venerdì 22 luglio 2011

Moro, Imposimato: un 'commando' era pronto a salvarlo. Ma il blitz fu annullato.


Aldo Moro (Adnkronos)

Roma - (ESCLUSIVA ADNKRONOS) - Ferdinando Imposimato, in qualità di legale di Maria Fida Moro, parte offesa nel processo sulla strage di via Fani e il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, si oppone alla richiesta di archiviazione: ''Esiste una denuncia fatta da un brigadiere della Guardia di Finanza che appare persona attendibile''. Maria Fida Moro: mandanti omicidio guardino nella loro coscienza.

Roma, 21 lug. (ESCLUSIVA ADNKRONOS) - "Un 'commando' era pronto a liberare Moro. Ma all'ultimo minuto è arrivato l'ordine di abbandonare l'operazione". Lo dice all'ADNKRONOS Ferdinando Imposimato, dal 1978 al 1984 giudice istruttore del processo Moro.

Un piano militare per liberare Aldo Moro. Avevano deciso di intervenire l'8 o il 9 maggio del 1978. Si erano preparati a fare un blitz dopo aver ispezionato l'appartamento di sopra a quello in cui era prigioniero lo statista. Ma un contrordine, arrivato all'ultimo momento, blocca l'operazione in via Montalcini n. 8. Una pista che sembrerebbe legare il caso Moro all'organizzazione Gladio.

Ferdinando Imposimato, ora, in qualità di legale di Maria Fida Moro, parte offesa nel processo sulla strage di via Fani e il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978, si oppone alla richiesta di archiviazione, chiedendo la prosecuzione delle indagini. ''La verità sul caso Moro è più vicina -spiega all'ADNKRONOS Imposimato- e vogliamo conoscerla, anche per onorare la memoria dei martiri di via Fani. Senza paura e con fiducia nella giustizia. Ma non c'è giustizia senza verità. La vicenda Moro si riapre perché esiste una denuncia fatta da un brigadiere della Guardia di Finanza, G.L., che appare persona attendibile. E' stato militare dei bersaglieri presso il Battaglione Valbella, di stanza ad Avellino, insieme ad altri 40 commilitoni. Una parte di questi fu portato a Roma, con lo scopo di liberare un 'importante uomo politico'. Questo accadeva durante il sequestro Moro, dopo il 20 aprile 1978, data in cui i militari del 'commando' sarebbero arrivati a Roma''. ''Quando ho letto la denuncia che mi fu consegnata dallo stesso brigadiere il 7 ottobre 2008 -ricostruisce l'ex magistrato esperto di trame- in presenza di altri due sottufficiali inviati da un colonnello della Finanza di Novara, sono rimasto perplesso, data la gravità delle affermazioni del brigadiere, e ho detto che senza avere dei riscontri al suo racconto, quella storia non poteva essere credibile. Spiegai loro che non ero in grado di fare una verifica, anche perché -mi fu riferito dal sottufficiale- nel frattempo il Valbella era 'scomparso', smantellato. Penso che questo Battaglione Valbella poteva essere una struttura di Gladio. Ritengo ci sono tutti gli elementi per fare ulteriori indagini, oltre quelle svolte puntualmente dalla procura della Repubblica di Roma e dalla procura di Novara''.

