domenica 25 luglio 2010

Le menzogne sull’uranio da Hiroshima a Falluja. - Maurizio Torrealta




La notizia che i sopravvissuti a Falluja in Iraq mostrano danni prodotti dalla radioattività peggiori di quelli rilevati tra i sopravvissuti alle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, è una notizia che merita di essere analizzata con attenzione per varie ragioni: la prima è che si comincia a delineare l’arma che ha provocato la presenza la radioattività e le sue conseguenze. La seconda è che se non fosse stato per la buona volontà e la straordinaria determinazione di questi tre ricercatori,Christ Busby, Malak Hamdan e Entesar Ariabi, le voci sull’ alto tasso di malformazioni alla nascita e sull’ aumento di tumori sarebbero rimaste al livello di leggende orali in una zona che non ha ancora avuto un censimento dall’ultimo conflitto del golfo. Se questi ricercatori non si fossero affrettati nel raccogliere i quasi 5000 questionari che hanno poi elaborato, avrebbero incontrato reazioni molto pericolose: pochi giorni dopo la consegna dell’ultimo questionario la televisione irachena ha trasmesso la notizia che i ricercatori che raccoglievano questi dati erano terroristi.

Cerchiamo di ragionare su quale arma sia stata usata. Se le due battaglie a Falluja (quella dell’
Aprile e quella del Novembre 2004) hanno provocato sulla popolazione effetti simili e peggiori(in estensione e gravità) a quelli prodotti dalle radiazioni delle due bombe nucleari esplose a Hiroshima e Nagasaki, pur non evidenziando gli effetti sismici tipici di una esplosione nucleari classica, questo significa una cosa molto precisa: che è stato superato il problema della massa critica che obbligava una bomba nucleare ad essere molto potente o a non esistere. In altre parole una bomba nucleare classica aveva bisogno di almeno 8 chili di uranio altrimenti non sarebbe stata in grado di innescare il processo a catena della fissione. E una bomba nucleare classica non poteva utilizzare meno di circa 8 chili di uranio e dunque era così potente da lasciare traccia nei sismografi delle esplosioni che provocava o altrimenti non esisteva..

In questi anni, se si trova uranio arricchito in un cratere nel sud del
Libano dopo il conflitto del2006, (URANIO ARRICCHITO !!! AVETE IDEA DELPROCESSO E DEL COSTO PER PRODURLO) se lo si trova a Beirut, se si trovano effetti sulla popolazione civile provocati dalle radiazioni a Bassora e a Falluja, a tutti questi apparenti misteri c’è un’unica spiegazione: il problema della massa critica è stato superato e la bomba nucleare può essere piccola come una pallottola e calibrata negli effetti da distruggere solo palazzi o rifugi sotterranei. Qualcuno potrebbe ribattere che questi effetti sono provocati dal cosidetto uranio impoverito. E qui arriviamo all’ inganno che ha permesso di usare questa nuova arma per ormai vent’anni senza che nessuno se ne rendesse conto: l’uranio impoverito. L’uso dell’uranio impoverito nei campi di battaglia inizia ufficialmente nella prima guerra del Golfo, nei primi anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando la rincorsa alle testate nucleari più potenti non era più necessaria, quando la politica ufficiale del segretario di Stato di allora James Baker era quella della «Calculated Ambiguity Doctrine»: se si usava la forza nucleare non lo si rivendicava, se ne contemplava l’uso ma lo si poteva mascherare e negare. Esattamente allora compare il cosidetto uranio impoverito.

C’è qualcuno che ha davvero calcolato se la presenza dell’isotopo
U235 nella pallottole al cosidetto uranio impoverito è superiore o inferiore allo 0.7% (soglia sotto la quale si parla di uranio impoverito)? Quelli che lo hanno fatto, hanno sempre trovato un presenza dell’isotopo 235 leggermente superiore all’unità. Dunque sui campi di battaglia non viene usato l’uranio impoverito ma viene usata un’arma che è radioattiva ed inquina le falde acquifere e il ciclo alimentare, ma non è la sola fonte di radiazioni. C’è la seconda arma, la bomba nuclare grande come una pallottola, che produce radiazioni in modo più massiccio e che viene coperta e giustificata dall’uso dei cosidetti proiettili al cosìddetto uranio impoverito (che impoverito non è).

