giovedì 9 settembre 2010

Berlusconi padrone di casa della consigliera Pascale e della ‘raccomandata’ Rai - di Marco Lillo


Berlusconi padrone di casa della consigliera Pascale e della ‘raccomandata’ Rai

Francesca Pascale, assieme a un seggio a Napoli ha trovato pure un tetto (di lusso) a Roma. Sistemata anche Adriana Verdirosi, 'raccomandata' Rai

Magari potessi, magari”, gridava a Gad Lerner la giovane Francesca Pascale nella trasmissioneL’Infedele incentrata sullo svilimento del corpo delle donne. La ragazza difendeva Papi-Silvio di fronte alle critiche per lo stile di vita poco morigerato. “Tutta invidia” secondo la giovane napoletana. “Magari potessi farlo anche io”, diceva allora ammiccando ai telespettatori. Finalmente quell’antico desiderio, almeno in parte, si è realizzato. Un frammento dello specchio delle brame berlusconiano, Francesca lo ha agguantato.

Dopo l’ingresso nel partito di Berlusconi, dopo l’ingresso nella villa sarda di Berlusconi, è riuscita finalmente a insediarsi in pianta stabile in una casa del
Cavaliere. Il Fatto Quotidiano ha scoperto che la ragazza napoletana eletta consigliere provinciale a Napoli nel 2009, abita in un appartamento di Silvio Berlusconi.

Per l’esattezza è inquilina della
Immobiliare Dueville Srl, partecipata al 40 per cento dallaDolcedrago di Berlusconi e per il restante 60 per cento dalla Holding Prima e dalla Holding Ottava, due delle 22 società omonime che controllano la Fininvest. Non basta: sempre mediante la Dueville, nello stesso periodo, il presidente del Consiglio ha comprato un secondo appartamento a Roma in zona Cassia. Sul citofono si legge da pochi mesi il cognome di Adriana Verdirosi, un’altra valletta che compariva nelle liste dei nomi delle candidate per le elezioni europee del 2009, poi depennate grazie all’intervento pubblico di Veronica Lario.

Berlusconi non è nuovo ad acquisti immobiliari a Roma. Nel 2004 comprò mediante un’altra società un attico alla
Balduina dove la conduttrice della RAI Sonia Grey abitava in affitto da anni. Per la sua vecchia fiamma Virginia Sanjust nel 2006 spese 2 milioni e 250 mila euro per un appartamento in piazza Campo dei Fiori. La storia di Francesca Pascale, rispetto alle altre, assume anche un risvolto di interesse pubbblico. L’amica napoletana del presidente del consiglio è stata candidata alle elezioni provinciali del 2009 e gratificata con una consulenza al ministero dei beni culturali. Ora si scopre che il Cavaliere e la giovane promessa del Pdl di Posillipo sono legati oltre che dalla passione politica anche da quella per le belle case. L‘appartamento in questione è inserito in un comprensorio signorile in cima a via Cortina d’Ampezzo, in zona Trionfale, è composto di una sola camera, servizi e terrazzo ed è costato al Cavaliere ben 470 mila euro. Un prezzo molto elevato ma che si giustifica per la presenza del box e soprattutto per il contesto. Il palazzo è videosorvegliato e presidiato all’ingresso da un portiere ed è dotato di una bella piscina condominiale circondata dal verde e dai lettini prendisole.

