Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 19 aprile 2010
In ricordo di un amico
44 anni, due figlie piccole e una moglie disoccupata.
Si arrangiava cantando in alcuni locali quando lo chiamavano. Si è impiccato in garage con la corda per saltare della figlia che aveva appena accompagnato all'asilo. Un amico lo ricorda.
"Caro Beppe, ti seguo da anni e continuerò a farlo fino a quando sarà questo il posto per dare una speranza, un segno di lotta contro chi dice che tutto va bene, che la crisi non c'è stata, anzi è passata, forse sta passando, sempre se c'è stata, ormai si dice tutto e il contrario di tutto. Vorrei scrivere tante cose, ma adesso voglio solo rendere omaggio ad un caro AMICO che non c'è più, sono sicuro che gli darai un piccolo spazio per rendere giusto tributo a chi lascia il Sud (Episcopia, PZ) per cercare fortuna altrove, fino a quando dobbiamo lasciare le nostre terre per andare lavorare, fare sacrifici, e a volte anche a morire lontano dalla nostra terra? Ciao Mario."
Berlusconi-Fini, scontro finale - Paolo Flores d’Arcais
L’esito dipenderà dai modi in cui Fini arriverà allo showdown. Dando per scontato che abbia deciso, che il dado ormai sia tratto. Dovesse infatti fare marcia indietro, il patto che firmerebbe, al di là delle possibili apparenze di “compromesso”, sarebbe un “patto leonino”, in cui il ruolo della vittima da sacrificare non sarebbe certo assegnato a Berlusconi. La prima mossa di Fini, apprezzabile e coraggiosa (e comunque improcrastinabile), ha un difetto di fondo, che regala al ducetto miliardario una carta di vantaggio: appare legata a uno scontro di potere, ad una redistribuzione delle quote di influenza all’interno del Partito del predellino. Tema che certamente non è in cima ai pensieri dei cittadini, e rischia di gettare un’ombra di “avidità” che la strapotenza mediatica del Padrone amplificherà a dismisura attraverso le falangi dei suoi minzolini, di video e di penna.
Mentre se c’è una battaglia in cui un politico non è mosso da interessi piccini o inconfessabili, e anzi rischia tutto il potere e i vantaggi accumulati nei decenni, è quella che ieri ha aperto Fini. Riguarda infatti la sopravvivenza o meno dei valori della Costituzione repubblicana, le libertà di tutti e di ciascuno, un futuro europeo anziché da satrapia orientale. Non ci permettiamo consigli, che oltretutto la disinformacija di regime iscriverebbe come prova a carico del “tradimento comunista” di Fini (vedrete che ci arriveranno comunque). Ma essendo lo scontro sui principi della democrazia liberale, il banco di prova sarà sulle prossime leggi di svolta totalitaria, in primis quella che garantisce la galera ai giornalisti che continueranno a fare i giornalisti (il loro mestiere sarebbe infatti informare). Basta non votarle e spiegare il perché. Gli italiani capiranno. E se cade il governo, non è detto che non ci siano in Parlamento i numeri per un governo di “lealtà costituzionale”. E milioni di cittadini in piazza per appoggiarlo.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-posta-in-gioco-tra-berlusconi-e-fini/
domenica 18 aprile 2010
Raimondo muore, Silvio si spaventa
Raimondo muore, Silvio si spaventa
Non è stato un funerale qualunque, quello con cui si è affacciato nell’aldilà Raimondo Vianello. Non è stata la semplice scomparsa di un comico borghese che ci ha fatto sorridere delle nostre vite medie.
Il quadro dolente di Sandra Mondaini, non la sbirulina a cui si è voluto bene, la graziosa signorina che intepretava gradevoli bianchi e nero, ma un’anziana pietrificata dal dolore sulla sedia a rotelle, con una benda corsara all’occhio che le offendeva il viso, questo quadro insomma con al centro una donna al limite del dolore era la sintesi di una morte sintetica oltre che terrena: la fine di una gloriosa stagione televisiva, quella appunto vissuta dalla coppia Sandra&Raimondo, fatta di pacatezza e pudori, senso della misura e creatività genuina.
