Annozero tornerà a settembre. Lo annuncia Michele Santoro alla fine di una giornata piena di suspense. In mattinata la domanda al presidente Rai Paolo Garimberti. Diretta: “Devo andare in onda o no?”. Poi la risposta di Garimberti: “Mi approprio del tuo slogan: adesso Annozero può cominciare”. Alla fine la promessa di Santoro: “Avevo chiesto che il presidente si pronunciasse con chiarezza e adesso lo ha fatto. Torniamo a settembre”.
Tutto era iniziato in viale Mazzini, sede storica della Rai. Conferenza stampa movimentata. Un'ora e mezzo di Michele Santoro: riflessioni, battute e una sola domanda che aspetta risposta da settimane: “Per me non sono sufficienti le dichiarazioni di Paolo Garimberti. Deve dire chiaramente se, a titolo del Cda o a nome personale, Annozero deve andare in onda o no. Garimberti mi vuole, vuole Annozero in onda? - si chiede Santoro - È pronto a scommettere anche la sua faccia sulla trasmissione?”. L’aut aut di Santoro era stato deciso: “L'unica scelta è traAnnozero o l'accordo, tertium non datur. Non starò due anni chiuso in una stanza ad aspettare”.
Due chicche. Il direttore di Raidue che scappa dal sì o no di Luca Telese: “Lei vuole Annozero?”. Silenzio imbarazzante. Santoro riprende un editoriale diAntonio Padellaro: “Gli stipendi di conduttori e direttori dovrebbero essere pubblici”.
(Clicca qui o sull'immagine per il video Rai della conferenza stampa di Santoro)
VIDEO: La conferenza stampa di Michele Santoro
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La risposta di Garimberti a Santoro
Appello a Zavoli, i compensi della Rai siano pubblici di Antonio Padellaro
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 7 giugno 2010
Annozero non chiude
La sfiducia dei mercati verso l’Italia non è tutta colpa dell’Ungheria
La causa sono le debolezze italiane e la manovra insufficiente: dopo questa Finanziaria ce ne vorrà un'altra che il Governo non ha ancora annunciato
di Superbonus
Adesso Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti diranno che è colpa dell’Ungheria, che è colpa di chi ha fatto entrare la Grecia in Europa e anche che è colpa degli “speculatori” se la situazione economica si aggrava e sarà necessaria una nuova manovra o un'integrazione di quella in discussione.
Ma questa è una menzogna, la manovra che verrà – non questa da 25 miliardi di euro appena approvata dal governo, ma la prossima, quella che deve ancora essere annunciata – è necessaria per i seguenti motivi: a) nella Finanziaria presentata a ottobre 2009 il ministero dell'Economia ha correttamente previsto la crescita delPil per il 2010 ma l’ha volontariamente mantenuta troppo alta per il biennio successivo b) passate le elezioni regionali in cui si prometteva “la cura contro il cancro” si sono riviste le stime di crescita del 2001/2012 dal 2% al 1,5% e si è evidenziata la necessità della manovra da 24 miliardi c) la manovra pubblicata inGazzetta ufficiale riuscirà a racimolare a mala pena 20 miliardi la maggior parte dei quali derivano dai tagli agli enti locali che si trasformeranno in tasse indirette sulla popolazione d) semplicemente per mantenere gli impegni con l’Europa e soprattutto con gli investitori saranno necessari altri 20 miliardi di manovra nel prossimo biennio. Il mercato non è convinto che il governo Berlusconi sia in grado di affrontare tagli alla spesa o aumenti delle imposte di queste dimensioni ed è per questo e solo per questo che sono sempre meno gli investitori disposti a comprare i nostri titoli di Stato.
Il differenziale di rendimento (spread) dei Btp sui Bund tedeschi a 2 anni è passato dal 1,48% prima della manovra al 1,72% all’indomani della pubblicazione della stessa sulla Gazzetta ufficiale. Quando l’Ungheria ha annunciato le difficoltà ad onorare i propri debiti il differenziale è aumentato dello 0,08% a 1,80%. Lo Stato Italiano ha una durata media del debito di 7 anni, quindi ogni anno ricorre ai mercati finanziari per rifinanziare un settimo del proprio debito chiedendo in prestito 250 miliardi. La crisi ungherese, calcolando un effetto più che doppio rispetto a quello registrato fino ad ora, inciderà al massimo sui conti dello Stato per 64 milioni per i prossimi 7 anni così come la crisi Greca inciderà per 150 milioni.