Al citofono risponde
Catiuscia Pascale: “Francesca non c’è”, dice con grande disponibilità, “io sono sua sorella e sono venuta a trovarla. Ogni tanto, visto che vivo a Latina, mi appoggio qui”. Quando il cronista chiede perché la sorella abita in una casa del presidente del consiglio, lei cade dalle nuvole: “ma cosa dice? La casa non è di Berlusconi, mia sorella è in affitto qui da circa un anno e non mi ha mai detto nulla del genere. Mi viene da ridere solo all’idea”. Le visure della conservatoria dei registri ipotecari di Roma raccontano un’altra storia: il 19 ottobre del 2009 la società Immobiliare Dueville Srl con sede in Segrate, rappresentata da Marco Sirtori, compra dalla Alef Immobiliare pagando 370 mila euro in contanti e estinguendo il mutuo di 99 mila euro che ancora gravava sull’immobile. Una somma alla quale bisogna aggiungere i 24 mila euro incassati dal mediatore immobiliare e le tasse pari a 47 mila euro. L’esborso di oltre 540 mila euro è solo un investimento immobiliare del Cavaliere o anche un bel gesto verso la giovane collega di partito? La sorella dice che Francesca Pascale è in affitto e che in famiglia nessuno sapeva dell’insigne locatore. Per capire se si tratta dell’ennesimo caso di un politico ben accasato “a sua insaputa”, Il Fatto Quotidiano ha cercato di ottenere la versione di Francesca Pascale, ma la consigliera provinciale non si è fatta viva.

Il rapporto tra la giovane napoletana e il Cavaliere nasce nel 2006. A quel tempo questa giovane laureata è famosa più per i suoi balletti ancheggianti che per le sue idee. In una trasmissione cult sulla tv locale Telecapri (“Il Telecafone”) balla e canta insieme a tre colleghe: “se mostri un po’ la coscia si alza l’auditelle, se muovi il mandolino si alza l’auditelle, se abbassi la mutanda si alza l’auditelle”. A Napoli il ritornello inventato dal cabarettista Oscar Di Maio lascia il segno. Su Youtube i video dell’attuale consigliere provinciale di Napoli che struscia il suo top mozzafiato sul compiaciuto comico Di Maio restano tra i più cliccati. Il telecafone pelato sorride vestito come un camorrista e canta il suo inno ironico al “cafunciello”. Francesca Pascale e le colleghe improvvisano un merengue sull’erba mentre il lui sventola un tubo di gomma con pose alla Merola (Mario, beninteso, non Valerio) e schizza acqua sulla telecamera.

Purtroppo per i patiti del genere, al culmine di questa fulminante parabola nello show biz partenopeo, che lascia una scia generosa di immagini sulla rete, Francesca Pascale abbandona una strada segnata per scendere (o meglio salire) in campo. La sua ascesa dal sifone di Telecapri alla piscina di Roma, dal Telecafone al Telepadrone, è una tratettoria istruttiva della selezione della classe politica nel mondo berlusconiano. Nel 2006 Francesca Pascale fonda con un paio di amiche
il circolo “Silvio ci manchi” ispirato dalla nostalgia che attanagliava il Vesuvio per la dipartita del premier da Palazzo Chigi.

Le animatrici del comitato fanno tutte carriera: Francesca Pascale è consigliere in provincia dal 2009; Emanuela Romano è assessore a Castellamare di Stabia dal 2010, ma diventa celebre il 28 aprile 2008 quando il padre si cosparge di benzina come un bonzo sotto Palazzo Grazioli minacciando di darsi fuoco se Silvio non provvede a sistemare la figlia. MentreVirna Bello, bionda pienotta che si autodefinisce la Braciolona, è oggi assessore a Torre del Greco. Quando le tre ragazze vengono fotografate mentre scendono dall’aereo privato del Cavaliere a Olbia, è Francesca Pascale quella più decisa del terzetto che si incammina con piglio da leader verso Villa Certosa. E, mentre la Romano con i giornali nega di essere lei, Francesca rivendica la sua deliberata scelta politica: “Ma che scherziamo, certo che siamo noi! A ottobre del 2006 ci siamo presentate e appena qualche settimana dopo siamo partite in aereo per Villa Certosa”. A Repubblica proclamava: “non c’è niente di cui vergognarsi, era una convention politica”.

