Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 25 ottobre 2025
BELGIO, BART DE WEVER, “NEMMENO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALI HANNO CONFISCATO ATTIVI” Fonte: Bloomberg
lunedì 21 giugno 2021
Nel 2020 scoperti 3.546 evasori totali.
Denunciati 5.800 'furbetti' del reddito di cittadinanza.
Denunciate inoltre 10.264 persone, di cui 308 arrestate, per aver commesso 7.303 reati fiscali.
Il valore dei beni sequestrati per reati in materia di imposte dirette e Iva è di 800 milioni di euro, mentre le proposte di sequestro tuttora al vaglio dei magistrati ammontano a 4,4 miliardi di euro. E' quanto emerge dal bilancio operativo della Guardia di finanza nel 2020.
Nel 2020 sono stati denunciati all'Autorità giudiziaria 5.868 'furbetti' del reddito di cittadinanza: tra loro anche intestatari di ville e auto di lusso, evasori totali, mafiosi con condanne definitive. Gli interventi - svolti anche con il contributo dell'Inps - hanno permesso di intercettare oltre 50 milioni di euro indebitamente percepiti e circa 13 milioni di euro di contributi richiesti e non ancora riscossi. Anche questo emerge dal bilancio operativo della Guardia di finanza nel 2020.
Forte impegno della Guardia di finanza nel 2020 contro le frodi sui beni per contrastare l'emergenza Covid: denunciati 1.347 soggetti per i reati di frode in commercio, vendita di prodotti con segni mendaci, truffa, falso e ricettazione, constatate sanzioni amministrative in 310 casi e sequestrati circa 71,7 milioni di mascherine e dispositivi di protezione individuale, nonché circa 1 milione di confezioni e 160 mila litri di igienizzanti (venduti come disinfettanti).
ANSA
giovedì 11 febbraio 2021
‘Ndrangheta, confiscato un tesoro da 212 milioni al “re del bitume”. Per l’imprenditore 5 anni di sorveglianza speciale. - Lucio Musolino
Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro Domenico Gallo è qualcosa di più di un semplice imprenditore condannato per truffa e turbativa d’asta. Per gli inquirenti era riuscito a creare, nel giro di qualche decade, quella amalgama con esponenti delle cosche, uomini della pubblica amministrazione e faccendieri che gli ha consentito di accaparrarsi l’esecuzione di grandi opere pubbliche.
Un collaboratore di giustizia lo aveva definito il “miliardario del bitume”. In realtà, per i pm della Procura di Reggio Calabria, Domenico Gallo è qualcosa di più di un semplice imprenditore che già nel 2005 era stato condannato in via definitiva per 27 delitti di truffa e due turbative d’asta commessi tra il 1985 e il 1991. Secondo la Dda, infatti, era riuscito a creare, nel giro di qualche decade, quella amalgama con esponenti della ‘ndrangheta, uomini della pubblica amministrazione e faccendieri che gli ha consentito di accaparrarsi l’esecuzione di grandi opere pubbliche.
Ed è proprio perché indiziato di contiguità con le cosche Piromalli e Zagari-Fazzalari che, oltre a svariate disponibilità economiche, Domenico Gallo si è visto confiscare dalla Guardia di finanza un impero del valore di 212 milioni di euro: 13 società di capitali e relativo patrimonio aziendale, le quote di un’altra società, 11 beni immobili, tra terreni e fabbricati e una villa di pregio, un autoveicolo e 12 orologi tra cui tre Rolex, un Franck Muller, un A. Lange & Sohne e sette Patek Philippe. Su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del pm Gianluca Gelso, il provvedimento è stato adottato dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che ha confermato il sequestro del 2018 e ha disposto nei confronti di Gallo anche la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per 5 anni.
