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venerdì 18 marzo 2022

Raccontare non è mai stato così difficile. - Ettore Zanca

 

Ci troviamo di fronte a una narrativa degli avvenimenti che andrebbe preservata come in un’oasi protetta.
Abbiamo assistito a un cambio radicale dell’oggetto narrativo che per chi scrive per mestiere è un banco di prova non da poco.
Pensate ad esempio a chi considerava la “narrativa pandemica” come possibile una volta che il Covid fosse stato se non dimenticato, almeno metabolizzato. Se uscisse adesso un romanzo sulla pandemia avrebbe poco impatto. La realtà ha doppiato in curva la narrativa.
Tutto il narrabile di due anni è stato spinto fuori a calci da una nuova “narrativa del conflitto”. La guerra ha chiesto a chi vive di parole di essere raccontata. Ma l’impegno non si è fermato lì. Chi racconta ha visto nascere una guerra di parole crudeli nate da una guerra cruenta.
La disinformazione, le finte notizie prese dai social e artatamente diffuse. Il cortocircuito pericoloso dell’ideologia da divano che ha rallentato l’emotività in luogo delle giustificazioni.
Esempio principe della disinformazione e delle difficoltà di dare connotazione autorevole è stato l’esempio della Botteri che parla di un ospedale abbandonato in Iraq e viene immediatamente frainteso come l’ospedale di Mariupol.
Ricordo quello che disse Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool quando scoppiò la pandemia: nessuno chiederebbe a un virologo di fare la formazione di una squadra, io ho opinioni sul Covid, mi informo ma non sono un virologo. Ecco. Il compito di chi narra è quello di raccontare vite, di lasciare sul terreno delle parole il proprio cuore per episodi che danno voce agli sconfitti. E gli sconfitti in guerra sono trasversali. Sono i soldati al fronte che combattono e muoiono senza bandiera per gli utili altrui, i civili uccisi o che scappano. Gli animali che partono svantaggiati già in tempo di pace, figuriamoci in guerra.
Chi narra deve confrontare le informazioni, leggere soprattutto la stampa straniera che spesso arriva prima. Oppure come mi ha suggerito qualcuno autorevole “guardare sempre se l’articolo è scritto da chi è in zona di guerra”. Verificare subito anche con motori di ricerca stranieri se una notizia corrisponde. Il morbo del dito caldo pur di acchiappare like non deve essere nelle corde. Chi narra deve respirare profondamente e sentire le vibrazioni che lo portano a raccontare con la spina dorsale tesa sapendo che quel racconto, quella vita, saranno nella propria pelle, come chiodi di croce, spine o petali di fiori.
Per me sono di famiglia una pantera che vive in Siberia, due bambini che il neuroblastoma ha portato via, due genitori che hanno perso un bambino in un bombardamento, tre ragazzine che fanno rock. E poi ci sono le persone che amo, da cui parto per raccontare tutto. Si parte sempre dal giardino di casa.
Il resto, le deviazioni, le manipolazioni e il livore, non devono appartenerci. Se riusciamo a non entrare in nessun tipo di guerra, abbiamo già vinto. verso noi stessi e chi ci ascolta. Cosa abbiamo vinto? Il loro tempo passato a leggerci. Un tempo che non restituisce nessuno.
Foto rielaborata da una originale AP
Soundtrack: Esseri umani - Marco Mengoni

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