A conti fatti la spesa aggiuntiva derivante dall’aumento del “rischio Italia” è ampiamente mitigata dalla discesa dei tassi d’interesse che ne annullano di fatto l’impatto. Quindi non si può dare la colpa a loro. Il governo sta cercando di nascondersi dietro una situazione difficile dei mercati finanziari per giustificare le sue carenze di politica economica e di eccesso di spesa pubblica. La conferenza stampa di presentazione della Manovra economica nella sala stampa di Palazzo Chigi il 25 maggio, è la migliore rappresentazione della situazione della spesa pubblica italiana. Le parole “abbiamo rinviato il taglio delle tasse” agli operatori finanziari sono sembrate ridicole e pericolose, perché pronunciate da un presidente del Consiglio che nega l’evidenza e non prende atto che gli investitori hanno presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti con conseguenze per il paese molto più gravi di una semplice caduta del governo.
Non siamo di fronte ad una crisi finanziaria emotiva nella quale prevale l’irrazionalità della reazione alla cattiva notizia (Ungheria, Grecia ecc.), ma dobbiamo affrontare la sfiducia degli investitori nella capacità del nostro paese di abbassare deficit e debito per questo motivo non è in discussione il tasso d’interesse che il Tesoro pagherà, ma le stesse linee di credito al sistema Italia iniziano ad essere viste con un occhio differente. Le parole di Tremonti ad Annozero, giovedì sera, peggiorano la situazione: gli investitori vogliono misure concrete e subito, vogliono sentire parole chiare sullo stato dei conti e sulla vera entità delle manovre da mettere in campo, e ad ogni occasione mancata in cui il governo invece di annunciarle parla d'altro , cresce la loro inquietudine.
Per questo motivo i prezzi dei Btp continueranno a scendere nelle prossime settimane e tutte le oche del Campidoglio affolleranno le televisioni per gridare contro gli “speculatori”. Ma alla fine faranno una cosa semplice semplice che produrrà un gettito di cassa immediato: aumenteranno le aliquote Iva così anche illeader della Cisl Raffaele Bonanni potrà finalmente dire che “sono stati colpiti i consumi e non i redditi”. Proprio una bella soddisfazione.
Da il Fatto Quotidiano del 6 giugno
Una settimanella buona (ma neanche tanto) - Dario Vergassola e Marco Melloni
Sabato 29 maggio - Il piccolo Arnold se n’è andato. Tre anni ancora, invece, per il piccolo Silvio. - Sì del Governo alla tracciabilità, ma solo per pagamenti che superano i cinquemila euro. Un chiaro messaggio alle escort di tenere bassi i prezzi. - Scoperto in Australia un pesce con le mani. Si potrebbe trattare di un pesce-sega.
Domenica 30 maggio - Dennis Hopper, l’attore mito di “Easy Rider”, è scomparso. Ma con quella vecchia Harley non può essere andato lontano. - L’Aquila. Bertolaso è rimasto bloccato in ascensore. Come sempre, il futuro del capo della Protezione Civile è appeso a un filo. - Manovra finanziaria: tagli indiscriminati alla ricerca e alla cultura. Tanto per non saper né leggere né scrivere.
Lunedì 31 maggio - Anche Frattini condanna l’attacco israeliano ai pacifisti. Questa faccenda rischia di rovinargli il viaggio di nozze. - Manovra finanziaria.Napolitano alla fine ha firmato. Per non perdere l’allenamento. - Dopo 40 anni, Al Gore lascia la moglie. Era ancora buona, ma consumava troppo.
Martedì 1 giugno - Entra in vigore nell’Unione Europea il regolamento Mediterraneo: divieto di pesca di gamberetti, telline e bianchetti. Ancora una volta, ci vanno di mezzo solo i pesci piccoli. - Dopo la lite in pubblico, oggi Alemanno ha incontrato in Campidoglio Carla Fracci. Ma per precauzione ha indossato la conchiglia. - Il PdL non ascolta le proposte avanzate da Fini sul DdLintercettazioni. Niente: non c’è peggior sordo di chi non vuol intercettare.
Mercoledì 2 giugno - Festa della Repubblica. A Varese suonata “La gatta” di Gino Paoli al posto dell’Inno di Mameli. Almeno di quella tutti conoscono le parole. - C’erano quasi tutti ai Fori Imperiali per seguire la parata, tranne Scajola che ha preferito guardarla dal balcone. - Cannavaro giocherà per due stagioni negli Emirati Arabi. A parte l’ingaggio milionario, lo hanno convinto le 72 vergini in paradiso come premio partita.
