sabato 12 novembre 2011



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Calunniò il centrosinistra: condannato Igor Marini.

igor marini


Condannato a 10 anni di reclusione Igor Marini: fu il motore della “macchina del fango” contro Prodi e il centro sinistra nel 2003: il consulente finanziario, nella vicenda Telekom-Serbia, accusò decine di persone, tra cui diversi esponenti politici del centrosinistra, di aver preso tangenti. Fu costruita una imponente macchinazione mediatica. Era tutto falso. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma. Inevitabile ora chiedersi perché o per conto di chi il consulente lanciò le sue accuse. 

LE FALSE ACCUSE DI TANGENTIMarini, nel 2003, accusò Prodi, Fassino e Dini di essere destinatari di tangenti, dichiarazioni che i pm romani Francesca Loy e Giuseppe De Falco definirono «di una gravità inaudita e prive di qualsiasi concreto fondamento». I giudici della quinta sezione penale hanno deciso che il consulente finanziario deve risarcire per diffamazione con un milione di euro. E dovrà versare 150 mila a a Romano Prodi, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio, 100 mila euro a Walter Veltroni, Piero Fassino, Clemente Mastella, Francesco Rutelli, Donatella Dini, Lamberto Dini. Il tribunale ha condannato a 4 anni e 6 mesi il manager Maurizio De Simone, dichiarando il proscioglimento, per prescrizione dei reati contestati, di altri nove imputati (tra cui l'avvocato Fabrizio Paoletti, Giovanni Romanazzi e Antonio Volpe). 

Marini, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione di documentazione falsa e contraffatta e diversi episodi di calunnia, dal settembre dello scorso anno sconta una condanna a 5 anni di reclusione per aver calunniato un magistrato romano che lo aveva interrogato nel 2003. 

Igor Marini, nel 2003 asserì che nell'acquisto da parte di Telecom Italia di una quota dell'azienda telefonica Telekom Serbia, avvenuto nel 1997, sarebbero state pagate delle mazzette ad esponenti del centrosinistra. Accusò Prodi, Fassino e Dini di avere preso tangenti sotto gli pseudonimi di 'Mortadellà, 'Cicognà e 'Ranocchiò. Tra queste una supposta tangente di 125mila dollari versata a Romano Prodi e Lamberto Dini. Queste accuse si rivelarono totalmente infondate e le prove chiave prodotte a loro supporto si rivelarono dei falsi. I pm Maria Francesca Loy e Francesco De Falco avevano chiesto una condanna a 12 anni. 



http://www.unita.it/italia/igor-marini-condannato-calunnio-prodi-1.351143

venerdì 11 novembre 2011

Grandi manovre nei ministeri, via vai di scatoloni. Sono iniziati i traslochi.



A differenza dei suoi colleghi, il dicastero guidato da Giulio Tremonti non ha ancora preparato l'occorrente per svuotare la sede del ministero. Mentre nella Capitale impazza il toto-ministri, nelle sedi istituzionali bisogna fare spazio ai nuovi che verranno.



Libri, penne e documenti in un cassetto, anzi in uno scatolone. E’ l’imperativo che regna negli uffici dei ministeri a Roma, mentre i titolari dei dicasteri continuano a programmare le attività fino all’ultimo: “Anche questa mattina riunione alle nove del mattino, come sempre in questi tre anni e mezzo – dicono dal ministero della Pubblica Amministrazione – e Brunetta ha definito il briefing, l’ultimo della settimana”. Intanto  a  Palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, è iniziato il trasferimento di libri, discorsi e oggetti personali del ministro Ignazio La Russa e del suo staff. Stesso discorso al Viminale, dove le attività sono partite già ieri: documenti personali, volumi, ricordi di tre anni e mezzo di governo seguiranno il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il suo entourage. Le attività di trasloco sono iniziate anche nei ministeri senza portafoglio: scatoloni sia nelle stanze negli uffici delle Pari Opporunità che in quelle del ministero della Gioventù.

