Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 25 ottobre 2025
BELGIO, BART DE WEVER, “NEMMENO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALI HANNO CONFISCATO ATTIVI” Fonte: Bloomberg
mercoledì 2 febbraio 2022
Ora nel Movimento il tema centrale è il terzo mandato. - Peter Gomez
Il Movimento 5 Stelle ha un problema molto più grande dello scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte: l’indecisione. Da più di tre anni il Movimento non affronta la questione centrale per il suo eventuale futuro: la regola dei due mandati. Oggi questo principio, che è da considerare fondante per i pentastellati, è ancora in vigore. Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo lo avevano introdotto per garantire un continuo ricambio degli eletti; per consentire alla società civile di aspirare a entrare in Parlamento non per cooptazione come avviene in tutti gli altri partiti e per evitare che all’interno delle Camere si formassero cordate interessate solo alla propria sopravvivenza. Gruppi di potere che gli elettori da sempre non amano e liquidano con una brutta, ma adeguata parola: poltronari. Un termine dispregiativo che però non tiene conto di un altro aspetto della questione: tra tante persone che dopo dieci anni sono disposte a fare di tutto pur di non perdere lavoro, poltrona e stipendio vi può sempre essere chi ha invece maturato esperienze e competenze molto utili alla forza politica che rappresenta.
Attualmente, in base alla regola, alle prossime elezioni non dovrebbero essere ripresentati 67 su 230 parlamentari. Molti di loro sanno già che se anche la norma fosse abolita le loro chance di rielezione sarebbero molto basse. I consensi sono in calo e il numero di posti a disposizione è per tutti diminuito proprio in base a una riforma costituzionale voluta dal Movimento. Ma avere pochissime possibilità è diverso dal non poter partecipare alla competizione elettorale. Sopratutto se la tua figura pesa nella breve storia grillina. Tra i 67 figurano nomi come quelli di Luigi Di Maio, Paola Taverna, Roberto Fico, Federico D’Incà, Danilo Toninelli, Laura Castelli, Giulia Sarti, Stefano Patuanelli e Vito Crimi. È ovvio e scontato insomma che indipendentemente dallo scontro tra dimaiani e contiani (tra i 67 vi sono esponenti di entrambi i fronti) la tensione salga e che anzi in qualche caso sia proprio la causa dello scontro.
Beppe Grillo ha già fatto sapere mesi fa di essere fieramente contrario a modificare la regola. Se lo fate, ha detto, io me ne vado. E si è limitato ad approvare l’introduzione di un terzo mandato (ipocritamente chiamato zero) per i consigli comunali. Un’innovazione utile, tra l’altro, per permettere a Virginia Raggi di correre di nuovo a Roma.
Conte, invece, non si è mai espresso chiaramente. Al netto del necessario assenso di Grillo e del voto vincolante da parte degli iscritti, le soluzioni possibili sono quattro: non cambiare niente; abolire la regola; introdurre un ulteriore mandato, ma solo per quanto riguarda i consigli regionali oltre che comunali; consentire delle deroghe. Cioè dare a Conte, o chi per lui, il potere di stabilire chi sono i meritevoli che però, per essere ripresentati, dovranno prima essere votati dagli aderenti ai 5Stelle. Ogni scelta ha dei pro e dei contro. Fatti chiari li esaminerà in una prossima rubrica. Una cosa però è certa. Rimandare non può che peggiorare le cose in un movimento in cui Di Maio può aspirare ad avere dalla sua parte molti parlamentari, ma al contrario di Conte pochi iscritti. Per questo l’ex premier, per il bene suo e della forza politica che rappresenta (e quindi anche di Di Maio), dovrebbe rileggere una frase del ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt: “Quando devi decidere, la migliore scelta che puoi fare è quella giusta, la seconda migliore è quella sbagliata, la peggiore di tutte è non decidere”.
venerdì 14 gennaio 2022
Gas e nucleare tra le fonti «green»: perché la Ue ha rinviato la decisione. - Giuseppe Chiellino
Slitta dal 12 al 21 gennaio la chiusura della fase di consultazione degli stati membri sull’atto delegato della Commissione europea che deve decidere se e fino a che punto il gas e nucleare possono essere considerate fonti energetiche “verdi” e dunque possono rientrare nella tassonomia, la classificazione che Bruxelles sta mettendo a punto per mobilitare gli investimenti privati sulle fonti più sostenibili per l’ambiente e dunque necessarie per raggiungere la neutralità climatica al 2050.
Le motivazioni del rinvio.