Sin dall’1985 le informative della polizia lo indicavano emergente elemento di spicco della nuova alleanza tra imprenditoria mafiosa e mondo politico-amministrativo a livello locale e nazionale. Per i magistrati, Gallo non ha smesso “di gestire le proprie società con modalità spregiudicate ed illecite ma anzi sia riuscito ad incrementare in modo esponenziale i propri affari non solo commettendo reati ma anche sfruttando in un rapporto sinallagmatico i propri rapporti con la ‘ndrangheta”. La figura di Gallo compare, infatti, in numerose inchieste antimafia condotte dai finanzieri del Gico e dello Scico e coordinate dalla Dda di Reggio Calabria: da “Cumbertazione” a “Martingala” passando per “Waterfront”.
Stando alle indagini che hanno portato alla confisca c’era una sproporzione tra il profilo reddituale e quello patrimoniale del nucleo familiare di Domenico Gallo. Per i pm, grazie a una serie di società a lui riconducibili o, comunque, nella sua disponibilità, il “miliardario del bitume” ha illecitamente operato in diversi contesti territoriali sia provinciali, sia nazionali. Il coinvolgimento dell’imprenditore, infine, era emerso nelle inchieste “Chaos”, “Amalgama”, “Arka di Noè” e “Red Line”, in contesti di criminalità organizzata per la commissione di reati di natura economico finanziaria, nonché contro la pubblica amministrazione.
“Le società riferibili al Gallo – aveva scritto il Tribunale nel sequestro – sono state portate avanti sin dalla metà degli anni ottanta conquistando fette di mercato con modalità essenzialmente illecite. È emerso dagli atti, infatti, che le commesse sono state ottenute solo grazie ad una stabile e continua attività di corruzione. Le società del gruppo Gallo non solo si sono costituite con risorse di cui l’effettivo titolare non poteva disporre ma hanno operato e prodotto ricchezza con modalità illecite”.
In sostanza, in seguito agli accertamenti della guardia di finanza, per i magistrati non ci sono dubbi sull’esistenza di “decine di operazioni sospette e movimentazioni di giro fra le varie società del gruppo per importi elevati che hanno comportato una totale commistione di risorse lecite ed illecite all’interno di tutte le società coinvolte”. Questo ha comportato che tutti gli investimenti fatti da Gallo e dal suo nucleo familiare “nel corso del tempo in beni immobili e mobili, poiché costituenti il reimpiego di denaro di provenienza illecita devono essere considerati essi stessi illeciti”.
venerdì 20 novembre 2020
Mondo di Mezzo: confisca beni a Carminati e Buzzi per 27 milioni.
Confisca definitiva dei beni riconducibili, tra gli altri, a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi imputati principali nel maxiprocesso al Mondo di Mezzo. Il provvedimento è stato eseguito dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza.
Il valore complessivo della confisca è di circa 27 milioni di euro. Tra i beni 13 unità immobiliari e un terreno a Roma e in provincia; 13 automezzi e 69 opere d'arte di importanti esponenti della scena artistica della seconda metà del XX secolo (Pop Art, Nouveau Réalisme, Futurismo e Surrealismo).
Il provvedimento ha riguardato anche i beni nella disponibilità di Riccardo Brugia, secondo gli inquirenti braccio destro di Carminati, Roberto Lacopo, Agostino Gaglianone, Fabio Gaudenzi, Cristiano Guarnera e Giovanni De Carlo, tutti arrestati nel dicembre del 2014 nell'ambito della prima operazione dell'inchiesta della Procura di Roma."La confisca - è detto in una nota della Gdf - rappresenta l'epilogo delle indagini patrimoniali svolte nei confronti degli indagati e dei loro "prestanome", delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ai sensi del "Codice antimafia" (D.Lgs. 159/2011), in una cornice di coordinamento investigativo con l'Arma dei Carabinieri. Gli specialisti del Gico "hanno ricostruito il "curriculum criminale" dei proposti, accertando la sussistenza dei requisiti di "pericolosità sociale" e della rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati e i patrimoni accumulati nel tempo, necessari affinché il Tribunale capitolino emettesse vari decreti di sequestro, su richiesta della Procura della Repubblica, eseguiti a partire dalla fine del 2014". A Carminati sono state confiscate, tra l'altro, la villa di Sacrofano e opere d'arte per un valore stimato di oltre 10 milioni di euro. Un'altra villa, nella stessa località, è stata affidata in comodato d'uso gratuito, per vent'anni, all'A.S.L. Roma 4 per la realizzazione di una importante struttura sociosanitaria per aiutare le famiglie di pazienti con autismo. Nei confronti di Buzzi la misura patrimoniale ha ad oggetto due immobili a Roma nonché le quote e il patrimonio di due società, per un valore stimato di oltre 2,6 milioni di euro. (ANSA).