Più lenti i lavori nelle stanze del ministero dell’Istruzione. Al dicastero di Viale Trastevere il clima è tranquillo, anche se è già arrivata l’indicazione di smobilitare o di preparare i “bagagli”. Imballaggi in stand-by invece al ministero della Giustizia: i pacchi non sono stati ancora preparati “e del resto -spiegano a via Arenula- non ci sarebbero neanche molte cose da portare via, considerando che il ministro Francesco Nitto Palma guida il dicastero da poche settimane”. Il Guardasigilli, in uno scatto di orgoglio, ssmentisce i suoi e dice: “Con riferimento a talune agenzie di stampa, mi preme assicurare che gli scatoloni contenenti le poche cose di mia antica proprietà sono già pronti ed entro domenica raggiungeranno la mia abitazione. Non sono mai rimasto un minuto di più negli uffici da cui mi sono allontanato”. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti invece non ha alcune fretta: in via XX Settembre gli scatoloni non sono stati ancora preparati “ma da questa mattina è iniziata l’opera di classificazione del materiale”, assicurano dal ministero. Mentre nella Capitale impazza il toto-ministri, bisogna fare spazio ai nuovi che verranno. E chissà se saranno davvero nuovi.

Il re dei farmaci a cena col premier per avere una legge


Alberto Aleotti sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro.

Alberto Aleotti, patron dell'industria farmaceutica Menarini (Ansa)         
Alberto Aleotti, patron dell'industria farmaceutica Menarini (Ansa)


FIRENZE - Dai documenti e dalle intercettazioni salta fuori un quadro inquietante del business di Alberto Sergio Aleotti, patron del gruppo farmaceutico Menarini, sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro. Nell'avviso di conclusione delle indagini i pm Giuseppina Mione, Ettore Squillace e Luca Turco, documentano «artifici e raggiri» messi in atto per determinare «un aumento del prezzo dei farmaci». Quindici in tutto gli indagati e tra questi anche i figli di Aleotti, Giovanni e Lucia, e un politico: il senatore del Pdl Cesare Cursi. 
Dalle carte sembra proprio la politica la chiave di volta per capire la genesi di questa presunta colossale truffa ai danni dello Stato, con accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale e un sospetto ingente finanziamento ai partiti. Nelle migliaia di pagine, zeppe di intercettazioni, si fanno nomi di politici illustri (nessuno di loro inquisito), ministri e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, ipotizzano i magistrati, sarebbe intervenuto per l'approvazione di un disegno di legge favorevole al gruppo Menarini. Decisiva sarebbe stata una cena il 6 maggio del 2009 a villa Madama alla quale Aleotti sarebbe stato invitato. A raccontarlo, otto giorni dopo, è lo stesso patron di Menarini in una conversazione con Maria Angiolillo, la regina dei salotti romani e vedova del fondatore de Il Tempo, Renato Angiolillo, scomparsa due anni fa.
«Il presidente mi ha voluto vicino... E a un certo punto ho avuto il coraggio di dire "immagino signor presidente che lei abbia anche influito per quella questione...". E lui mi ha detto: "Aleotti! C'abbiamo avuto addirittura un incontro a tre"». Più avanti Aleotti fa anche i nomi: «Gianni Letta e il ministro dello Sviluppo (al tempo Claudio Scajola, ndr)». Lo stesso giorno della conversazione intercettata il disegno di legge viene approvato al Senato e passa alla Camera, annotano i pm. 
Aleotti avrebbe avuto un'attrazione «fatale» verso i politici. La Procura gli contesta anche di essere intervenuto presso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In una relazione agli atti dell'inchiesta i carabinieri del Nas di Firenze parlano infine di «una scientifica distribuzione del denaro (ai partiti)» documentata da «una serie di erogazioni nel 2001, eseguite da società non direttamente riconducibili al gruppo Menarini, in favore di partiti politici, non ancora individuati, in vista delle elezioni politiche 2001». I Nas citano anche il nome del governatore della Toscana, Enrico Rossi all'epoca dei fatti coordinatore degli assessori alla sanità regionali. Rossi, secondo la Procura completamente estraneo ai fatti, avrebbe inviato lettere al governo da lui firmate e redatte sulla base di bozze degli Aleotti.

