I partiti interpellano le Sibille Cumane, cambiano nome, elaborano sofisticate strategie per catturare gli 'indecisi'. Ma gli 'indecisi' non sono affatto indecisi, sono decisissimi: a non andare a votare. O, in subordine, a dare il proprio consenso a Grillo che è quasi la stessa cosa perché 5Stelle è innanzitutto un movimento contro i partiti.
Sono più di trent'anni che i partiti, impadronitisi dello Stato, ci menano per il naso. A metà degli anni '70, dopo l'emergere dei primi scandali, i partiti proposero un referendum per il loro finanziamento pubblico. “Così” dissero “non ruberemo più”. Cosa in sé già curiosa, con l'aggiunta che i partiti sono delle associazioni private, non diversamente da una bocciofila, e non si vede perché i cittadini li debbano finanziare per legge. Comunque noi italiani, diligenti, obbedienti e grulli, votammo sì. Quindici anni dopo, con la prima Tangentopoli, si scoprì che rubavano cento volte di più. Ma in precedenza c'erano stati i favolosi anni '80, quelli della 'Milano da bere'. Peccato che la bevessero solo i socialisti e qualche troia non ancora promossa ad exort. Ma questo è il meno. Gli anni del Caf e dei suoi valvassini si caratterizzarono, oltre che per le ruberie, per il più colossale e sistematico voto di scambio. In questo quadro si inseriscono – ma è solo un esempio – le pensioni baby, le pensioni di invalidità false, le pensioni di vecchiaia fasulle, le pensioni d'oro. Tutti sapevano, perché le statistiche demografiche sono le più precise, che nel 2000 quella italiana sarebbe stata una popolazione di vecchi. Ma loro, i partiti, sperperavano allegramente, a proprio uso, il denaro derubando le generazioni future. Après moi le déluge. Che infatti è arrivato.
Nel 1989 il crollo dell'Urss cambiò il volto dell'Europa. La Germania si riunificò, la Jugoslavia si dissolse. Più modestamente in Italia molti cittadini, non più ossessionati dall'incubo comunista, si sentirono liberi di abbandonare i vecchi partiti. E votarono Lega. La comparsa, dopo vent'anni, di un partito di opposizione (il Pci era stato associato al potere e faceva parte del blocco compatto della partitocrazia) permise le inchieste di Mani Pulite che accertarono una grassazione di denaro pubblico che Giuliano Cazzola ha valutato, con un calcolo prudenziale, in 630 mila miliardi, un quarto di quel debito pubblico che oggi costringe i soliti noti, vale a dire il ceto medio, a stringere la cinghia o a scivolare nella povertà nuda e cruda. Per i partiti il '92-94 avrebbe potuto essere un momento di riscatto, la presa di coscienza che era tempo di cambiar strada, che il popolo italiano non poteva essere derubato all'infinito. E invece, passata la buriana, riuscirono, con la complicità di quasi tutto il giornalismo italiano, a trasformare i ladri in vittime di una magistratura proterva, giustizialista, giacobina. E continuarono nelle antiche pratiche per altri vent'anni, mentre sulla scena compariva un energumeno, tale Silvio Berlusconi, un presidente del Consiglio che una recente sentenza del Tribunale di Milano ha definito “delinquente naturale”, cioè un individuo portato, per 'forma mentis', a delinquere. E una cosa del genere, nonostante tutto, non si era mai vista, nemmeno in Italia.
Non è vero che siamo 'indecisi'. Siamo, al contrario, decisi a tutto. Questa classe politica deve essere azzerata, correndo anche il rischio di mozzare le teste a quelle poche persone perbene che pur vi sono. Abbiamo bisogno di ricominciare da capo. I tunisini si sono liberati di Ben Alì e della sua cricca in due giorni. Noi italiani, più vecchi, più stanchi, più fiacchi, ci metteremo un po' di più. Ma io sento che l'ora è giunta.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2012