Da allora, quando il Cavaliere scende a Napoli, Francesca lo aspetta all’hotel Vesuvio e Silvio trova sempre un momento per parlare con lei. Politicamente all’inizio è un disastro: raccoglie solo 88 voti nel 2006 nel suo quartiere Posillipo alle municipali. Il Cavaliere però stravede comunque per lei. Nel 2008 il suo nome spunta tra le papabili per il Parlamento europeo ma Veronica guasta tutto. Nel giugno 2009 arriva il risarcimento: Francesca Pascale ottiene 7600 consensi nelle elezioni che decretano il successo di
Luigi Cesaro e vola in consiglio provinciale. Si segnala subito per una verve insolita per una debuttante. Quando Nicola Cosentino insiste sulla candidatura a presidente della Campania nonostante la richiesta di arresto, è una delle poche nel Pdl che ha la forza per dirgli a brutto muso: “Berlusconi non punta su di te”. In un’intervista a Conchita Sannino di Repubblica si autocandida addirittura a coordinatrice del Pdl in provincia. Eppure, a sentire la capogruppo dell’Italia dei Valori, Maria Caterina Pace, a questa effervescenza mediatica non si accompagna un’attività istituzionale nelle sedi deputate. “Partecipa ai consigli provinciali che si riuniscono in media una volta al mese ma per il resto non saprei cosa dire di lei. Farebbe parte della commissione pari opportunità”, spiega la consigliera Idv, “che ha portato avanti dei progetti importanti come lo sportello anti-violenza in ogni pronto soccorso per tutelare le donne. Ma lei non si è mai vista. Mi dicono stia spesso a Roma”. Nessuno pensa alla creazione di un comitato “Francesca mi manchi” ma in molti si chiedono cosa faccia nella capitale. “Anche io non la vedo quasi mai. Dicono che avrebbe una consulenza al ministero dei beni culturali”, dice il capogruppo in provincia del Pd, Giuseppe Capasso. Ma al ministero precisano: “Francesca Pascale da un anno non lavora più qui”.

L’altra casa romana appartenente alla società Dueville di Berlusconi si trova sulla Cassia e oggi è disabitata. È stata comprata il 14 settembre del 2009 (dopo un preliminare siglato ad aprile) per un prezzo di 380 mila euro. Il Cavaliere si è aggiudicato un quinto piano che affaccia sul parco dell’Insughereta, composto di salone, due stanze, doppi servizi e ampia terrazza per un prezzo davvero buono, visto che al piano terra si vende a 250 mila euro un appartamento composto di due stanze e servizi. La società di Berlusconi ha appena finito i lavori di ristrutturazione e l’appartamento non è ancora abitato. Un ragazzo che abita lì vicino dice che la nuova inquilina è una ragazza. Sul citofono c’è scritto
Verdirosi. Adriana Verdirosi è un’altra valletta che era apparsa nella lista delle candidate di Papi nel 2009. Nell’articolo di Libero che parlava dei corsi di politica per selezionare le nuove europarlamentari, e che ha favorito l’arrabbiatura di Veronica Lario sul ciarpame senza pudore, il suo nome c’era.

Mario Prignano ricordava la sua esperienza di cantante in Giappone con il singolo Sunny Day.Ma in realtà Adriana Verdirosi divenne famosa nel 2007 quando Luca Telese la portò in tv nella trasmissione Tetris (allora trasmessa da Raisat) come modello di valletta raccomandata. Era stata segnalata ironicamente (o almeno così si credeva) dall’allora presidente di Raisat come raccomandata da un politico. “Io lo chiamo Cicci ed è giovane dentro”, diceva allora Adriana Verdirosi ridendo in tv. Tutti pensavano a uno scherzo. Il duetto tra la ragazza che si ostinava a non svelare chi si celava dietro quel nomignolo e il conduttore che la incalzava era un tormentone fisso della trasmissione. Tre anni dopo il suo cognome compare sul citofono della casa di Silvio Berlusconi. Da allora di lei si son perse le tracce ma non è detta l’ultima parola. Le elezioni sono alle porte.