Un mondo che fu, e che più non è, violentato definitivamente dall’avvento di Berlusconi, l’uomo della pubblicità e delle poppe in vista. Non a caso, il premier, ha trovato il tempo e il modo per palesarsi in duomo e assistere alla cerimonia. Con l’intelligenza, anzi il fiuto che non gli difetta, ha intuito la portata dell’evento. La terminalità innegabile di una stagione italiana che si è espressa e riconosciuta attraverso il teleschermo.
Anche la televisione muore, avrà pensato con terrore il presidente del Consiglio mentre accarezzava la povera Sandra e costruiva il suo personale reality.
Anche il suo Canale 5, la sua Italia uno, il suo Retequattro, schiantati dalla banalità dell’offerta e dalla bomba tecnologica, stanno arrivando alla fine.
E così pure, clamorosamente, la sua giustificazione politica, fatta di un tutto e niente che si equivalgono e sopravvalutano.
http://bocca.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/04/18/raimondo-muore-silvio-si-spaventa/
Vilipendio di cadavere...di Marco Travaglio...
Infatti, in quel festival di botulini e siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato nell’ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo sguaiato, volgare, fasullo: l’esatto contrario della sua vita garbata, elegante, ironica e autoironica. L’estremo oltraggio. Vianello era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente, era l’antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata invereconda che ricorda il feroce episodio de “I nuovi mostri” firmato da Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l’elogio funebre del capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più grasse e pecorecce mentre tutt’intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici del futuro che tenteranno di interpretare l’Italia di oggi non potranno prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto del nostro tempo: l’epoca dei senza pudore e dei senza vergogna.
Una bara sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri dell’Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere nuove per tutti. Una povera vedova incerottata e distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen mentre mormora “Raimondo, io sono qua” senza neppure il diritto di farlo sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti a trasformare tutto in “gossip”. E, tutt’intorno, nessuno che notasse lo scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po’ di raccoglimento, di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c’è niente da ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra. “Berlusconi – scrisse un giorno Montanelli – è talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto”. Infatti, anche per evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò detto nelle sue ultime volontà: “Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”. Forse Berlusconi non se n’è accorto, ma ieri ha seppellito sguaiatamente l’ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi.
(Il Fatto Quotidiano del 18 Aprile 2010)
Emergency, Frattini: liberi i tre operatori italiani. «Felici, ma passati momenti terribili»
I tre operatori di Emergency arrestati la scorsa settimana in Afghanistan con l'accusa di terrorismo sono stati liberati. Lo riferisce il ministro degli Esteri Franco Frattini in una nota. I tre operatori di Emergency, secondo quanto rende noto la stessa organizzazione, si stanno dirigendo verso l'ambasciata italiana a Kabul.«Abbiamo ottenuto quello che era il nostro obiettivo prioritario, e cioè la libertà per i nostri connazionali senza mettere in discussione la nostra posizione di ferma solidarietà con le istituzioni afgane e la coalizione internazionale nella lotta contro il terrorismo in Afghanistan», si legge nella nota. I tre operatori italiani di Emergency del centro di Lashkar-gah, Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, e i loro sei colleghi afghani sono stati fermati sabato 10 aprile, con l'accusa di aver preso parte ad un complotto per assassinare il governatore della regione di Helmand, Gulab Mangal. I tre italiani di Emergency sono stati rilasciati perchè «non colpevoli». Lo dice un comunicato del
Nds, i servizi di intelligence afghani, diffuso oggi.