In quella sede, spiega ancora Imposimato, ''sottolineai anche che bisognava identificare i commilitoni che secondo il brigadiere avevano partecipato alla missione nella capitale. Ho quindi consegnato la denuncia al procuratore aggiunto della Repubblica di Roma, Pietro Saviotti, il 20 novembre 2008, per chiedere una verifica delle circostanze riferite dall'uomo. Ho chiesto che il brigadiere G.L. fosse sentito e di essere informato in caso di una eventuale archiviazione. Allo stesso tempo ho cercato, tra altri atti di cui ero venuto in possesso regolarmente, riguardanti un'altra richiesta di archiviazione disposta dal gip, eventuali conferme o smentite al racconto del sottufficiale della Guardia di Finanza. E ho letto anche gli atti della commissione stragi riguardanti l'inchiesta su Gladio''. ''Ho poi esaminato gli atti -spiega l'ex giudice- regolarmente da me acquisiti su autorizzazione del gip di Roma, che riguardavano sia la vicenda di Pierluigi Ravasio, ex carabiniere paracadutista, che prima aveva parlato, per poi ritrattare, di un mancato intervento per impedire il sequestro Moro, e del colonnello Camillo Guglielmi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo '78. Ho analizzato anche i documenti che riguardavano Nino Arconte, che aveva compiuto una speciale missione per andare in Libano e prendere contatti con un agente speciale, in vista della liberazione di Moro. Arconte ha prodotto un documento che è stato ritenuto falso dagli investigatori, ma che io invece reputo fondamentale sottoporre a una perizia tecnico-grafica per stabilirne l'autenticità o meno''. ''Altro elemento che ho acquisito -rimarca il legale di Maria Fida Moro- riguarda la presenza a Roma della Sas, Special Air Force inglese, durante il sequestro dello statista della Democrazia cristiana. Secondo Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno, doveva essere impiegato per la liberazione di Moro. Un riscontro alle dichiarazioni del brigadiere della Guardia di Finanza, che non può aver tratto questa ricostruzione dal mio libro 'Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il racconto di un giudice', né può aver preso dagli atti dei processi che non fanno in alcun modo riferimento alla presenza di agenti inglesi nella vicenda Moro''.

''Il brigadiere G.L. -spiega Imposimato- viene a sapere che la sua presenza a Roma, insieme ad altri militari, anche stranieri, era finalizzata alla liberazione di questo 'importante uomo politico'. A Roma questa presenza si protrae per 15-20 giorni. Era stato loro detto che l'operazione doveva essere fatta l'8 o il 9 maggio 1978, e avevano capito che lì c'era Moro. Anzi, uomini di questo 'commando' erano stati anche portati in via Montalcini, in un altro edificio vicino a quello in cui era stata individuata la prigione del politico Dc''. Il sottufficiale, sottolinea l'ex giudice, ''sostiene di aver visto anche la famiglia che abitava nell'appartamento sovrastante quello in cui era prigioniero Moro. Ma l'8 maggio arriva un 'ordine superiore': il blitz viene annullato e tutti gli agenti e i militari devono tornare nelle strutture di origine''. La cosa non è indolore: ''Nel momento in cui i militari vengono a sapere che l'operazione era stata annullata -spiega Imposimato- hanno una reazione perché avrebbero voluto liberare l'ostaggio. Fu detto loro di dimenticare quello che era successo. E calò il silenzio su tutto''. Ma ''non è finita'', incalza l'ex giudice. ''A mio avviso -spiega- bisogna eliminare qualunque tipo di segreto di Stato sulla vicenda. Un segreto che, invece, è stato posto dall'autorità militare all'elenco dei commilitoni del brigadiere. Occorre poi interrogare gli altri uomini del 'commando', nel contraddittorio delle parti, come previsto dall'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dall'art. 111 della Costituzione. E bisogna sentire anche tutti i vertici di Gladio per conoscere la sua reale struttura, e se sia possibile che di essa abbiano fatto parte soldati dell'esercito o di altre forze armate, oltre agli agenti del Sismi''.

''L'obiettivo -rimarca Imposimato- è capire se era possibile salvare Moro durante la sua prigionia, con un blitz analogo a quello che scattò per liberare il generale Dozier, senza cedere al ricatto delle Brigate Rosse''. ''Ero e sono d'accordo -precisa l'ex giudice- con la linea della fermezza e con quello che ha detto il Presidente Cossiga, ma prova di maggior fermezza sarebbe stato intervenire 'manu militari' per liberare Moro''. ''E' questa -rimarca il legale di Maria Fida Moro- la pagina che manca e che la famiglia dello statista e direi tutta l'Italia, attende di conoscere per sgomberare il campo da ogni dubbio su quella che, per dirla con il Presidente Ciampi, è stata la più grande tragedia che ha colpito il Paese dalla nascita della Repubblica''. E a chi gli chiede perché Moro doveva morire, Imposimato replica: ''Perché il suo progetto politico era in contrasto con la strategia dell'America e dell'Unione Sovietica. Gli americani non potevano accettare un governo con i comunisti né i sovietici consentire il dialogo comunisti-cattolici, perché questo avrebbe scardinato il 'modello' dell'Est''.