E’ un inganno a tre livelli: si parla di proiettili all’uranio impoverito che sono davvero meno radioattivi dell’uranio naturale, si usano però proiettili all’uranio leggermente arricchito, che una volta polverizzati durante l’esplosione, producono microfissioni e radiazioni alfa che si diffondono ed inquinano il territorio. Questa radioattività «ambigua e calcolata» maschera l’uso della mini-nukes, bombe nucleari minuscole che possono avere una potenza esplosiva pari a tonnellate di tritolo in pochi grammi di uranio arricchito. E’ un delitto perfetto. Le conseguenze sulla popolazione si maifesteranno dopo alcuni anni e nessuno si preoccuperà di andare in un luogo così inquinato a studiarle. Nessuno eccetto Christ Busby, Malak Hamdan e Entesar Ariab, ai quali va il nobel della pace, non quello inventato dallo scopritore della dinamite del quale facciamo volentieri a meno, ma quel nobel immaginario che le persone semplici, ma non stupide, sanno a chi attribuire.



La centrale del fango. - Ezio Mauro




PROMEMORIA per l'estate.

Mentre Berlusconi parla di "calunnie" e "campagne furibonde" contro il governo, c'è in realtà un metodo nel lavoro e nella ragione sociale della cosiddetta P3, che è venuto alla luce con chiarezza e non ha bisogno di passaggi giudiziari per avere una sua evidente rilevanza politica. È fatto di affari privati legati al comando pubblico, di istituzioni statali usate a fini personali, di relazioni privilegiate intorno a uomini potenti (Denis Verdini lo è, almeno fino ad oggi, e Marcello Dell'Utri altrettanto), di personaggi influenti arruolati per premere su personalità decisive - soprattutto nella giustizia - e infine di faccendieri svelti di mano e pronti a tutto, anche a essere bollati dal Premier come "pensionati sfigati" quando la rete è scoperta. Ma per riuscire, il metodo ha bisogno di qualcosa in più: infangare, delegittimare, distruggere.

La macchina del fango che secondo i magistrati è stata messa in atto contro il candidato del Pdl alla guida della Campania, Stefano Caldoro, è agghiacciante e su "Repubblica" l'ha svelata Roberto Saviano. Si tratta della fabbricazione di un dossier pieno di allusioni sessuali, per creare un caso Marrazzo-bis in Campania, buttare fuori dalla corsa da Governatore Caldoro e favorire Nicola Cosentino.

Ancora più agghiacciante è che questa fabbrica del fango capace di distruggere una persona nasca dentro il Pdl, contro un candidato del Pdl, a vantaggio di un altro uomo del Pdl.

Nelle intercettazioni si parla apertamente di un "rapporto" su Caldoro, si evocano "i trans", si accenna ai "pentiti", si trasmettono "dossier" con "date e luoghi", si fa uscire il tutto su siti regionali e alla fine il capo locale del partito si complimenta per l'operazione.

Ma c'è di più: chi fa capire a Caldoro che deve tremare ("ci sono carte che parlano di te in un certo modo") è addirittura il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, che lo convoca a Montecitorio, si apparta con lui nel corridoio della "Corea" e gli dice apertamente che sta per informare della vicenda Berlusconi. In realtà, come ha spiegato Saviano, Verdini "sa tutto" del dossier perché gli uomini che ci lavorano sono gli stessi che riceve ripetutamente a casa sua per "aggiustare" la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano, a beneficio esclusivo di "Cesare". E attraverso Verdini, naturalmente anche "Cesare" sa "cosa sta facendo la banda del fango". E lascia fare, anche se Caldoro è un suo pupillo, "perché Cosentino è più potente, più utile e sa molte cose", e il Premier vuole capire se la diffamazione di Caldoro può oscurare le accuse di mafia che hanno costretto il sottosegretario a dimettersi. Il fango costruito dalla P3 dentro il Pdl lavora indisturbato, Caldoro rischia di essere distrutto, Verdini tiene informato il Premier che assiste silenzioso ad un'operazione di selezione delle élite basata su dossier, carte false, ricatti. Tutto questo avviene in un Paese democratico, in mezzo all'Europa, in pieno 2010, dentro un partito che si chiama "Popolo delle libertà" ma che il leader, intimamente, preferisce chiamare "Partito dell'Amore".

I giornali conoscono questa vicenda, ma non risultano denunce indignate, editoriali. Gli intellettuali tacciono: siamo in piena estate. E invece è obbligatorio porsi una prima domanda, elementare: se questi sono i metodi usati con i compagni di partito, con gli "amici", che succederà con i "nemici", o sarebbe meglio dire con i critici, i dissidenti? O forse è meglio domandarsi che cosa sta già succedendo. Perché nessuno sa fin dove arrivi la rete di ricatti, di minacce e di intimidazioni che questo potere può stendere sulla società politica, sul sistema istituzionale, sul mondo dell'informazione. Possibile che tutte quelle firme così preoccupate dalla privacy da accettare allegramente una mutilazione del controllo di legalità e della libertà di informazione (quando poi, come si è visto, la proposta di "Repubblica" del 2008 era la più adatta a tutelare la riservatezza dei cittadini) non abbiano nulla da dire su questo caso esemplare di privacy violentemente deturpata, con metodo e intenzione, come un normale strumento di azione politica?