Laboccetta, il giallo del computer I pm pronti a chiederlo alla Camera





La procura di Milano sta valutando passi ufficiali per ottenere il "portatile" sottratto dal parlamentare Amedeo Laboccetta (Pdl) durante le perquisizioni romane negli uffici di Bplus di Piazza di Spagna. La procura: "Un fatto senza precedenti"


MILANO - I sostituti procuratori Mauro Clerici e Roberto Pellicano stanno valutando l'eventualità di chiedere alla Camera l'autorizzazione per sequestrare il computer portatile che il parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta ha sottratto durante le perquisizioni 1condotte nell'ambito dell'inchiesta sulla Bpm, che vedono coinvolto l'ex presidente Massimo Ponzellini. 2

Quando le Fiamme Gialle hanno perquisito a Roma un ufficio in Piazza di Spagna nella disponibilità di Francesco Corallo 3, a cui è riconducibile la società Bplus (ex Atlantis) attiva nel gioco d'azzardo, Laboccetta è intervenuto di persona portando via un pc portatile di cui rivendicava la proprietà. Fino a quel momento, nel tentativo di evitarne il sequestro, Corallo aveva detto invece che il pc apparteneva a una donna sudamericana presente nell'appartamento al momento dell'arrivo dei finanzieri. Di fatto, il computer è stato sottratto all'autorità giudiziaria che ora sta valutando l'opportunità di chiedere attraverso la Camera dei deputati di poterne entrare in possesso.

In Procura si sottolinea come l'episodio che ha avuto protagonista Laboccetta rappresenti un "caso mai visto prima" e quindi le eventuali iniziative da prendere vengono studiate con cautela. In linea teorica, il deputato del Pdl rischia le accuse di favoreggiamento, resistenza e minacce alla polizia giudiziaria e sottrazione di corpo di reato. Nelle prossime ore i finanzieri esporranno ai magistrati gli esiti delle perquisizioni mirate soprattutto a verificare una delle ipotesi accusatorie, cioè che Massimo Ponzellini, indagato per ostacolo alle autorità di Vigilanza e associazione a delinquere, abbia tratto guadagni illeciti in cambio dei finanziamenti "anomali" concessi da Bpm al Gruppo Atlantis.

Dagli accertamenti in corso da parte della procura di Milano, intanto, è emerso che Bplus ha chiesto un altro finanziamento alla Banca Popolare di Milano e che la pratica è ancora pendente. La richiesta è arrivata all'istituto quando alla presidenza c'era ancora Ponzellini. I magistrati di Milano stanno anche valutando i rapporti con la Sisal, in quanto dalle indagini sarebbe emerso che Antonio Cannarile, possibile terminale di tornaconti economici insieme con Ponzellini, se ne sarebbe occupato in prima persona.



http://www.repubblica.it/economia/finanza/2011/11/11/news/laboccetta_il_giallo_del_computer_i_pm_pronti_a_chiederlo_alla_camera-24859277/?ref=HREC1-9

Anche Ignazio ha le sue amazzoni. - di Gianluca Di Feo

Lavinia Prono
Lavinia Prono

Trenta tra consiglieri e comunicatori. Ecco lo staff ristretto del ministro. Inclusa la pattuglia di giovani pr "da invitare senza consorte".



Più che uno staff sembra un battaglione, così nutrito da provocare la ressa per trovare posto sui palchi d'onore. Ben trenta persone: tante ne conta il gabinetto "ristretto" di Ignazio La Russa. Con una guardia del corpo femminile che fa invidia alla scorta di amazzoni del fu Gheddafi: sette giovani dottoresse per proteggerne l'immagine.


La lista ufficiale con tanto di "ordine di precedenza interno" mostra una quantità di consiglieri, generali e comunicatori che in altri Paesi basterebbe e avanzerebbe per un intero governo. Ci sono consiglieri per qualunque esigenza, come se l'Italia fosse una potenza militare mondiale: ben 15, con incarichi che suonano come doppioni. C'è un onorevole per "gli affari internazionali" e un ambasciatore per le questioni diplomatiche; un esperto di moda per i "Grandi eventi" e il patron del festival di Sanremo per "la comunicazione delle celebrazioni del 150 anniversario dell'Unità d'Italia" senza contare quello per la "comunicazione informatica"; uno per "la riconversione del settore produttivo della Difesa" e uno per "la politica industriale"; un membro del Consiglio di Stato come consulente militare e un generale "per l'elaborazione di uno studio comparativo sulle strutture militari degli altri Paesi". E poiché si guarda al futuro, ecco anche il consigliere "per le attività aerospaziali". A questi vanno aggiunti sei tra generali e ammiragli e prefetti, allineati dietro ai senatori Pierfrancesco Gamba e Antonino Caruso. Quanti di loro saliranno sulle 19 lussuose Maserati blindate ordinate dalla Difesa?


