sabato 9 luglio 2011

Ghedini: “Nessuna perquisizione in via Rovani”. La replica: “Confermiamo tutto”.


L’avvocato del premier e deputato Niccolò Ghedini ha diffuso questa mattina alle agenzie una nota in cui smentisce la notizia data dal Fatto Quotidiano di una richiesta di perquisizione negli uffici della Fondazione della Libertà a Milano.

Pubblichiamo il testo integrale diffuso dall’onorevole Ghedini e la replica diffusa dalla direzione del giornale.

“La notizia apparsa su Il Fatto Quotidiano che la Polizia si sarebbe recata in un’abitazione in Via Rovani a Milano del Presidente Berlusconi per eseguire una perquisizione che non sarebbe stata attuata, trattandosi del domicilio di un parlamentare, è palesemente falsa. Mai nessuno si è recato in Via Rovani né tantomeno ci sono stati tentativi di accesso”.

“La Fondazione che vi avrebbe avuto sede in realtà si trova a Mestre (Venezia). Tale Fondazione era stata creata nel 2000 con la presidenza dell’avvocato Trevisanato nell’ambito del centrodestra per contribuire alla preparazione del progetto di Governo 2001-2006 ed è stata gratuitamente ospitata per alcune riunioni anche in Via Rovani fino al 2003. Nella carta intestata utilizzata all’inizio dell’operatività della Fondazione si indicava appunto Via Rovani come sede secondaria unitamente ad altro ufficio in Roma. Successivamente sia l’ufficio di Roma sia la sede di Via Rovani non venivano più utilizzate”. Quindi – aggiunge – “dal 2003 non vi è stata più alcuna disponibilità degli ambienti in Via Rovani e non vi è alcun collegamento fra tale Fondazione e il Presidente Berlusconi”. Da informazione assunta – conclude- “risulta altresì che il decreto di perquisizione presso la sede di Mestre riportava l’indicazione anche di Via Rovani. Ma risulta che i verbalizzanti recatisi presso la sede principale hanno immediatamente accertato l’insussistenza di qualsiasi collegamento con il sito di Via Rovani e non hanno ritenuto necessario nessun ulteriore accertamento”.

La replica del Fatto Quotidiano.

Il Fatto Quotidiano conferma che ieri la Procura di Napoli ha ordinato alla polizia giudiziaria di perquisire le tre sedi della Fondazione Casa delle Libertà indicate nel nostro articolo compresa quella di via Rovani, 2 a Milano oltre a quella di via Miranese, 3 a Venezia e a quella di Roma.

La Polizia non ha eseguito l’atto nella villa milanese perché l’indirizzo risulta tra le residenze del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che come afferma l’avvocato Ghedini ha ospitato la sede della Fondazione oggi oggetto di investigazione.




Polignano, Sgarbi e il pubblico di "drogati spacciatori"



Il critico Vittorio Sgarbi interviene al festival di Polignano a mare. Tutto va bene finché Sgarbi non si mette ad accostare energia eolica e mafia. A quel punto il pubblico comincia a rumoreggiare. E lui ad insultarli a suon di "drogato", "spacciatore" e altro ancora. di Roberto Rotunno.




Expo e ‘ndrangheta, la sicurezza il vero affare “Qui minimo minimo ci vogliono 500 uomini”. - di Davide Milosa



Il particolare emerge dalla requisitoria del pm Alessandra Dolci che ieri ha chiesto mille anni di condanne per 118 imputati nel processo Infinito sull'infiltrazione delle cosche in Lombardia. Dalle pieghe dell informative emerge così il nuovo progetto dei clan per spartirsi la torta dell'Esposizione universale

Ma quale edilizia. Per Expo 2015 la ‘ndrangheta punta sul comparto della sicurezza. Cinquecento uomini come minimo. Con appalti da frazionare. Cinque euro al giorno. “Sai quanto soldi sono”. La frase sta in calce al mai abortito progetto della mafia più potente del mondo di aggiudicarsi una fetta della torta più golosa che la Lombardia abbia mai visto.

Il dato, ad oggi rimasto tra le pieghe delle informative, emerge dalla requisitoria del pm Alessandro Dolci nel processo con rito abbreviato che vede imputati 119 presunti affiliati alle cosche calabresi. Proprio ieri il magistrato della Direzione distrettuale antimafia ha chiuso il suo intervento snocciolando richieste di condanna per mille anni di carcere. Tutto come da programma. Tranne per l’assoluzione (chiesta dall’accusa e sulla quale dovrà decidere il gup Roberto Arnaldi) a favore di Antonio Oliverio, ex assessore nella giunta provinciale di Filippo Penati e definito dal gip Giuseppe Gennari“il capitale sociale dei clan”.