In realtà se non siamo ciechi o conniventi, dunque complici, dobbiamo ammettere che quel metodo lo abbiamo già visto all'opera, in Italia, e con successo. Lo ha usato e teorizzato proprio il Presidente del Consiglio, nel momento più infuocato dello scandalo sul "ciarpame politico" che gli ha arroventato la scorsa estate. Proviamo a ricordare. Il giornale di proprietà della famiglia del Premier cambia improvvisamente direzione nel mese di agosto, e il direttore uscente scrive che se ne va a malincuore dopo aver fatto tutte le battaglie meno una: rovistare "nel letto di editori e direttori di altri giornali". Evidentemente era quel che si voleva. E infatti il 27 agosto quel giornale opportunamente reindirizzato pubblica un falso documento giudiziario che accusa di omosessualità il direttore del quotidiano dei vescovi, Dino Boffo, colpevole soltanto di aver ospitato le critiche al Premier della Chiesa di base.

Boffo viene killerato mediaticamente, la Santa Sede ne approfitta per regolare i conti con la Cei, aggiungendo miseria vaticana a vergogna italiana, e tutto avviene senza che la maggioranza dei giornali sveli l'operazione in tutta la sua ferocia politica, semplicemente indicando il movente, illuminando il mandante, invece di soffermarsi sull'irrilevanza del killer, che infatti dovrà poi chiedere scusa. La barbarie si compie, anche nei suoi effetti pedagogici, perché l'invito ai giornalisti di girare al largo dalle vicende del Premier è esplicito. Il metodo è al lavoro: è già toccato a Veronica Lario, la moglie che ha osato ribellarsi e che si è vista denudata sui giornali della cantoria berlusconiana, messa alla berlina a seno nudo, accusata di avere un amante. Tocca subito dopo a Fini, che muove i primi passi nel dissenso e viene ammonito sul foglio di famiglia a mettersi in regola con l'opinione dominante, pena il riemergere "di vecchi scandali a luci rosse".

Si cerca cioè, in poche parole, di coartare la libertà politica e personale della terza carica dello Stato: semplicemente, se fosse stato ricattabile, sarebbe stato ricattato, l'intimidazione preventiva era l'ultimo avvertimento, ecco il Paese in cui viviamo.

Poi finisce nel tritacarne il giudice Mesiano, colpevole di aver scritto una sentenza civile favorevole alla Cir e contraria a Fininvest, e quindi messo allo zimbello dalle telecamere di proprietà del Premier, deriso, fatto passare poco meno che per matto: salvo le scuse, a operazione conclusa. Ma non è finita. Mentre sui suoi giornali si inseguono gli attacchi a Tremonti, a Casini, a "Repubblica", il Premier è personalmente impegnato ad acquisire e visionare il video che ucciderà la carriera politica di Piero Marrazzo: un video che finisce nelle sue mani senza che nessuno gliene chieda conto, in modo che "Cesare" possa avvertire il governatore (di sinistra), tenendolo in pugno invece di spingerlo a svelare e sventare il ricatto. Lo stesso copione, miserabile, avviene con i nastri della telefonata tra Fassino e Consorte che il Premier riceve direttamente dall'imprenditore Favata ad Arcore, insieme con suo fratello, sorridendo compiaciuto: "Come posso sdebitarmi per questo prezioso regalo"? E infatti, il valore d'uso politico di quei nastri è così urgentemente prezioso che il giornale di proprietà della famiglia del Premier li pubblicherà sette giorni dopo il "regalo".

Ora, è impossibile non vedere che qualcosa di terribile lega questo metodo insistito e ripetuto, queste vicende che replicano lo stesso copione da parte di un potere che non riconosce limiti controllando insieme servizi e polizie statali, e strutture private (o associazioni segrete come la P3) di fabbricazione autonoma dei dossier: terribile per la democrazia, oltre che per i destini personali dei soggetti coinvolti, con l'unica colpa di essere ex alleati ribelli, partner autonomi, avversari politici, giornalisti critici. Cioè persone che intendono sottrarsi al dominio pieno e incontrollato e ci provano, facendo il loro mestiere come accade nei Paesi normali. Dove i leader, carismatici o no, si difendono e attaccano quando è il caso, ma non hanno giornali di proprietà della loro famiglia o variamente appaltati per uccidere mediaticamente gli avversari con dossier che arrivano da chissà dove, e colpiscono la persona per zittire la funzione. E non controllano l'universo televisivo, usando le telecamere per regolare i conti privati del Premier, dopo aver ogni sera ricostruito con i suoi colori di comodo il paesaggio italiano di fondo. Come ha scritto nel pieno di queste vicende Giuseppe D'Avanzo, nell'ottobre scorso, è un "rito di degradazione, un sistema di dominio, una tecnica di intimidazione che minaccia l'indipendenza delle persone, l'autonomia del loro pensiero e delle loro parole, la libertà di chi dissente e di chi si oppone".

