I verbali dei pm e le dichiarazioni del Noe che inchiodano Toro
di Peter Gomez e Marco Lillo
Continui inviti alla prudenza. "Obiezioni di opportunità politica". Considerazioni, estranee al codice di procedura penale, sul rischio di nuocere "all'immagine del paese". Eccola qui la magistratura davvero politicizzata. Eccola qui, tutta raccontata in quattro verbali depositati a Perugia, dove la parte più consistente dell'indagine sulla cricca della Ferratella è stata spostata quando l'ex procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, è finito sotto inchiesta per rivelazione del segreto d'ufficio, corruzione e favoreggiamento.
Dal 16 febbraio, infatti, i pm del capoluogo umbro sono al lavoro non solo per capire se davvero Toro, come sembra emergere intercettazioni, ha avvertito gli uomini del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, dell'inchiesta del Rosdei Carabinieri in corso a Firenze e degli imminenti arresti. Ma anche per stabilire perché, e in che modo, nella Capitale, un fascicolo analogo a quello toscano, tutto incentrato sui lavori per il G8 (mancato) alla Maddalena, sia stato di fatto insabbiato.
È la storia di un'altra indagine del'Arma. Quella del Nucleo operativo ecologico (Noe) che nell'estate di due anni fa incappa in Sardegna in una serie di imprenditori in contatto con Angelo Balducci, l'allora braccio destro di Bertolaso. Gli imprenditori parlano tra loro di "appalti e di buste" e fanno un quasi esplicito riferimento a un plico definito di "ringraziamento". Per ragioni di competenza (Balducci sta a Roma) i primi risultati dell'inchiesta vengono trasferiti dalla procura di Sassari a quella della Capitale. Qui nel luglio del 2008 l'indagine viene assegnata dal procuratore Giovanni Ferrara al pm Assunta Cocomello e subito dopo viene ibernata. Come? Ferrara (non indagato) e Toro consigliano di procedere coi piedi piombo. Dicono di no alle richieste di intercettazioni telefoniche avanzate dai carabinieri e soprattutto decidono che l'inchiesta sia tolta al Noe e venga assegnata alla Guardia di Finanza, alla quale verranno dati solo compiti di verifica contabili. Il tutto quando, grazie a un lungo articolo pubblicato da L'Espresso nel dicembre 2008, era ormai chiaro che alla Maddalena i lavori per il G8 si stavano risolvendo in un gigantesco spreco di denaro per i contribuenti.
A Perugia, il capitano Pasquale Starace racconta di aver redatto un appunto in cui esprimeva la sua "sorpresa" e informava i superiori dell'accaduto. "I motivi del mancato accoglimento della nostra richiesta, che - spiega l'ufficiale - secondo me esulavano dalla fisiologica dialettica tra la polizia giudiziaria e magistratura, erano rappresentati sostanzialmente dal fatto che il magistrato titolare delle indagini concordasse con noi sulla bontà degli elementi raccolti, ma che gli esiti da noi richiesti, e ripeto apparentemente condivisi dalla dottoressa Cocomello, non venivano adottati per dei contrasti con i vertici della procura, segnatamente il procuratore Ferrara e l'aggiunto Toro, i quali formulavano obiezioni di opportunità politica, non di discrezionalità giudiziaria".
Altrettanto "sorprendente" era poi la decisione di estromette il Noe dall'indagine. Quello che succede è insomma chiaro. Si cambiano in corsa gli investigatori per rallentare tutto. Da una parte, come racconta il tenente Francesco Ceccaroni, i vertici della procura sostengono che "mancano i presupposti giuridici per contestare la corruzione" contro Balducci e i suoi amici. Dall'altra la "dottoressa Cocomello" spiega che le ipotesi investigative del Noe non erano state accolte "per il nocumento che all'immagine del paese sarebbe potuta derivare da un'indagine penale su un avvenimento di taler portata, quale quello del G8".
