venerdì 17 giugno 2011

Costruire la rivoluzione.



Come al finire di un giorno quando cala la sera c’è un attimo in cui si rivede tutto e tutto appare in una logica complessiva che prelude al riposo e a una calma lettura degli avvenimenti, così in queste ore cerchiamo di capire i vent’anni alle nostre spalle: davvero è finita una storia? Davvero ora si apre un tempo nuovo? E, ancora, sapremo viverli in maniera dignitosa, i giorni che ci attendono, o abbiamo perso per strada, in questi anni di delusioni, di preoccupazioni, di impegno lacerante, anche la capacità di essere generosi, produttivi, ispiratori di cose buone per tutti? Capaci di giudizi giusti, non vendicativi ma nemmeno assolutori?

Oggi tutti dicono che c’è da ricostruire; che molte sono le macerie, così tante che è inutile elencarle.

Vorrei invece avere la fantasia e la possibilità di non rifare ciò che avevamo e che come si vede ogni giorno in Italia non muore mai, come il malaffare e l’antistato e la cattiva politica. A me piacerebbe che sapessimo indicare per noi e il nostro Paese strade nuove. Del tutto diverse da quelle che abbiamo già percorso con scarso successo e orizzonti limitati.

Mi piacerebbe avere la fantasia, la passione e la competenza per dire: da oggi in avanti sarà tutto diverso, da questi vent’anni e anche da quelli di prima. Vorrei un Paese che pur sapendo quanto è fragile ogni democrazia non dovesse ogni istante vigilare perché già si intravedono ombre minacciose e dunque ogni energia, giovane e vecchia, potesse esser dedicata alla cura del bene comune inteso in ogni senso. Un Paese dove i deboli si sentissero sicuri e i forti insicuri.

Un Paese dove i giovani fossero amati e non invidiati e oppressi e gli anziani compresi e aiutati, le donne rispettate e i bambini crescessero bambini. Un Paese che studiasse la storia per evitare gli errori compiuti.

Insomma, non c’è tempo, secondo me, per attardarci a chiederci se Berlusconi sia davvero al tramonto. La sua vicenda politica è comunque al tramonto e con essa la politica devastante della maggioranza e quella troppo pavida dell’opposizione.

I cittadini che hanno votato i referendum esigono una nuova politica: e di non esser chiamati soltanto all’ultimo minuto, prima delle elezioni, a certifacare le scelte prese nei vertici o nei “caminetti”, col solito vezzo di cei proclama: o prendere o lasciare, tanto non avete scelta…

Questo vorrebbe dire più che ricostruire, costruire qualcosa di nuovo e diverso da come è sempre stato.

La delusione altrimenti potrebbe essere tremenda, come ha detto Zagrebelsky, e questa volta staremmo molto peggio di come siamo stati prima. Il che appare impossibile, forse. Ma sappiamo bene che non lo è.

Cambiamola questa nostra Italia. Facciamola nuova. Non ricostruiamo macerie su macerie.

Si chiama, in gergo tecnico politico, “rivoluzione”. Non saremmo i primi e nemmeno gli ultimi a invocarla, profonda, convinta, serena, esigente, libera e giusta.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/16/costruire-la-rivoluzione/


Fiom-Santoro, oggi in diretta su RepTv.



''Signori entra il lavoro, tutti in piedi''. La festa per i 110 anni del sindacato dei metalmeccanici: una serata speciale insieme al conduttore di AnnoZero, Marco Travaglio, Vauro, Serena Dandini, Maurizio Crozza, Daniele Silvestri e numerosi altri ospiti. Oggi alle ore 21 da Villa Angeletti, a Bologna, in diretta su RepubblicaTV.




Inchiesta P4, tutti gli uomini nella rete. “Bertolaso non può dirmi di no”. - di Antonio Massari


Da Nicola Cosentino alla cricca del G8, il vortice dell'onorevole berluscones. Agli atti gli interessi per la vicenda di Santoro e per Finmeccanica. E poi appalti e nomine da pilotare.