https://draft.blogger.com/blog/post/edit/2372701819119034825/4675278344296714532
martedì 17 dicembre 2019
'Ndrangheta, quattrocento milioni di euro sequestrati all'imprenditore Ricci. Operava nel mondo del gioco virtuale. - Alessia Candito

Gestiva anche tre società maltesi sotto copertura. E proprio Malta ha negato l'estradizione.
REGGIO CALABRIA. È considerato uno dei terminali della ‘ndrangheta nel mondo delle scommesse on line, ma è ancora un uomo libero grazie alla sentenza di un tribunale maltese che ha negato l’estradizione. Da questa mattina però Antonio Ricci (43 anni) è decisamente più povero. Supera i 400milioni di euro il valore dei suoi beni che la Guardia di Finanza ha messo questa mattina sotto sigilli per ordine del Tribunale di Reggio Calabria. Nascosti dietro due trust a lui riconducibili, gli investigatori hanno trovato conti correnti, immobili in Italia e all’estero, un portafoglio finanziario da centinaia di milioni di euro, più tre società maltesi “Oia Services Limited”, “Harvey Gaming Limited” (Già “Gvc New Ltd”) E “Wls Limited”.
Tutto sequestrato perché – sostengono inquirenti e investigatori – l’intero patrimonio di Ricci è frutto di affari illeciti, maturati nel grande mondo del gioco e delle scommesse on line. Un ramo di business che la ‘ndrangheta esplora da tempo e vede impegnati i più noti e antichi casati di ‘ndrangheta come i De Stefano – Tegano e i Pesce-Bellocco, che nel mondo del gioco virtuale (e illegale) hanno trovato non solo una gigantesca lavatrice di capitali illeciti, ma anche una straordinaria fonte di guadagno. Il sistema è semplice e facile da nascondere nella giungla del web, dove le piattaforme di scommesse certificate dall’Agenzia nazionale dei giochi e dei monopoli si mischiano a quelle clandestine.
La “chiave” sta nella sede legale della società che gestisce le scommesse. Quelle dei clan scoperchiate con l’operazione Galassia stavano tutte o quasi a Malta e la “GVC New Ltd” e la “Oia Services Ltd” di Ricci, per inquirenti e investigatori di Reggio Calabria ne erano parte integrante. Alle due società, entrambe con sede a Malta, facevano capo una serie di Centri Trasmissioni Dati (CTD) e Punti Vendita Ricariche (PVR) che permettevano di giocare in Italia ma fuori dal circuito autorizzato e controllato dallo Stato. In quel mondo erano i clan a dettare le regole e Antonio Ricci – affermano i magistrati Reggio Calabria – era uno dei principali terminali. Inseguito per questo da un mandato di cattura, Ricci era stato rintracciato e arrestato da latitante a Malta nell'aprile scorso, ma la sua estradizione è stata bloccata dal giudice d’appello Consuelo Scerri Herrera, che contrariamente al tribunale di primo grado ha deciso di respingere l’istanza delle autorità italiane e scarcerare l’imprenditore. Motivo? Ricci era ricercato nell’ambito di “indagini” e non a seguito di reati dimostrati da una sentenza, con buona pace del mandato di arresto europeo spiccato da Reggio Calabria.
https://www.repubblica.it/cronaca/2019/12/17/news/reggio_calabri_ndrangheta-243698706/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1&fbclid=IwAR20pjaHDvb8co6OHsneLvtkKtndNNXX-cB7k6P8M1N4vcOGOmJ0IHrrSU0
domenica 14 luglio 2019
Mafia, sequestrato il commissariato di Vittoria: è del clan Luca di Gela.