Valutazioni che, secondo il tenente, la pm non sembrava condividere, ma alle quali comunque si adegua. Le direttive, del resto, lo ricorderà lei stessa nella sua deposizione, sono inequivocabili. Ogni atto, ogni iniziativa riguardante l'inchiesta sulla Maddalena deve essere concordata e discussa con il procuratore Ferrara e l'aggiunto Toro. Sono loro due che suggeriscono di sfilare, l'indagine al Noe e di affidarla al Nucleo di polizia tributaria che era "apparso come l'organo di pg più consono ad effettuare gli approfondimenti investigativi che avevamo richiesto". E sono sempre loro due a dire no alle richieste d'intercettazioni. Un fatto quasi normale. "Anche in altre circostanze", spiega la pm, "Toro è stato molto cauto nel ricorso a tale attività d'investigazione". Mentre Ferrara appare più che altro terrorizzato dalle eventuali fughe di notizie. "Se ne è parlato più volte tra noi", ricorda il magistrato, "Ferrara mi ha responsabilizzato in ordine alla delicatezza dell'indagine. I fatti erano oggetto di dossier giornalistici e se si fosse saputo in quel particolare momento storico dell'esistenza dell'inchiesta romana, sicuramente avrebbe avuto vasta eco".
Così si arriva sino a fine del 2009 quando il fascicolo viene assegnato anche a un altro sostituto, Sergio Colaiocco, che già si occupava degli abusi edilizi legati ai lavori seguiti dalla protezione civile per i mondiali di nuoto. La connessione tra le storie è evidente. Ma Ferrara e Toro vogliono anche che tutto sia seguito da un magistrato considerato prudente e di piena fiducia. Siamo però ormai a poche settimane dagli arresti fiorentini (10 febbraio). Circolano già molte voci e i due pm, a quel punto, tentano di accelerare di nuovo. Colaiocco e Cocomello propongono ancora di ricorrere alle intercettazioni. Ma Toro continua a opporsi. Poi scattano le manette. E per i vertici della procura della Capitale inizia il tempo della vergogna.
Da il Fatto Quotidiano dell'11 febbraio
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 11 marzo 2010
Così a Roma venne insabbiata l'inchiesta sul G8 - Peter Gomez e Marco Lillo
Tronchetti in Tribunale
mercoledì 10 marzo 2010
L'Ira di Silvio! La Russa placca freelance!
Regionali, 'contestatore' attacca Berlusconi durante conferenza stampa.
"La mia vita dentro", viaggio nelle carceri, come sono e come dovrebbero essere
Passaparola / Luigi Morsello è stato per 36
anni direttore di case di pena.
Il suo libro ripercorre decenni di storia
d'Italia attraverso quel mondo
E la realtà carceraria dura nel tempo, fra il sovraffollamento endemico delle celle, il personale carente, i fondi spesso inadeguati, la burocrazia che frena e tutte le difficoltà che rendono arduo, quando non impossibile, il percorso di rieducazione e di reinserimento che ai detenuti dovrebbe essere garantito per legge.
Una realtà sulla quale ora riaccende i riflettori il libro di memoria (non di memorie) La mia vita dentro. Lo ha scritto Luigi Morsello, per trentasei anni direttore carcerario in sette case di pena e funzionario in missione in altre ventidue, grande conoscitore del pianeta carcerario; e lo ha pubblicato Infinito edizioni, una casa editrice da sempre attenta all'attualità che sarà a Modena al Buk Festival della piccola e media editoria il 13 e il 14 marzo prossimi.
Ripercorre decenni di "carcere" Morsello , durante i quali hanno trovato spazio gli eventi più devastanti vissuti dal Paese. Attraversa gli anni foschi del terrorismo, gli scandali, la mafia, la criminalità grande e piccola. Ecco i luoghi di massima sicurezza come Gorgona o Pianosa, gli istituti " a custodia attenuata". Non ricostruisce, offre lampi. Significativi. Evasioni, Rivolte, scontri con amministrazioni non sempre trasparenti. Ma anche vita quotidiana, fatica, dolore. E i detenuti, facce, storie, una galleria di fatti, e di ritratti. Da Epaminonda a Gianni Guido, da Renato Curcio a Marco Donat Cattin, fino a Sindona.
Una lettura istruttiva che, se è vero che anche dal carcere passa la nostra memoria, può aiutare la capacità di stare nel presente.
Morsello, qual è il ricordo più duro della sua vita dentro?