Quanti attori del discorso pubblico, concludeva quell'articolo, sono oggi in questa condizione di sottomissione? Quanti possono esserlo domani? Il problema riguarda con ogni evidenza la "democrazia reale", perché un Paese moderno e democratico non può essere governato dentro una rete di ricatti e di intimidazioni, azionati o tollerati da un potere debole, più spaventato che spaventoso. Se questa è l'estate italiana che ci aspetta, bisogna dire fin d'ora che il Paese - nella sua pubblica opinione, nelle sue autorità di garanzia, negli spazi autonomi della politica di destra o di sinistra - dovrà ribellarsi ai dossier e alle minacce, rigettandoli e denunciandoli, insieme coi loro autori, i beneficiari e i mandanti. Dimostrando così che la libertà è più forte della paura.



Balneabilità “taroccata” nel Golfo di Napoli, 14 tecnici sotto accusa. - Vincenzo Iurillo




I giudizi di balneabilità del mare tra Sorrento, Massa Lubrense, Vico Equense, Punta Campanella, Capri, Ischia e Castellammare di Stabia pronunciati nel 2009 dagli esperti dell’Arpac sarebbero fondati su analisi di laboratorio fasulle. Perché gli orari dei verbali di campionamento delle acque marine sarebbero assolutamente incompatibili con gli orari di entrata e di uscita registrati sulle schede dei battelli impiegati nei prelievi. Incongruenti anche i tempi di navigazione necessari per raggiungere i punti indicati sui rapporti.

Traduzione: c’è il sospetto che le analisi non siano state compiute davvero, oppure siano state eseguite su campioni di mare non corrispondenti a quelli per i quali veniva concessa (o negata) la balneazione. Con ovvi rischi per la salute degli ignari bagnanti di alcune tra le più rinomate località turistiche della provincia di Napoli. Sono queste le clamorose ipotesi della
Procura di Torre Annunziata che ha formulato gli avvisi di conclusa indagine per 14 tecnici del dipartimento provinciale dell’Arpac di Napoli, tra i quali il responsabile dell’unità epidemiologica e il dirigente biologo. Sono accusati di reati che vanno dal concorso in falso ideologico all’omissione d’atti d’ufficio.

Ben 161 i prelievi d’acqua ritenuti ‘taroccati’ e finiti nel mirino degli inquirenti. Sono stati realizzati tra la primavera e l’estate del 2009. I più numerosi riguardano i tratti di mare della costiera sorrentina. Ma i dubbi in qualche caso riguardano anche le risultanze delle trasferte dei battelli verso Capri e Ischia. Due capi di imputazione riguardano i ritardi dell’Arpac nell’eseguire le analisi suppletive nei tratti di mare dove il primo campionamento aveva dato esito negativo e bollino nero. Andrebbero fatte il più presto possibile e, in caso di ulteriore riscontro di inquinamento, bisognerebbe dichiarare la temporanea non balneabilità della zona. Invece le analisi-bis venivano compiute solo dopo diversi giorni.

Secondo il pm
Mariangela Magariello, che ha ereditato un’inchiesta condotta dalla collega Marta Correggio, “tale ritardo non consentiva un adeguato monitoraggio sulla balneabilità delle acque”. Inoltre, avrebbe esposto i bagnanti al pericolo di continuare a immergersi in zone inquinate. L’ ‘errore’ si sarebbe ripetuto nove volte. E sempre in zone molto frequentate: la spiaggia libera di Piano di Sorrento, alcuni stabilimenti di Castellammare di Stabia, la costa tra Sant’Agnello e Punta Sant’Elia, diversi punti di Sorrento. Per tutti questi tratti di costa, trascorsi diversi giorni, le nuove analisi hanno dato esito favorevole. Ma chi ci dice che in quell’intervallo di tempo le acque non fossero ancora non ‘balneabili’?

L’indagine è stata avviata nel luglio del 2009 con lo scopo di scoprire le cause dell’inquinamento marino in provincia di Napoli e individuare i responsabili degli scarichi abusivi e del cattivo trattamento delle acque reflue. Lo spunto dell’apertura del fascicolo nacque da un’intervista dell’oceanografo Giancarlo
Spezie, che dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno consigliava “di evitare di farsi il bagno nel Golfo di Napoli”, definendo inadeguato il sistema dei controlli. Fu un’estate terribile, trascorsa tra depuratori ‘esplosi’ e liquami che finivano direttamente in mare, coi turisti in fuga dalle spiagge. Il procuratore capo Diego Marmo acquisì agli atti l’articolo e convocò il professore Spezie per mettere a verbale le sue osservazioni.

