mercoledì 4 luglio 2012

L'ultimo giallo del San Raffaele un misterioso furto nel caveau.




Intimidazioni su mandato di Don Verzè, estorsioni e un milione di euro sparito prima del suicidio di Mario Cal. In manette tre addetti alla sicurity del polo ospedaliero.


MILANO
Uno “sfratto esecutivo” bypassando le vie legali e architettando atti di sabotaggio e tentate estorsioni fino ad arrivare a ordinare di dare fuoco agli immobili di un «affittuario divenuto scomodo». E poi, in pieno dissesto finanziario, un furto dal caveau quasi un milione di euro. Sono questi gli ingredienti di un’inchiesta parallela a quella per la bancarotta del San Raffaele, dove di nuovo Don Verzè, sebbene morto lo scorso dicembre, è tra i protagonisti. E questa volta come presunto mandante di una serie di intimidazioni.

Così questa mattina i militari della Guardia di Finanza di Milano hanno portato a San Vittore Danilo Donati, uno dei responsabili della security del polo ospedaliero e altri due addetti alla sicurezza, Antonio Vito Cirillo e Francesco Pinto. Le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate dal gip Vincenzo Tutinelli su istanza dei pm Luigi Orsi, Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta. Respinta invece la richiesta di arresto di Andrea Roma, l’ex responsabile dell’ufficio tecnico. Le accusa a vario titolo sono furto, incendio e tentata estorsione, quest’ultima proprio in concorso con Don Verzè.
L’indagine è nata dalla rilettura di alcune intercettazioni ambientali di un procedimento di sei anni fa della Dda milanese che ha permesso ai magistrati di appurare come il fondatore del polo di cura e di ricerca «avesse avviato una violenta campagna contro Andrea Lomazzi», l’amministratore di Olympia, società che dal 1996 aveva in affitto un’area vicino all’ospedale con un centro sportivo, campi da calcio e tennis, ristrutturato e rilanciato. Il motivo: l’allora presidente della Fondazione Monte Tabor «aveva bisogno di rientrare anticipatamente nella disponibilità dei terreni per sviluppare una diversa iniziativa immobiliare», un residence per gli studenti dell’Università Vita e Salute prima che andasse in fumo l’opportunità di ricevere finanziamenti pubblici.

Secondo le testimonianze raccolte e la ricostruzione degli inquirenti, falliti i tentativi di un accordo tra il sacerdote-imprenditore e Lomazzi ( in un incontro « mi disse ’il giudice sono io e decido io») il primo di fronte alle «resistenze» del secondo, tra il settembre del 2003 e il 2010, avrebbe ordinato atti intimidatori e di sabotaggio per riappropriarsi dei terreni: dallo sversamento di catrame sul campo di calcio, passando per due incendi che hanno semi distrutto il centro sportivo ( a cui si aggiunge quello dell’auto di una persona che si era rifiutata di dar corso al particolare “sfratto”, fino all’interruzione della corrente con cadenza settimanale per almeno tre anni. Ma il culmine del piano è stato quando, come testimonia un dialogo del gennaio del 2006 captato dalle microspie, don Verzè chiese, senza successo, a Niccolò Pollari, allora numero uno del Sismi, un suo intervento per far partire verifiche fiscali ad hoc «al solo fine di scoraggiare le attività» di Olympia.

L’altro capitolo dell’indagine riguarda invece un furto da 930mila euro dalla cassa continua all’interno dell’ospedale, di cui «411.670 mila euro attribuibili alla Fondazione Monte Tabor, 47.815 mila attribuibili a Diagnostica e Ricerca San Raffaele spa, oltre a titoli di credito pari a complessivi 480.384 mila». Un colpo, secondo il gip, messo a segno da Cirillo (con parecchi precedenti) e Pinto qualche giorno prima del suicidio di Mario Cal e preparato in «maniera certosina»: i due però la notte del 13 luglio scorso «pur essendo fuori servizio, sono stati visti scendere presso il caveau e poi tornare indietro 15-20 minuti dopo verso due diverse automobili».

E questo non è tutto per i pm: nella loro richiesta infatti, a proposito del caso di una Mecedes di Cal, scrivono che al San Raffale, pur con un piano di salvataggio in corso che porta il nome di concordato preventivo «c’è ancora chi lavora (...) con attitudine predatoria, si impossessa di beni sottocosto e ruba dove può rubare». Infatti, la macchina di lusso, intestata e pagata dalla Fondazione, nel 2005, 106 mila euro, dopo una storia «complicata» (definita «una via di mezzo tra romanzo d’appendice e racconto dell’assurdo») è stata «rilevata da Cirillo per 17 mila euro nel novembre 2011». E sempre Cirillo, riporta il provvedimento del giudice Tutinelli, tra il 2009 e il 2011 avrebbe incassato senza giustificazione, dalla Metodo, la società ora in fallimento riferibile a Gianluca Zammarchi (già sotto processo), circa 100 mila euro. Pagamenti dietro ai quali ci sarebbe «un giro di false fatturazioni» e «meritevoli di approfondimento».


Che differenza c'è tra un clan di mafiosi e questa cricca di indemoniati?

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