L’ira del Cavaliere «Lo caccerei a calci». - di Alessandro De Angelis
«Questo significa giocare sporco, giocare allo sfascio. Io metto la faccia sulla riforma del fisco e quello che fa? Va dagli industriali a dire l’opposto con l’aria del professorino». Quando Silvio Berlusconi, nel suo buen retiro di Villa Certosa, legge le parole di Tremonti a Santa Margherita vede nero.
Il premier ci legge un salto di qualità: l’assalto finale del superministro per liquidare il governo. La dichiarazione di guerra è plateale: Tremonti, nel suo discorso, non ha neanche nominato quella «legge delega entro l’estate» promessa dal premier. Anzi, ha di fatto negato la possibilità di fare una riforma, recitando un «terrificante» spartito rigorista in nome della «prudenza». Per non parlare dell’annuncio dell’aumento dell’Iva alla vigilia di un voto politico, come il referendum di oggi. A telefono coi suoi il premier sbotta: «Dice l’opposto di quello che sosteniamo noi. Ormai quando parla pare di sentire Visco sulle tasse. Sta terrorizzando gli italiani. Non è gli bastato farci perdere le elezioni. Ha deciso di puntare sullo sfascio».
Limite superato, insomma. Tanto che il premier ha ipotizzato un licenziamento del titolare del Tesoro. Fosse per lui, attuerebbe subito il remake del 2004, quando costrinse «Giulio» a dimettersi. Anche perché, per dirla con un ministro di rango, «dal Capo in giù, lo caccerebbero tutti a calci nel culo». Ma le condizioni non ci sono. Troppo alto il rischio di un assalto speculativo. Troppo solido il suo asse con le banche e coi poteri che contano. Troppo stretto il legame con i grandi gruppi editoriali che - pure a sinistra - hanno smesso di criticare la sua politica economica. Elementi che non solo non rendono possibile la cacciata del superministro.
Per il premier rappresentano segnali ben più inquetanti. Pare un tarlo che corrode i pensieri Berlusconi: si sono rimessi tutti in moto per puntare a un governo di transizione guidato da Tremonti. Col protagonista che guida le operazioni. I big del Pdl, da Alfano a Verdini a Fitto ai capigruppo, ieri hanno improvvisato un gabinetto di guerra telefonico proprio per decifrare la mossa del superministro: «Giulio - questo il ragionamento - ha capito che la Lega non è più compatta su di lui. Anzi in molti gli addebitano la sconfitta elettorale. E allora lui annuncia lacrime e sangue con l’obiettivo di aizzarli tutti, e di costringere Bossi a staccare la spina al governo in vista di Pontida. Per la serie: se non si può fare nessuna riforma cambiamo quadro». Operazione spregiudicata. Che denoterebbe al tempo stesso forza ma anche disperazione. Come se Tremonti avesse deciso di giocarsi il tutto per tutto: «Non ha voti - dicono nella war room -non ha un partito, non è il capo della Lega. O ci uccide lui con una manovra di palazzo o torna a fare il professore».
Il contesto - è questo il terrore del premier - si presterebbe alla manovra. L’aria che tira sul referendum è pessima, e il raggiungimento del quorum rappresenterebbe un altro avviso di sfratto al governo. Per non parlare dello sfilacciamento della maggioranza in vista della verifica, o delle fanfare scandalistiche suonate dai giornali. E soprattutto il Cavaliere è convinto che dietro tanta spavalderia ci sia la mano del Quirinale. Sarebbe Napolitano il regista di un’operazione che mira a sostituire l’attuale con un governo che affronti l’emergenza e metta mano alla legge elettorale. Guidato, come fece Scalfaro con Dini, dal ministro del Tesoro del governo uscente: «La verità - dicono nell’inner circle del premier - è che andrebbe aperta una grande vertenza politica col Colle, ma non ne abbiamo la forza».
E c’è un motivo se ieri Berlusconi ha avuto un lungo colloquio telefonico con Maroni. Che poi ha inviato più di un messaggio a Tremonti. Il primo, è che la di rigorismo di muore: «Ci vuole coraggio - dice il titolare dell’Interno - più che prudenza. Il governo non è solo un ragioniere che deve tenere i conti in ordine. Dove noi abbiamo la possibilità di intervenire è solo nel sistema fiscale». Il secondo è che l’alternativa allo stallo sono le urne: «Per governi e maggioranze tirare a campare è devastante. Mi auguro che Berlusconi dirà nettamente queste cose nel discorso che farà al Parlamento. Se sarà così io mi sento di dire che possiamo andare avanti, altrimenti...». Il premier confida molto nello scontro in corso dentro la Lega, ormai nient’affatto compatta su Tremonti. Ed è significativo che Maroni ieri è stato l’unico esponente del governo a parlare. La sponda del partito anti-Tremonti dentro la Lega è la chiave per resistere. Per questo il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha invocato la necessità di una «frustata» attraverso «la riforma fiscale». Stringere Tremonti in una tenaglia è l’unico modo per bloccare la manovra di palazzo: «Un contro - dice un ministro azzurro - è Tremonti con dietro la Lega e il Quirinale. Ma se non ha più la Lega, l’operazione è stoppata».
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