In seguito la Procura ha affidato allo stesso Spezie e all’ecologo marino Vincenzo Saggiomo l’incarico di supervisionare i prelievi, in collaborazione con il dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Napoli e l’area monitoraggio della stazione zoologica Dohrn. E’ emersa così la vicenda di analisi ritenute inattendibili e forse truccate. Come nel caso delle schede tecniche dei campionamenti Arpac del 17 luglio 2009. In questa data sarebbero state eseguite le analisi in due punti del mare di Castellammare di Stabia e in dieci punti tra Sorrento e Massa Lubrense. Peccato che l’unico battello operante quel giorno si trovasse da tutt’altra parte, impiegato – scrive il pm – “nello svolgimento della missione Capri”.



Noi, professionisti dell’Antimafia. - Fabio Granata




In questi caldi giorni d’estate, caratterizzati da aspre polemiche sulla questione morale e sulle tragiche vicende del ’92 è risuonata spesso l’accusa di professionismo dell’antimafia, lanciata sia nei confronti di alcuni magistrati che nelle polemiche interne agli schieramenti politici.

Anche nel
Pdl si è fatto spesso ricorso a queste espressione per sottolineare negativamente la predisposizione di alcuni di noi a rimuovere la cultura delle garanzie e le presunzioni di innocenza costituzionalmente garantite, attraverso la sottolineatura delle responsabilità di pezzi delle istituzioni e della politica nella vergognosa e ciclopica opera di depistaggio e di occultamento della verità sulle stragi di mafia nella cornice delle trattative tra apparati dello stato e cosa nostra.

Professionisti dell’Antimafia: sono certo che chi utilizza questa espressione non ha né la conoscenza né la memoria storica per ricordarne le origini.

Cita
Sciascia come creatore della metafora, ma dimentica di sottolineare o, in alcuni casi ignora, che Sciascia utilizzò questa espressione nei confronti di Paolo Borsellino poiché il grande scrittore siciliano in una prima fase non aveva compreso la portata rivoluzionaria delle metodologie d’indagine e processuali che lui e Giovanni Falcone avevano introdotto nell’azione di contrasto a cosa nostra.

Sciascia si pentì amaramente di questa polemica e, dopo la tragica morte di Paolo Borsellino, se ne scusò solennemente sia attraverso i giornali che con una missiva privata alla signora Agnese, moglie del giudice ucciso.

Oggi, nel dilagare di una questione morale che coinvolge pezzi della politica e delle istituzioni e che costringe il Presidente
Napolitano ad un rigorosissimo richiamo ai partiti ed ai corpi istituzionali per fare pulizia al proprio interno, e mentre l’azione irriducibile dei magistrati di Palermo,Caltanissetta e Firenze ricostruisce le dinamiche criminali che portarono alle stagione delle stragi e che furono attraversate da inconfessabili trattative tra la mafia e pezzi dello Stato , ecco che il nemico principale siamo diventati noi: i “nuovi professionisti dell’Antimafia”.

Le vicende giudiziarie che riguardano
Cosentino, la condanna di Dell’Utri, l’esaltazione diMangano come eroe nazionale, l’inquietante vicenda della cosiddetta P3 che vede unite figure torbide provenienti dal passato quali Flavio Carboni, allo stesso tavolo con magistrati infedeli, faccendieri, pezzi della politica hanno lasciato perfettamente indifferenti alcuni dirigenti del Pdl che invece dimostrano tutta la loro diuturna preoccupazione, in alcuni casi vera e propria indignazione, verso coloro i quali si appellano alla legalità repubblicana e sostengono l’azione dei magistrati per ottenere verità e giustizia sulle stragi del ’92.

E’ la stessa logica secondo la quale a Casal di Principe il problema non sono i Casalesi, ma
Saviano, in Italia non sono le mafie che fatturano 120 miliardi di euro l’anno , ma le opere letterario-cinematografiche che ne parlano.

Allo stesso modo nel Pdl a minare la credibilità del partito agli occhi dell’opinione pubblica e della gente comune, alla prese con una grave crisi economica e sociale non sono le cricche, le consorterie, le logge che parlano di affari, denaro, potere e dossier:il vero problema siamo noi, i professionisti dell’antimafia.




sabato 24 luglio 2010

Fallisce Viaggi del Ventaglio, e il fondo Brambilla è in rosso.



L'inchiesta de Il Salvagente domani in edicola, e da oggi nel nostro shop online.