La definizione, mutata dalla sociologia, è stato più volte ripreso dallo stesso magistrato, che nella seconda tranche della sua requisitoria, andata in scena il 28 giugno scorso nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi a Ponte Lambro, ha compulsato le migliaia di pagine dell’inchiesta. “Cinquecento faldoni – ha esordito – per un procedimento obbiettivamente gigantesco”. Uno tsunami di carte dove “è difficile per me riuscire a raccapezzarmi e devo dire, giudice, che sinceramente non invidio il suo compito”.

Dopodiché ha tenuto la barra fissa sul cosiddetto “capitale sociale” dei clan. “Noi – ha spiegato la Dolci – dobbiamo vedere la ‘ndrangheta come una organizazione che ha una forte coesione interna, ma che vive anche di una rete relazionale verso l’esterno”. Eccolo qua, allora, il capitale sociale costituito da politici, faccendieri, imprenditori. Tradotto: la zona grgia che da sempre anima i rapporti tra la mafia e le istituzioni. E dunque “solo cogliendo questo aspetto noi riusciamo a capire cos’è la ‘ndrangheta piuttosto che Cosa nostra”.

Esempi? Il magistrato cita il nome di Pietro Pilello “noto commercialista, presidente del Collegio sindacale di varie società a partecipazione pubblica tra cui l’Ente Fiera”. Cosa fa dunque questo Piello che non risulterà però indagato? “Invita Cosimo Barranca (capo della locale di Milano) a una manifestazione elettorale”. Ma c’è anche la vicenda Bertè. “Vogliamo renderci conto – dice il pm – che c’è qualcosa di veramente singolare nel caso di un direttore sanitario di una casa di reclusione (…) che va da persona a lui nota come mafiosa perché si vuole buttare in politica”. Il boss in questione è Rocco Cristello, ucciso a Verano Brianza il 27 marzo 2008.

Per non parlare di Giuseppe Romeo, colonnello dei carabinieri, all’epoca dei fatti in servizio presso il Comando provinciale di Vicenza. Sintetizza il pm: “Si incontra più volte con Strangio“. Perché? “Strangio ha un problema: i camion della Perego lungo la statale valtellinese vengono fermati troppo spesso dalla Stradale”. E favore per favore, Romeo confessa al boss una sua aspirazione: “Candidarsi alle elezioni europee del 2009″. Immediata la risposta: “Non ti preoccupare ti faccio conoscere una persona”. Di chi parla? “Di Massimo Ponzoni, all’epoca assessore regionale all’Ambiente”. Prosegue l’accusa: “Strangio e Romeo entrano negli uffici del Pirellone”.

E’, dunque, in questo quadro che emerge la nuova questione sugli affari di Expo 2015. E non solo. Si tratta di alcune intercettazioni contenute nell’inchiesta Bad Boys che nel 2009 ha dato scacco alle cosche di Cirò Marina, per anni egemoni nel Varesotto. Il 4 luglio scorso il tribunale di Busto Arsizio ha condannato 17 persone. Undici anni sono andati al boss Vincenzo Rispoli, coinvolto anche nell’indagine Infinito.

L’intercettazione, letta dal pm, è attribuita a Emanuele De Castro che per conto della ‘ndrine gestisce la cosiddetta bacinella. “Siamo interessati alla sicurezza – dice il luogotenente del boss – . Poco poco ci vorranno minimo 500 persone. Cinquecento uomini di sicurezza”. Risponde Rispoli: “Se tu su un appalto di questo ci guadagni 5 euro l’uno al giorno, vedi che cifre che si fanno”. Dopodiché discutono sul come ottenere appalti. “Un appalto diretto è impossibile che ce lo danno a noi. E quindi abbiamo bisogno di una serie di ditte tra virgolette pulite”. Nel discorso entra anche il nome di un industriale che ha promesso dei lavori alla ‘ndrangheta. “Qualche ditta grossa ce l’ha pure lui – dice Belcastro – . Questo addirittura ha detto che ci fa parlare con Ligresti“.