È impressionante la rete di rapporti intessuta daAlfonso Papa, con magistrati e politici, poi utilizzata, secondo le accuse, per carpire informazioni secretate e rivelarle agli indagati. A rivelarlo è spesso Bisignani, che spiega come ha saputo di essere sotto intercettazione: glielo dice Italo Bocchino. E di lì a poco la “macchina” di Papa si mette in moto.

Il ruolo dell’esponente Fli
“Un giorno l’onorevole Bocchino, mio caro amico, disse di avere appreso che Papa era indagato e che a Napoli c’era una indagine e delle intercettazioni che riguardava alcune schede procurate e diffuse dal Papa. Mi chiese se anche io avessi avuto una di tali schede; Bocchino parlò espressamente di una indagine di Napoli ma non fece mai il nome dei magistrati; io rappresentai immediatamente tale circostanza al Papa e il Papa successivamente fece ulteriori accertamenti verificando la fondatezza di tale notizia…”. Bocchino dichiara che il colloquio s’è effettivamente tenuto, ma in un altro momento, e cioè soltanto dopo la pubblicazione di alcune notizie sull’inchiesta.

Bardi e la GdF
Papa – dice Bisignani – è sicuramente amico di Pollari, di Poletti (…) del generale Adinolfi … Quando gli dissi della notizia (…) mi disse che avrebbe chiesto informazioni a Napoli e che avrebbe parlato con un certo generale Vito Bardi della Guardia di Finanza; dopo qualche giorno tornò da me e mi disse che effettivamente dalle notizie che aveva appreso a Napoli aveva appurato che la notizia dell’indagine era vera (…). In un primo tempo il Papa tentò di minimizzare la portata dell’inchiesta, ma mi accorsi che era sempre più preoccupato (…). Mi disse che Vito Bardi (che ha querelato Bisignani, ndr) gli aveva confermato dell’esistenza dell’indagine, ma che tuttavia, lo aveva rassicurato dicendo che l’indagine era di scarso peso (…).

Cosentino
Gli elementi sulla fuga di notizie riguardante Nicola Cosentino – coordinatore campano del Pdl e imputato per concorso esterno in camorra – si fondano sulle dichiarazioni di Patrizio Della Volpe: “…mi risulta che La Monica sia uomo di fiducia del Papa… La Monica informò il Papa che l’onorevole Cosentino era destinatario di indagine da parte della Procura di Napoli; non ricordo quanto tempo prima rispetto al deposito degli atti (e alla conseguente pubblicazione sui giornali), La Monica diede tale informazione al Papa. Posso dire che avvenne prima del deposito degli atti e dei primi articoli di stampa (mi pare pubblicati su l’Espresso). La Monica avvertì Papa, dal momento che Papa ambiva a fare un salto di qualità in politica…”. Secondo il gip però non ci sono elementi sufficienti.

Lo scandalo Finmeccanica
“Papa – dice Bisignani – s’è proposto, per il mio tramite e di Galbusera, di interessarsi e di intercedere assumendo notizie ed informazioni anche sulle vicende giudiziarie riguardanti il dotto Borgogni di Finmeccanica (…). Ricordo che Papa mi disse di essersi informato, attraverso fonti accreditate, e di aver appreso che nei confronti di Borgogni non vi erano provvedimenti restrittivi…”.

L’indagine Verdini
“Papa – dice sempre Bisignani – si propose di assumere informazioni e adoperarsi quando Verdini fu coinvolto nella nota vicenda giudiziaria (…). Mi consta che Papa era molto amico dell’allora Procuratore aggiunto di Roma Achille Toro e del figlio Camillo; più volte mi chiese di poter trovare qualche incarico a Camillo. (…). Il Verdini medesimo cominciò a stringere i suoi rapporti con Papa, che fino a quel momento aveva calcolato poco, da quando cominciò a proporre il suo interessamento e la sua possibilità di intervento sulle vicende giudiziarie…”

Bavaglio ad “Annozero”
Papa cerca informazioni anche sulle indagini della Procura di Trani sul “bavaglio” ad Annozero. Nelle intercettazioni compariva l’ex direttore della Rai Mauro Masi. Dice Bisignani “Tramite me s’è proposto di interessarsi di prendere notizie e di intercedere anche a proposito delle vicende giudiziarie riferite a Masi perciò che riguarda la Procura di Trani. Disse di aver acquisito informazioni rassicuranti e le “girai” al Masi. Disse di essersi informato a Trani e di aver appreso che “non c’era da preoccuparsi”. Non chiesi quale fosse la sua fonte…”.