Bisogna sottolineare come Ignazio La Russa sia molto riconoscente verso i suoi collaboratori, a cui ha agevolato carriere importanti. L'ultima polemica riguarda il capo di gabinetto, il generale Claudio Graziano, appena nominato al vertice dell'Esercito scavalcando con balzo d'alpino uno schieramento di colleghi più anziani. Ma altre poltrone rendono lo staff molto simile a un piccolo comitato d'affari. 


Il capo segreteria Roberto Petri, dirigente in aspettativa di una cassa rurale romagnola, si è insediato nel cda dell'Eni, il top delle ex Partecipazioni statali. L'ingegnere Marco Airaghi è nel vertice dell'Agenzia Spaziale Asi. Il giovane Giovanni Bozzetti è stato assessore alla Moda della giunta Moratti: ora ha ottenuto la vicepresidenza di Difesa Servizi Spa, il nuovissimo ramo business del ministero, e la presidenza di Infrastrutture Lombarde Spa, società chiave per gli affari dell'Expo: la figura perfetta a cui affidare la comunicazione. Che dire di Gianmarco Mazzi, che dopo avere affiancato Tony Renis, Panariello e Bonolis adesso ha conquistato la direzione del Festival della canzone: quale migliore regia per le costose fanfare dei 150 anni del Tricolore?


Tra i politici sorprende la riconferma di Alessandro Ruben, che i cablo di WikiLeaks hanno svelato attivissimo nei rapporti con l'ambasciata Usa, nonostante la sua adesione al partito finiano. Ma molti dei tecnici in divisa sono quelli che scelse Arturo Parisi, esperti di cui La Russa ha imparato a fidarsi come il generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Ognuno riceve emolumenti extra significativi: in media 57 mila euro l'anno. E alcuni, come il responsabile Web Antonio Giordano, hanno lo stesso ruolo anche nel Pdl e nella fondazione aennina Italia Protagonista.


Mascia Garigliano A fare la guardia all'immagine provvede un plotone tutto femminile, guidato dal portavoce Emiliano Arrigo e dalla segretaria particolare Stefania Chiavelli. Spicca Rita Fantozzi, un tempo ombra di Fini oggi inserita nel Pdl. E una schiera di trentenni, spesso protagoniste delle notti capitoline, come Anna Selene Della Notte e Valeria Venuto. O la bionda milanese Lavinia Prono, leader della Giovane Italia, e la mora romana Mascia Garigliano, autrice di articoli sulle "nozze ideali". Le gratifiche non sono esaltanti: la media è di circa 20 mila euro annuali. E per tutte le Ignazio Girls il cerimoniale prevede una nota assai singolare: "da invitare senza consorte".


Mascia Garigliano
Mascia Garigliano


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/anche-ignazio-ha-le-sue-amazzoni/2166169/24

La vera storia di Marina Berlusconi, erede al trono pronta alla politica per salvare gli affari di famiglia.