Insomma, i boss sanno perfettamente di non poter vincere direttamente i maxi-appalti di Expo. Ecco, allora, la sponda del capitale sociale. Un grande investimento. Tanto più che i politici si accontentano di molto poco. Diecimila euro di matite per la campagna elettorale bastano e avanzano. Il gioco è semplice. E lo è ancora di più per le società partecipate. Qui, addirittura, i boss fanno assumere propri uomini. “Questo fa sì – dice il pm – che una serie di commesse siano dirottate alle imprese legate alla ‘ndrangheta”. E’ il caso del boss di Bollate Vincenzo Mandalari e della Ianomi. Lo stesso boss, legato alla potente cosca di Guardavalle, arriverà addirittura a costruire una sua lista politica per condizionare le elezioni comunali del 2010. Un progetto che viene rubricato in un capo d’accusa: ostacolo del libero esercizio del diritto di voto. Reato non confermnato dal gip. Lo stesso progetto di Bollate lo ritroviamo a Seregno, quando il boss locale Pio Candeloro apparecchia la candidatura diEduardo Sgrò. Entrambi sono imputati nel processo Infinito. Nel marzo 2010, però, Candeloro si occupa di stretegie politiche. “Quando sono le elezioni fammi parlare a me”, spiega in un italiano improbabile. “Perché lui deve sfondare e deve essere lui a dirigere”. Poi precisa e svela: “Dobbiamo essere noi a dire chi va a fare cosa”. Quindi rassicura: “Parolo io con Mazzacuva (presidente del Consiglio comunale), parlo io con Pon…”.

Politica e ‘ndrangheta, dunque. In vista di Expo. Ma non solo. Lo scenario inquieta e le parole del pm aggiungono particolari decisivi a un quadro già in parte delineato dalle carte dell’inchiesta del 13 luglio scorso. Oggi, però, a un anno di distanza da quel blitz clamoroso, dentro a 500 faldoni, ritroviamo nuove spigolature. Sulle quali pesa la richiesta di archiviazione per uno dei tanti politici citati nelle informative della polizia giudiziaria. Una scelta inspiegabile alla luce soprattutto dell’ordinanza firmata dal gip. E, dunque, delle due l’una: o si tratta di una resa della magistratura davanti alla sentenza Mannino che ha svuotato quasi totalmente il reato di concorso esterno, oppure siamo davanti a una strategia in vista di possibili nuove inchieste.




E' solo un truffatore condannato.




Qui non si tratta di politica, ma di una sentenza per truffa.
La sentenza della seconda corte d'appello civile di Milano che ha condannato Fininvest a risarcire Cir per 560 milioni di euro è chiara e non ha bisogno di nessuna interpretazione.
Nessuno cada nel trabocchetto: Berlusconi non è una vittima perché in questa vicenda c’entrano solo gli atti giudiziari, lui è solo un truffatore condannato.
Adesso si leveranno le voci dei suoi avvocati e degli uomini che lui ha fatto eleggere in Parlamento che ripeteranno un copione già visto: che lui è vittima dei giudici comunisti, la solita storiella di sempre insomma.
Milano dovrebbe insegnare: abbiamo già visto alle ultime amministrative come gli italiani siano stufi delle commedie di Berlusconi, il Paese vuole giustizia. E oggi, giustizia è fatta.
Piuttosto dobbiamo riflettere sulla “Tangentopoli 2” che stiamo vivendo in questi mesi perché siamo in un periodo peggiore dei tempi dell’inchiesta Mani Pulite, quando scoprimmo un verminaio usato dalla politica per farsi gli affari propri.
Oggi è peggio. Perché addirittura si usano schermi formalmente legali per coprire le malefatte.
Questa Tangentopoli 2 è la copia riveduta di Tangentopoli 1 e riguarda trasversalmente tutti quanti. Tutti possono capitarci se non c’è una reale volontà di rilancio della questione morale. Si tratta, quindi, di stabilire delle regole precise: i rinviati a giudizio non possono assumere incarichi di governo né locale, né centrale e i condannati non devono essere nemmeno candidati.
Per tornare alla sentenza di oggi, è necessario rispettare quanto sancito dai giudici e che vengano risarciti i danni. E se e' vero, com'e' vero, che Berlusconi e' stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso.
Ripeto: è inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi.



Roberto Benigni L' Inno Del Corpo Sciolto live '83.




Esposto in procura: “A Villa La Certosa il ‘Tempio di Salomone’ e animali esotici”


Il fotoreporter Antonello Zappadu ha presentato una denuncia al tribunale di Tempio Pausania. Decine di foto, arrivate al fotografo in via anonima via mail, ci sarebbero le prove di abusi edilizi e del reato di importazione di animali esotici. Le immagini proverebbero l'esistenza di una struttura ispirata alla simbologia massonica.