Protezione Civile
“Papa – dichiara Bisignani – mi parlò delle indagini sulla “cricca” e, in particolare, del filone di indagini che pendeva a Roma su Bertolaso; me ne parlò sicuramente prima del deposito degli atti e degli arresti. Sosteneva che la cosa si sarebbe sgonfiata”. Una conferma arriva dall’imprenditoreLuigi Matacena: ” …ho conosciuto Papa un anno e mezzo fa (…) Successivamente cominciò a chiamarmi e mi diceva che era a “disposizione” per il mio lavoro e per aiutarmi; mi occupo di fornitura di attrezzatura e mezzi specialistici per vigili del fuoco e protezione civile (…). Mi propose di interessarsi per farmi ottenere delle commesse (…). Mi chiese in modo pressante se lavoravo con la protezione civile nazionale (…). Mi propose di procurami un contatto con Bertolaso; tuttavia poi non lo fece (…). Mi disse, in proposito, che a lui Bertolaso non poteva dire di no perché lui stesso (e cioè il Papa) si stava adoperando e interessando dei problemi giudiziari del Bertolaso, e che a lui, dunque, il Bertolaso non poteva dire di no. Il Papa mi fece tale discorso prima che scoppiasse lo scandalo della Cricca”.



Napoli, il gioco sporco del governo sui rifiuti: rischio stato di emergenza. - di Enrico Fierro


Dura telefonata di Luigi De Magistris al premier: "Assumiti le tue responsabilità". Oggi, intanto, la giunta vara la prima delibera sulla monnezza. Il sindaco: "Sarà una rivoluzione". In strada ci sono 1.500 tonnellate di spazzatura.


Servono “ulteriori approfondimenti”, così il governo liquida l’ennesima emergenza rifiuti a Napoli e in Campania. Il decreto per consentire il trasferimento della monnezza fuori regione neppure ieri è stato approvato, troppe le resistenze della Lega e delle regioni del Nord, troppo debole la schiera dei parlamentari campani del Pdl, ininfluenti gli appelli del governatore della Regione Stefano Caldoro e dei presidenti delle Province, tutti del partito di Berlusconi. Ed è proprio al Presidente del Consiglio che in serata arriva una telefonata di Luigi de Magistris. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, ma anche gli altri, il governo, la regione e la provincia, devono muoversi, è la sostanza del colloquio.

É amareggiato il nuovo sindaco di Napoli. “Prendiamo atto, ancora una volta, che il Governo non ha approvato un decreto legge fondamentale per Napoli e la Campania, nonostante la sollecitazione politica di tutti”. In serata un lungo vertice col prefetto Andrea De Martino, il governatore Caldoro, la Provincia di Napoli, l’Asl e l’Arpac “perchè chi finora non l’ha fatto si assuma la sua responsablità. Se non si interviene subito con ordinanze urgenti anche dal punto di vista della sanità pubblica Napoli si espone a rischi molto concreti”. La riunione è aggiornata a questa mattina, il Comune farà la sua parte pulendo la città e individuando i luoghi dove trasferire i rifiuti in attesa che vengano trattati. Poi toccherà a Regione e governo.

Il rischio è il collasso, a Napoli, con una temperatura che ieri superava i 30 gradi, ci sono 1500 tonnellate di rifiuti per le strade, 10mila nell’intera provincia. E sotto il Vesuvio ancora ricordano la frase di Berlusconi a poche ore dal ballottaggio che decretò il trionfo di de Magistris, la sconfitta dell’industriale Lettieri e l’umiliazione del Pdl: “Se perdiamo poi è inutile che i napoletani vengono a bussare da noi”. Parole che rafforzano il sospetto che sulla pelle della città si sta facendo un gioco sporco. Proprio nel giorno in cui Luigi de Magistris presenta la sua giunta di professori ed esperti, e il primo atto del nuovo governo cittadino: una delibera sulla gestione dei rifiuti che punta su tutto quello che nei decenni precedenti non è stato fatto. Raccolta porta a porta fino a coinvolgere 325mila abitanti, dai 146mila di oggi, differenziata spinta, impianti di riciclaggio e compostaggio. Con un no fermissimo alla spesa di 480 milioni per la costruzione di un inceneritore nel cuore industriale della città.

