Sbaglia chi definisce populista il Movimento 5 stelle fondato da Beppe Grillo. Certo, alcune sparate del comico genovese ricordano quelle di Umberto Bossi. I suoi toni e e le sue parole possono, legittimamente, non piacere.
Ma molti temi da lui proposti sono importanti, meritevoli di essere discussi o semplicemente condivisibili. E sopratutto dietro a Grillo esiste un popolo di militanti tra i quali non è poi così raro scorgere il meglio del Paese.
Chi ha partecipato agli incontri organizzati dai meetup sa che questi gruppi sono composti da cittadini informati solitamente ad alto tasso di scolarizzazione, impegnati nel sociale o in iniziative legate alle condizioni del territorio: inquinamento, energia, modelli di sviluppo, spesa pubblica nei comuni e nelle regioni.
Ovviamente, se davvero alle prossime amministrative il Movimento raccoglierà quel successo vaticinato dagli ultimi sondaggi, questo sarà dovuto anche al voto di protesta. Ma la cosa non basta per bollare i 5 Stelle come espressione dell’anti-politica, come fanno gli spaventati Pierluigi Bersani e Niki Vendola o, su quasi tutti i giornali, i grandi commentatori del secolo scorso.
Gli osservatori attenti e in buona fede, infatti, non possono negare che l’attività degli attivisti e dei rappresentanti dei cittadini fin qui eletti nei comuni e nelle regioni, dimostra proprio il contrario.
Le scelta di rinunciare ai finanziamenti pubblici, di mettere un tetto al numero di candidature consecutive, la presenza di programmi precisi, sono un fatto politico. Così come sono state politica, con la P maiuscola, le raccolte di firme per le leggi d’iniziativa popolare che il parlamento ha scandalosamente ignorato.
Solo negli anni a venire sapremo se il Movimento 5 stelle sarà parte (e quale parte) di quel grande cambiamento di cui ha bisogno il Paese. Che Grillo dica di non aspirare a nessuna carica pubblica è un buona cosa. Meno buono è invece il suo atteggiamento nei confronti di chi la pensa diversamente da lui o esercita il diritto di cronaca e di critica.
Ma al di là dei giudizi sulle singole iniziative e prese di posizione, resta un fatto. Il Movimento 5 stelle è vivo e vuole crescere. E questo oggi, in un mondo popolato da partiti e leader ormai (politicamente) morti, è già tanto.
Se poi sia abbastanza non dipenderà da Grillo. Ma dalla qualità, le capacità e la volontà, dei cittadini che corrono con lui.
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Cinquanta stipendi d’oro 2011 valgono quanto un anno di rimborsi elettorali. E i capi azienda affrontano la crisi con il posto fisso. Il loro.
Scordatevi il posto fisso”, moraleggiava pochi giorni fa il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro. Nell’occasione si è dimenticato di spiegare all’attonita platea di liceali milanesi come mai nel 2011 la sobria banca fondata da Enrico Cuccia ha premiato l’amministratore delegato Alberto Nagel con 384 mila euro una tantum per i vent’anni di anzianità aziendale. Pagliaro e Nagel certo non sarebbero i testimonial più adatti per convincere i lavoratori italiani a non restare avvinti come l’edera al posto fisso, mentre sono ottimi per dimostrare che quanto a coerenza tra il dire e il fare i grandi manager italiani non sono migliori dei politici.
E a proposito di costi della politica, guardate la tabella che pubblichiamo in questa pagina: sono 50 tra i maggiori stipendi di top manager, ricavati dai bilanci 2011 pubblicati finora (mancano ancora all’appello colossi come Intesa San-paolo, Telecom Italia e Fin-meccanica). Il totale delle somme incassate da questi 50 superuomini l’anno scorso è di oltre 134 milioni, cifra vicina ai 170 milioni che i partiti aspettano di incassare con la rata annuale del prossimo luglio. Nel complesso i top manager delle società quotate in Borsa costano almeno il triplo, una cifra vicina ai 500 milioni: in un anno quanto tutti i partiti prendono di rimborso elettorale per le politiche in 5 anni. La classe dirigente dell’economia italiana costa dunque cinque volte il sistema dei partiti: con risultati cinque volte migliori? A giudicare dall’andamento delle società e dalla marea montante della disoccupazione non si direbbe.