Giovedì 3 giugno - La manovra colpisce anche i farmacisti. D’ora in poi riceveranno le supposte direttamente dal Governo. - Ultimatum dell’Unione Europea, le donne del settore pubblico dovranno rimanere a lavoro fino a 65 anni. Per trattenerleBrunetta ha dato l’ordine di bloccare i tornelli. - Venduto online un falso Viagra. Al contrario di quello vero, era chi assumeva la pillola blu ad essere trombato.
Venerdì 4 giugno - Potrebbe diventare realtà la medicina che cancella i brutti ricordi. In futuro potrebbe per esempio succedere di non ricordarsi più chi ti ha pagato la casa. - McDonald’s ritira 12 milioni di bicchieri con la faccia di Shrekperché contenevano pericolose tracce di cadmio. Che pare fosse la cosa più saporita del menù - Per un errore della censura, sono ritornati accessibili i siti porno in Cina. Fra la popolazione maschile sono ricomparse le tipiche occhiaie a mandorla.
Da il Misfatto del 6 giugno
Quei 98 miliardi evasi che eviterebbero i nostri sacrifici - Marco Menduni
Spiega alla Camera il ministro Elio Vito: «Non si tratta propriamente di un caso di evasione fiscale ma piuttosto di inadempienze contrattuali». Sarà, ma il lessico non cambia la sostanza. Ci sono novantotto miliardi (miliardi di euro, non è un errore) che ormai da tre anni la Corte dei conti contesta alle dieci società concessionarie delle slot machine, le macchinette succhiasoldi che hanno invaso ormai ogni bar e ogni locale della Penisola. Metterebbero a posto per anni i conti dello Stato, senza bisogno di sacrifici. Ma anche riuscire a “recuperarne” una parte darebbe sollievo alle casse asfittiche. Invece la vicenda si è avviluppata in un’interminabile disputa giudiziaria. E quel denaro rimane bloccato, immobilizzato.
È la vicenda scoperta dal Secolo XIX e raccontata, per la prima volta, il 31 maggio 2007. Una commissione parlamentare, presieduta dall’ex sottosegretario Alfiero Grandi, denuncia storture e pesantissime anomalie nella gestione del grande business delle macchinette. Nello stesso tempo il Gat, il gruppo antifrodi tecnologiche della Finanza conclude la sua indagine e manda i risultati alla Corte dei conti.
Le dieci società che hanno ricevuto la concessione dallo Stato per le slot machine, tra tasse evase, contratti non rispettati, penali, multe e interesse, devono pagare 98 miliardi di euro. Il sistema di controllo telematico delle giocate (e delle imposte dovute), che doveva essere pronto e funzionante nel 2004, ha fatto cilecca per anni. Un nuovo calcolo, voluto dalle stesse società, rifila di poco la cifra: si arriva a novanta miliardi.
La notizia trova pochissima sponda sui media nazionali (solo “Striscia la notizia” la segue in maniera costante); ma il 4 dicembre 2008, nell’incredulità generale, la maxi-contestazione arriva a processo. I difensori delle concessionarie fanno fuoco di sbarramento, contestano la competenza della Corte dei conti. Si stoppa tutto. La querelle finisce davanti alla Cassazione. Che però, il 7 dicembre dell’anno passato, scioglie i dubbi. Arriva l’ok: i giudici contabili possono continuare il processo. La prossima udienza è stata fissata a ottobre.
Nel frattempo si sono succeduti diversi tentativi di “colpo di spugna”, regolarmente stoppati. Ma la vicenda è riemersa con l’ultima finanziaria e i sacrifici imposti per affrontare la crisi. Imbarazzando anche la compagine di governo. Un esempio? Radio Padania Libera è stata subissata da centinaia di telefonate di ascoltatori infuriati, che alla cornetta hanno rievocato questa vicenda. A quel punto la Lega Nord ha proposto l’interrogazione parlamentare. Il ministro Vito ha risposto. Rievocando ancora una volta la vicenda giudiziaria e la sua complessità. Aggiungendo però una novità mai emersa fino a oggi: «Nel decreto anticrisi, attraverso la collaborazione con la Guardia di Finanza, sono stati attivati controlli e indagini sull’attività delle società stesse a garanzia del loro operato e per verificarne l’affidabilità». Bene verificare. Ma dei quattrini, nel frattempo, non si parla.