«Mi sembra una bella conclusione», dice Gino Strada.«È fallito il tentativo di screditarci» È un lungo elenco di ringraziamento quello che arriva da Gino Strada, fondatore di Emergency, dopo la liberazione dei tre operatori dell'associazione in Afghanistan. Dopo le tensioni con il governo italiano, Gino Strada ringrazia l'esecutivo per il contributo dato alla liberazione e scherza «invierò una maglietta di Emergency al ministro Frattini, come mi aveva chiesto». Nessun contatto oggi con il ministro degli Esteri: «Non l'ho sentito al telefono, ma l'ho fatto nei giorni scorsi», sottolinea Strada. «Ringrazio la diplomazia, il ministro degli Affari Esteri e il rappresentante dell'Onu che ha preso a cuore la vicenda, ma anche tutti gli operatori di Emergency che hanno mostrato fermezza e compattezza straordinaria». Strada non dimentica anche l'affetto degli italiani che hanno partecipato alla manifestazione di ieri a Roma. «Gli italiani amano Emergency e il nostro lavoro». Ma il ringraziamento del fondatore di Emergency va anche ai «moltissimi cittadini afghani che hanno mostrato la loro solidarietà. Diecimila persone hanno raggiunto a piedi il nostro ospedale in Afghanistan per firmare un appello di solidarietà per il nostro lavoro». Strada, visibilmente soddisfatto, ha infine ringraziato tutti quelli che «si sono dati da fare per smontare questa montatura».
«Siamo molto contenti di essere fuori, soprattutto contenti di questo perchè sia io che i miei compagni abbiamo passato momenti terribili». Lo ha detto Marco Garatti, uno dei tre operatori di Emergency liberati in Afghanistan, parlando nella residenza dell'ambasciatore italiano a Kabul. Siamo soprattutto contenti di essere fuori con il nostro nome completamente pulito. La nostra reputazione e quella di Emergency sono intatte».
Nelle ultime 48 ore, i tre italiani ono stati trattenuti dalle autorità afghane all'interno di una guest house, dunque non in carcere. Lo riferiscono fonti dell'intelligence sottolineando che «sono stati trattati bene» e che «probabilmente l'epilogo della vicenda sarà l'invito da parte delle autorità di Kabul a lasciare l'Afghanistan». La liberazione dei tre è avvenuta «nel momento in cui gli investigatori afghani hanno verificato che non sono stati raccolti riscontri significativi alle accuse formulate in un primo momento». Il rilascio degli operatori di Emergency è avvenuto «al culmine di una intensa attività di intelligence da parte del personale dell'Aise e diplomatica da parte del personale già presente sul posto e inviato dalla Farnesina in Afghanistan».
«La liberazione dei tre operatori di Emergency in Afghanistan è motivo di sollievo per noi tutti e, in primo luogo naturalmente, per i famigliari. L'intesa raggiunta tra le autorità afghane e il governo italiano garantisce il rispetto dei diritti fondamentali delle persone bruscamente arrestate e pesantemente quanto genericamente accusate, e, nello stesso tempo, la piena corretta disponibilità, nel rispetto delle istituzioni afghane, all'approfondimento delle indagini, sulla base di ogni eventuale ulteriore elemento, da parte della magistratura italiana». È quanto afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Il governo, e per esso il ministero degli Esteri, ha operato con accortezza e fermezza, aderendo alle preoccupazioni espresse da una vasta opinione pubblica», si conclude la dichiarazione del Capo dello Stato.