L'evasione da San Gimignano di Giovanni Guido, detto Gianni, (uno dei responsabili della strage del Circeo del 1976). Che ebbe l'effetto di un ciclone nella mia vita e in quella della mia famiglia. Guido fuggì con modalità di una banalità incredibile. Lavorava come scopino in portineria; a mia insaputa, durante un mese di assenza dovuto a una missione nel carcere di Pianosa, aveva ottenuto, in aggiunta alle mansioni di scrivano presso lo Spaccio Agenti, il compito di inserviente in caserma agenti e portineria. Un lavoro normalmente affidato a due detenuti. Ma, appena arrivò Guido, uno di loro chiese di essere esentato dal servizio. Così, quando il 25 gennaio 1981, domenica, alle ore 19, Guido si presentò da solo, la cosa non destò sospetti nel portinaio. Pochi minuti dopo Guido lo colpì alla testa, con un pesante posacenere. Così aprì senza problemi il portone di ingresso e si dileguò nella campagna. Una latitanza durata molti anni. Io fui sottoposto a procedimento penale per 'procurata evasione' (ripeto, non ero presente in quei giorni, né mi era stata comunicata la mansione di Guido), derubricata in 'evasione per colpa' dal Giudice istruttore, assieme ad altri. La Corte d'Assise d'appello confermò l'applicazione dell'amnistia per la "culpa in vigilando", come anche la Cassazione.
Anni di piombo, criminalità. Chi sono i detenuti che sono rimasti nella sua memoria?
Fra tutti spicca la figura di un anziano, Guerrino Costi, in carcere dal 1954 per duplice omicidio volontario non premeditato, scarcerato nel 1976. Un delitto maturato nel mondo di tensioni tra ex partigiani e nuovi democristiani. Lo accompagnai in centro a San Gimignano, dopo avergli fatto ottenere la liberazione condizionale, gli regalai una cravatta e dovetti fargli il nodo, che non aveva mai saputo fare. Aveva lavorato nel mio alloggio di servizio, conosceva la mia famiglia, scrisse dopo un anno dalla scarcerazione una lettera a mia moglie, per ringraziarla dell'umanità col quale era stato trattato.
Poi Angelo Epaminonda, mafioso, in carcere a Busto Arsizio, sezione per semiliberi trasformata in sezione speciale. Un uomo tremendo, irascibile, aggressivo, collaborava col pm Francesco Di Maggio, aveva confessato diverse decine di omicidi, mandando in carcere molti componenti del suo gruppo milanese, con i quali conviveva nella stessa sezione, loro stessi divenuti tutti collaboratori di giustizia. E ancora, Patrizio Peci, Sezione Pentiti, Marco Donat Cattin, Sezione Dissociati ad Alessandria.
Il carcere, come è e come dovrebbe essere.
Come è: invivibile. Il sovraffollamento mortifica ogni possibilità di intervento trattamentale efficace. A distanza di appena tre anni dall'indulto del 2006. Le cause: l'inesistenza di una politica criminale e dell'esecuzione penale. Troppi tipi di reati a basso allarme sociale nel codice penale e nelle altre centinaia di leggi penali, che potrebbero essere derubricati a infrazione amministrativa e sanzione pecuniaria; una politica sbagliata di approccio al gravissimo fenomeno delle tossicodipendenze, che portano in carcere persone per tipi di droghe e quantità insignificanti. Vi sono carceri e sezioni di carceri in attesa di essere utilizzati, fermi per mancanza di personale e risorse economiche.
Come dovrebbe essere: ho letto che un intervento normativo produrrebbe la rapida scarcerazione di almeno ventimila detenuti. Le nuove carceri dovrebbero essere di 300 posti per le case circondariali e 200 per le case penali, con celle standard di venti metri quadri servizi compresi per tre detenuti, laboratori per attività lavorative e corsi professionali. Occorrono educatori, psicologi e criminologi a tempo pieno, le misure alternative alla detenzione debbono essere applicate con rigore ma, in modo massiccio e rigorosamente mirato al trattamento dei detenuti invece che trasformate in una sorta di area di parcheggio.