A distanza di 33 anni dall'omicidio Moro, conclude Imposimato, ''bisogna avere il coraggio di accettare degli aspetti che non erano conosciuti dagli inquirenti al tempo delle indagini. Ma ora la verità è più vicina''.




I miracoli di don Verzè. - di Vittorio Malagutti


Milioni di euro dirottati in hotel di lusso in Costa Smeralda e speculazioni immobiliari, favori agli amici e progetti megalomani. Così è stato ridotto sul lastrico il San Raffaele.


Piantagioni brasiliane. Palazzi e ospedali nei Paesi dell’est Europa. Aerei ed elicotteri intestati a società della Nuova Zelanda. È ufficialmente cominciata la caccia al tesoro del San Raffaele. Ma per trovare le tracce delle centinaia di milioni di investimenti sballati che hanno messo sul lastrico l’impero sanitario di don Luigi Verzé non c’è bisogno di andare in capo al mondo. La catastrofe è cominciata e si è sviluppata a Milano e dintorni. Tutt’al più per capire come e perché una delle strutture di eccellenza della sanità nazionale sia stata portata sull’orlo del crac è sufficiente una capatina in Costa Smeralda, sulla spiaggia che si affaccia sul mare azzurro di fronte all’isola di Tavolara.

Don Verzé è arrivato anche lì. Niente ospedali. Niente opere di bene. Più prosaicamente un hotel a quattro stelle, il Don Diego, riservato a una clientela d’élite, almeno a giudicare dai prezzi: anche cinquemila euro per una settimana in alta stagione. L’albergo è di proprietà della Fondazione Monte Tabor, la stessa che controlla il San Raffaele. La gestione però è affidata a un’altra società, la San Diego srl che fa capo a cinque azionisti. Uno di loro è l’attore Renato Pozzetto (quello di Cochi e Renato). Un altro, con una quota del 20 per cento, si chiama Mario Cal. Proprio lui, il braccio destro di don Verzé, il manager che si è suicidato lunedì scorso.

DUNQUE la Fondazione ha dirottato milioni di euro dalle attività sanitarie a quelle alberghiere e uno dei massimi dirigenti della fondazione stessa si è messo personalmente in pista, con un investimento di poche decine di migliaia di euro, per partecipare agli utili dell’iniziativa. Utili che per la verità ancora non si vedono, visto che l’hotel Don Diego viaggia in rosso. L’iniziativa sarda è tutto sommato una piccola cosa, almeno se confrontata con il miliardo e più di debiti che grava sul San Raffaele, ma riesce a dare un’idea di come andassero le cose nel regno di don Verzé. Con l’andar del tempo una miriade di investimenti sballati e di progetti megalomani ha minato alle fondamenta la grande opera del sacerdote visionario. Con il contorno, come si vede nel caso dell’hotel San Diego, anche di evidenti conflitti di interessi.

“Tutto è possibile a chi crede”, ripete il novantenne gran capo della Fondazione Monte Tabor. Quasi tutto, verrebbe da correggere. Se per esempio si impiegano nelle iniziative più disparate parte dei soldi versati dalla Regione Lombardia per i rimborsi dei medicinali e dei ricoveri in convenzione (oltre 400 milioni l’anno), allora è chiaro che si corre dritti verso il dissesto. Per un po’, infatti, il peso di questa strategia folle è stato fatto ricadere sui fornitori. E così il debito verso le aziende che riforniscono il San Raffaele, dalle aziende farmaceutiche a quelle informatiche, è esploso fino a superare i 500 milioni.

