giovedì 2 marzo 2023

NON ERANO BARCONI, SIGNOR MINISTRO. - Enrico Bucci

 

Erano navi, spesso gigantesche per l'epoca, quelle che portavano decine, centinaia di migliaia di italiani sulla costa lontana degli USA.

Potevano resistere molto meglio alle tempeste, su viaggi molto più lunghi: ma quelle navi, come i barconi di oggi, vedevano uomini, donne e bambini cercare un futuro migliore.

Qualcuno fuggiva la fame, nessuno la siccità, la carestia, la guerra e i talebani, come le madri, i padri e i bambini di oggi; eppure vede, signor ministro, nessuno si è mai sognato di dir loro che "la disperazione non giustifica".

La disperazione, quella che forse lei non ha mai provato signor ministro, è la madre della speranza, la speranza intendo che oltre un braccio di mare si possa incominciare finalmente a vivere; e più ancora, che magari i piccoli figli di un'umanità disperata possano non dico necessariamente vivere bene, ma almeno non rischiare di morire ogni momento ammazzati dalla guerra, da uno stupro, da una peste o dalla semplice mancanza di tutto.

Per molto meno, molto meno di così, ma con la stessa speranza, navi intere piene di italiani hanno tagliato ponti e passato mari, per iniziare vite degne di un nome diverso da quello della non morte.

Vede, signor ministro, su quelle navi, nel 1906, si imbarcò il mio bisnonno Fortunato Cocco, e fu censito al suo sbarco, come può vedere qui sotto; e io non consento a lei, e a quelli come lei, di dire che non contribuì a sostenere il proprio paese chi sostenne con il suo lavoro e -lui no, morì prima, ma tanti altri - durante la guerra, anche con la vita, la vita di altri milioni di concittadini che non poterono partire, inviando il magro stipendio nel proprio piccolo paese, e - anche questo non fu il caso di mio nonno, ma di tantissimi altri - crescendo i propri figli in un posto per loro più dignitoso del nostro vasto mondo.

Lei, signor ministro, è un disumano e colpevole esponente di quella gran massa di persone che, di fronte a decine di corpi di bambini sulla sabbia, sente il bisogno di dire che è colpa loro, o dei loro genitori, per non esser rimasti a casa loro, per avere voluto rischiare; come se il rischio fosse quello di un gioco, e non invece l'unica speranza, l'unica possibilità di salvezza da Talebani, guerre, fame, malattie.

Il mio bisnonno arrivò in America nel 1906; anche allora c'era chi studiava la resa del negro in confronto all'italiano nei campi, ma sono passati più di cento anni, e si vorrebbe immaginare che non esista più chi, di fronte ai bambini degli altri, ritiene colpa la fuga, e accidente la morte, dopo aver reso difficili i soccorsi, ostacolato le navi che salvano, e infine sparso veleno retorico nelle menti degli italiani.

Qui sotto è censito l'arrivo del mio bisnonno, e con lui di tanti altri, da emigrante in un'altra costa, verso una diversa patria; perché vede, signor ministro, i primi migranti siamo stati noi, e se oggi sulle spiagge d'America fossero allineate le salme di trenta bambini, non sarebbe importante la loro nazionalità, ma chi ha concorso alla loro morte. E lei, signor ministro, è fra questi, prima con i suoi atti, e poi con le sue parole.

PS:
Chi ritiene che questa sia semplicemente propaganda politica, abbandoni pure questa pagina. Prima che un divulgatore o un ricercatore, io sono un essere umano, e tale intendo restare. 

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