Il sequestro è stato operato dalla Guardia di Finanza.
sabato 2 marzo 2019
Firenze: Corte dei conti congela beni per 9 milioni a Verdini e Parisi.

Beni ‘congelati’ fino a un valore di 9 milioni e 100mila euro, pari ai contributi pubblici per l’editoria ottenuti “non avendone diritto”.
sabato 24 novembre 2018
Carmelo Patti in affari con la mafia Sequestro e confisca da 1,5 miliardi. - Riccardo Lo Verso

La Dia e la scalata del cavaliere, deceduto, al Gruppo Valtur. La replica della difesa.
PALERMO - Un patrimonio che vale un miliardo e mezzo di euro. Il decreto di sequestro e confisca che colpisce l'impero economico di Carmelo Patti entra nella storia giudiziaria italiana come uno dei più pesanti di sempre.
I BENI OGGETTO DEL PROVVEDIMENTO/1
I BENI OGGETTO DEL PROVVEDIMENTO/2
Nel paese in provincia di Trapani Carmelo Patti era nato in una famiglia povera. Faceva il venditore ambulante di vestiti assieme al padre. Nel lontano 1962 furono dichiarati falliti. Poi, passo dopo passo, un'ascesa vertiginosa. Fondò innanzitutto la Cablelettra, a Robbio (Pavia) che si alimentava con le commesse della Fiat. Quindi la scalata al gruppo Valtur, acquisito per 300 miliardi di lire, e la realizzazione di una ventina di villaggi turistici e golf resort in giro per la Sicilia e l'Italia.
Il maxi provvedimento riguarda partecipazioni societarie in campo industriale, ma anche uno sterminato elenco di immobili in Italia, Marocco, Costa d’Avorio e Tunisia. I villaggi Punta Fanfalo a Favignana, Isola Capo Rizzuto a Crotone, Kamarina a Ragusa, il Golf Club Castelgandolfo. C'è pure una barca da crociera, la Valtur Bahia, registrata a Londra e ormeggiata a Mazara.
Tra i primi a parlare dei rapporti di Patti con la mafia è stato il pentito Angelo Siino. Uno che di affari se intendeva tanto da meritarsi l'appellativo di “ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra”. Dell'ex patron Valtur Siino raccontò la vicinanza al cassiere della mafia mazarese Francesco Messina. “Mastro Ciccio - spiegava il collaboratore di giustizia - aveva tra le mani Patti, tanto che Bernardo Provenzano ci scherzava su, dicendogli che lui non aveva problemi a passare le vacanze alla Valtur”. Sempre Siino disse di avere assistito ad un incontro fra il cavaliere Patti e Francesco Messina Denaro, il padre del latitante.
Quando nel 1998 andò all'asta la vendita del villaggio turistico di Punta Fanfalo, a Favignana, arrivarono due offerte. Una era di Emma Marcegaglia, che qualche anno dopo sarebbe diventata leader di Confindustria, e l'altra di una ragazza sconosciuta di soli 21 anni. Fu quest'ultima ad aggiudicarsela. Sarebbe rimasta proprietaria per poco tempo della struttura. A lei subentrò Carmelo Patti.
Poi arrivarono gli scandali, le inchieste e la crisi. La Valtur passò in amministrazione straordinaria per far fronte a un indebitamento enorme e furono vendute alcune strutture turistiche.
La Dia ormai da sei anni indagava sugli affari dell'imprenditore. Indagini che oggi sfociano nel sequestro e nella confisca agli eredi.
AGGIORNAMENTO ore 16.41L'amministratore delegato del 'Kamarina Resort', Den Dekker Dionysius "esclude il coinvolgimento della struttura alberghiera nel Ragusano quale presunto oggetto di sequestro penale eseguito, su ordine della Dia di Palermo, in danno di soggetti diversi che nulla hanno a che vedere con la società che rappresento, né oggi né in passato". La srl Kamarina Resort è una società detenuta per la maggioranza dalla famiglia olandese Den Dekker che ha il 78% del capitale, mentre, il 22 per cento è detenuto dall'imprenditrice siciliana Valentina La Vecchia. In una nota l'amministratore delegato Den Dekker Dionysius "diffida a pubblicare e diffondere notizie ed immagini che riguarda la propria struttura alberghiera che non ha nulla a che spartire col sequestro operato nei confronti della famiglia dell'imprenditore Carmelo Patti".