Da
Il Fatto Quotidiano del 9 settembre 2010



mercoledì 8 settembre 2010

Beppe Grillo: “Terremoteremo il Parlamento” - di Ferruccio Sansa


E annuncia la "Woodstock della politica italiana" a Cesena. Invitato anche Schifani: "Il presidente del Senato deve dirci dove sono le nostre 350mila firme per le Camere Pulite

“Le contestazioni a Schifani? Noi lo invitiamo a Cesena. Però se viene deve rispondere su tutto. Deve dirci dove sono finite le 350 mila firme che avevamo raccolto per la legge sul Parlamento pulito. Se non ce lo dirà, andremo a prendercele noi”. Beppe Grillo sta preparando l’appuntamento del 25 e 26 settembre a Cesena. È un torrente in piena, fai fatica a infilarti tra i suoi pensieri.

Grillo, ha sentito il discorso di Fini?

No, non mi faccia parlare di quella gente. Parlano soltanto di strategie, alleanze, percentuali… vivono in un mondo virtuale. Se ti cacci in queste cose non ne esci più, come una mosca in una ragnatela. Poi mi chiedono di Vendola, Bersani e Berlusconi e sono fregato. Non c’entro con questa gente. Però…

Uno spiraglio si apre, però…

Il discorso di Fini mi ha ricordato quello di 15 anni fa di Berlusconi. Entrambi scendono in campo per il bene del Paese e rinnegano il loro protettore. Berlusconi rinnegò temporaneamente Craxi, oggi Fini rinnega Berlusconi che lo sdoganò dall’innominabile area post fascista proponendolo a sindaco di Roma (era il 1993). Entrambi, sembra incredibile, parlano di legalità… il primo Berlusconi era ammiratore di Mani Pulite e propose un ministero ad Antonio Di Pietro, Fini era nella ‘cabina di regia’ durante il G8 di Genova.

E le contestazioni a Schifani a Torino?

Guardate chi sono i ragazzi di Torino che vengono definiti mezzi terroristi. C’era
Davide Bono, consigliere regionale eletto con il MoVimento 5 Stelle. In aula ha combattuto termovalorizzatori, colate di cemento, espropriazione della nostra acqua.

Che cosa avrebbero di così speciale?

Confrontate i loro sguardi trasparenti con gli occhi di Schifani. Bono è uno che passa le notti a studiarsi le delibere, ma non ha smesso di fare il medico.

Ma non è un po’ troppo facile dire di essere “diversi”?

Macché dire, qui sono i fatti, i nostri programmi a parlare

Se voi foste in Parlamento che cosa fareste?

Non usi il condizionale. Alle prossime politiche candideremo i nostri ragazzi per il Parlamento. Sarà un terremoto in quel cimitero di elefanti.

Che cosa proporrete?

Più informazione e partecipazione: tre mesi prima di entrare in vigore le leggi dovrebbero essere pubblicate su Internet e sottoposte ai cittadini. Poi vogliamo referendum propositivi anche senza quorum. Vado avanti?

Perché no?

Noi siamo per il federalismo, quello vero, altro che la Padania. Sogniamo gli Stati Uniti d’Italia, che riuniscano le regioni con anime diverse. Poi addio alle province, basta doppi incarichi e doppie indennità. In economia via le stock option, sì a un tetto massimo e minimo per i salari di manager e operai. E poi l’industria. Napolitano parla di industria, ma in che Paese vive? Ha visto quante nostre industrie stanno in piedi solo con i soldi dello Stato? Se un’impresa va in malora deve fallire. Basta finanziamenti pubblici, cioè nostri. I soldi vanno dati agli operai e alle forze fresche.

Ci sono anche partiti, magari all’estero, con proposte simili.