Uno dei celebri scatti di Antonello Zappadu a Villa La Certosa

Un esposto denuncia, corredato da decine di foto, è stato presentato questa mattina alla Procura presso il tribunale di Tempio Pausania dal fotoreporterAntonello Zappadu, accompagnato dal suo legaleAngelo Merlini. Nella denuncia, suffragata da testimonianze fotografiche, vengono configurate le ipotesi di rilevanti abusi edilizi e il reato di importazione di animali esotici, probabilmente mai regolarmente denunciati. Secondo quanto affermato dall’avvocato Merlini si tratta di un corredo fotografico selezionato tra circa 700 immagini riguardanti alcuni interni di un immobile presuntamente edificato nel parco di Villa Certosa con sale di riunione, spazi di ritrovo e di relax, camere da letto, arredi, quadri, statue in bronzo, altre sequenze riguardanti il famoso tunnel sottomarino con un fondale subacqueo composto da un mosaico raffigurante il dio Nettuno.

Le foto non sono state scattate direttamente dal famoso fotografo sardo, ma ricevute in 54 spedizioni via email nel 2009 da un anonimo mittente quando Zappadu risiedeva in Colombia. Presumibilmente gli scatti daterebbero gli anni tra il 2008 ed il 2009. Da quel che è dato sapere, tra le immagini consegnate alla Procura di Tempio, sarebbero di sicura rilevanza “giuridica” quelle che riprendono il sempre ipotizzato e mai certificato “Tempio di Salomone” ed altre esterne che ritraggono la passeggiata di tre grandi testuggini esotiche su cui si richiede un accertamento in ordine alla regolare importazione in Italia.


Fondi sospetti, blitz della Digos in una residenza del premier. - di Marco Lillo


Gli investigatori, arrivati davanti al cancello della storica residenza, sono stati respinti perché la villa è sede della presidenza del Consiglio. I finanzieri sono stati inviati dai pm di Napoli che vogliono capire chi si cela dietro la Fondazione della libertà destinatiria di un finanziamento di 165 mila euro.

La Digos ha bussato a casa di Silvio Berlusconi. I poliziotti che indagano su 11 bonifici sospetti pagati da un’impresa sospettata di corrompere Marco Milanese, il deputato del Popolo della libertà in attesa di autorizzazione all’arresto, si sono presentati con un mandato di perquisizione davanti alla prima magione della storia di amore clandestino tra Veronica Lario e il giovane imprenditore di Milano 2. Gli agenti si sono dovuti fermare davanti al cancello che in passato era stato protagonista di un pezzo di storia del rapporto mafia-politica. Proprio quel glorioso portone di ferro che in passato i mafiosi avevano fatto saltare in aria con un chilo di polvere esplosiva (suscitando la celeberrima risata diSilvio Berlusconi intercettata mentre parlava con Dell’Utri di Vittorio Mangano) ha fermato i finanzieri spediti da Napoli a Milano dal pm Vincenzo Piscitelli. Gli investigatori volevano capire chi si nascondesse dietro la Fondazione delle libertà e la sorpresa è stata grande quando hanno scoperto che la Fondazione sospettata ha sede in questa villa coperta dalle guarentigie parlamentari del presidente del consiglio.

Per spiegare perché la Digos sta indagando a via Rovani bisogna partire da un appunto del consulente del pm Vincenzo Piscitelli. Scrive il dottor Luigi Evelino Mancini “Sul conto Eurotec risultano disposti n. 11 bonifici, il primo in data 4 dicembre 2008 l’ultimo il 21 maggio 2010 per importi unitari di 15.000 ( complessivi euro 165.000 ) in favore della fondazione Casa della Libertà sul conto di cui quest’ultima è titolare presso la Cassa di Risparmio di Rieti con sede a Roma, piazza Montecitorio”. La Eurotec non è una società qualsiasi. E’ al centro dell’inchiesta su Marco Milanese della Procura di Napoli e anche della seconda indagine del pm Paolo Ielo a Roma. Ieri il pm Ielo ha fatto arrestare Tommaso Di Lernia e Massimo De Cesare per un’indagine per finanziamento illecito ai partiti che vede indagato anche Milanese. Il deputato del Pdl è accusato di essersi fatto comprare proprio dalla Eurotec una barca per 1,9 milioni di euro in cambio della nomina di un uomo che interessava alla cricca degli appalti Enav: il presidente di Tecnosky, Fabrizio Testa. Il pm Piscitelli sottolinea che nello stesso periodo in cui Eurotec pagava in natura Milanese con l’acquisto gonfiato della barca, effettuava i bonifici alla Fondazione Casa dele Libertà. Proprio quella che ha sede a casa Berlusconi.