“Le nostre scelte mettono in discussione affari vecchi e nuovi sull’emergenza rifiuti, il no all’inceneritore fa tremare le lobby del settore, la camorra delle discariche abusive, del trasporto illegale dei rifiuti, si sente messa all’angolo. Stanno reagendo, ecco tutto”. E’ lo sfogo di un giovane consigliere comunale. La situazione è drammatica tanto che lo stesso governatore Caldoro non esclude la proclamazione dello stato d’emergenza. “Non escludo la possibilità che siano le stesse Province e i Comuni a chiedere alla Regione di comunicare al governo la richiesta di stato di emergenza”. É una battaglia, quella che si combatte sulla monnezza, sull’orlo di un nuovo baratro ambientale, civile ed economico.

E’ una guerra tutta politica tra la Lega e il Pdl, e dentro lo stesso partito di Berlusconi. Da una parte alcuni parlamentari campani vicini al governatore Caldoro, come Mara Carfagna, che insieme al ministro Prestigiacomo chiedono che il governo approvi in fretta il decreto sui rifiuti, dall’altro l’ala filoleghista più interessata a mantenere gli equilibri già precari con Bossi e Calderoli che a risolvere il dramma della Campania. Novanta giorni, questo è il tempo che la Giunta de Magistris si assegna per portare la raccolta porta a porta a 325mila abitanti, altri tre mesi serviranno all’Asia, l’azienda dei rifuti ora guidata dal supertecnico Raphael Rossi, per predisporre un piano che estenda in tempi rapidissimi la differenziata all’intera città. É questo il nucleo centrale del programma del nuovo sindaco e del suo assessore all’Ambiente Tommaso Sodano. No ai volantini pubblicitari, alla vendita di ortaggi non defoliati, all’uso indiscriminato dell’usa e getta. Sì alla costruzione delle isole ecologiche con la definizione entro 15 giorni dei tempi della loro entrata in funzione, e alla realizzazione degli impianti di compostaggio, di valorizzazione dei rifiuti ingombranti e della carta. Ma servono soldi. I 400 milioni bloccati ieri dalla Ue, che ha nuovamente sanzionato l’Italia per le inadempienze sulla gestione dell’emergenza rifiuti servivano come l’aria.


Leggi anche:

Napoli, la prima delibera
della giunta de Magistris

La delibera che oggi sarà presentata in consiglio comunale dal neosindaco. Obiettivo, ripulire una città che da tempo vive in emergenza con temperature che ieri superavano i 30 gradi. Sono 1500 le tonnellate di spazzatura da rimuovere dalle strade:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/17/napoli-la-prima-delibera-della-giunta-de-magistris/118791/



‘Ndrangheta, quattro anni di carcere all’ex consigliere regionale Pdl Zappalà. - di Lucio Musolino


Il politico viene condannato per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose. Durante la campagna per le regionali in Calabria del 2010 incontra il boss Giuseppe Pelle. Dure condanne anche per alcuni appartenenti di spicco dei clan Pelle e Ficarra.


Il consigliere regionale Santi Zappalà (Pdl)

Quattro anni di carcere. Tanto l’ex consigliere regionale del Pdl Santi Zappalà dovrà scontare per il gup Daniela Oliva di Reggio Calabria che, ieri pomeriggio, ha emesso la sentenza di primo grado del processo “Reale”. Gli è costato carol’incontro a casa del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Pelle durante la campagna elettorale per le regionali del 2010. Condannato, dunque, per corruzione elettorale aggravata dalle
modalità mafiose. Il giudice per le udienzepreliminari ha accolto in pieno la richiesta del pubblico ministero Giovanni Musarò, infliggendo complessivamente circa 200 anni di reclusione agli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.