Enrico Cinotti


Il Fondo della “rossa” Brambilla? È in rosso. Mentre migliaia di turisti rischiano di rimanere a terra a seguito del fallimento dei Viaggi del Ventaglio, numero due dei tour operator italiani, e contemporaneamente si moltiplicano gli esposti alla Procura di Milano da parte dei malcapitati, da più parti, specie istituzionali, arriva l’invito rassicurante a “rivolgersi al Fondo di garanzia”. Una dotazione gestita dal ministero del Turismo che - sulla carta - dovrebbe rimborsare gli utenti in caso di insolvenza o fallimento dell’organizzatore di pacchetti turistici. Peccato però che, nonostante le promesse del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla, il Fondo sia vuoto.
Lo rivela l'inchiesta de Il Salvagente domani in edicola e da oggi nel nostro shop online.

Un anno di promesse

Lo sanno bene le vittime del crac Todomondo, il tour operator
che nel luglio 2009 ha “scaricato” 5mila clienti in procinto di partire per le vacanze. Subito dopo il fallimento, circa 4.500 hanno presentato domanda al Fondo nazionale di garanzia per i pacchetti turistici per un ammontare complessivo di 7,4 milioni di euro. La brutta sorpresa però non è mancata perché la risorse messe a disposizione, a dodici mesi esatti dal crac di Todomondo, sono del tutto irrisorie. Una situazione paradossale che rischia ora di aggravarsi alla luce del fallimento di Viaggi del Ventaglio che molto probabilmente genererà un’ondata di richieste di assistenza al Fondo. Ondata destinata però ad infrangersi nel vuoto dato che in cassa non ci sono soldi.

Solo 248mila euro in cassa

A voler essere pignoli, guardando il bilancio consuntivo della Presidenza del Consiglio, dal quale dipende anche la capacità di spesa del ministero senza portafoglio del Turismo, al 31 dicembre 2009 le risorse disponibili per gli indennizzi risultavano pari a 248.154 euro. Briciole rispetto alle necessità. Nel corso dell’anno sono stati erogati dal Fondo di garanzia risarcimenti per 10.637,95 euro. Ma i “truffati” di Todomondo giurano che a loro “non è arrivato nemmeno un euro”.
Eppure il ministro Brambilla era stato molto solerte il 29 luglio 2009 nel rassicurare gli utenti rimasti a terra: “verrà subito attivato il Fondo nazionale di garanzia, che ha proprio il compito di intervenire in caso di insolvenza o fallimento del venditore o dell'organizzatore di pacchetti turistici, provvedendo al rimborso delle somme versate per l'acquisto dei pacchetti di viaggio”.

“Scaricati due volte”

Andrea Oriolo è uno dei portavoce del comitato nato per difendere gli utenti “scaricati due volte, da Todomondo e dal governo”. “Personalmente - prosegue - ho fatto richiesta al Fondo il 4 agosto 2009 e ad oggi, nonostante la costante opera di pressione nei confronti del ministero, non abbiamo ancora ricevuto una risposta”.
L’ultima comunicazione ufficiale arrivata al comitato da parte del ministero del Turismo, il 22 marzo 2010, annuncia che “le istanze possano essere completate presumibilmente nell’arco di circa quattro mesi, prima dell’inoltro delle medesime al Comitato di gestione per le valutazioni di pertinenza”. Passano i quattro mesi, arriviamo a luglio 2010 ma degli indennizzi nemmeno l’ombra. “Anzi - rincara la dose Oriolo - abbiamo dubbi anche sul fatto che sia stato istituito lo stesso Comitato di gestione che alla fine dovrà decidere se accettare o respingere la richiesta”.

Class action contro la Brambilla

In questa storia ci sono molti lati oscuri. “Noi vogliamo sapere ufficialmente quanti soldi ci sono nel Fondo, quanti ne sono stati spesi e quali risorse aggiuntive il governo intende stanziare”, rilancia Silvia Baldina, 2.100 euro persi con il fallimento del famigerato tour operator, che con Oriolo e altre 800 persone del comitato, assistiti dall’associazione Avvocati dei consumatori, stanno lavorando per un’azione legale nei confronti del ministero del Turismo.
Spiega l’avvocato Domenico Romito presidente dell’associazione: “Ammettiamo pure l’eccezionalità del crac Todomondo. Tuttavia chiediamo: le somme accantonate di anno in anno dal 2005 a oggi che fine hanno fatto? L’Isvap sa qualche cosa? E infine, come mai dopo un anno dalla presentazione delle domande di indennizzo, il ministero non ha ancora provveduto ad erogare quanto dovuto? Se non avremo le risposte necessarie siamo pronti anche a una class action nei confronti della Pubblica amministrazione, prevista dalla legge Brunetta, per chiedere che vengano ristabiliti i termini, 30 giorni, entro i quali i procedimenti amministrativi, come lo è la richiesta di adesione al Fondo, devono concludersi”.

