venerdì 5 agosto 2011

Londra, apre il Bunga Bunga Bar.


Londra, apre il Bunga Bunga Bar

Siamo stati a vedere come sarà il locale dedicato a Berlusconi e alle sue prodezze. Un trionfo di chliché made in Italy, dove Silvio fa cucù dagli oblò della toilette, si mangia la pizza Ruby e l'aperitivo si beve nelle tazze con la faccia del Presidente.

Papa resta in cella, doppio 'no' dal Riesame Il legale: "E' depresso e dispiaciuto"


Alfonos Papa

Napoli - (Adnkronos/Ign) - Confermata la custodia cautelare per il parlamentare Pdl. La difesa ora ricorrerà alla Cassazione per chiedere la scarcerazione: "E' rimasto male quando ha saputo che anche la moglie è indagata".

Napoli, 5 ago. (Adnkronos/Ign) - Doppio no del Tribunale del Riesame di Napoli alla scarcerazione del parlamentare del Pdl Alfonso Papa, arrestato nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4.

Il Tribunale del Riesame ha detto no all'istanza di scarcerazione o in subordine agli arresti domiciliari chiesta dai legali di Papa Giuseppe D'Alise e Carlo di Casola. No del Riesame anche per quanto riguarda un presunto vizio di forma.

Il Tribunale del Riesame ha depositato l'ordinanza di rigetto poco prima delle ore 17. Non sono ancora note le motivazioni della decisione presa dal collegio. I legali di Papa adesso ricorreranno alla Cassazione per chiedere la scarcerazione del loro cliente. "Purtroppo quello che l'onorevole Papa temeva si è verificato: trascorrerà l'estate in cella", ha detto all'ADNKRONOS l'avvocato D'Alise.

"Papa è depresso - ha aggiunto l'avvocato dopo un colloquio con Papa nel carcere di Poggioreale - perché 15 giorni in carcere cominciano a farsi sentire e perché ha saputo che anche la moglie Tiziana Rodà è indagata per concussione nell'ambito della stessa inchiesta".

Papa si trova rinchiuso in una piccola cella del padiglione Firenze con altri due detenuti, un avvocato e un medico veterinario. "Quando ha saputo del coinvolgimento della moglie -ha proseguito D'Alise- è rimasto molto male e ha detto di non aspettarselo".

Le giornate del parlamentare si dividono tra confessione con il cappellano del carcere, lettura di libri, giornali e televisione. "Chiede dei suoi figli, del loro stato psicologico e non vede l'ora di poterli riabbracciare", ha detto l'avvocato D'Alise, amico personale da molti anni di Papa, ex pm della Procura di Napoli



Crisi, la stampa estera su B. “Lui è il vero problema dell’Italia”. - di Eleonora Bianchini


Tutti i giornali stranieri dall'Inghilterra alla Francia, dalla Spagna agli Stati Uniti, fino in Pakistan sono unanimi nel criticare l'intervento del Cavaliere ieri in aula. Un discorso che l'Economist definisce "mediocre"

C’è crisi? Per molti, ma non per tutti. Silvio Berlusconi infatti conserva il suo ottimismo nonostante la bufera dei mercati imperversi in Europa e nel Belpaese, mentre il presidente della Bce Jean-Claude Trichet, al contrario, chiede all’Italia una seria agenda di austerity, misure anti deficit e tagli più convinti. Il Presidente del Consiglio, che ieri a Palazzo Chigi ha incontrato le parti sociali, ha di nuovo minimizzato e si è appellato al suo impero di tycoon: “I mercati reagiscono per ragioni proprie che sono distanti sia dalla realtà economica sia dalla politica – ha spiegato ieri-. Mio padre diceva che la Borsa è come un orologio rotto. Investite in azioni delle mie aziende”. Dichiarazioni che non hanno suscitato il plauso né delle parti sociali convenute ieri a Palazzo Chigi né della stampa estera, che conferma giudizi negativi sul discorso del premier alle Camere.

The Economist in uscita domani, anticipa online la sua analisi sulle parole del premier. A differenza diJosé Luis Zapatero in Spagna, José Sócrates in Portogallo e George Papandreou in Grecia che si sono dimessi o sono intenzionati a farlo, il Cavaliere non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro, nonostante l’assenza di segni di ripresa. “Il discorso mediocre, quasi sbadato di Berlusconi è sembrato un’occasione mancata di influenzare il corso degli eventi”, scrive il settimanale britannico che prosegue: “Nel suo discorso al Parlamento, Berlusconi ha nuovamente promesso di rimanere al potere fino al 2013. Eppure – nota il giornale – c’è ampia evidenza del fatto che egli sia parte del problema.