Tra I 50 manager della lista ben 18 sono azionisti di controllo delle società che amministrano, o loro familiari. A cominciare dal recordman, Marco Tronchetti Provera. È in questo modo che i nostri imprenditori si mettono al riparo dal rischio d’impresa, che volentieri scaricano sui dipendenti, destinati a perdere il lavoro quando le cose vanno male (“è il mercato bellezza”). Se l’azienda va male e non distribuisce dividendi agli azionisti, i padroni si garantiscono il reddito assegnando a se stessi e ai propri cari sontuosi stipendi fissi. Tipico il caso della famiglia Ligresti: i figli del capostipite Salvatore (Jonella, Giulia e Paolo) assistono al disastro del gruppo assicurativo Fonsai serenamente assisi sui loro stipendi milionari. Mirabile il caso dei fratelli Gianmarco e Massimo Moratti: la loro azienda, la Saras, ha chiuso il 2011 in perdita come il 2010, ma il presidente e l’amministratore delegato continuano a prendersi il loro stipendio invariabile da anni: 2 milioni e 536 mila euro a testa. Posto fisso e stipendio fisso, milionario, mentre a chi lavora nella loro raffineria di Sarroch, in provincia di Cagliari, con contratti precari da mille euro al mese se va bene si predica la flessibilità e “che noia il posto fisso”.
Fin qui i privati. Nell'anno della bufera del debito pubblico e dei tagli alla spesa sociale, proprio i manager di due grandi aziende di Stato come Eni ed Enel hanno festeggiato un aumento in busta paga. Come il Fatto Quotidiano ha già raccontato in un articolo dell'8 aprile scorso, Paolo Scaroni, il gran capo del cane a sei zampe, l'anno scorso ha ricevuto compensi per un totale di oltre 5,8 milioni, il 30 per cento in più del 2010, mentre suo collega Fulvio Conti, amministratore delegato dell'azienda elettrica, è arrivato a 4,37 milioni, con un balzo del 40 per cento circa rispetto a quanto, dedotte alcune voci di competenza dell'anno precedente, gli era stato accordato nel 2010. Un bel salto, non c'è che dire. Soprattutto se si considera che i due gruppi energetici nel 2011 hanno fatto segnare risultati non proprio brillanti. Per l'Eni i profitti sono aumentati solo del 9 per cento rispetto all'esercizio precedente, mentre l'Enel ha visto calare gli utili del 5 per cento.
Fa un gran balzo anche il compenso di Tronchetti Provera, che passa da 6,4 a 22 milioni di euro. L'aumento, così come quello del direttore generale Francesco Gori (10,5 milioni di stipendio), si spiega in gran parte con un superbonus di oltre 18 milioni di euro. In pratica il numero uno della Pirelli ha incassato nel corso del 2011 le quote di incentivo relative anche ai due anni precedenti. Va detto che dal 2009 al 2011 i risultati del gruppo del cinturato sono notevolmente migliorati. Il progresso si spiega in parte con la separazione dal business immobiliare, fonte di forti perdite negli esercizi passati, ma anche le attività industriali hanno ricominciato a produrre utili importanti. Lo stesso non si può dire della Fondiaria assicurazioni, che nel 2011 ha passato ogni sorta di guai, fino ad arrivare a un commissariamento de facto da parte dei creditori. Questo però non ha impedito alla presidente Jonella Ligresti di ricevere un compenso di oltre 2,5 milioni. Un compenso addirittura superiore a quello di Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di una compagnia come le Generali che continua a macinare utili.
A prima vista si direbbe che perfino il gran capo della Fiat, Sergio Marchionne sia stato costretto a tirare la cinghia (si fa per dire) nel 2011. I suoi compensi cash sono infatti calati di quasi un milione, da 3,4 a 2,4 milioni. E' solo un'impressione, perchè gran parte del compenso del manager del Lingotto viene pagato in azioni Fiat. In gergo si chiamano stock grant e nei primi mesi del 2012 Marchionne ha ricevuto titoli per un valore di circa 50 milioni. Regali esclusi, in casa Fiat lo stipendio del numero uno è stato superato anche da un altro top manager. Il presidente Luca Cordero di Montezemolo nel 2011 ha portato a casa 5,5 milioni di euro, più del doppio rispetto a Marchionne. Sono i benefit del cavallino rampante.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/super-manager-questi-costano-come-i-partiti/
Il nobel Joseph Stiglitz mette in guardia sulla tendenza prevalente a imporre misure di austerità: i governi potrebbero così stare conducendo l'Europa verso una crisi ancora più profonda.
Professor Stiglitz, non la si può certo tacciare di ottimismo.
