————————–
A essa replico così:
Sono d’accordo con Lei, Dott. Gianmario Battaglia.Anch’io continuerò a seguirVi con molta, molta attenzione e a non fare il tifo per Voi.
Cordiali saluti.
COMITATO PER IL NOBEL ALLA CEDRATA TASSONIIl portavoceDott. Andrea Scanzi
Devo poi una risposta a @Gloria. Loriana Lana è senz’altro una brava professionista, non fatico a credere alle sue parole competenti. I miei sono articoli di satira, quindi iperbolici (qualcuno lo dica a Battaglia). Continuo però a ritenere, nello specifico, non esaltanti sia il testo che l’interpretazione di Loriana Lana nella canzone (?) in questione, a prescindere dalla sua carriera. Magari sbaglio io. @Agli altri. Grazie. Ma restate criminosi e insufflati di trotzkismo. Quindi non mi avrete mai.
http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/09/25/piu-nobel-per-tutti-silvio-grande-e/
I costosi asciugamani di Palazzo Madama
Il dossier - I costi della politica e le richieste degli organi costituzionali al Tesoro
Il Senato chiede un aumento della dotazione pari all’1,5 per cento
Il Cavaliere invita gli italiani a consumare di più? Detto fatto, al Senato consumano. Per le stanze della presidenza a Palazzo Giustiniani, ad esempio, hanno appena comprato 50 asciugamani deluxe. A 88 euro l’uno. Pari a tre giorni di cassa integrazione di un operaio metalmeccanico. Totale: 4.400 euro. Giorgio Napolitano, che giovedì aveva spronato tutti dicendo che «le istituzioni devono dare l’esempio» ha avuto la sua risposta.
Vi chiederete: ma di che materiale sono mai fatte, queste salviette per le mani, per costare una cifra che all’italiano medio appare spropositata? Sono di lino. E ricamate. Direte allora che sul sito e-bay.it si possono comprare asciugamani di lino e ricamati al prezzo di 29,99 per una confezione da sei e cioè a cinque euro l’uno, venti volte di meno. Per non parlare di quelle di spugna. Conosciamo l’obiezione: il decoro delle toilette di palazzo Giustiniani esige ben altro. Esattamente come le cucine presidenziali: non meritano forse una qualità adeguata al livello dell’istituzione per essere all’altezza delle raffinate papille gustative di Renato Schifani e dei suoi ospiti? Ecco allora una spesa assolutamente in-dis-pen-sa-bi-le: un costoso corso di perfezionamento fatto seguire presso la scuola culinaria del Gambero Rosso ai 9 (nove) cuochi interni. Così che possano poi scodellare sui prestigiosi deschi quei piatti griffati che, con innata modestia, vengono definiti «divine creazioni»: bauletti con ricotta e pistacchi con bottarga di tonno e sedano, intrighi con stracotto d’oca e burro al ginepro, quadrelli di cacao con scorzette d’arancia ai due ori… Per carità, negare che nella scia delle polemiche sui costi della politica, qualche taglio sia stato fatto pure a Palazzo Madama sarebbe ingiusto. Le famose agendine 2009 di Nazareno Gabrielli costate la bellezza di 260 mila euro (più degli stipendi annuali dei governatori del Colorado, dell’Arkansas, del Tennessee e del Maine messi insieme) sono state ad esempio sforbiciate, per il 2010, del 20%. Un sacrificio doloroso ma necessario. Come ancora più dolorosi e necessari sono stati il blocco delle indennità, il giro di vite ai contributi dei gruppi parlamentari e altro ancora...