«Sono su di morale, forte, sto bene e vi saluto tutti». Sono le prime parole dette da Matteo Dell'Aira, al telefono da Kabul, alla compagna Paola, a Milano. Le ha riferite la mamma di Matteo, Daniela, dopo essersi sentita con la compagna del figlio.«Siamo molto, molto felici che i nostri tre operatori siano stati finalmente liberati e che abbiano potuto contattare le loro famiglie dopo otto giorni di angoscia»: è il commento 'a caldò di Cecilia Strada, presidente di Emergency e figlia di Gino Strada, pochi minuti dopo l'annuncio della liberazione a Kabul di Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell'Aira. «Non avevamo dubbi sul fatto che tutto si sarebbe risolto bene - ha detto Cecilia Strada - perchè abbiamo sempre saputo che sono innocenti, così come lo sapevano le centinaia di migliaia di cittadini italiani che ci hanno sostenuto in questi giorni». I tre operatori, ha detto, stanno bene e sono felici di essere liberi. In questo momento si trovano nell'Ambasciata italiana a Kabul. Una liberazione, quella dei tre operatori arrestati nove giorni fa, che secondo Emergency è stata possibile «grazie al lavoro di tutti coloro che si sono adoperati in questi giorni». Non sa ancora, Cecilia Strada, se e quando i tre operatori potranno tornare in Italia: «Ora è il momento della gioia, poi si ragionerà su cosa fare».
«Una conferenza stampa di domenica in genere si giustifica solo con un'emergenza. Questa volta, per fortuna, è una... Emergency positiva», dice Gianni Letta aprendo la conferena stampa del governo sulla liberazione dei tre volontari italiani. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio affianca il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ed aggiunge una seconda battuta, in tema con l'agenda sportiva della giornata. «Non vi vogliamo rovinare la domenica del derby - dice infatti Letta ai giornalisti - Vi vogliamo dare una buona notizia, che d'altro canto già conoscete, perchè il governo in fondo il suo derby l'ha vinto..». «Questa azione è stata condotta al di là e al di fuori di ogni polemica politica. Non abbiamo voluto rispondere a nessuna delle accuse
o delle insinuazioni o delle polemiche. Abbiamo voluto come sempre - ribadisce Letta - fare il nostro lavoro in coscienza,
con determinazione, sicuri di aver scelto la strada giusta».
È Franco Frattini a dare ai giornalisti il film della crisi di questi giorni, e della sua felice conclusione, nella conferenza stampa a Palazzo Chigi. Il ministro degli Esteri richiama i suoi «primi e immediati contatti, con il ministro degli Esteri afghano, attraverso l'inviato speciale che si è trasferito subito a Kabul, l'ambasciatore Iannucci, con il presidente Karzai ed il consigliere per la sicurezza nazionale, che tra l'altro è mio ex collega e mio personale amico». «Il duplice obiettivo - spiega - era accertare tutta la verità nel tempo più breve possibile. Secondo il codice afghano - rileva - i servizi segreti, nelle indagini in cui si contestano azioni criminose del genere, ha 15 giorni prima di formulara l'accusa, e dopo 7 giorni non solo non lo è stata ma, non essendovene elementi sufficienti, è stato deciso, su nostra pressante richiesta, di mettere in libertà piena i tre connazionali arrestati, che nelle prossime ore - annuncia - saranno accompagnati in Italia con un volo speciale italiano e che ora si trovano all'ambasciata di Kabul».
Frattini rivendica «un'azione diplomatica condotta preferendo che a parlare fossero i fatti, che sin dal primo momento sono stati chiari: impegno a trasferire da Helmand a Kabul, mantenuto prima del previsto. A un trattamento assolutamente decoroso, e sono stati subito trasferiti in una guest house che non è una prigione ma una struttura nuova e non paragonabile a una camera di sicurezza, sono stati visitati subito dal nostro ambasciatore come promesso». Poi «si è aggiunto un contatto delle ultime ore che, ieri, mi ha persuaso fosse possibile proporre al governo afghano la liberazione, sulla base di un impegno di fiducia verso le istituzioni italiane. Il governo afghano ha richiesto che vi fosse l'impegno formale del governo italiano, qualora emergano successivamente delle accuse nuove, o si approfondiscano quelle originali, che siano le autorità giudiziarie italiane, secondo la legge italiana, ad occuparsi del caso: un evidente gesto di fiducia verso l'Italia», ribadisce Frattini che rimarca anche che «non si riteneva accettabile da parte nostra che si continuasse a prendere tempo».