IN PAROLE POVERE i finanziamenti pubblici sono stati in parte assorbiti da iniziative che nulla avevano a che fare con il bene comune. Tipo la colossale cupola con l’arcangelo sulla sommità costata oltre 60 milioni. Oppure il nuovo ospedale di Olbia, costato oltre 200 milioni di euro in buona parte finanziati dalle banche. Una struttura finita di costruire pochi mesi fa e che sembra destinata restare ferma fino a quando non si chiarirà il destino dell’intero gruppo sanitario. Poi c’è il capitolo delle speculazioni immobiliari. Basta fare un viaggetto di pochi chilometri da Milano fino a Cologno Monzese, una cittadina dell’hinterland. Qui una società del San Raffaele, la Edilraf a suo tempo amministrata da Cal, ha restaurato una villa storica immersa in un parco dove ha anche costruito decine di appartamenti. All’operazione aveva partecipato anche il gruppo Diodoro costruzioni diPierino Zammarchi, che però alla fine del 2008 si è sfilato. Adesso tutto è fermo. Invenduti gli appartamenti, fin qui proposti a prezzi giudicati fuori mercato. Fermi anche l’auditorium e il ristorante che avrebbero dovuto essere consegnati al comune di Cologno. Nel frattempo la Edilraf ha accumulato debiti per oltre 60 milioni di cui quasi 35 verso le banche e 16 milioni nei confronti della stessa fondazione Monte Tabor. Adesso anche la Edilraf è in vendita. Trovare un compratore però sarà un’impresa. A meno di non cedere a prezzi di saldo. Lo stesso discorso vale per molte altre partecipazioni. Il Vaticano, che ha preso il comando al San Raffaele, potrebbe quindi essere costretto a svendere. Ma in questo modo non sarà facile tappare il buco lasciato da don Verzé. Salvo miracoli, ovviamente.




Festa del peperoncino, la Polverini arriva in elicottero. Il cronista del Fatto viene insultato. - di Carlo Tecce


Il presidente del Lazio arriva con un volo della Protezione civile alla kermesse organizzata a Rieti dal consigliere Rai Guglielmo Rositani. Che se la prende con il giornalista quando chiede conto del costoso viaggio a fronte dei tagli promessi dal governatore

Il peperoncino ha buoni effetti terapeutici: anestetico, afrodisiaco, antibatterico. Ma provoca irritazione ai politici, un terribile vuoto di memoria e una profonda crisi d’identità. Con la solennità del luogo e la tenacia di una ex sindacalista, ieri mattina nel palazzo regionale, Renata Polverini ha invocato le forbici di casta: tagli ai privilegi spropositati, ai soldi spesi male, ai trattamenti speciali. Un urlo: “Basta”. E che cavolo! Con lo stesso completo verde oliva pugliese, il presidente del Lazio ha chiesto un passaggio a un elicottero noleggiato dalla Protezione civile per spegnere gli incendi durante l’estate. La giornata era ancora lunga: la Polverini doveva tagliare – e stavolta l’ha fatto davvero – il nastro per la prima fiera campionaria di “Rieti cuore piccante”, una passione di Guglielmo Rositani, ex senatore di Alleanza nazionale e ora consigliere Rai devoto al Cavaliere, fondatore e presidente dell’Accademia reatina del peperoncino.

Ore 18, la Polverini atterra con un po’ di ritardo all’aeroporto Ciaffulli, un’auto con il sindaco Giuseppe Emili aspetta a motori spenti. Ma i più nervosi sono i camerieri che osservano il rinfresco in Prefettura, un omaggio per le autorità in trasferta con le fuoriserie di Stato: il ministro Paolo Romani, i sottosegretari Roberto Rosso (Agricoltura) e Alfredo Mantica (Esteri), i consiglieri Rai, Antonio Verro e Alessio Gorla. Nessuno ha il coraggio di afferrare le bruschette con la ‘nduja prima che le mani di Romani e Polverini possano graffiare la tavolata, mentre la gente guarda spaesata il palazzo Papale vuoto, dove – dicono i manifesti – Rositani e istituzioni apriranno le danze. La Polverini e Rositani lasciano senza esitazioni la Prefettura e quei prodotti tipici, quelle 400 specialità di peperoncino, che soltanto a Rieti puoi trovare. É impossibile capire se la Polverini che annuncia i risparmi di casta sia la stessa Polverini che ordina un elicottero per la festa del piccante. Non risponde: “Non ho nulla da spiegare. Pago tutte le spese che faccio, non scoprirai nemmeno una cena a mio carico. L’importante è che non vado con i soldi pubblici, vai tranquillo caro”. L’affettuoso “caro” del presidente regionale è accompagnato da spintoni e insulti di Rositani: “Vada via, cretino, altrimenti la prendo a schiaffi. Non ha capito? Le do uno schiaffo”.