Ancora con i partiti. Per capire chi siamo, lasciate i giornali e Minzolini… venite a Cesena, ci sono migliaia di persone che si stanno preparando con autobus e treni. Hanno perfino rinviato la partita con il Napoli.

Che cosa succederà davvero?

Sarà la Woodstock della politica italiana. I partiti si vedono in quei vecchi alberghi che sanno di rosolio davanti a quattro pensionati. Noi ci incontreremo all’aperto, di fronte a tutti. Ognuno varrà uno, io, gli ospiti e ciascun partecipante. Tutti potranno farsi sentire. Noi siamo l’Amuchina della politica, disinfettiamo dai microbi. E poi c’è il Web, che fa da poliziotto: massima trasparenza su tutto, chi sbaglia, anche noi, si prende le sue responsabilità.

Ma perché i giovani dovrebbero venire a Cesena e non alla festa del Pd, per dire…

Cesena è un urlo di liberazione dal sudario delle parole vuote. I giornali parlano di politici, di alleanze, dell’uomo nuovo… A Cesena si discuterà di politica, non di politici, di idee non di ideologie. I cittadini devono riprendersi il Paese che hanno delegato ad affaristi e gente che senza la politica sarebbe disoccupata, come
Fassino o Gasparri.

Bastano due giorni per cambiare un Paese?

È il segno, noi lavoriamo da anni e andremo avanti. Ma il Mo-Vimento 5 Stelle è diverso in tutto: chiede ai giovani di occuparsi di politica, del loro futuro, di entrare nei consigli comunali, regionali e in Parlamento. Questi ragazzi saranno sempre collegati con gli elettori attraverso la Rete, scriveranno assieme a loro le proposte di legge, renderanno trasparenti le istituzioni. Il MoVimento 5 Stelle vuole trasformare la politica in servizio civile, cancellare il politico di mestiere, il governatore a vita come Formigoni. Due mandati e poi si torna a lavorare. Basta la truffa del finanziamento pubblico trasformato in “rimborso elettorale”, i partiti vivono spartendosi quasi un miliardo… e se si scioglie il Parlamento cumuleranno i rimborsi della presente legislatura con quelli futuri. Ai partiti e ai parlamentari – che hanno raggiunto l’anzianità per la pensione – la crisi conviene. Senza i finanziamenti elettorali, bocciati da un referendum, i partiti non esisterebbero.

Facile a dirsi, ma voi come fate?

Non abbiamo preso contributi, abbiamo rifiutato 1,7 milioni di “rimborsi” per le regionali. In cinque regioni abbiamo avuto mezzo milione di consensi. Ogni voto ci è costato 0,8 centesimi, pagati da contributi volontari. I nostri consiglieri regionali si sono ridotti lo stipendio a 1.500 euro al mese. Il Mo-Vimento 5 Stelle è il ritorno dei cittadini alla politica, in prima persona, con l’elmetto.

Da
Il Fatto Quotidiano del 8 settembre 2010


B. minaccia Napolitano e manda avanti Minzolini - di Antonio Padellaro




Non è uno scherzo, ma ieri sera negli ambienti politici e nelle redazioni dei giornali si attendeva con curiosità l’“editoriale” del ventriloquo di Berlusconi, Minzolini, per capirci qualcosa nel casino di un governo ormai fuori controllo. Dagli schermi del Tg1, il portavoce del Caimano ha diramato gli ordini: elezioni al più presto e che Napolitano non si azzardi a fare “ribaltoni” con “governicchi” improvvisati. Sulla pretesa (bofonchiata da Bossi a nome del socio di Arcore) di far dimettere Finidalla presidenza della Camera, invece, silenzio. E si capisce, visto che è stata rispedita al mittente dal Quirinale e presa a ridere dallo stesso Fini (nel frattempo intervistato da Mentana). A questo punto, nel caos, restano poche cose certe.

