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martedì 31 agosto 2021

Il Catasto batte i prezzi di mercato. Tasse al top in 10 città. Ecco la mappa. - Cristiano Dell'Oste

 

A Pordenone e in altri nove capoluoghi l’imponibile Imu è in media superiore al prezzo di mercato. Pesano gli estimi non aggiornati e la crisi da Covid. A Imperia i vantaggi maggiori, bene anche Milano.

Avere una casa a Imperia può essere un affare, almeno sotto il profilo fiscale: si paga l’Imu su un valore catastale medio di 73.600 euro a fronte di un valore di mercato di 202mila euro. In pratica, un rapporto di uno a 2,75. A Pordenone, invece, il risultato è ribaltato: si viene tassati su 125.300 euro, mentre il prezzo si ferma sotto i 90mila euro. Non è una lotteria, perché non ci sono premi in palio. Ma l’incrocio tra imponibile Imu e prezzi di mercato riserva più di una sorpresa. Ed evidenzia, oltre ai difetti del catasto, le fragilità dei mercati immobiliari locali e l’impatto della crisi da Covid-19 sui prezzi delle case.

L’elaborazione del Sole 24 Ore, in collaborazione con Nomisma, confronta il valore catastale medio (abitazioni in categoria A/2 e A/3, il 79% del totale) e le quotazioni medie di fine 2020 (per un appartamento di 90 metri quadrati, tipologia usato civile). Sui 103 capoluoghi rilevati dalle statistiche catastali, ce ne sono dieci in cui il prezzo medio di mercato scende sotto l’importo figurativo fiscale. Non solo Pordenone, ma anche Alessandria, Taranto, Mantova e Viterbo. Altri nove capoluoghi, tra cui Venezia e Milano, hanno invece un rapporto superiore a due e sono, per così dire, i più “avvantaggiati” dal catasto.

Le «Raccomandazioni specifiche per Paese» del 2019 della Ue, citate nel Pnrr, suggeriscono una «riforma dei valori catastali non aggiornati». La revisione, però, non rientra nel menu della riforma fiscale il cui disegno di legge delega è atteso a settembre in Consiglio dei ministri. L’atto d’indirizzo approvato a fine giugno dalle commissioni Finanze di Camera e Senato su questo punto non prende posizione, e il silenzio è quanto mai indicativo: nonostante le ipotesi circolate in precedenza, la volontà parlamentare è quella di non riaprire un dossier così delicato.

A riportare l’attenzione sul tema è piuttosto l’atto di indirizzo 2021-23 del ministero dell’Economia, che ha sollecitato maggior aggiornamento e integrazione dei database immobiliari «anche nell’ottica di una più equa imposizione immobiliare» (si veda Il Sole 24 Ore del 20 agosto scorso).

Ecco perché è interessante, intanto, inquadrare la situazione. Il raffronto con il valore di mercato mostra quanto possa essere diverso il peso dell’Imu, a parità di delibera: la classica aliquota del 10,6 per mille, applicata da moltissimi Comuni, può tradursi in un tax rate più o meno pesante. Si può passare così dallo 0,4% di carico fiscale sul valore di mercato effettivo a Imperia fino ad arrivare all’1,2% di Pordenone (dove comunque pure l’aliquota ordinaria si ferma all’8,85 per mille). E anche l’11,4 per mille di Milano si traduce in uno 0,5%, distante dai carichi fiscali più pesanti.

Dietro i divari tra le città non c’è mai una spiegazione unica. Gli estimi attuali fotografano il mercato di fine anni ’80 e da allora ci sono città e quartieri in cui i prezzi sono cresciuti o diminuiti. Padova, ad esempio, è penalizzata anche da rendite catastali tra le più elevate d’Italia, superate solo da Siena e Roma.

Bisogna ricordare poi che si parla sempre di dati medi. Con innumerevoli eccezioni, anche all’interno dello stesso Comune: case in centro con pochi vani hanno rendite più basse, ma se sono in categoria signorile (A/1) il discorso si ribalta; abitazioni di nuova costruzione sono in genere più quotate dal catasto, ma una villetta può pagare di più se è iscritta come A/7 anziché A/2; molti immobili ristrutturati – ma non tutti – hanno visto crescere la rendita (e i contribuenti che sfruttano i bonus sui lavori sono ormai 10,3 milioni). E ancora: alcuni Comuni come Roma, Milano, Bari e Lecce sono stati oggetto di revisioni delle rendite più o meno estese, mentre nella maggioranza degli altri non si è intervenuti.

In generale, fuori dai capoluoghi è probabile che il catasto sia più penalizzante per i proprietari, perché nei piccoli centri i valori di mercato riflettono di solito le minori possibilità di affitto e rivendita.

Illustrazione di Giorgio De Marinis/Il Sole 24 Ore

IlSole24Ore