L’abitazione del mammasantissima di San Luca era diventata un luogo di pellegrinaggio per i candidati a Palazzo Campanella. Quarto degli eletti nella lista del Pdl con 11052 voti, Zappalà non si è tirato indietro davanti a una tappa obbligata per chi vuole rastrellare voti negli ambienti mafiosi. Una sorta di santuario dove chiedere consensi in cambio di appalti.

Ambienti dai quali, come ha affermato nel corso di un’intercettazione telefonica lo stesso Giuseppe Pelle, potrebbero essere eletti ben sei consiglieri regionali. Un partito della ‘ndrangheta seduto allo stesso tavolo della politica e delle istituzioni. Nel corso delle indagini, i carabinieri del Ros aveva filmato Zappalà mentre, a bordo della sua Alfa 159, arrivava a Bovalino intercettando anche le conversazioni con il boss il quale ha garantito il suo appoggio e quello della potente famiglia mafiosa dei Pelle.

“Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno” è la frase che il figlio del patriarca ‘Ntoni Gambazza ha riferito a Zappalà che conferma la tendenza di come, oggi, siano i politici a rivolgersi ai mafiosi e non viceversa. Un impegno non disinteressato certo. Se Zappalà chiede i voti, la cosca pretende una contropartita. Un “do ut des” insomma che, oltre all’odore delle schede elettorali, aveva il sapore degli appalti.

Ed è un imprenditore, Giuseppe Antonio Mesiani, presente all’incontro tra il mafioso e il politico, a spiegare le condizioni del “patto elettorale”: “Quando sposo una causa e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.

Chiaro, gentile ma, allo stesso tempo, fermo e consapevole di fornire a Zappalà l’unica condizione possibile per usufruire dei voti dei “santolucoti”: la ‘ndrangheta garantisce l’elezione, il politico gli appalti alle ditte di riferimento della cosca. Non si scappa. L’ex sindaco di Bagnara Santi Zappalà, però, non era il solo ad aspirare al pacchetto di voti di Peppe Pelle. Con lui, a dicembre, sono stati arrestati, altri candidati (di centrodestra e di centrosinistra) al consiglio regionale della Calabria che si erano recati durante la campagna elettorale a casa del boss.

Zappalà era stato arrestato inizialmente con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Il primo reato, però, è caduto davanti al Tribunale della Libertà che, pur lasciando in carcere il consigliere regionale, aveva ridimensionato l’impianto accusatorio nei suoi confronti. Impianto accusatorio che rimane, tuttavia, grave e che oggi ha portato alla condanna a 4 anni di carcere per Santi Zappalà e di tutti gli altri candidati coinvolti nell’inchiesta.

Mafiosi e politici alla sbarra. Ritornando alla sentenza, infatti, il gup ha condannato anche il boss Giuseppe Pelle (20 anni di reclusione), Rocco Morabito (20), Giovanni Ficara (18), Costantino Carmelo Billari (8), Domenico Pelle (12), Sebastiano Pelle (10), Giuseppe Antonio Mesiani (8 anni e 8 mesi), Antonio Pelle cl.87 (10 anni e 8 mesi), Mario Versaci (8), Pietro Antonio Nucera (8), Filippo Iaria (8), Antonio Pelle cl.86 (4), Sebastiano Carbone (4), Giuseppe Frantone (4), Giorgio Macrì (6), Francesco Iaria (2 anni e 8 mesi), Liliana Aiello (2 anni e 2 mesi).

L’inchiesta “Reale” è molto più vasta di quella che, ieri, è arrivata a sentenza. Non solo politica. Alcuni filoni dell’indagine portano alla talpa Giovanni Zumbo che, informava, i boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle sull’operazione “Crimine” e “Infinito” e sulle altre attività investigative dei carabinieri sulle rispettive famiglie mafiose. Un commercialista, coinvolto in un giro di servizi segreti e ‘ndrangheta, sulla cui figura ancora aleggiano tante, troppe ombre.

Uno squarcio anche sull’Università di Reggio Calabria dove il figlio del boss Pelle era in grado di sostenere un numero elevato di esami in pochi mesi, per poi scrivere le lettere dal carcere con errori grammaticali che lasciano pensare ai compiti di uno scolaro delle elementari.