Risorse scomparse

Ma i misteri attorno alla dotazione del Fondo non si esauriscono qui. Il Fondo di garanzia, istituito con il decreto legislativo 11/95, attuato poi con il decreto legislativo 206 del 2005 e oggi contemplato dall’articolo 100 del Codice del consumo, viene alimentato ogni anno dal 2% delle polizze assicurative che i tour operator e le agenzie di viaggio sottoscrivono per tutelare i propri clienti nel caso in cui i pacchetti di viaggio (volo più soggiorno) vengano annullati o subiscano variazioni in danno dei turisti.
Quanto vale quel 2%? Nelle annate migliori, spiegano i tecnici del settore, si può arrivare anche al milione di euro. Non sappiamo se il 2009 sia stato un anno buono per le aziende del settore, tuttavia la dotazione iscritta nel bilancio consuntivo della Presidenza del consiglio (248.154 euro) appare quantomeno “sottostimata”.

“Che fine hanno fatto i soldi?”

A questo punto viene da chiedersi che fine hanno fatto i soldi accantonati dal 2005 ad oggi. Se lo domandano anche i diretti interessati, ovvero gli operatori del settore che da tempo non riescono ad ottenere una risposta ufficiale da parte del governo.
Andrea Corbella è il presidente dell’Astoi, l’Associazione dei tour operator aderente a Confindustria: “Vogliamo sapere ufficialmente a quanto ammonta la dotazione del Fondo. Tutti i soldi che gli operatori hanno versato, sono davvero arrivati a destinazione o hanno preso un’altra strada? E, infine, quanti ‘sinistri’ sono stati indennizzati a oggi? Tutte domande che abbiamo posto al ministro Brambilla senza mai avere una risposta”.

Pd: il ministro risponda

Il Partito democratico intanto sta preparando un’interrogazione parlamentare per chiedere conto al ministro Brambilla della dotazione del Fondo di garanzia. Attacca Antonio Lirosi, responsabile consumatori del Pd: “A cosa serve il Ministro del Turismo se le risorse disponibili sul Fondo nazionale per gli indennizzi dei turisti truffati ammontano soltanto a 248.000 mila euro, cioè spiccioli rispetto alle necessità? Evidentemente il Ministro è soltanto interessato a realizzare spot milionari per Magic Italy e a continuare a spendere per il costosissimo portale Italia.it, circa 30 milioni di euro stanziati nel bilancio pluriennale”.

Il mistero dei 3 milioni

Dal ministero del Turismo alzano le mani: “L’eccezionalità dell’evento e l’elevato numero di persone coinvolte nel fallimento di Todomondo stanno rallentando le pratiche. Ma il Parlamento ha deliberato lo stanziamento di 3 milioni di euro da destinare al Fondo”.
I “truffati” del comitato però non si fidano. E fanno bene visto che i soldi versati dagli operatori turistici dal 2005 al 2009 sembrano inghiottiti dal bilancio dello Stato. E adesso il Parlamento cerca di “mettere una toppa”.
Il 20 maggio scorso la Camera ha approvato definitivamente la destinazione di 38 milioni di euro delle multe comminate dall’Antitrust nel 2009 in favore di iniziative per i consumatori. Si legge che “tre milioni saranno destinati al Fondo nazionale di garanzia per il consumatore di pacchetto turistico, per far fronte alle richieste e superare l’attuale situazione di insufficienza delle risorse del fondo causata dalle eccezioni richieste di rimborso connesse al fallimento di un grosso operatore turistico”.

Tremonti non molla

“I soldi sono programmati - spiega Pietro Giordano segretario nazionale dell’Adiconsum - ma di fatto non sono stati girati dal ministero del Tesoro a quello del Turismo”.
I soldi delle multe Antitrust, ogni anno, vengono girati dal ministero del Tesoro ai ministeri competenti, Sviluppo economico in primis. Tuttavia quest’anno il super ministro Tremonti si è imputato. “Dei 38 milioni previsti - spiega Antonio Longo, presidente del Movimento difesa del cittadino - ne sono disponibili 14. Gli altri, pare, il ministero del Tesoro li abbia impiegati per finanziare la Social card, il terremoto dell’Aquila e l’alluvione di Messina”.
E per i truffati da Todomondo e per i malcapitati del Ventaglio? Ancora solo le briciole.




Fallisce Viaggi del Ventaglio, e il fondo Brambilla è in rosso.