Luigi Morsello
La mia vita dentro
A cura di Francesco De Filippo e Roberto Ormanni
Infinito edizioni
Pag 203, euro14
Spunta un documento di don Vito su Dell'Utri
Roma, 09-03-2010
Un documento inedito, attribuibile all'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, chiama in causa il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri. A parlarne, nel processo di appello in corso a Roma per l'omicidio del banchiere Roberto Calvi, e' stato Massimo Ciancimino, figlio di Vito, su sollecitazione del pm Luca Tescaroli che lo aveva interrogato il 12 gennaio scorso e che oggi ne ha ottenuto l'audizione cometestimone assistito.
Nell'appunto in corsivo, scritto dallo stesso don Vito, stando alle parole del figlio, si legge: "M.Dell'Utri-Alamia. Calvi-Buscemi-Dell'Utri. Canada Bono Pozza. Ior Raselli 5 miliardi. Milano 2 costruzioni".
Massimo Ciancimino, poi, ha dato lettura di un altro foglio scritto in stampatello dalla segretaria personale del padre, presente stavolta lo stesso Massimo, in vista di un memoriale che non ha mai visto la luce.
Il documento si intitola 'Scaletta cronologica dei fatti' e cosi' recita:
'conoscenza con Roberto Calvi tramite Buscemi e Bonura. Conoscenza con Gardini tramite Buscemi e Bonura. Rapporti tra Alamia Dell'Utri Bonura e Buscemi. Investimenti su Milano 2 Banca Rasini Edilnord.
Rapporti bancari tra Ior Calvi Vaselli - Losanna. Investimento Canada Montreal - Giovanni e Sergio. Riunione a Castello con Di Carlo per il Canada.
Documento n.4".
Pochi dettagli sono stati forniti in aula da Ciancimino jr circa gli affari immobiliari compiuti verso la fine degli anni Settanta nell'hinterland milanese dal padre perche' il presidente della corte d'assise d'appello Guido Catenacci ha ritenuto che l'argomento in questione non avesse a che fare strettamente con l'omicidio Calvi.
E cosi', Ciancimino ha potuto solo spiegare che l'allora banchiere del vecchio Banco Ambrosiano giro' delle importanti somme di denaro (prelevate da Banca Rasini e Gottardo) a Vito Ciancimino affinche' Cosa Nostra speculasse in un'area alla periferia di Milano.
Ciancimino ha pero' precisato che "papa' non ha mai avuto conoscenza diretta di Dell'Utri".
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=138672
Leggi anche:
Roberto Calvi
http://italiadallestero.info/archives/6962
martedì 9 marzo 2010
Matteoli e la raccomandazione come metodo Così il ministro è diventato “l’Unno del Signore” - Peter Gomez
Che il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli fosse un politico quantomeno disinvolto gli osservatori più attenti lo avevano già capito da un pezzo.
Ben prima che le indagini fiorentine sulla cricca della Ferratella raccontassero come Matteoli venisse considerato da molti indagati il terminale giusto a cui far pervenire raccomandazioni e chiedere favori.
Ogni volta che, a partire dal 1994, era stato scelto da Berlusconi come responsabile del dicastero dell’Ambiente, aveva, per esempio, ripetuto con nonchalance: “Niente condoni”. Ma poi le sanatorie erano arrivate lo stesso. E lui, tra gli ambientalisti, si era guadagnato il profetico soprannome di "Unno del Signore".
Quasi un viatico per la sua attuale carriera di big boss dei lavori pubblici, cominciata nel 2008 dopo che tre anni prima, in diretta tv, si era dimostrato affidabile anche nella materia più cara al premier: la giustizia.
“Sono un garantista vero” aveva ripetuto Matteoli dagli studi di Ballarò, assicurando oltretutto di esserlo sempre stato.
Un’affermazione impegnativa (anzi l’ennesima balla) per un uomo come lui che nei primi anni Novanta, quando sedeva in Commissione antimafia, aveva esultato per l’apertura delle indagini palermitane contro Giulio Andreotti.
E che, dopo aver accusato le sinistre di voler salvare dolosamente il Divo dal processo, era arrivato a sottoscrivere una contro-relazione in cui, ben prima della Corte di Cassazione, si sosteneva non solo la colpevolezza di Andreotti, ma persino quella dello spione Bruno Contrada che, di lì a poco, sarebbe stato scelto dal suo partito (con scarsa fortuna) come simbolo della mala giustizia.