I difensori degli eredi di Carmelo Patti - Francesco Bertorotta, Angelo Mangione e Luciano Infelisi - in una nota annunciano che ricorreranno "subito in appello, ed in ogni altra sede, compresa la Corte europea dei diritti dell'uomo, per chiedere l'annullamento del decreto del Tribunale di Trapani. Secondo i legali il provvedimento "rappresenta un vero e proprio cortocircuito della giustizia, in quanto emesso in violazione di tutti i principi che regolano le misure di prevenzione", Clicca qui per leggere il comunicato del collegio difensivo.
Fonte: livesicilia del 24 nov. 2018
venerdì 17 agosto 2018
Caso Maugeri, via libera al sequestro di pensione e vitalizi di Formigoni: 5 milioni di euro.

Il giudice della Corte dei Conti di Milano: "Gravissimo storno di denari pubblici a fini privati".
Per il "gravissimo sistema illecito di storno di denari pubblici a fini privati" che ha trovato "ampi riscontri, oltre ogni ragionevole dubbio" nelle indagini sul caso Maugeri, è stato convalidato il sequestro disposto dalla procura della Corte dei Conti di 5 milioni di euro (compresi vitalizi, pensione, conti correnti e immobili) all'ex governatore lombardo Roberto Formigoni, di 4 milioni a Umberto Maugeri, ex presidente della Fondazione, di 4 milioni all'ex direttore finanziario Costantino Passerino e di 10 milioni a testa al faccendiere Pierangelo Daccò e all'ex assessore regionale Antonio Simone.
A dare l'ok è stato il giudice Vito Tenore con un provvedimento depositato la vigilia di Ferragosto e nel quale si accoglie la ricostruzione dei pm Antonino Grasso e Alessandro Napoli, guidati da Salvatore Pilato, che hanno contestato ai principali protagonisti della vicenda giudiziaria un danno erariale di circa 60 milioni di euro e, di conseguenza, hanno firmato provvedimenti cautelari bloccando le quote del presunto profitto realizzate da ciascuno per un totale di 30 milioni.
In sede penale per la stessa vicenda che riguarda le tangenti nella sanità, Formigoni è già stato condannato a sei anni in primo grado, il prossimo 19 settembre è attesa la sentenza d'Appello. Quando nel mese di giugno uscì la notizia del sequestro preventivo, l'ex governatore, interpellato dai giornalisti, definì la notizia una 'fake news': "Nulla posseggo - disse all'epoca - tutto quanto possedevo (poco in realtà) mi è stato già sequestrato da anni, per ordine della magistratura".
Come si legge nel provvedimento di convalida del sequestro conservativo milionario, si legge che c'è un "numero poderoso di riscontri probatori" che testimoniano un "danno erariale" dato dai "plurimi fatti corruttivi posti in essere dal 2006 al 2011 dai vertici della fondazione Maugeri (...) nei confronti di Formigoni", tramite Daccò e Simone, "per ottenere, con interferenze nel procedimento decisorio, più rilevanti finanziamenti pubblici regionali (rispetto a quelli dovuti per servizi innegabilmente resi dalla clinica Maugeri come riconosciuto anche in sede penale) e sviando inoltre poderose somme di denari pubblici - prosegue il giudice in un passaggio dell'atto datato 14 agosto - destinati ai fini di rilevante e basilare interesse sociale (cure mediche)".