1) Il 29 luglio B. espelle Fini dal
Pdl pensando che lo seguiranno in pochi. Si sbaglia. La consistenza dei gruppi parlamentari di Futuro e libertà è tale da far ballare la maggioranza.

2) La
Lega vuole il voto ma B. – sondaggi alla mano – sa che le elezioni sono un rischio. Per andare avanti chiede ai finiani di votare cinque punti generici del programma (da cui scompare l’indecente processo breve).

3) A
Mirabello Fini dice sì ai cinque punti, ma rivendica totale libertà d’azione mazzolando premier e colonnelli.

4) B. comprende che peggio del voto è farsi
logorare da Fini e gioca la carta dello sfascio. Se il nemico non sloggia, lui smette di far funzionare il Parlamento. E allora il capo dello Stato non potrà che sciogliere le Camere. E se invece cercasse una nuova maggioranza? Bè, ci pensa Minzolini.



No al razzismo, sì al pane - di Ettore Longhi

Francavilla, Puglia. Un consigliere comunale si inventa un'aggressione col coltello da parte di un immigrato nigeriano. Una panettiera lo smentisce, fa scarcerare il ragazzo e incriminare il politico per calunnia

(07 settembre 2010)
Alessandra LatartaraAlessandra LatartaraAlessandra Latartara fa la panettiera a Francavilla Fontana, comune di 35 mila abitanti in provincia di Brindisi noto per le sue splendide chiese un po' fatiscenti, le processioni della Settimana Santa e i dolci del luogo, le mandorle ricce. Il suo negozio si chiama "Voglia di pane" e sta in via Immacolata, a pochi passi da piazza Umberto I: insomma, in pieno centro. Non fa politica, non è un'eroina: ma forse un piccolo ringraziamento pubblico, nell'Italia del 2010, lo merita lo stesso.

La signora Latartara, nella tarda mattinata di lunedì 23 agosto, se ne sta come sempre al suo negozio. Subito fuori, a chiedere l'elemosina, c'è invece Friday Osas, immigrato nigeriano, 24 anni, a cui ogni tanto la panettiera allunga un po' focaccia. Ma quel 23 agosto in via Immacolata, proprio davanti a "Voglia di pane", è di passaggio Benedetto Proto, consigliere comunale del Pdl, già noto in città per aver promosso - tempo fa - le prime "ronde pugliesi" per vigilare sugli extracomunitari. Ignaro di questo pregresso, Friday chiede a Proto, come a tutti, qualche spicciolo, ma il consigliere gli risponde bruscamente di andarsene, che lì dà fastidio. Il nigeriano gli risponde, c'è qualche minuto di tensione, poi tutto sembra finire lì. Invece, continuando a camminare, Proto estrae il suo cellulare e, pochi minuti dopo ecco avvicinarsi al negozio due vigili urbani. L'immigrato li vede e, immediatamente, scappa. I due lo inseguono tra le vie del centro, come se fosse un rapinatore, lo acchiappano e lo arrestano. Il motivo? Il consigliere comunale sostiene che il nigeriano lo aveva minacciato con un coltello.

La panettiera, però, ha visto tutto. E lo ricorda benissimo: non c'è stata nessuna minaccia, né alcun coltello. Solo un paio di parole di troppo, più dal politico che dall'immigrato. Che fare? Proto è un personaggio di un certo peso, in città. Friday invece è solo un immigrato e un clochard. Alessandra ci pensa due giorni e due notti. Poi va dalla polizia a raccontare la verità: "Quello si è inventato tutto. L'unica cosa che Friday aveva in mano era un pezzo di focaccia che gli avevo dato io". Testimonianza poi confermata ai giornalisti locali e sotto giuramento, al processo per direttissima. E in udienza la panettiera va oltre: "Friday è un bravissimo ragazzo, non ha mai fatto del male a nessuno e aiuta gli invalidi in carrozzella a entrare nel mio negozio".