«Perché dice così? Sono una persona molto positiva» Le sue previsioni tradiscono un certo scetticismo. L'unico aspetto positivo del 2011, lei spiega, è che è stato migliore rispetto a ciò che ci riserva il 2012. Dobbiamo ancora gli effetti perversi della crisi globale? «L'economia del mondo ha di fronte una serie di pericoli, in ogni caso. È l'Europa a preoccuparmi di più. La maggior parte dei governi ha adottato politiche di austerità ma ciò rafforza l'andamento negativo dell'economia. L'Europa è sotto la minaccia di una seconda recessione che potrebbe arrivare anche presto. I prossimi anni saranno veramente difficili, mentre a lungo termine, il futuro del continente è molto buono».
Lei ha criticato duramente la gestione europea della crisi. Pensa davvero che i capi di governo e di Stato si siano comportati in modo così stupido?
«I leader politici europei hanno concentrato tutte le loro energie nello spingere il Sud dell'Europa a risparmiare e a realizzare le riforme. Le democrazie sopportano però senza conseguenze tagli e austerità solo in misura limitata. La luce in fondo al tunnel non si è ancora vista e la rabbia e l'insoddisfazione continueranno pertanto a salire. A causa della recessione, innanzitutto, perché in un'economia in ribasso il gettito fiscale si contrae rispetto alle previsioni, mentre aumenta la spesa sociale: così è inevitabile che si continuino a mancare gli obiettivi di risparmio» Questo è il motivo per il quale Bruxelles continua a sollecitare tagli ancora più drastici. È un errore? «È un andamento insostenibile. Nel mondo non c'è un precedente che dimostri che la riduzione dei salari, delle pensioni e dei servizi sociali possa dare sollievo a un paese malato. Le probabilità che ulteriori tagli risolvano i problemi sono vicine allo zero.
Paesi come la Grecia e il Portogallo hanno bisogno di nuove prospettive di crescita credibili. I politici lo sanno bene, ma finora non hanno fatto niente per correggere questa situazione».
Che cosa dovrebbe succedere? «Quando si attraversano momenti difficili, i governi non dovrebbero contrarre la spesa dello Stato, ma aumentarla. Il deficit di bilancio non si espande necessariamente se al tempo stesso si aumentano le tasse. In questo modo la economia può moltiplicarsi rispetto alle risorse allocate. Penso, per esempio, all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, del tipo di quella attualmente in discussione in Germania e in altri paesi. Le banche potrebbero così incrementare il credito fornito alle piccole e alle medie imprese. Molte banche si mostrano restie a farlo, nonostante la Banca centrale europea abbia fornito loro abbondante liquidità»
Considerando, per esempio, l'insistenza della cancelliera tedesca Angela Merkel per politiche di austerità ancora più severe, crede veramente che la politica europea sia pronta a imboccare un tale corso?
«I leader politici devono riconoscere che quella imboccata è una strada sbagliata. Una overdose di risparmio non può che peggiorare la situazione. Tutto ciò ricorda un po' il Medioevo: quando il paziente moriva si diceva che il medico aveva interrotto troppo presto il salasso, che il paziente aveva in sé ancora troppo sangue. Con questa cura sono stati trattati per decenni molti paesi emergenti iperindebitati, e spesso la cura è stata letale. Ora sussiste il pericolo che in Europa si ripeta qualcosa di analogo»
Dove è ancora troppo alto l'indebitamento?
«In Grecia, ovviamente. Probabilmente anche in Portogallo. E in Irlanda. Il caso irlandese è particolarmente triste, perché il paese non paga soltanto le conseguenze di una spesa enorme dello Stato. In Irlanda sono state le banche a dare origine alla crisi, non lo Stato del welfare. Salvare gli istituti finanziari in sofferenza a spese dei contribuenti è stato un errore catastrofico, che ha portato lo Stato sull'orlo del fallimento»
Molti ritengono che aumentando il proprio indebitamento per combattere la crisi, oggi l'Europa stia commettendo lo stesso errore dell'Irlanda quando ha salvato le banche: c'è il rischio che l'enorme quantità di aiuti elargiti metta alla fine in pericolo il salvatore?
«Questo timore è esagerato, e tuttavia sono d'accordo che nel caso di certi paesi la strada corretta sarebbe stata procedere prima a una ristrutturazione del debito, invece di concedere subito gli aiuti.
Nel caso della Grecia, la riduzione del debito è stata purtroppo troppo contenuta. Ha prevalso la paura del default. La bancarotta, però, anche quella degli Stati, è parte integrante del capitalismo moderno.