Lo squalo che non si piega al Cavaliere. - Beatrice Borromeo



La rabbia del governo contro l'Europa: Sky è un concorrente vero

Basta assistere alla reazione scomposta del viceministro Paolo Romani alla notizia del semaforo verde per la tv terrestre che la Commissione europea ha dato martedì a Sky per capire che, nello scenario televisivo italiano, è successo qualcosa d’importante.Una decisione che Romani, viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni, definisce “ingiusta, grave”. Di più, un “regalo al monopolista delle pay tv”.

Se fino a oggi
Mediaset ha regnato indisturbata nel nuovo mondo del digitale terrestre, ora potrebbe trovarsi a confronto con un concorrente vero. E Sky Italia, che oggi controlla il 99,8 per cento del satellite e l’86 per cento delle pay tv, ha sia i capitali che l’intenzione di andare alla conquista del digitale terrestre.

Messaggio politico.
“In Italia manca il pluralismo dell’informazione: è questo il messaggio politico che ha voluto lanciare la Commissione europea con la sua scelta”, sostiene il professore Francesco Siliato,esperto di media. E spiega: “Data la scarsità di nuovi soggetti, e visto che chi aveva l’analogico terrestre – cioè Rai e Mediaset – era avvantaggiato nel passaggio al digitale, l’Europa ha deciso di dare il via libera a Sky con un anno di anticipo sul previsto. In altri paesi come la Francia, dove i nuovi soggetti ci sono davvero, questa eccezione non sarebbe stata fatta”.

Ora Sky potrà partecipare alla gara per l’assegnazione delle frequenze tv: in palio ci sono cinque multiplex, ognuno dei quali corrisponde a circa sei canali standard oppure a tre in alta definizione. Il colosso di Rupert Murdoch potrebbe aggiudicarsene uno: “Se ciò avvenisse, sarebbe estremamente importante per Sky – dice Siliato – per due motivi. Il primo è che avrebbe una vetrina in chiaro per esporre tutte le offerte satellitari. Manderebbe in onda di certo SkyTg24 e Sky Sport Tg, attirando verso la pay tv nuovi clienti perché, va ricordato, gli abbonamenti costituiscono il 92 per cento degli introiti di Sky, mentre gli incassi pubblicitari solo l’8 per cento”. E proprio gli abbonamenti hanno permesso a Sky di diventare la seconda azienda televisiva in Italia dopo la Rai: nel 2009 i ricavi sono stati 2,711 miliardi di euro (di cui solo 223 di pubblicità) mentre quelli di Mediaset 2,506 miliardi, quasi tutti dovuti alla vendita degli spot.

“Il secondo aspetto riguarda gli ascolti. Se Sky si aggiudicherà il multiplex – prosegue Siliato – ci saranno cinque o sei ‘nano share’ in più. Ogni canale nel digitale terrestre ha uno share compreso fra lo 0 e il 2 per cento.
Ipotizziamo che i nuovi canali di Sky raccolgano 0,5 punti di share ciascuno: eroderebbero in totale 2,5 punti alle televisioni generaliste, e non sono pochi”. Questo, spiega il professore, non inciderà tanto sui ricavi pubblicitari, il cui restringimento c’è ma è fisiologico, dovuto soprattutto alla crisi. Costituirebbe invece “un incremento dell’influenza politica di Sky”.

Dello stesso avviso è il deputato del Partito democratico
Paolo Gentiloni, ex ministro delle Telecomunicazioni, che spiega al Fatto: “La rabbia di Romani ? Dipende dal fatto che fino a ora Mediaset non ha mai avuto un vero concorrente. La proliferazione di canali nel ddt non corrisponde infatti a una moltiplicazione degli editori, anzi. Tolte le tv locali e Telecom, che si autolimita, ed escludendo ovviamente la Rai, non resta nessuno. Se Rupert Murdoch decidesse di investire, avrebbe le spalle abbastanza larghe per diventare protagonista anche nel digitale”.

Il beauty contest.
Restano i dubbi sulle modalità di svolgimento dell’asta che assegnerà le frequenze.
A partire dai tempi: se per Siliato il ministero cercherà di allungarli il più possibile per allontanare l’eventuale ingresso di Sky nel ddt, Gentiloni ha notizie fresche: “L’ho chiesto proprio ieri aCorrado Calabrò (il presidente dell’Agcom, ndr), e mi ha risposto che entro ottobre l’Authority stabilirà le regole per la gara. Poi toccherà al ministero dello Sviluppo. E la faccenda diventa paradossale: se entro settembre non verrà nominato un nuovo ministro, spetterà a Berlusconidecidere se assegnare le frequenze a se stesso o ai suoi nemici. Ma depone già male il fatto che non vincerà il miglior offerente: sarà una scelta discrezionale che, nel paese del conflitto d’interessi, non farà dormire sonni tranquilli agli australiani”.

Da
Il Fatto Quotidiano del 22 luglio 2010