Alla fine quella della signora Latartara viene considerata una testimonianza credibile al punto che anche il pm, Giuseppe De Nozza, si convince dell'innocenza di Friday Osas e ne chiede l'assoluzione. Che infatti arriva pochi giorni dopo, con formula piena, e le scuse a nome di tutta la comunità. "Sono cristiano, non provo nessun rancore, conosco il valore del perdono", commenta il nigeriano uscito di galera. Proto invece si arrabbia: "Perché alla vista dei vigili l'immigrato è fuggito? Evidentemente aveva qualcosa da nascondere", insiste il consigliere comunale. Ma con poco successo, perché ora rischia l'imputazione per calunnia. E intanto - su pressione tanto non solo dell'opposizione ma anche di buona parte del suo partito - ha dovuto anche dimettersi da consigliere comunale: "Questa città non merita il mio impegno", ha scritto nella lettera d'addio.

'Happy end', dunque. Forse sì. Ma i siti locali raccontano che la panettiera in questi giorni ha ricevuto degli "avvertimenti". Non si sa di chi, non si sa perché. Ecco: Alessandra Latartara è solo una cittadina italiana per bene, come dovremmo essere tutti. Facciamo in modo che non diventi mai un'eroina.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/no-al-razzismo-si-al-pane/2133769

lunedì 6 settembre 2010

Se il Pd sceglie Schifani - Peter Gomez




È sbagliato paragonare agli “squadristi” i cittadini che hanno rumorosamente contestato la presenza di Renato Schifani alla festa del PD. Ieri a Torino, chi ha tentato di partecipare al dibattito pubblico tra il presidente del Senato e Piero Fassino, senza però poterlo fare a causa del servizio d’ordine, era infatti spinto non solo da una perfettamente legittima e democratica indignazione. A convincerlo alla protesta c’era pure un altro desiderio. Porre delle domande e avere delle spiegazioni. Ottenere dei chiarimenti sul passato della seconda carica dello Stato e sul tipo di attività professionale da lui svolta in favore di personaggi legati a Cosa Nostra.

Nell’ultimo anno, del resto, sebbene sul conto di Schifani siano emersi interrogativi di ogni tipo, nessuno in Parlamento ha detto una parola.
Il Fatto Quotidiano, assieme a pochi altri, con un duro lavoro d’inchiesta ha ricostruito parte della sua carriera di avvocato civilista e di affari. Ha fornito un primo elenco dei sui assistiti, i cui nomi erano fin qui rimasti segreti. E ha avanzato un quesito squisitamente politico: per il buon nome delle istituzioni è un bene o un male avere alla testa di Palazzo Madama un uomo che oggi si scopre aver fornito consulenze all’imprenditoria considerata mafiosa? È ovvio che gli eventuali aspetti penali della vita di Schifani siano di competenza della magistratura. In Parlamento non si può e non si deve discutere delle dichiarazioni, ancora da verificare, dei pentiti (Spatuzza e Campanella). Si può, e si deve, invece, discutere di fatti.

In ogni democrazia che si rispetti il primo potere di controllo su ciò che accade nelle istituzioni e sul loro decoro non è né dei giornali, né dei giudici, ma delle opposizioni. Il Partito Democratico sul caso Schifani (e su molti altri), però non lo ha esercitato. E continua a non esercitarlo. Invitare alla propria festa il presidente del Senato, senza prima avergli domandato di chiarire tutto, magari rendendo nota la lista completa della sua discutibile clientela e dell’attività di consulenza legale e paralegale svolta per essa, vuol dire non capire ciò che chiedono gli elettori. E soprattutto vuol dire venir meno a un proprio dovere. Perché i cittadini leggono, s’informano sul Web, e domandano di essere rappresentati. Non farlo, per la democrazia, è molto più grave di qualche fischio e urlo indirizzato, non verso un avversario politico, ma contro chi ostinatamente siede ai vertici delle istituzioni rifiutando la trasparenza
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