Pena di morte digitale.

I critici non hanno dubbi. La bozza della delibera (la 668/2010) dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è una mina da disinnescare al più presto, perché mette a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di siti.
«È la più forte minaccia alla libertà di espressione in Rete che sia mai stata fatta in Italia», sostiene Fulvio Sarzana, avvocato e curatore del Libro bianco su diritti d'autore e diritti fondamentali nella Rete internet. Per Sarzana, infatti, la bozza della delibera potrebbe «decretare la pena di morte digitale di centinaia di migliaia di siti».
TESTO DEFINITIVO ENTRO FINE MESE.La versione provvisoria del regolamento è stata rilasciata a dicembre 2010, e al momento non vi sono indicazioni ufficiali sull'approvazione di un testo definitivo. Ma secondo le fonti diLettera43.it, è lecito ipotizzare la presentazione del progetto compiuto entro fine giugno.
Un rapido passaggio in consiglio di amministrazione Agcom, la pubblicazione entro 60 giorni in Gazzetta ufficiale e il testo sarà in vigore. «Cioè verso Ferragosto», ironizza Marco Scialdone, uno degli avvocati che ha proposto l'appello all'Authority «affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d'autore», come recita il testo consultabile su Sitononraggiungibile.e-policy.it.

La procedura della rimozione dei contenuti.

Il nome del sito non è stato scelto a caso. Perché i siti potrebbero essere resi non raggiungibili tramite un sistema di cancellazione e inibizione degli indirizzi anche solo «sospettati», accusano i detrattori, di violare il diritto d'autore. Una procedura che, in gergo, si chiama notice and take down.
Secondo la delibera Agcom, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere.
CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti.
Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

«Ma la competenza è dell'autorità giudiziaria»

Tutto chiaro? Niente affatto. I critici, infatti ritengono che l'Authority rischi di finire travolta dalle segnalazioni. La richiesta di moratoria promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e dallo studio legale Sarzana, è poi chiara su un'altra criticità: «L'intera procedura» si svolge «senza alcuna forma di consultazione o interazione con l'Autorità giudiziaria».
UNA DELIBERA ANTICOSTITUZIONALE. Violando così, attacca Sarzana, «i principi costituzionali di riparto dei poteri, perché l'Agcom interverrebbe in un settore riservato da un lato al parlamento», cioè introducendo «nuove forme di repressione delle violazioni del diritto d'autore», e dall'altro «all'ambito giudiziario».
Solo a quest'ultimo, argomenta l'avvocato, e non all'Authority, spetta decidere come un soggetto possa essere chiamato a rispondere di violazioni del copyright. Per questo i detrattori della delibera affermano che sia sufficiente il «sospetto» di una violazione: «Perché non si capisce chi giudica», afferma Scialdone, «e se il giudizio sia sommario e quantitativo oppure sia necessario che un determinato sito sia integralmente in violazione del diritto d'autore».
DAL DIRITTO D'AUTORE ALLA CENSURA. Incostituzionale, dunque, e tanto più grave quanto si ricorda, come fa Scialdone, che «l'Agcom è una autorità nominata dal parlamento, ed è dunque espressione di una autorità politica». Insomma, l'impressione è che il diritto d'autore «sia usato come grimaldello», dice Sarzana, per censurare contenuti scomodi.
Del resto, che si tratti di una vicenda eminentemente politica si deduce dal fatto che il suo originario relatore, il consigliere Nicola D'Angelo, è stato rimosso dal ruolo per aver manifestato delle perplessità. E sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg). Senza contare che la delibera è di fatto una costola del criticatissimo decreto Romani, che reca la firma dell'attuale ministro dello Sviluppo economico.
È forte, dunque, la sensazione che il provvedimento abbia un preciso mandante politico: il governo in carica. E che quest'ultimo, a sua volta, sia stato fortemente influenzato dalle richieste dell'industria dell'intrattenimento.