Eppure, pare impossibile, nonostante i tagli palazzo Madama si appresterebbe a battere ancora cassa. Ancora pochi giorni e il 30 settembre scade il termine entro il quale gli organi costituzionali devono presentare al Tesoro le richieste per la dotazione finanziaria del 2010. Una data importante, tanto più dopo gli ultimi appelli lanciati, alla vigilia di un autunno che potrebbe essere critico, non solo del capo dello Stato ma anche del cardinale Angelo Bagnasco: misura e sobrietà. Fino a due o tre anni fa gli stanziamenti degli organi costituzionali venivano adeguati con il giochetto del cosiddetto «pil nominale». Si prendeva cioè a riferimento la crescita economica prevista, che di norma era più o meno il doppio dell’inflazione, e ogni anno la dotazione cresceva di quel tot. In seguito, sull’onda delle polemiche, le pretese si ridimensionarono al «semplice » recupero dell’inflazione programmata. Come è stato fatto l’ultima volta. Poi la crisi economica ha cominciato a mordere davvero, al punto che se si fosse applicato stavolta il vecchio criterio del «pil nominale», gli stanziamenti sarebbero crollati del 5%. Una batosta insopportabile. Ma mentre Quirinale e Camera decidevano di rinunciare per i prossimi tre anni al recupero dell’inflazione programmata, dal Senato non è arrivato alcun segnale. Evidentemente palazzo Madama considera ancora valida la richiesta relativa al 2009, con un aumento della dotazione pari all’1,5% sia per il 2010 sia per i due anni successivi.
Il Tesoro dovrebbe così versare nelle casse della camera alta 527 milioni di euro contro i 519 del 2009. Per salire poi a 535 e 543 milioni nel 2011 e nel 2012. Qualche goccia nel mare immenso del bilancio statale. Ma talvolta basta qualche goccia a far traboccare il vaso. Soprattutto considerando che l’inflazione programmata è almeno il doppio di quella reale. Come si giustifica allora l’esigenza di maggiori risorse per otto milioni l’anno? Forse con il progetto di realizzare un nuovo canale televisivo digitale terrestre (oltre a quello satellitare già esistente) affidato a un comitato istituito il 29 luglio e coordinato dal questore Benedetto Adragna? O con l’idea, ben più fumosa, di impiantare una struttura medica interna con tanto di sala di rianimazione pur essendo palazzo Madama a un chilometro dall’ospedale Santo Spirito?
La verità è che l’andazzo seguito per anni è stato tale (nella legislatura 2001-2006 le spese correnti s’impennarono del 39% oltre l’inflazione) che la «macchina» lanciata verso costi sempre più folli va avanti per inerzia, a prescindere perfino dalla volontà di Schifani e dei questori. Tanto è vero che, non essendo mai stati cambiati sul serio certi automatismi del contratto interno, le retribuzioni e le pensioni dei dipendenti (che in molti casi possono ancora andarsene a 50 anni: tre lustri dopo la riforma Dini!) seguitano a crescere pesando immensamente di più che gli asciugamani. Dati alla mano: le pensioni medie variano dai 122 mila euro lordi l’anno per i commessi ai 325 mila euro per i funzionari.
Una domanda, tuttavia, meriterebbe risposte convincenti. Perché il Senato continua a chiedere soldi se ha depositati presso la filiale interna della Bnl, liquidi, 108,9 milioni di euro? Avete capito bene: 108,9 milioni. Da dove arrivano tutti quei quattrini è presto detto: palazzo Madama non spende, nella realtà pratica, tutti i soldi che ogni anno il Tesoro gli dà. Il bilancio si chiude infatti regolarmente con avanzi di cassa che non vengono restituiti all’Erario, ma si accumulano in banca. Lo stesso avviene, e in misura addirittura maggiore, per la Camera dei deputati, che ha già da parte qualcosa come 380 milioni di euro. Il «tesoretto del Parlamento», per usare la definizione data dal Sole24ore lo scorso maggio, avrebbe quindi raggiunto, secondo gli ultimissimi calcoli, circa 490 milioni. Il doppio dei fondi occorrenti per rimettere in piedi le strutture universitarie dell’Aquila e pagare le rette di tutti gli studenti.