Il giudice, che sposa in pieno la ricostruzione delle sentenze penali, ha ribadito che Formigoni, indicato come "pubblico ufficiale corrotto", avrebbe percepito "rilevantissime utilità, per oltre 5 milioni di euro", in viaggi, vacanze, ristoranti, alberghi, l'uso della villa in Costa Smeralda e così via, in cambio di interventi e atti amministrativi regionali "ispirati a una logica di evidente favoritismo" nei confronti della fondazione con sede a Pavia. Vicende queste che "non sono state plausibilmente smentite dal Formigoni fornendo spiegazioni alternative (...) ai fatti, specie con riguardo alle enormi ed anomale utilità ricevute".
http://milano.repubblica.it/cronaca/2018/08/16/news/maugeri_corte_conti_sequestro_5_milioni_formigoni_vitalizi_e_pensione_convalida-204256191/
giovedì 21 dicembre 2017
Antimafia dispone confisca beni Matacena per 10 mln. -
L'ex parlamentare di Forza Italia è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente latitante a Dubai.
sabato 8 ottobre 2016
Beni sequestrati alla mafia Azione disciplinare sui giudici. - Giovanni Bianconi
Silvana Saguto (ANSA)
L’iniziativa del ministro Orlando per «gravi violazioni». Per Silvana Saguto 20 capi d’incolpazione per altrettante presunte violazioni accertate in parte dalla Procura di Caltanissetta, che l’ha indagata per corruzione e altri reati, e in parte dal Guardasigilli.
Venti capi d’incolpazione per altrettante presunte violazioni accertate in parte dalla Procura di Caltanissetta, che l’ha indagata per corruzione e altri reati, e in parte dall’Ispettorato del ministero della Giustizia. Un elenco di illeciti che occupa dieci pagine sottoscritte dal Guardasigilli Andrea Orlando, che ha avviato l’azione disciplinare contro la giudice Silvana Saguto, già presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, «attualmente collocata fuori ruolo a seguito di sospensione cautelare» decisa dal Consiglio superiore della magistratura. Con la comunicazione al procuratore generale della Cassazione e al Csm, il ministro riporta d’attualità la contestata gestione dei beni sottratti ai boss mafiosi scoperchiata un anno fa dall’inchiesta, ancora in corso, degli inquirenti nisseni. In attesa delle loro conclusioni, Orlando ha tratto le sue.
L’azione disciplinare non si limita alla Saguto.
L’azione disciplinare non si limita alla Saguto. Riguarda anche due giudici che lavoravano nella sua sezione, ora trasferiti in altri uffici siciliani, anch’essi inquisiti a Caltanissetta: Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte. Inoltre il ministro ha attivato la stessa procedura nei confronti dei giudici Lorenzo Nicastro e Emilio Alparone, tuttora in servizio a Palermo, per provvedimenti considerati illeciti e adottati quando lavoravano nello stesso settore.
«Leso decoro dell’istituzione giudiziaria»
La ex presidente delle Misure di prevenzione è accusata di aver leso «la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato e dell’istituzione giudiziaria» attraverso reiterati comportamenti e omissioni ritenute «gravi». Il primo riguarda il ritardo nella definizione dei decreti, alcuni attesi dalle parti per oltre mille giorni (più di tre anni) e altri non ancora depositati quando la Saguto lasciò il servizio, dopo 900 e più giorni. Al contrario, al momento di decidere una determinata amministrazione giudiziaria, la Saguto ha impiegato appena due giorni, ma con altrettante violazioni: decreto «privo di motivazione, adottato in luogo del tribunale collegiale e senza parere del pubblico ministero». Un’altra contestazione si riferisce all’assegnazione di un incarico e all’assunzione in un esercizio commerciale sequestrato, toccati al fratello e al figlio di una cancelliera legata alla Saguto «da rapporti di amicizia». Nonostante i due fossero sospettati «di un ammanco di 26.000 euro dalla cassa dello stesso esercizio ». E ancora: l’autorizzazione alla scissione di una società immobiliare da cui sarebbe scaturito il dissequestro di un terreno con «immobile bifamiliare» successivamente acquisito da due coniugi che avrebbero sopravanzato gli altri creditori, con relativo «ingiusto vantaggio patrimoniale»; il tutto deciso senza aver informato il pubblico ministero per il necessario parere.
Gli addebiti.