«Voglio dare atto a Cecilia Strada(presidente di Emergency, ndr) di aver gestito la vicenda con sobrietà e evitando strumentalizzazioni» al contrario di «una minoranza delle forze parlamentari che ha ottenuto come risposta i risultati di oggi», ha aggiunto Frattini. «Anche il Pd ha tenuto un atteggiamento misurato e prudente, senza fughe in avanti e senza richiesta strane e inaccettabili, come invece qualcuno dell'opposizione, non del Pd, ha voluto avanzare».
«Sta bene, è contento non sa niente di quello che è successo in Italia, ma gli abbiamo già raccontato che tutta Italia era con lui»: così la madre di Matteo Pagani, appena pochi minuti dopo l'annuncio della Farnesina che il figlio è stato liberato. «Pensava di essere prigioniero da nove giorni», ha detto il padre, Massimo. «Gli abbiamo spiegato che sono otto, ma lui insiste... È comunque sereno, anche se ha vissuto giorni di ansia. Sicuramente non è stato in un hotel. E l'ambasciata, dove si trova ora con gli altri operatori, deve essergli sembrata un paradiso». «Gli abbiamo raccontato dell'enorme solidarietà che c'è stata in Italia: abbiamo avuto riconoscimenti e attestazioni da tutto il mondo. Ci ha scritto una bellissima lettera persino un sacerdote con cui aveva lavorato in Venezuela». Il giovane -trent'anni appena, ma già una vita dedicata agli altri- era stato già in Sri Lanka, Brasile, Argentina e poi era approdato a Lashkar Gah, con un progetto di cinque mesi per Emergency. Soddisfatta, con una voce che tradisce una gioia straripante, la signora Pagani è convinta che suo figlio non si farà dissuadere dalla difficile esperienza in Afghanistan a cambiare vita: «È la vita che vuole fare. Ce lo aveva ripetuto anche quando era partito per l'Afghanistan. "Ma chi vuoi che vada a bombardare un ospedale?", diceva per tranquillizzarci. Non avremmo mai creduto di ritrovarci in una situazione così pazzesca, ma l'importante è che sia finita».
Francesco Garatti, fratello di Marco -il medico di Emergency arrestato sabato scorso a Lashkar Gah, nella provincia di Helmand e liberato oggi a Kabul- non ha ancora parlato con il suo congiunto, ma tiene a ringraziare tutti coloro che si sono adoperati per la positiva soluzione della crisi. «La vicenda si è risolta molto rapidamente rispetto alle previsioni nere dei giorni scorsi. Vogliamo davvero ringraziare tutti: le istituzioni, il ministro Frattini, in primis, che ci aveva telefonato stamane preannunciandoci che c'era qualcosa nell'aria. Grazie anche a Cecilia Strada, che ci ha tenuto costantemente aggiornati e a Paolo Corsini, il deputato Pd che è il politico locale che ha sostenuto e incoraggiato un contatto diretto tra la nostra famiglia e il ministro stesso». «Grazie -conclude Garatti, raggiunto telefonicamente- anche a tutte le persone che ci sono state vicine, che ci hanno dato testimonianze incredibili di affetto e solidarietà. Quanto alle polemiche, lasciamole alle spalle: come avrà visto, anche nei giorni scorsi siamo rimasti riservati, convinti che non fosse il caso di fare polemiche».
Emergency opera in Afghanistan dal 1999 con tre centri chirurgici, un centro di maternità e una rete di 28 centri sanitari. Gli altri sei italiani impiegati nella struttura di Emergency a Lashkar-gah sono stati trasferiti a Kabul il 13 aprile, lasciando il controllo del centro alle autorità afghane. L'Italia è in Afghanistan con oltre 3.000 truppe, parte del contingente internazionale guidato dalla Nato per combattere la ribellione talebana e sostenere il governo Karzai.