Sono rifatte, ma ha due palle più grosse di quelle del padre le mette in mostra e si depila perfettamente il petto.
Marina è la consigliera preferita dal padre, d’altronde lei è nata e cresciuta nel mondo ambiguo ed oscuro che ha formato la fortuna economica della famiglia, nel senso siciliano mafioso della parola.
Purtroppo la memoria degli italiani, quelli dalla sua parte, è totalmente assente, o complice, nessuno ricorda che è sceso in campo con 7.000 miliardi di lire di debiti e con un piede in galera.
Fonte Fedele Confalonieri e se mettiamo in discussione anche l’amico e socio di una vita non c’è più religione.
Geniale è geniale impossibile negarlo, è riuscito a sfuggire alla giustizia senza darsi alla latitanza, senza nemmeno nascondersi in qualche bunker nelle sue ville e per rendersi invisibile è ricorso alla sovraesposizione mediatica, come quei caroselli che a forza di vederli non li ricordi nemmeno.
Ha fatto eleggere, nel suo partito personale, la schiera di suoi avvocati e molti dei suoi complici o subalterni garantendosi uno zoccolo duro che gli ha permesso di dominare per 18 anni.
Al resto ci hanno pensato le sue televisioni, le varie D’Urso, Zanicchi, De Filippi, Marcuzzi, che hanno inciso con l’oppio della televisione molto più di Emilio e di tutti i direttori dei suoi telegiornali di regime.
Ho sempre considerato la De Filippi la vera corazzata dei berlusconiani inconsapevoli, a induzione, risucchiati dal vortice della stupidità sino al coinvolgimento inconsapevole ed esagerato grazie all’azzeramento totale della cultura, di un minimo di riflessione.
Non per niente le truppe all’esterno del Tribunale di Milano erano sempre le sue e, se consideriamo che la maggioranza erano donne anche se stagionate, se ne ricava che lo spirito critico ed il rispetto per la donna è stato azzerato del tutto da uomini e donne, c’è posta per te ed il  ballo dell’ultimo miglio. Alludo a quella pagliacciata di pensionati over 70, ed oltre, che giocano a fare i galletti con tanto di fiore alla giacca e scenate di gelosia.
Un doloroso esempio di come ci si possa ridurre andando avanti negli anni, dovrò dire a mio figlio che se mi vedesse ridotto in quelle condizioni di chiedere il mio ricovero per incapacità di intendere e di volere.
Tutte le elezioni dal 1992 ad oggi si sono risolte con una differenza di voti, tra uno schieramento e l’altro, inferiore ai due milioni e le corazzate dell’oppio guidate dal generale De Filippi ne coinvolgono molti di più.
Infatti la sua fine, ammesso che sia al capolinea, arriva per motivi economici e per l’impresentabilità ormai accertata in campo internazionale, lo molla persino la Confindustria , la Borsa e gli investitori, ogni giorno in più che passa  al potere costa miliardi di euro.
Il problema vero, che dilata a dismisura questa agonia, è lo stesso che lo ha spinto a scendere in campo il 26 gennaio del 1994, i suoi interessi economici ed il mettersi al riparo dalla Giustizia, dobbiamo fargli i complimenti è riuscito ad azzerare 7.000 miliardi di lire di debiti e diventare uno degli uomini più ricchi, e potenti, del mondo occidentale. Si è fatto depenalizzare il falso in bilancio, come primo ministro si è permesso di elogiare, giustificare, l’evasione fiscale garantendogli l’amicizia eterna di banditi come lui. Ha fatto condoni di tutti i tipi, dal fisco all’edilizia abusiva e ne vediamo i risultati ogni volta che piove.
Non gli è riuscito il condono, una amnistia, per gli amici mafiosi ma sul 41 bis qualcosa è riuscito a fare, pentiti a parte ai quali è stata tolta la protezione così imparano a non comportarsi da eroi come Mangano.
Non so se siamo all’ultimo miglio, la consigliera prediletta lo incita a resistere con una certa insistenza, ha già cominciato la campagna di propaganda del vittimismo di famiglia e di lesa maestà dei traditori e, soprattutto, non dimentichiamo che eticamente e moralmente è peggio di lui. Del resto Marina Berlusconi prova orrore per Roberto Saviano: si, avete capito bene, non prova orrore per la mafia, ma per Roberto Saviano.
Sembra impossibile ma, quello che ha dichiarato sulla sentenza che condanna al risarcimento per la vicenda  della Mondadori è la prova più evidente che Berlusconi non rappresenta il peggio della sua famiglia, la figlia prediletta lo supera, è ancora più spudorata di lui.
Staremo a vedere ma ricordiamoci una cosa, come la morte del duce non ha determinato la fine del fascismo, così la fine di Berlusconi non sarà la fine del berlusconismo e dobbiamo stare vigili che non scenda in campo a prendere il testimone la peggiore di tutti, la figlia Marina.
Non sottovalutiamo questa possibilità.
Abbiamo poche certezze, la prima è che l’Italia ne uscirà con la schiena rotta, massacrata moralmente ed economicamente dai decenni di berlusconismo e al seconda, un po’ più positiva per la famiglia Berlusconi, è che noi siamo democratici non sarà giustiziato e non sarà sepolto in un luogo segreto. Quando verrà il suo momento inaugureremo il mausoleo di Arcore e Marina non avrà bisogno di consegnarsi alla Corte dell’Aja. La Resistenza ci ha regalato la democrazia e la Costituzione, quelle che suo padre ha tentato di demolire per oltre 18 anni.