Si sarebbe dovuto permetterla. È stato proprio il tentativo di evitare la bancarotta a diventare un grande problema per l'Europa. Sempre di più diventa evidente che nonostante tutta la consapevolezza sulla necessità di preservare l'euro, i politici non sappiano bene quali siano le misure che occorrono per far sopravvivere la moneta comune»
Di che cosa soffre l'euro?
«Quando si è introdotto l'euro, la convinzione generale è stata che per la sua tenuta sarebbe bastata la disciplina di bilancio, ma non è così. Prima della crisi, Irlanda e Spagna presentavano un surplus di bilancio e un indebitamento contenuto. Quello che manca è uno strumento per manovrare contro la crisi. L'area avrebbe bisogno di un organismo per il bilancio in grado di riequilibrare le differenze tra la forza economica delle varie regioni. Un tale organismo potrebbe, per esempio, fornire mezzi supplementari ai paesi con una disoccupazione alta. Intendo proprio un'unione che preveda dei trasferimenti interregionali, la cosiddetta Transferunion tanto odiata dai tedeschi»
di Markus Balser e Catherine Hoffman
http://temi.repubblica.it/micromega-online/stiglitz-leuropa-soffre-di-troppa-austerita-ripresa-solo-con-laumento-della-spesa/
Le cose stanno andando molto male: spread, Borse, speculazione impietosa. Siamo di nuovo nel guano. Quindi stanno andando molto bene. Perché tra qualche mese si deve votare e la fauna incapace e disonesta che ha portato l’Italia a questo punto scalpita per recuperare poltrone e soldi. Ma… incapace e disonesta, ho detto; e anche incolta e stupida. Però, in quanto fauna, condivide con gli animali un istinto primario: quello di sopravvivenza.
E, proprio per questo, le strategie immaginate dai pochi che capiscono quello che dicono (e dai pochissimi che lo capiscono molto bene) verranno accolte dai più, che si accontenteranno di essere eletti, sedere su poltrone dorate, prendersi un sacco di soldi e chiacchierare a vanvera senza disturbare il manovratore. Credo sia ovvio perché dico questo. Chi, tra quelli che il 16 novembre 2011 sono stati scopati via, oserebbe prendere il posto di Monti, Passera, Fornero etc? Chi accetterebbe di giocarsi una fruttuosa “carriera” politica, costruita sull’opportunismo, l’incompetenza, gli inciuci, i voti di scambio, assumendosi la responsabilità di negoziare con Sarkozy, Merkel, Obama e Cameron? Attenzione, senza avere alcuna idea di ciò di cui si discute e delle politiche economiche, sociali, fiscali su cui i loro interlocutori (e che interlocutori) sono tanto divisi. Il loro istinto animale gli fa essere molto chiaro che un sorriso di scherno rivolto a chiunque di loro nel corso di un summit internazionale trasmesso in mondovisione segnerebbe (fortunatamente per il paese, ma assai sfortunatamente per loro) la fine della pacchia criminale e impunita in cui hanno vissuto per decenni.
Sicché io sono convinto che i politici di professione sono, come diceva Robert De Niro ne “Gli Intoccabili” di Brian De Palma, solo chiacchiere e distintivo. Faranno tanta scena ma nessuno farà cadere il governo; e soprattutto, se i “tecnici” avranno voglia di candidarsi nel 2013 (eh, ci va uno stomaco…), e se almeno una parte dei cittadini li voterà, potremo avere un nuovo governo di persone perbene senza le sceneggiate di Scilipoti e della sua fascia nera al braccio.
Tutto questo, a mio parere, significa che il governo deve avere più coraggio e smetterla di correre dietro a presunti veti incrociati. Tanto, come dicevo, sono chiacchiere. L’asta delle frequenze, la riforma della giustizia, i tagli alla politica (finanziamenti ai partiti, stipendi ai politici, abolizione di Province, accorpamento di Comuni) sono tutte cose che il governo Monti può fare benissimo; tanto lo sanno tutti che quando spiumi un pollo questo strilla. Ma poi lo spiumi lo stesso.
Alla fine voglio chiarire una cosa importante. Io non credo che il governo Monti abbia fatto tutto bene; e i miei recenti articoli si occupano proprio delle cose mal fatte. Ma fate attenzione: qui sulla terra viviamo; e il migliore dei mondi possibili è tutto ciò a cui possiamo aspirare. Non credo che qualcuno possa seriamente contestare che B & C (e anche il resto della cosca) ha fatto del suo meglio per farci vivere nel peggiore di questi mondi.
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