La Camera si tiene stretti quei soldi con la giustificazione che alla scadenza degli onerosi contratti d’affitto degli uffici per i deputati nei «Palazzi Marini» (una quarantina di milioni l’anno) dovrà acquistare nuovi immobili. Ma il Senato, che gli edifici li ha già comprati e ha avuto dal Cipe anche i soldi per ristrutturarli? Ci si dirà che, con le procedure e le macchinosità attuali, è difficile restituirli, i soldi. Sarà… Eppure c’è un illustre precedente. Alla fine degli anni Novanta l’Antitrust, all’epoca presieduta da Giuseppe Tesauro, rese al Tesoro l’equivalente di una cinquantina di milioni di euro: erano gli avanzi delle dotazioni annuali che l’autorità non aveva speso. E che tornarono così nelle casse dello Stato. Certo, bisogna volerlo...
Il Senato chiede un aumento della dotazione pari all’1,5 per cento
Il Cavaliere invita gli italiani a consumare di più? Detto fatto, al Senato consumano. Per le stanze della presidenza a Palazzo Giustiniani, ad esempio, hanno appena comprato 50 asciugamani deluxe. A 88 euro l’uno. Pari a tre giorni di cassa integrazione di un operaio metalmeccanico. Totale: 4.400 euro. Giorgio Napolitano, che giovedì aveva spronato tutti dicendo che «le istituzioni devono dare l’esempio» ha avuto la sua risposta.
Vi chiederete: ma di che materiale sono mai fatte, queste salviette per le mani, per costare una cifra che all’italiano medio appare spropositata? Sono di lino. E ricamate. Direte allora che sul sito e-bay.it si possono comprare asciugamani di lino e ricamati al prezzo di 29,99 per una confezione da sei e cioè a cinque euro l’uno, venti volte di meno. Per non parlare di quelle di spugna. Conosciamo l’obiezione: il decoro delle toilette di palazzo Giustiniani esige ben altro. Esattamente come le cucine presidenziali: non meritano forse una qualità adeguata al livello dell’istituzione per essere all’altezza delle raffinate papille gustative di Renato Schifani e dei suoi ospiti? Ecco allora una spesa assolutamente in-dis-pen-sa-bi-le: un costoso corso di perfezionamento fatto seguire presso la scuola culinaria del Gambero Rosso ai 9 (nove) cuochi interni. Così che possano poi scodellare sui prestigiosi deschi quei piatti griffati che, con innata modestia, vengono definiti «divine creazioni»: bauletti con ricotta e pistacchi con bottarga di tonno e sedano, intrighi con stracotto d’oca e burro al ginepro, quadrelli di cacao con scorzette d’arancia ai due ori… Per carità, negare che nella scia delle polemiche sui costi della politica, qualche taglio sia stato fatto pure a Palazzo Madama sarebbe ingiusto. Le famose agendine 2009 di Nazareno Gabrielli costate la bellezza di 260 mila euro (più degli stipendi annuali dei governatori del Colorado, dell’Arkansas, del Tennessee e del Maine messi insieme) sono state ad esempio sforbiciate, per il 2010, del 20%. Un sacrificio doloroso ma necessario. Come ancora più dolorosi e necessari sono stati il blocco delle indennità, il giro di vite ai contributi dei gruppi parlamentari e altro ancora...