Quanto potrebbe essere lenito l’effetto dei “sacrifici” sugli italiani, se la maxi-sanzione venisse incassata? O se una soluzione “politica” riuscisse a farne incamerare almeno una parte? In realtà la vicenda è complessa. Le società concessionarie mirano ad allungare i tempi della disfida nelle aule di giustizia, probabilmente convinte che il tempo le possa avvantaggiare.
Hanno dalla loro una forza di pressione e condizionamento enorme: il giro di denaro raccolto dalle macchinette si è ormai attestato oltre i due miliardi di euro al mese, con relative tasse che continuano comunque ad affluire. E poi c’è la questione politica. Alcune società risultavano essere direttamente collegate ad esponenti dei partiti.
È il caso di Atlantis (che, secondo i calcoli della Finanza, è la più penalizzata dalle sanzioni con 30 milioni di euro), il cui legale rappresentante era Amedeo Laboccetta, ex uomo forte di An a Napoli, oggi parlamentare Pdl. Anche se Laboccetta nega, oggi, qualunque interesse e persino qualsiasi conoscenza della questione: «Mi sono dimesso il giorno stesso in cui sono stato eletto. Dimesso da tutto. Da Atlantis, di cui non so più niente, da dipendente Assitalia, da presidente di Poste Assicura. Faccio il deputato a tempo pieno, sono nella commissione antimafia e mi sento il custode di Montecitorio: sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene».
Lo stakanovismo di Laboccetta non sposta i termini della questione. Troppi imbarazzi bloccano la politica alla ricerca di una soluzione. Intanto i 98 miliardi (ma anche fossero il dieci per cento rappresenterebbero un sollievo) rimangono impigliati nella rete di una giustizia che marcia con i tempi della giustizia. Appuntamento a Roma, in un’aula della Corte dei conti, a ottobre.
domenica 6 giugno 2010
Le lauree ad Honorem fasulle..........
Al mattino laurea "honoris causa" a Torino. Nel pomeriggio la revoca del ministro Fabio Mussi - FRANCESCO ALLEGRA
La disavventura, dunque. Jonella Ligresti, presidente di Fondiaria-Sai, il gruppo assicurativo di famiglia, nella tarda mattinata di ieri all’Università di Torino riceve, con il padre Salvatore seduto in prima fila in un’aula magna gremita, la laurea honoris causa in economia aziendale. Motivazione: «La maturità operativa e finanziaria dimostrata ai vertici di uno dei maggiori gruppi assicurativi italiani ed europei», recita la presentazione firmata dal professor Sergio Bortolami, preside della facoltà di economia dell’ateneo torinese. Passano poche ore e nel tardo pomeriggio arriva la sorpresa. Una nota del Ministero dell’Università e della Ricerca, guidato da Fabio Mussi, l’ex-Ds oggi leader di Sinistra Democratica, informa che «il ministro non ha approvato il conferimento di tale laurea quadriennale», in quanto «non ha riscontrato la presenza dei requisiti previsti dalla legge». In sostanza, ci vogliono requisiti «di eccezionalità», dicono da Roma. Non basta, evidentemente, presiedere il terzo gruppo assicurativo italiano o essere l’unica donna nominata consigliere di amministrazione di Mediobanca nella storia di piazzetta Cuccia.
La laurea appena ricevuta, dunque, finisce nel cestino. Dall’entourage dei Ligresti preferiscono non commentare l’incidente. Dall’Università di Torino si giustificano dicendo che il senato accademico, circa un anno fa, aveva approvato la proposta presentata dal consiglio della facoltà di economia e l’aveva inviata al Ministero dell’Università. I vertici dell’ateneo però ammettono che dal ministero in questi mesi non è arrivata alcuna risposta, nè tantomeno un via libera, alla laurea honoris causa per Jonella Ligresti. Sta di fatto che l’Università ha deciso di procedere anche senza l’ok di Roma. Peccato di leggerezza? Può essere, tanto più che, riportano indiscrezioni attendibili, già a suo tempo il consiglio di facoltà sul “caso Jonella” si sarebbe spaccato: più di un consigliere avrebbe infatti espresso il proprio scetticismo in merito all’opportunità di assegnare il riconoscimento alla manager quarantenne. La quale porta un cognome che in Italia pesa molto e a Torino, dove il gruppo Sai è nato negli anni 20 e rappresenta uno dei maggiori sponsor culturali della città, forse anche di più. L’Università sabauda però stavolta non ha fatto i conti con il ministro Mussi, il quale da tempo va chiedendo agli atenei di adottare più rigore nell’assegnazione delle lauree honoris causa, con l’obiettivo di salvaguardare il prestigio del titolo (che ha valore legale pari a quello dei diplomi ottenuti dopo il normale ciclo di studi). Questo tipo di riconoscimenti in Italia negli ultimi tempi è diventato un po’ inflazionato. Nel 2000 ne sono stati conferiti una cinquantina, l’anno scorso quasi 200. Il caso più clamoroso? Quello di Valentino Rossi (“The Doctor”, appunto), il motociclista pluricampione che nel 2005 si è “laureato” in Comunicazione all’Università di Urbino.