La lista prosegue con mancate astensioni e liquidazioni di parcelle ingiustificate o senza la preventiva verifica, insieme ad altri fatti accertati durante l’ispezione ministeriale. I magistrati indagati a Caltanissetta e sospesi o trasferiti dal Csm hanno già rivendicato davanti all’organo di autogoverno la correttezza del proprio operato, ma il ministro della Giustizia è giunto a conclusioni opposte. Con l’obiettivo di restituire credibilità al contrasto giudiziario alla mafia, che passa anche nell’aggressione ai beni dei boss. Di qui la necessità, sostenne Orlando quando scoppiò lo scandalo, «di perseguire le condotte che hanno offuscato il lavoro di tanti valenti magistrati».
venerdì 16 ottobre 2015
Cena a casa Saguto Con il tonno "sequestrato" alla mafia. - Riccardo Lo Verso
C'è anche questo nelle intercettazioni dell'inchiesta della Procura di Caltanissetta che coinvolge l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Ed ancora: le conversazioni con altri magistrati, siciliani e non, quelle con il padre e con l'avvocato Cappellano Seminara.
PALERMO - Silvana Saguto aspettava un ospite illustre a cena. Un alto rappresentante delle istituzioni. E così a casa sua sarebbero stati recapitati sei chili di tonno. Provenivano da un'attività commerciale in amministrazione giudiziaria. "Un regalo" per l'ex presidente della sezione Misure di prevenzione. C'è anche questo nelle intercettazioni dell'inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.
In una delle conversazioni registrate è rimasta impressa la voce del magistrato che chiedeva al suo interlocutore il pesce per la cena. All'indomani ecco i complimenti: era tutto buonissimo e gli ospiti erano rimasti molto soddisfatti. La conversazione si sarebbe poi spostata sull'incarico che stava per scadere visto che il procedimento era ormai giunto in Cassazione. Stava per arrivare il bollo definitivo o l'annullamento del provvedimento adottato dal Tribunale presieduto dalla Saguto. In ogni caso, sia che il bene fosse passato sotto il controllo dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati sia che fosse stato restituito al proprietario, l'incarico dell'amministrazione giudiziaria sarebbe venuto meno. E i due affrontavano la questione, discutendo anche di eventuali nuove nomine per il futuro.
Di telefonate ce ne sono parecchie. Tutte intercettate nei quattro mesi, da maggio ad agosto, in cui i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno ascoltato le conversazioni della Saguto e degli altri protagonisti dell'inchiesta. Tra questi il padre del magistrato, Vittorio Saguto, pure lui indagato per concorso in autoriciclaggio. Padre e figlia parlavano di qualcosa che non si trovava, ma che andava cercato e preso. Non è escluso che anche sulla base di questi passaggi sia stato necessario l'intervento urgente dei finanzieri nei giorni in cui facevano irruzione in Tribunale e a casa degli indagati per le perquisizioni e i sequestri.
C'era qualcosa che andava trasportato o trasferito in fretta dall'abitazione del genitore del magistrato a Piana degli Albanesi? Soldi o tracce di passaggi di denaro tali da fare scattare l'ipotesi del riciclaggio? Così come si indaga su alcuni spostamenti dell'avvocato Cappellano Seminara, il più noto fra gli amministratori giudiziari. In altre conversazioni emergerebbe il presunto utilizzo disinvolto della macchina blindata per recuperare oggetti dimenticati a casa o accompagnare alla fermata dell'autobus persone che non avrebbero avuto alcun diritto di salire a bordo.
Dal più assoluto riserbo investigativo trapelano pochissimi particolari che qualcuno bene informato definisce "poca roba" rispetto a quanto resta confinato nel recinto del segreto investigativo. Lo testimoniano i tanti, tantissimi omissis che coprono gli atti dell'indagine. Compresi quelli che riempiono le trascrizioni delle conversazioni fra il magistrato e altri colleghi, della stessa sezione per le Misure di prevenzione e non, siciliani ma anche romani.
http://livesicilia.it/2015/10/16/silvana-saguto-palermo-mafia-inchiesta-intercettazioni_674567/