Eppure, pare impossibile, nonostante i tagli palazzo Madama si appresterebbe a battere ancora cassa. Ancora pochi giorni e il 30 settembre scade il termine entro il quale gli organi costituzionali devono presentare al Tesoro le richieste per la dotazione finanziaria del 2010. Una data importante, tanto più dopo gli ultimi appelli lanciati, alla vigilia di un autunno che potrebbe essere critico, non solo del capo dello Stato ma anche del cardinale Angelo Bagnasco: misura e sobrietà. Fino a due o tre anni fa gli stanziamenti degli organi costituzionali venivano adeguati con il giochetto del cosiddetto «pil nominale». Si prendeva cioè a riferimento la crescita economica prevista, che di norma era più o meno il doppio dell’inflazione, e ogni anno la dotazione cresceva di quel tot. In seguito, sull’onda delle polemiche, le pretese si ridimensionarono al «semplice » recupero dell’inflazione programmata. Come è stato fatto l’ultima volta. Poi la crisi economica ha cominciato a mordere davvero, al punto che se si fosse applicato stavolta il vecchio criterio del «pil nominale», gli stanziamenti sarebbero crollati del 5%. Una batosta insopportabile. Ma mentre Quirinale e Camera decidevano di rinunciare per i prossimi tre anni al recupero dell’inflazione programmata, dal Senato non è arrivato alcun segnale. Evidentemente palazzo Madama considera ancora valida la richiesta relativa al 2009, con un aumento della dotazione pari all’1,5% sia per il 2010 sia per i due anni successivi.
Il Tesoro dovrebbe così versare nelle casse della camera alta 527 milioni di euro contro i 519 del 2009. Per salire poi a 535 e 543 milioni nel 2011 e nel 2012. Qualche goccia nel mare immenso del bilancio statale. Ma talvolta basta qualche goccia a far traboccare il vaso. Soprattutto considerando che l’inflazione programmata è almeno il doppio di quella reale. Come si giustifica allora l’esigenza di maggiori risorse per otto milioni l’anno? Forse con il progetto di realizzare un nuovo canale televisivo digitale terrestre (oltre a quello satellitare già esistente) affidato a un comitato istituito il 29 luglio e coordinato dal questore Benedetto Adragna? O con l’idea, ben più fumosa, di impiantare una struttura medica interna con tanto di sala di rianimazione pur essendo palazzo Madama a un chilometro dall’ospedale Santo Spirito?
La verità è che l’andazzo seguito per anni è stato tale (nella legislatura 2001-2006 le spese correnti s’impennarono del 39% oltre l’inflazione) che la «macchina» lanciata verso costi sempre più folli va avanti per inerzia, a prescindere perfino dalla volontà di Schifani e dei questori. Tanto è vero che, non essendo mai stati cambiati sul serio certi automatismi del contratto interno, le retribuzioni e le pensioni dei dipendenti (che in molti casi possono ancora andarsene a 50 anni: tre lustri dopo la riforma Dini!) seguitano a crescere pesando immensamente di più che gli asciugamani. Dati alla mano: le pensioni medie variano dai 122 mila euro lordi l’anno per i commessi ai 325 mila euro per i funzionari.
Una domanda, tuttavia, meriterebbe risposte convincenti. Perché il Senato continua a chiedere soldi se ha depositati presso la filiale interna della Bnl, liquidi, 108,9 milioni di euro? Avete capito bene: 108,9 milioni. Da dove arrivano tutti quei quattrini è presto detto: palazzo Madama non spende, nella realtà pratica, tutti i soldi che ogni anno il Tesoro gli dà. Il bilancio si chiude infatti regolarmente con avanzi di cassa che non vengono restituiti all’Erario, ma si accumulano in banca. Lo stesso avviene, e in misura addirittura maggiore, per la Camera dei deputati, che ha già da parte qualcosa come 380 milioni di euro. Il «tesoretto del Parlamento», per usare la definizione data dal Sole24ore lo scorso maggio, avrebbe quindi raggiunto, secondo gli ultimissimi calcoli, circa 490 milioni. Il doppio dei fondi occorrenti per rimettere in piedi le strutture universitarie dell’Aquila e pagare le rette di tutti gli studenti.
La Camera si tiene stretti quei soldi con la giustificazione che alla scadenza degli onerosi contratti d’affitto degli uffici per i deputati nei «Palazzi Marini» (una quarantina di milioni l’anno) dovrà acquistare nuovi immobili. Ma il Senato, che gli edifici li ha già comprati e ha avuto dal Cipe anche i soldi per ristrutturarli? Ci si dirà che, con le procedure e le macchinosità attuali, è difficile restituirli, i soldi. Sarà… Eppure c’è un illustre precedente. Alla fine degli anni Novanta l’Antitrust, all’epoca presieduta da Giuseppe Tesauro, rese al Tesoro l’equivalente di una cinquantina di milioni di euro: erano gli avanzi delle dotazioni annuali che l’autorità non aveva speso. E che tornarono così nelle casse dello Stato. Certo, bisogna volerlo...
