Il nome del sito non è stato scelto a caso. Perché i siti potrebbero essere resi non raggiungibili tramite un sistema di cancellazione e inibizione degli indirizzi anche solo «sospettati», accusano i detrattori, di violare il diritto d'autore. Una procedura che, in gergo, si chiama notice and take down.
Secondo la delibera Agcom, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere.
CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti.
Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».
«Ma la competenza è dell'autorità giudiziaria»
Tutto chiaro? Niente affatto. I critici, infatti ritengono che l'Authority rischi di finire travolta dalle segnalazioni. La richiesta di moratoria promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e dallo studio legale Sarzana, è poi chiara su un'altra criticità: «L'intera procedura» si svolge «senza alcuna forma di consultazione o interazione con l'Autorità giudiziaria».
UNA DELIBERA ANTICOSTITUZIONALE. Violando così, attacca Sarzana, «i principi costituzionali di riparto dei poteri, perché l'Agcom interverrebbe in un settore riservato da un lato al parlamento», cioè introducendo «nuove forme di repressione delle violazioni del diritto d'autore», e dall'altro «all'ambito giudiziario».
Solo a quest'ultimo, argomenta l'avvocato, e non all'Authority, spetta decidere come un soggetto possa essere chiamato a rispondere di violazioni del copyright. Per questo i detrattori della delibera affermano che sia sufficiente il «sospetto» di una violazione: «Perché non si capisce chi giudica», afferma Scialdone, «e se il giudizio sia sommario e quantitativo oppure sia necessario che un determinato sito sia integralmente in violazione del diritto d'autore».
DAL DIRITTO D'AUTORE ALLA CENSURA. Incostituzionale, dunque, e tanto più grave quanto si ricorda, come fa Scialdone, che «l'Agcom è una autorità nominata dal parlamento, ed è dunque espressione di una autorità politica». Insomma, l'impressione è che il diritto d'autore «sia usato come grimaldello», dice Sarzana, per censurare contenuti scomodi.
Del resto, che si tratti di una vicenda eminentemente politica si deduce dal fatto che il suo originario relatore, il consigliere Nicola D'Angelo, è stato rimosso dal ruolo per aver manifestato delle perplessità. E sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg). Senza contare che la delibera è di fatto una costola del criticatissimo decreto Romani, che reca la firma dell'attuale ministro dello Sviluppo economico.
È forte, dunque, la sensazione che il provvedimento abbia un preciso mandante politico: il governo in carica. E che quest'ultimo, a sua volta, sia stato fortemente influenzato dalle richieste dell'industria dell'intrattenimento.
«Meno accesso per i cittadini a risorse estere»
Ma le critiche si concentrano sulle conseguenze di una simile normativa per i cittadini. «A parte l'equiparazione, molto sciocca, tra diritto d'autore e pedofilia», attacca Sarzana, «l'effetto è impedire ai cittadini italiani di avere accesso a determinate risorse estere». E «senza che lo sappiano», aggiunge.
L'avvocato ricorre a una metafora: «È come se entrassero in una biblioteca e scoprissero che mancano alcuni libri. Al loro posto, un cartello con scritto: 'Qualcuno si è lamentato che questo libro violava i diritti d'autore e non c'è più'».
OBIETTIVO: ARGINARE I DOWNLOAD.La conseguenza è chiara: «Si sta isolando il nostro Paese, e tutto questo per chiudere quattro o cinque siti». Le associazioni annunciano ricorso al Tar non appena il testo definitivo della delibera sarà approvato.
Su Avaaz.org le firme raccolte per chiedere all'Agcom di «rimettere la questione al parlamento, come prevede la nostra Costituzione», sono 64.500. Eppure la mobilitazione in Rete e da parte delle opposizioni è stata sommessa rispetto alle levate di scudi contro il comma «ammazza-blog» del disegno di legge Alfano, il decreto Pisanu (che limitava la diffusione del Wi-fi libero) e lo stesso decreto Romani.
Come mai? «L'obiettivo è evitare che la gente scarichi musica e film da Internet», risponde Sarzana, «e chi vuole raggiungerlo è molto forte. In termini di potere e di voti di determinate categorie, interessa non solo a chi è al governo».
IL PLACET DI FIMI. Intanto il cammino della delibera prosegue indisturbato, con il placet di Fimi, Confindustria cultura e del presidente Agcom, Corrado Calabrò. E perfino del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, dopo aver definito internet «strumento di democrazia» e difeso la libertà di espressione sul web, introducendo la relazione dell'Authority alla Camera, si è limitato ad affermare che la riforma complessiva del diritto d'autore spetta al parlamento, anche se per il momento l'Agcom è autorizzata a proseguire il lavoro.
La replica: «Propaganda e disinformazione»
I commissari Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, in un intervento su Milano Finanza, hanno replicato definendo i critici delle delibera degli «arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione» che hanno prodotto «una sbornia di demagogia e di pressappochismo». Aggiugendo, inoltre, di essere al contrario al lavoro per «impedire» che il web diventi un «laboratorio» per la censura.
PER I COMMISSARI AGCOM, ARGOMENTAZIONI DEBOLI. «Sarebbe davvero curioso», hanno proseguito, «che una conquista della modernità giuridica, alla base della fortuna e dell'economia e dell'inventiva europea fosse ipotecata a cuor leggero in nome di una chiamata alle armi dei moderni pirati dei Caraibi». E le critiche? «Gli argomenti farebbero arrossire uno studente al secondo anno di Giurisprudenza».
Quanto al merito delle critiche, Martusciello e Mannoni credono che «la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all'autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficace». Inoltre, secondo i commissari «la riserva di giurisdizione è rispettata dalla possibilità di chiunque di impugnare i provvedimenti davanti al giudice amministrativo».
http://www.lettera43.it/tecnologia/web/18830/pena-di-morte-digitale.htm