La Fondazione Casa delle Libertà è presieduta da Sandro Trevisanato, un uomo fondamentale nel sistema di potere di Giulio Tremonti. Questo avvocato veneziano 73enne è stato eletto nel 1994, sottosegretario alle finanze con ministro Tremonti nel primo governo Berlusconi.

Secondo gli accertamenti degli investigatori la Fondazione che incassa i soldi della Eurotec ha tre indirizzi, tutti e tre finiti ieri nel mirino delle perquisizioni di ieri. Il primo è a Venezia in via Miranese 3, dove ha sede anche una società di Trevisanato. Il secondo in via Uffici del Vicario a Roma ma è stato abbandonato da poco probabilmente per un ufficio in via dell’Umiltà dove si trovano anche uffici dei politici del Pdl dai quali gli agenti si sono tenuti alla larga ieri. Infine c’è il terzo indirizzo, quello più delicato: Milano, via Rovani 2. Al Fatto Quotidiano risulta poi che il dominio internet della Fondazione sarebbe stato recentemente registrato (nonostante la Fondazione abbia sede in Veneto dal 2000) a Milano a casa Berlusconi e che a seguire la pratica è stata Clotilde Strada, la collaboratrice che raccoglieva al telefono le confidenze di Nicole Minetti sul “culo flaccido” del premier. Per capire l’importanza di questa pista però bisogna partire dalla casa di via Campomarzio 24 a Roma, pagata da Marco Milanese e abbandonata nottetempo dal ministro Giulio Tremonti.

Il pm Vincenzo Piscitelli ha convocato a testimoniare il segretario generale dell’ente proprietario: il Pio Sodalizio dei Piceni. Milanese, il signor Alfredo Lorenzoni che ha raccontato. “Il contratto è stato stipulato il l febbraio 2009 ed ha per oggetto un appartamento di 200 metri situato in via Campo Marzio 24 molto più grande quindi e con un salone affrescato. Il canone di locazione per questo immobile è stato stabilito in 8.500 euro mensili”.

La casa, prosegue Lorenzoni, aveva bisogno di una ristrutturazione. “Quindi concordammo contrattualmente con il Milanese l’esecuzione a suo carico di lavori per una cifra complessiva di 200 mila euro (conteggiati secondo il nostro prezzario ) dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone di locazione fino al raggiungimento di quell’ importo. I lavori sono stati effettivamente eseguiti dalla ditta esecutrice EDIL ARS di Roma, società facente capo a Angelo Proietti ed Achille Scaramucci, quest’ultimo anche sodale del Pio Sodalizio. La locazione fu stipulata per uso ufficio e foresteria e l’immobile mi risulta frequentato abitualmente dal Ministro Giulio Tremonti. In sostanza si tratta della casa del Ministro”.

A questo punto i pm hanno verificato che, per effetto dello scomputo dei lavori, i pagamenti sono iniziati solo nel luglio del 2010, per un totale dei pagamenti, fino al mese di giugno scorso, di 108 mila euro. Pagati fino all’ultimo euro da Marco Milanese e non da Giulio Tremonti.

Gli investigatori hanno cominciato a studiare bene il giro di affari della Edil Ars, scoprendo che questa società vantava un imponente giro di affari con la società informatica pubblica, controllata dal Ministero dell’economia, Sogei, un feudo di Marco Milanese che – secondo il capo di Gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, ha pilotato le nomine di questa come di tante altre società pubbliche per conto del ministro. Sul rapporto tra la società di Angelo Proietti e la Sogei il senatore dell’Italia dei Valori Elio Lannutti aveva presentato un interpellanza: “per quanto risulta all’interrogante”, scriveva Lannutti, “in particolare, nell’anno 2010, sarebbero stati affidati all’Edil Ars lavori di manutenzione ed impiantistici per circa 6,2 milioni di euro, di cui circa 5,3 milioni a trattativa diretta (86,6 per cento). Fra questi circa 2,5 milioni di euro sono stati assegnati con procedura secretata”. In più Lannutti sottolineava che la figlia di Angelo Proietti era stata assunta dalla Sogei. E indovinate chi è il presidente della Sogei? Sandro Trevianato, proprio il presidente della Fondazione Casa della Libertà. Nominato da Tremonti a presiedere la Sogei nel secondo Governo Berlusconi 2001-2006 e tornato su quella poltrona nel 2008 con il ritorno del duo Milanese-Tremonti a via XX Settembre.