Anche The Guardian non salva le parole del premier in Aula, perché non ha indicato né i sacrifici né le riforme strutturali per uscire dalla crisi, limitandosi a osservare che “la stabilità è stata sempre un’arma vincente contro la speculazione”. Dello stesso parere The Independent che evidenzia il vuoto di indicazioni per il pareggio di bilancio e il taglio della spesa pubblica entro il 2014.

In Spagna invece, El Pais rilancia la proposta di Berlusconi di rimandare la promessa di un piano di stabilità a settembre e se per il premier l’incontro con le parti sociali è stata “la riunione più cordiale degli ultimi 18 anni”, le imprese e i sindacati hanno invece sottolineato che la situazione è di “eccezionale gravità per il paese”. Nell’editoriale tranchant di Le Monde , poi, non ci sono dubbi: il problema dell’Italia è proprio lui. Dato più volte per politicamente morto, il premier è sempre in grado di risorgere dalle ceneri e per questo è “prematuro” parlare della “fine del suo regno”. Anche se, si legge sul quotidiano francese, i mercati finanziari non avranno “la stessa pazienza che gli italiani hanno avuto in tutti questi anni”.

Oltreoceano invece il New York Times osserva, come fa il Washington Post, che il premier non ha intenzione di dimettersi e che le sue parole in Parlamento non hanno convinto né le opposizioni né i mercati. Infine cita Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore, che lo ha valutato come “un discorso senza idee”.

Se nel Vecchio Continente e negli Stati Uniti incombe il terrore finanziario, il pakistano The Nationpreferisce soffermarsi sulle questioni di cuore di Mister B. E racconta che, mentre il paese crolla a picco, il Cavaliere trova il tempo per flirtare in aula con la deputata Pdl Micaela Biancofiore, tra carezze e sorrisi complici . Alla fine, la crisi è solo un’opinione dei mercati. Condivisa anche della stampa estera e degli italiani.



La politica degli impresentabili Brancher condannato a due anni. - di Marco Lillo



L'ex ministro, in carica per appena dieci giorni, è stato condannato in appello a due anni per ricettazione nell'inchiesta Antonveneta. la Cassazione ieri ha confermato la decisione dei giudici. E lo ha fatto quasi fuori tempo massimo. Sempre ieri infatti scadevano i termini della prescrzione.

La legge è uguale per tutti. Anche per Aldo Brancher. L’ex ministro lampo, in carica per 17 giorni, nominato nel giugno 2010 e costretto alle dimissioni dal presidente Napolitano per le polemiche seguite alla sua richiesta di avvalersi del legittimo impedimento, ieri è stato definitivamente condannato a due anni e 4 mila euro di multa.

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso contro la sentenza di appello che lo condannava per ricettazione e appro
priazione indebita nel caso Antonveneta nel quale era coinvolto insieme a Giampiero Fiorani. La sentenza di ieri non sarà eseguita perché i fatti ricadono nell’indulto dell’ex ministro Mastella ma rappresenta comunque una vittoria della giustizia sulla furbizia e il privilegio di Casta. Proprio oggi, se la Corte presieduta da Antonio Esposito non avesse fatto tutto il suo dovere con celerità e senza riguardi reverenziali, sarebbe scattata la prescrizione. Le manovre di Brancher per ottenerla non sono state gradite dalla Corte che ha spedito le carte alla Procura di Milano per valutare le mosse processuali dell’imputato.

Brancher non è riuscito a bissare il successo del passato. Non era la prima volta che l’ex sacerdote, poi divenuto manager Fininvest e dal 1999 politico di Forza Italia e poi del Pdl, tentava la carta della prescrizione per svignarsela da un processo difficile. Il 18 giugno 1993 era stato arrestato dal pool di Milano quando era assistente di Fedele Confalonieri ed era accusato di avere dato 300 milioni di lire al Psi e 300 a Giovanni Marone, segretario dell’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, in cambio di spot sulle reti Fininvest per la campagna ministeriale anti-aids. Brancher fu soprannominato il compagno G del gruppo Berlusconi, perché rimase tre mesi a San Vittore senza aprire bocca. Fu condannato in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. Ma quella volta la Cassazione dichiarò la prescrizione per i soldi ai partiti mentre il falso in bilancio era stato depenalizzato dal Governo Berlusconi.