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
Berlusconi e il papa.
Berlusconi, al suo rientro da Pittsburgh si reca a Ciampino per salutare il papa in partenza per Praga: il marketing legato all'immagine da restaurare docet.
(Chissà se dopo avrà organizzata una seratina "piacevole" in compagnia di qualche escort..... hi, hi, hi, bisognerebbe chiederlo ai suoi guardaspalle!)
All'incontro con il papa era presente anche Letta, il suo "indagatissimo" (guai se così non fosse) sottosegretario personale.
(Apperò, bella gente frequenta il papa!)
Nel frattempo, Scajola, ministro dello sviluppo Economico.........(non l'ho nominato io, lo ha nominato Berlusconi) promuove un'interpellanza parlamentare per discutere sulla puntata di "annozero", mal digerita dal premier, sostenendo che vi sono state molte reazioni indignate da parte dei cittadini..........
(Ma poi, un ministro dello sviluppo economico che si occupa di promuovere un'interpellanza parlamentare su un programma della rai? Boh!)
Vabbè, tirammo innanzi.
Ma quandomai si sono preoccupati dell'indignazione dei cittadini?
Sarebbe il primo caso, se fosse vero, perchè quando il cittadino si è indignato per il lodo Alfano, o quando si è indignato per lo scudo fiscale, o quando si è indignato perchè ha nominato ministro una sua squinzia, non si sono mai adoperati per promuovere interpellanze parlamentari, anzi, se ne sono fregati altamente!
Non sarà, per caso, che l'idignazione va presa in considerazione solo se provata dal premier nei confronti di qualche cittadino e mai e se provata dai cittadini nei confronti del premier?
Atroce dilemma!
sabato 26 settembre 2009
Banche - ambiente
Fino a quando ci saranno le banche a detenere il potere economico mondiale, la terra involverà su se stessa.
Alle banche interessa che circoli danaro, quale ne sia la provenienza poco importa.
E per fare circolare una grossa quantità di denaro spinge a costruire grandi e deleterie opere: centrali nucleari, autostrade inutili, ponti sugli stretti impraticabili, termovalorizzatori produttori di tumori........
Siamo troppo pochi a volere che ciò non avvenga, i governi sono più propensi ad aiutare le banche, perchè le banche sono "il potere", e dietro il potere delle banche ci sono quelle poche, maledette famiglie che decidono le sorti dell'intero pianeta.
Un tempo c'erano le guerre a bilanciare le densità demografiche, ora ci sono altri strumenti meno cruenti, ma ugualmente efficaci: la fame e le malattie generate dalla mancanza di attenzione e rispetto dell'ambiente.
Siamo in debito con madre natura, e questo debito sarà sempre più difficile Poterlo onorare.
Alle banche interessa che circoli danaro, quale ne sia la provenienza poco importa.
E per fare circolare una grossa quantità di denaro spinge a costruire grandi e deleterie opere: centrali nucleari, autostrade inutili, ponti sugli stretti impraticabili, termovalorizzatori produttori di tumori........
Siamo troppo pochi a volere che ciò non avvenga, i governi sono più propensi ad aiutare le banche, perchè le banche sono "il potere", e dietro il potere delle banche ci sono quelle poche, maledette famiglie che decidono le sorti dell'intero pianeta.
Un tempo c'erano le guerre a bilanciare le densità demografiche, ora ci sono altri strumenti meno cruenti, ma ugualmente efficaci: la fame e le malattie generate dalla mancanza di attenzione e rispetto dell'ambiente.
Siamo in debito con madre natura, e questo debito sarà sempre più difficile Poterlo onorare.
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