Bè, si dirà, è quasi normale.
Nella vita si nasce incendiari, e si muore pompieri.
Ma vedere un ex missino che una volta approdato nei Palazzi del potere si trasforma, come dicono le carte dell’inchiesta, quasi in un socialdemocratico alla Nicolazzi, fa ancora un certo effetto.
Sì, perché Matteoli, il politico che nel‘93 tuonava contro l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo dicendo che “non è concepibile che la raccomandazione diventi un sistema quasi consacrato”, della spintarella ha ormai fatto una sorta di credo.
Ieri, intervistato da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, Matteoli giustifica così i suoi interventi, richiesti dal coordinatore del Pdl Denis Verdini, per promuovere a provveditore delle opere pubbliche toscane, un funzionario privo dei requisiti necessari:
“Quando devo fare le nomine le segnalazioni arrivano. Non capisco cosa c’è di strano se uno dei coordinatori del mio partito mi indica una persona. Se qualcuno si scandalizza è davvero singolare”.
Così, anche se verrebbe da rievocare Tacito (“Il crimine, una volta scoperto, non ha altro rifugio che nella sfrontatezza”), bisogna ricordare che a Firenze Matteoli, non è indagato.
Mentre lo è Verdini, che deve rispondere di corruzione aggravata proprio per aver spinto il ministro a nominare provveditore Fabio De Santis, un ex collaboratore di Guido Bertolaso, approdato in riva all’Arno nel gennaio del 2009 con un unico obiettivo: strappare l’appalto da 260 milioni di euro già assegnato all’Astaldi e girarlo alla Btp di Riccardo Fusi.
Anche Matteoli, sapeva benissimo che Fusi, amico e socio della famiglia Verdini, si stava dannando l’anima per ottenere quei lavori.
Le intercettazioni raccontano di un suo incontro con Fusi al termine del quale l’imprenditore dice a Verdini: “Si è fatto tutto un programma”.
Ma Matteoli oggi assicura di essersi mosso solo per il bene del paese.
Il suo scopo, dice, era quello di “limitare i danni” visto che
Sarà anche vero.
Resta però il fatto che nessuno nel Pdl, dopo aver scoperto come Verdini utilizzasse la sua carica per far concludere buoni affari agli amici, prende le distanze da lui.
Dagli altri coordinatori di un partito che – da un mese – dice di essere in prima fila nella lotta alla corruzione, arrivano anzi solo attestati di stima.
E pure l’Unno del signore non è adirato: “Come potrei? Tutte le volte che lo incontro ripete: ‘Scusami per averti coinvolto’”.
Solidarietà di Casta?
O peggio ancora omertà di una classe politica che si è trasformata in comitato d’affari?
A leggere gli atti il sospetto viene.
Anche perché pure Matteoli ha i suoi guai con la giustizia.
A Livorno, ormai da anni, è accusato di favoreggiamento in un’indagine che ha visto condannati i suoi principali coimputati.
È la storia delle lottizzazioni abusive (con mazzette) all’isola d’Elba. Nel 2003 i pm, sulla base delle telefonate si convincono che Matteoli abbia avvertito uno degli indagati dell’inchiesta in corso.
E visto che è responsabile dell’Ambiente mandano tutto al Tribunale dei ministri. Il fascicolo però torna indietro.
Per i giudici il presunto reato è stato commesso da Matteoli nelle sue vesti di semplice cittadino.
Apriti cielo!
Il Parlamento sostiene con un’anomala votazione il contrario.
Per questo partono i ricorsi alla Corte costituzionale.
Il processo viene più volte sospeso e oggi è fermo in attesa dell’ennesima pronuncia della Consulta.
Matteoli intanto passa alle Infrastrutture, senza che nessuno dica una parola. Anche perché, almeno fino a qualche settimana fa, per il governo avere un dibattimento in corso era un titolo di merito.
Oggi, dopo aver dato un’occhiata a ciò che accade a Firenze, un po’ meno.
da Il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2010.