POLITICI SPENSIERATI IN FESTA AL QUIRINALE MENTRE IL POPOLO SOFFRE - Massimo Fini
DI MASSIMO FINI
ilgazzettino.it/
Durante la seconda guerra mondiale, nei mesi dei più duri bombardamenti tedeschi su Londra, re Giorgio VI rimase ostentatamente nel suo palazzo londinese per mostrare ai suoi sudditi che condivideva con loro gli stessi rischi. In quegli anni Elisabetta, la futura regina, allora poco più che adolescente, serviva come autista nell’esercito di Sua Maestà e non risulta che abbia goduto di particolari protezioni. Alla guerra delle Falkland prese parte anche il principe Andrea, che rischiava più degli altri perché il suo scalpo sarebbe stato un formidabile colpo propagandistico per gli argentini.
C’era grande spensieratezza martedì al tradizionale ricevimento offerto dal Presidente della Repubblica nei giardini del Quirinale. Il più spensierato di tutti era il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: una gag con Bersani, due con Rutelli, un siparietto con Mannehimer, uno con Giancarlo Giannini, una battuta con Cesa, un’altra con Barbara Palombelli e un «You are very beautiful» rivolto ad alta voce a una signora di colore, a conferma oltre, che del suo infallibile cattivo gusto, del suo inglese maccheronico.
Ma anche gli altri ospiti non scherzavano in fatto di spensieratezza. Nemici acerrimi che abitualmente si sbertucciano ogni giorno sugli schermi tv si sorridevano, si vezzeggiavano, si strizzavano l’occhio quasi increduli di aver fatto il colpo alla Ruota della Fortuna. Che del resto è quello che accade ogni sera nelle belle case romane, magari acquistate con i soldi di qualche generoso e disinteressato benefattore. C’era l’intero star system nazionale nei giardini del Quirinale: politici, manager dalla dubbia fama, personaggi della tv, giornalisti di regime, attori, veline mascherate da compagne di qualcuno. Non c’era il popolo nei giardini del Quirinale, nemmeno in forma simbolica, magari rappresentato da un centinaio di ex minatori del Sulcis Inglesiente da anni senza lavoro. Via gli straccioni, avrebbero guastato l’atmosfera festosa e spensierata del ricevimento in onore della Repubblica Democratica. Il popolo deve accontentarsi di guardare queste nuove aristocrazie dal buco della serratura, come accadeva quando Luigi XIV, il Re Sole - che però non pretendeva di essere democratico - dava le sue feste a Versailles.
Il popolo era altrove. A grattarsi le sue rogne, che sono tante e gravi. Se è vero che il 30% dei giovani (statistiche Istat) è senza lavoro e l’altro 70% rischia ogni giorno di perderlo mentre i disoccupati, nel complesso, sono due milioni e 220 mila, il 9% della popolazione. Se è vero che il nostro spensierato premier, insieme ai suoi supporters, ci informa ogni giorno che l’Italia è in ripresa, ma noi cittadini, a meno che non si appartenga all’allegra cricca degli ospiti dei ricevimenti del Quirinale, sperimentiamo ogni giorno, sulla nostra pelle, il contrario.
Probabilmente il popolo italiano, che tutto subisce, pecora da tosare, asino al basto, avrà guardato con invidiosa ammirazione la «fairy band» che l’altro giorno si è riunita festosa intorno a Napolitano e Berlusconi. Ma io credo che un po’ meno di esibita spensieratezza e un po’ più di austerità anche formale (la forma è spesso sostanza) non avrebbero guastato in un momento di crisi come questo su cui aleggia, oltretutto, un futuro anche più nero.
Ma noi non siamo inglesi. Loro sono un popolo, noi no. E hanno quindi una classe dirigente che nei momenti critici (Churchill docet) è all’altezza della situazione. Noi abbiamo quella che ci meritiamo, che in fondo, con la sua «spensieratezza» cialtrona, ci rispecchia abbastanza fedelmente.
Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it
Uscito su "Il gazzettino" il 04/06/2010