NON È FACILE condannare il volo del presidente Polverini, più di 15 mila euro per un viaggio di 60 chilometri, la strada statale Roma-Rieti è un girone dantesco con curve bastarde, code irritanti, fameliche prostitute e simpatici autostoppisti. E non provate a suggerire il treno diretto. Arriverà, abbiate fede: a Rieti l’aspettano dai tempi di Giovanni Giolitti. Una speranza rinvigorita negli ultimi vent’anni con le promesse proprio di Rositani che, calabrese di Varapodio (ora è sindaco), sul miraggio ferroviario ci ha costruito una carriera politica. Tra enormi peperoni rossi e verdi di polistirolo, piantine messicane che decorano la piazzetta, ieri era il giorno di Rositani. Una gloria cercata con passione, e forza: la Rai ha annullato il Consiglio di amministrazione per l’invito a casa Rositani, qualcuno ha colto al volo (la Polverini in senso letterale), qualcuno ha declinato (il direttore generale Lei). In piedi sul palchetto davanti ai porticati, come se fosse un comizio di Totò, Rositani raduna e mostra a una folla (modesta, in verità) i grandi di Roma che visitano la città di Rieti.

Paolo Romani ha una faccia stanca e dubbiosa. Del tipo: io che ci faccio qui? L’agenda del ministro era strana: una cerimonia ad Herat in Afghanistan e un intervento per “Rieti cuore piccante”. Non è preparatissimo: “Dobbiamo fare ricerca sul peperoncino per le nostre industrie”. Il sindaco Emili è onesto: “Non mi piace il peperoncino, però possiamo investire”. La Polverini scalda il pubblico come fosse in concerto: “Rieti è il centro agricolo più grande d’Europa. Questo fine settimana entrerà nella vostra storia”. Ma è ancora il sindaco Emili a stupire: “Ringraziamo i rappresentanti esteri. E in particolare l’ambasciatore dello Zimbabwe. Applausi”. Come, come? Il Paese che ispirò una battuta telefonica di Mauro Masi: “Le pressioni per bloccare Annozero… nemmeno nello Zimbabwe”.

(Ha collaborato Fabrizio Colarieti)






Berlusconi: "Abbiamo un debito forte ma gli italiani sono benestanti"


Al termine del vertice straordinario dell'eurozona che ha deciso un nuovo pacchetto di aiuti alla Grecia, il premier, che era arrivato in ritardo, spiega per quale motivo non c'era bisogno di parlare della situazione del nostro Paese.


BRUXELLES - "Noi siamo la terza economia europea, il secondo Paese manifatturiero e abbiamo un sistema bancario solidissimo. Il 75 per cento delle famiglie italiane possiede una casa e abbiamo un sistema pensionistico correlato all'incremento dell'età media e siamo detentori del 60 per cento del debito pubblico. Stringendo, potremmo dire che il nostro Stato ha un debito forte, ma i cittadini italiani sono benestanti". Silvio Berlusconi lascia ilvertice straordinario dei leader dell'eurozona 1 e risponde in questo modo ai giornalisti che vogliono sapere se gli altri leader dell'eurozona abbiamo chiesto della situazione italiana. Quindi riferisce che al vertice "tutti si sono complimentati per la manovra" varata dal governo e soprattutto per "l'approvazione avvenuta a tempi di record".

Della manovra italiana si parla nel passaggio del documento finale in cui si afferma che "tutti gli Stati membri dell'eurozona aderiranno strettamente agli obiettivi di bilancio concordati, miglioreranno la loro competitività e affronteranno gli squilibri marcoeconomici" e che "i deficit in tutti i Paesi, eccetto quelli sotto programma (per ottenere i prestiti dell'eurozona e dell'Fmi, (Grecia, Irlanda e Portogallo, ndr) saranno portati sotto il 3% al più tardi entro il 2013". "In questo contesto - prosegue il testo - salutiamo con favore la manovra finanziaria recentemente
presentata dal governo italiano, che gli consentirà di portare il deficit sotto il 3% nel 2012 e di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014".

