Marco Lillo per il “Fatto quotidiano”
Di Maio ha annunciato che entro la fine dell' anno venderà, insieme alla sorella, la società Ardima Srl. Una scelta opportuna e non scontata che il Fatto aveva sollecitato ieri in un articolo basato su considerazioni ovvie. Finora grazie alle inchieste de Le Iene è emerso che l'azienda dei genitori del vicepremier ha usato tre o quattro lavoratori in nero 9 anni fa, quando Luigi Di Maio non era un politico e non aveva ruoli nell'impresa. Però il Fatto ha sottolineato ieri anche che l'azienda, in senso tecnico, cioé il complesso dei beni organizzati per fare impresa, è passato nel 2014 a Luigi e alla sorella.
Grazie alle perforatrici, alle betoniere, all'autocarro ma soprattutto grazie all'avviamento dell' azienda donata a Luigi e Rosalba Di Maio dai genitori, il capitale della Ardima Srl è salito di 80 mila euro. Poiché quel valore sarebbe stato creato anche grazie al lavoro nero del passato, Luigi Di Maio, pur non essendo provata una sua responsabilità diretta, deve cedere le quote. Questo avevamo scritto ieri. Però di qui a dire che, dal punto di vista dell'etica pubblica, Luigi Di Maio sia paragonabile a Maria Elena Boschi e Matteo Renzi ce ne corre.
Il punto vero non è ciò che ha fatto papà Di Maio ai lavoratori ma ciò che ha fatto Luigi - grazie al suo ruolo - per il papà o per la sua azienda. Il punto non è se sia più grave il comportamento con i lavoratori di papà Renzi o di papà Di Maio ma ciò che ha fatto il papà di Di Maio per sé stesso, per i suoi amici o per la sua famiglia grazie al ruolo di Luigi.
Da questo punto di vista, almeno finora, le situazioni sono diverse.
Matteo Renzi è stato assunto dall'azienda del padre e della madre nel 2003 alla vigilia della sua candidatura con certa elezione alla Provincia di Firenze. Grazie a quell'assunzione Matteo ha avuto 9 anni di anzianità contributiva e un tfr invidiabile a spese della provincia e poi del Comune con il giochino dei contributi figurativi pagati dall'ente locale mentre il presidente della Provincia poi eletto sindaco, restava in aspettativa nella società di famiglia. Quella furba assunzione permetterà a Matteo di andare in pensione 9 anni prima e gli ha già permesso di incassare decine di migliaia di euro sul conto per il TFR maturato dal 2004 al 2013.
Veniamo al babbo: Tiziano Renzi, secondo quanto ha riferito ai pm Luigi Marroni, ha chiesto all' amministratore di Consip di aiutare il suo amico Carlo Russo che voleva entrare nel gran ballo delle gare. Tiziano Renzi nega ma i pm credono a Luigi Marroni. Bene. Tiziano non avrebbe potuto fare quella raccomandazione a Russo se non avesse avuto alle spalle la carica del figlio.
Finora nessun pubblico ufficiale ha descritto un tentativo simile del padre di Di Maio per far ottenere a sé, alla sua azienda o a quella di un suo amico un incontro o un vantaggio, grazie al peso del figlio. Non solo: Luigi Di Maio si è sottoposto alle domande delle Iene senza gridare al complotto e ha ammesso le colpe del padre. Mentre Matteo Renzi in privato nel 2016 non credeva al Babbo (che negava di ricordare di avere incontrato Alfredo Romeo) ma in pubblico non lo ha mai scaricato. Anche ora che i pm hanno finalmente scritto che 'probabilmente' quell' incontro tra il babbo e Romeo c'è stato a luglio 2015, Matteo non ha detto una parola critica sul padre.
Anche Maria Elena Boschi, secondo l'allora numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni, gli chiese di comprare e quindi salvare la banca di cui il padre era vicepresidente.
Di Maio non ha chiesto a una grande società di comprare la Ardima di papà né ha partecipato a una riunione con un possibile acquirente. Mentre l' ex amministratore di Veneto Banca Vincenzo Consoli ha raccontato che il ministro Boschi fece capolino per pochi minuti a un incontro con i vertici di Banca Etruria e di Veneto Banca nella casa di famiglia nel 2014. Però non proferì parola. Un atteggiamento consigliabile anche oggi.
Fonte: Dagospia del 28 novembre 2018