Il rinvio - di cui si parlava da qualche giorno - è stato motivato con l’esigenza di dare più tempo ai governi per valutare la proposta di tassonomia presentata alle capitali il 31 dicembre, poche ore prima dello scoccare della mezzanotte in modo da rispettare anche formalmente l’impegno che Ursula von der Leyen aveva preso con gli Stati membri.
Il rinvio della deadline riguarda solo la consultazione con la Piattaforma sulla finanza sostenibile e con i 27, mentre resta invariata - per ora - la scadenza di fine mese per l’adozione dell’atto che per sua natura non è modificabile: Consiglio e Parlamento hanno quattro mesi di tempo (che molto probabilmente diventeranno sei) per approvarlo così com’è o bocciarlo con una maggioranza qualificata.
Secondo il calendario dei lavori del collegio, la data per l’adozione del controverso provvedimento dovrebbe essere il 26 gennaio, ma è plausibile che venga posticipata anche questa.L’intervento della Commissione dal punto di vista degli equilibri politici tra gli Stati membri è di una delicatezza estrema, come dimostrano le fibrillazioni crescenti delle ultime settimane.
Gas e nucleare secondo Bruxelles.
Bruxelles da tempo ritiene che il gas naturale e il nucleare hanno un ruolo come fonti per la transizione verso un futuro basato prevalentemente sulle rinnovabili. La loro classificazione nella bozza del provvedimento perciò è subordinata a condizioni molto rigorose che stanno facendo molto discutere, e ha creato diversi fronti.
Il primo, guidato dalla Francia, è a favore del nucleare. Per il presidente Macron si tratta di una questione esistenziale: con 58 centrali (molte di vecchia generazione) il Paese è il primo produttore di energia nucleare della Ue (37%) e con essa copre il 75% del proprio fabbisogno energetico.
Il fronte a guida francese.
«Un compromesso è un compromesso. Per noi l’essenziale è che il nucleare figuri nella tassonomia Ue» ha detto il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, dopo aver incontrato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis.
«Se vogliamo ridurre le emissioni di CO2, servono le rinnovabili, ma anche il nucleare». Posizione identica a quella del commissario al Mercato unico, il francese Thierry Breton: «Non c’è modo per l’Europa di raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette nel 2050 senza l’energia nucleare» che richiede investimenti per «500 miliardi di euro per le centrali di nuova generazione».
L’opposizione di Berlino.
La Germania, che dopo il disastro di Fukushima ha deciso si smantellare il nucleare entro quest’anno e che riceve il gas russo con i due gasdotti NordStream, conferma la contrarietà all’energia dall’atomo ma Bruxelles spera che non arrivi ad aprire uno scontro con la Francia che ha la presidenza di turno della Ue e con la quale deve discutere altri delicati dossier, a cominciare dalla riforma del Patto di stabilità.
Il governo di Berlino, con dentro i Verdi, dovrebbe dunque astenersi e non seguire il fronte antinuclearista duro e puro guidato dall’Austria che per opporsi al provvedimento si è detta disposta ad impugnarlo davanti alla Corte di giustizia.
Contrario al nucleare è anche il Lussemburgo ma non basta a cambiare gli equilibri in Consiglio dove Spagna e Portogallo sono contrari sia al gas che al nucleare e spingono per una scelta più netta sulle rinnovabili.
C’è poi il fronte a Est, dove è ancora forte la dipendenza dal carbone e non ci sono preclusioni al nucleare. Da quelle parti i paletti in termini di riduzione delle emissioni previste dalla bozza di Capodanno non piacciono, vorrebbero quanto meno allentarle se non proprio un “liberi tutti”. E l’Italia?
La posizione italiana.
Il nostro governo non si è ancora espresso apertamente. Il sistema energetico nazionale ha bandito da decenni il nucleare ed è basato sul gas, il che spinge a pensare che il governo possa assumere una posizione molto vicina a quella tedesca che permetterebbe di non mettersi contro la Francia e nello stesso tempo - come ha spesso ricordato il ministro della Transizione ecologica, Cingolani - lascia aperta la porta per la ricerca sui reattori di IV generazione.
Le prossime settimane saranno segnate ancora da incontri, colloqui e trattative, alla ricerca dell’inevitabile «compromesso politico» richiamato da Dombrovskis dopo l’incontro con Le Maire.
lunedì 2 dicembre 2019
Fumata nera su Mes. Tensione Pd-M5S, "decidano Camere".- Michele Esposito
Giornalisti attendono fuori palazzo Chigi il vertice di GovernoFranceschini, nessun rinvio. Ma Di Maio, no luce verde Gualtieri.
giovedì 24 ottobre 2019
Sanno quello che fanno - Marco Travaglio - IFQ - 24 OTTOBRE 2019