La giornata di Berlusconi a Bruxelles inizia con un inconveniente. Il presidente del Consiglio arriva infatti a vertice iniziato. Scuro in volto, riferiscono alcune agenzie, non rilascia dichiarazioni. Il presidente Ue Herman van Rompuy dà il via ai lavori intorno alle 13.30 con mezz'ora di ritardo sul previsto. Berlusconi fa il suo ingresso nel palazzo intorno alle 13.43.

BERLUSCONI IN RITARDO: FOTO 2 - VIDEO 3

Dopo il vertice Berlusconi dice anche di aver "lanciato una proposta che è stata bene accolta ed è stata ritenuta buona da tutti: fare la riunione dell'Eurogruppo in Grecia. E aggiunge che il primo ministro di Atene George Papandreou "si è impegnato a programmarla alla ripresa dopo le ferie estive".

Quanto ai risultati dell'incontro di Bruxelles, il Cavaliere ne dà un giudizio ampiamente positivo: "Abbiamo lavorato bene. Abbiamo difeso l'euro. Abbiamo rassicurato i mercati mondiali che l'area euro è solida. Tutti i Paesi hanno messo da parte gli egoismi e hanno fatto capire che nessuno stato Ue può fallire. Abbiamo lavorato per evitare il rischio contagio. C'è un chiaro impegno dei Paesi a non far fallire nessuno Stato dell'area euro". A suo dire, l'ammontare complessivo dei finanziamenti per la Grecia è di 160 miliardi di euro: "Il totale del finanziamento alla Grecia è di 109 dal Fondo Europeo", a cui si devono aggiungere altri "37 miliardi" dati su base volontaria dagli "istituti privati" e a questa cifra si devono sommare altri stanziamenti vari per arrivare a "160 miliardi".


Un piano Marshall da 109 miliardi per salvare la Grecia.

I 17 leader dell'eurozona, riuniti a Bruxelles, discutono un intervento eccezionale per risollevare il paese in crisi. La Finlandia: "Atene dia in garanzia il Partenone". Berlusconi si presenta in ritardo.


Un “piano Marshall europeo”. E’ quello che progettano i leader dell’Eurozona riuniti a Bruxelles. Un intervento massiccio che dovrebbe aggirarsi attorno ai 109 miliardi di euro per risollevare il paese dalla grave crisi in cui è precipato. Serve “una strategia globale per la crescita e gli investimenti”, si legge nella bozza dell’accordo fra i 17 su un nuovo pacchetto di aiuti per Atene. Al vertice era presente anche il premier italiano Silvio Berlusconi. Proprio il premier alla fine del vertice ha commentato il risultato con ottimismo: “Oggi è stata fatta chiarezza sull’impegno dell’Unione europea a non fare fallire nessuno dei suoi stati membri e a garantire l’integrità dell’eurozona”. Il totale dei finanziamenti – ha spiegato Berlusconi – è di 160 miliardi di euro: “Il totale è di 109 dal Fondo Europeo”, a cui si devono aggiungere altri “37 miliardi” dati su base volontaria dagli “istituti privati”. A questa cifra, ha aggiunto, si devono sommare altri stanziamenti vari per un totale “di 160 miliardi”. Un percorso che lo stesso primo ministro greco Papandreou ha definito “sostenibile” per il paese.

In ogni caso resta il riferimento al gigantesco intervento di aiuti americani all’Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale per dare l’idea della serietà della situazione: “La Grecia è un caso unico nella sua gravità”, dice ancora la bozza, “per questo richiede una soluzione eccezionale”. Gli stati membri e la Commissione europea, prosegue il documento, “mobiliteranno tutte le risorse necessarie al fine di fornire assistenza tecnica eccezionale per aiutare la Grecia a mettere in atto le riforme”.

Da registrare l’inedita proposta della Finlandia che, a quanto riferiscono fonti diplomatiche, avrebbe chiesto ai greci di offrire in garanzia beni paseggistici e ambientali come l’Acropoli, Partenone compreso, e addirittura qualche isola dell’Egeo. Secondo il governo di Helsinki, lo Stato greco possiede beni per 300 miliardi di euro, sufficienti a garantire i prestiti. Il nuovo governo di Helsinki, di centrodestra e d’impronta euroscettica, aveva annunciato una stretta alla solidarietà comunitaria.