«Meno accesso per i cittadini a risorse estere»

Ma le critiche si concentrano sulle conseguenze di una simile normativa per i cittadini. «A parte l'equiparazione, molto sciocca, tra diritto d'autore e pedofilia», attacca Sarzana, «l'effetto è impedire ai cittadini italiani di avere accesso a determinate risorse estere». E «senza che lo sappiano», aggiunge.
L'avvocato ricorre a una metafora: «È come se entrassero in una biblioteca e scoprissero che mancano alcuni libri. Al loro posto, un cartello con scritto: 'Qualcuno si è lamentato che questo libro violava i diritti d'autore e non c'è più'».
OBIETTIVO: ARGINARE I DOWNLOAD.La conseguenza è chiara: «Si sta isolando il nostro Paese, e tutto questo per chiudere quattro o cinque siti». Le associazioni annunciano ricorso al Tar non appena il testo definitivo della delibera sarà approvato.
Su Avaaz.org le firme raccolte per chiedere all'Agcom di «rimettere la questione al parlamento, come prevede la nostra Costituzione», sono 64.500. Eppure la mobilitazione in Rete e da parte delle opposizioni è stata sommessa rispetto alle levate di scudi contro il comma «ammazza-blog» del disegno di legge Alfano, il decreto Pisanu (che limitava la diffusione del Wi-fi libero) e lo stesso decreto Romani.
Come mai? «L'obiettivo è evitare che la gente scarichi musica e film da Internet», risponde Sarzana, «e chi vuole raggiungerlo è molto forte. In termini di potere e di voti di determinate categorie, interessa non solo a chi è al governo».
IL PLACET DI FIMI. Intanto il cammino della delibera prosegue indisturbato, con il placet di Fimi, Confindustria cultura e del presidente Agcom, Corrado Calabrò. E perfino del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, dopo aver definito internet «strumento di democrazia» e difeso la libertà di espressione sul web, introducendo la relazione dell'Authority alla Camera, si è limitato ad affermare che la riforma complessiva del diritto d'autore spetta al parlamento, anche se per il momento l'Agcom è autorizzata a proseguire il lavoro.

La replica: «Propaganda e disinformazione»

I commissari Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, in un intervento su Milano Finanza, hanno replicato definendo i critici delle delibera degli «arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione» che hanno prodotto «una sbornia di demagogia e di pressappochismo». Aggiugendo, inoltre, di essere al contrario al lavoro per «impedire» che il web diventi un «laboratorio» per la censura.
PER I COMMISSARI AGCOM, ARGOMENTAZIONI DEBOLI. «Sarebbe davvero curioso», hanno proseguito, «che una conquista della modernità giuridica, alla base della fortuna e dell'economia e dell'inventiva europea fosse ipotecata a cuor leggero in nome di una chiamata alle armi dei moderni pirati dei Caraibi». E le critiche? «Gli argomenti farebbero arrossire uno studente al secondo anno di Giurisprudenza».
Quanto al merito delle critiche, Martusciello e Mannoni credono che «la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all'autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficace». Inoltre, secondo i commissari «la riserva di giurisdizione è rispettata dalla possibilità di chiunque di impugnare i provvedimenti davanti al giudice amministrativo».

http://www.lettera43.it/tecnologia/web/18830/pena-di-morte-digitale.htm



E’ imputato? Eleggiamolo. - di LIana Milella


Contraddizione? No, è solo il solito scandalo. Nel giorno in cui l’ennesimo parlamentare del Pdl, Alfonso Papa, diventa co-protagonista di un’inchiesta giudiziaria, al Senato la maggioranza vota un ddl anti-corruzione che è acqua fresca. Nel quale spunta, per via di un emendamento proposto dal pidiellino Malan, anche un nuovo e delicatissimo potere attribuito sempre a palazzo Chigi. Saranno loro ad avere la delega per scrivere le norme sulla non candidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per chi ha sulle spalle sentenze di condanna definitiva. Già questa sarebbe di per sé una forte limitazione perchè resterebbero candidabili tutti gli imputati anche per reati gravi.

Una regola assurda quella di palazzo Chigi autore della nuova norma. Perché toccherebbe a Berlusconi medesimo, anche nella sua qualità di imputato, decidere il codice di comportamnento per chi si troverà sotto processo. Niente male. Un nuovo conflitto nel conflitto.

http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/06/15/e-imputato-eleggiamolo/