Inoltre, il neodirettore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, incontrerà il ministro delle finanze greco Evangelos Venizelos il 25 luglio. Ed è stato il governo di Atene chiederlo, anche se un portavoce del Fmi ha escluso che il paese si appresti a chiedere nuovi aiuti.

Intanto la Borsa di Milano ha chiuso in forte rialzo, tra le migliori in Europa, con il Ftse Mib tornato stabilmente sopra i 19 mila punti, in rialzo del 3,76% a 19.490. Dopo un avvio debole, le quotazioni hanno puntato al rialzo proprio in seguito alle notizie provenienti da Bruxelles sui previsti aiuti alla Grecia.



giovedì 21 luglio 2011

Don Gallo - Piazza Alimonda - 20 luglio 2011



Messaggio di don Andrea Gallo da Piazza Alimonda nel decennale della uccisione di Carlo Giuliani durante gli scontri del G8 di Genova. La numerosa folla accoglie con calore il prete genovese di 83 anni che dal 2001 ogni anni si è sempre trovato presente in Piazza alimonda il 20 luglio.

Profilo greco.


La Camera adotta le prime misure di austerità. Inizia a mettere i deputati a pane e acqua.

Il voto per l’autorizzazione all’arresto di Papa si è concluso con 319 sì e 293 “potrei esserci io al suo posto”.

Alfonso Papa ha lasciato l’aula tra gli abbracci dei colleghi. Aveva tutta l’aria di un arrivederci a presto.

Fermare l’escalation di arresti”, ha dichiarato Berlusconi dalla cima.

Berlusconi: “Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno”. Quelli sono gli infami.

Papa: “Ho detto ai miei figli che forse non tornerò a casa”. Lo so, mi è arrivato l’invito alla festa.

Varata la Finanziaria. Ma il Tavernello non si è infranto.

Dopo l’approvazione, il decreto è stato inviato al Quirinale. Testo greco a fronte.

La manovra colpirà soprattutto le famiglie con figli a carico. Sono più lente nella fuga.

Il testo prevede tagli per gli asili. È ora che anche quei piccoli stronzetti contribuiscano al risanamento del paese.

(Colpite famiglie, istruzione e scuole materne. L’unico modo per sfamare i vostri figli sarà ridurli in stato vegetativo)

“È come sul Titanic” ha detto Tremonti spronando l’orchestrina.

Tremonti: “Siamo come il Titanic”. A parte gli incassi.

G8 di Genova, si celebra il decimo anniversario. Le bottiglie le porta la polizia.

(Sono passati già dieci anni dalle violenze del G8. Sembra oggi)

La cosa più incredibile di quei giorni è che Scajola verrà ricordato per altro.

All’aeroporto di Genova furono installate batterie di missili terra-aria. Ma i gabbiani non attaccarono.

Molti criticarono la creazione di una zona rossa. Tranne l’Avis.

Durante gli scontri, un carabiniere sparò e uccise il giovane Carlo Giuliani. I colleghi intervennero prontamente roteando l’indice.

Gli agenti sostennero di aver fatto solo il loro dovere. In effetti il cartellino dell’estintore diceva: “Ogni abuso sarà severamente punito”.

Una camionetta passò avanti e indietro sul Carlo Giuliani, ancora vivo. Un elegante omaggio a Pasolini.

Oggi Carlo Giuliani avrebbe 33 anni. Ma non un lavoro.

Nella notte la polizia fece irruzione nella scuola Diaz dove dormivano alcuni manifestanti. Per prendere i loro dentini.

Gli abusi degli agenti non passarono sotto silenzio. Le indagini condotte dalla magistratura hanno portato a pesanti promozioni.

A Bolzaneto fu sperimentata la tortura. Poi il centrodestra è stato costretto a tagliare i fondi per la ricerca.

Un’altra immagine emblematica del G8: il vicequestore Perugini che tira un calcio in faccia a un quindicenne mentre i colleghi cercano di fermarlo. Era di seconda.

Per molti, Genova resta ancora una ferita aperta. I poliziotti lavorarono bene.

http://www.spinoza.it/2011/07/21/profilo-greco/