Intanto, nel 1999 Brancher era passato alla politica. I sistemi restavano gli stessi, ma la novità era che finalmente i soldi poteva prenderli invece di darli. Scoperto dai pm di Milano a ricevere buste piene di contanti dall’amministratore della Bpi Gianpiero Fiorani, ieri sperava ieri di farla franca nuovamente ed era a un passo dal risultato. Il suo legale, Filippo Dinacci, recentemente balzato agli onori delle cronache perché è il fratello della ex moglie del neoministro della giustizia Nitto Palma, ha chiesto un rinvio che avrebbe fatto saltare l’accusa più imbarazzante di appropriazione indebita. La difesa di Brancher sosteneva di avere diritto a un termine più lungo per permettere al politico di presentare un suo ricorso autonomo rispetto a quello preparato dal suo avvocato.

Il deputato chiedeva tempo per studiare le carte perché sosteneva di non aver ricevuto la notifica degli atti nel suo domicilio. La Corte non solo non ha tenuto in conto le richieste ma ha trasmesso addirittura le carte alla Procura di Milano (competente in quanto la Corte di Appello è quella che ha emesso la sentenza impugnata) per valutare il suo comportamento. Il fatto è che Brancher, che durante l’appello aveva sempre ricevuto le carte presso il suo avvocato, dopo la condanna aveva trasferito il suo domicilio in Umbria e per l’esattezza in una località del comune di Città della Pieve. Quando il postino ha tentato d notificargli gli atti non lo ha trovato e la raccomandata è tornata indietro con la dicitura “irreperibile”.

La Corte presieduta da Esposito non ha dato troppo peso alla cosa e ha emesso un’apposita ordinanza per spiegare perché riteneva di poter condannare il deputato veneto anche in assenza della sua autodifesa. La sentenza di ieri conferma le motivazioni del merito dei precedenti gradi che meritano di essere rilette ora che hanno il timbro della verità giudiziaria definitiva. “Brancher ha a più riprese ricevuto, e richiesto, ingenti somme di denaro che non aveva alcuna possibilità di ritenere che provenissero dal patrimonio personale di Giampiero Fiorani e che gli fossero da lui elargiti per mera libertà”. In particolare merita di essere riletta la storia della mazzetta che rischiava di essere cancellata oggi dalla prescrizione. Si tratta dei 200 mila euro consegnati nel 2001 a Brancher in un autogrill di San Donato Milanese come ”ringraziamento per i buoni uffici prestati al fine di ottenere la candidatura nella circoscrizione di Lodi di un candidato più gradito a Fiorani e ai suoi accoliti (Falsitta Ndr) rispetto all’altro che avrebbe potuto essere inserito nella lista, l’onorevole Giovine, solo perchè quest’ultimo in più riprese e pubblicamente aveva espresso le sue riserve sulla gestione della Bpl e, quindi, sull’operato dei suoi dirigenti”. La condanna definitiva per un simile episodio decreterebbe la fine della carriera politica del condannato in qualsiasi paese occidentale. A maggior ragione se per evitarla l’imputato si è prima travestito da ministro prima di rifugiarsi come un novello Cincinnato in una frazione della verde Umbria.



Crisi, Berlusconi e Tremonti. Annunceranno misure liberalizzazione.



Dopo l’ennesimo giornata al cardiopalma in borsa, questa sera Silvio Berlusconi assieme al ministro dell’Economia terrà una conferenza stampa fuori programma.

A rivelare i contenuti dell’incontro è stato oggi il Financial Times per il quale “dopo ore di colloqui Berlusconi e Tremonti hanno raggiunto l’accordo per accelerare un pacchetto di misure per liberalizzare l’economia italiana”.

Fra le misure di liberalizzazione che Berlusconi e Tremonti dovrebbero annunciare, anticipa il Ft sul suo sito, ci sarebbe “un piano per modificare la Costituzione e rendere obbligatorio il pareggio di bilancio, un’altra modifica costituzionale per costringere gli ordini professionali a liberalizzare i propri servizi, una accelerazione delle riforme del welfare e altre riforme strutturali miranti a rilanciare la stagnante economia italiana”. “Il governo – si legge ancora nel sito del Financial Times – continuerà a lavorare sul pacchetto per tutto agosto e il Parlamento potrebbe essere riconvocato in anticipo dalle vacanze estive per approvare” le misure. Secondo fonti del giornale sarebbe un “piano forte e credibile” che includerebbe anche “tagli ai costi della politica, che sono stati definiti nell’incontro con le parti sociali” avuto ieri.

Nel pomeriggio, poi, c’è stato una telefonata tra Fini e e Tremonti per iniziare subito a lavorare a livello parlamentare per costituzionalizzare il pareggio di bilancio. il presidente della Camera ha allertato le commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Montecitorio ed è pronto a convocarle non appena arrivi dal governo, da parte del premier Silvio Berlusconi o dello stesso ministro dell’Economia, la richiesta formale. Si tratta di una collaborazione istituzionale tra governo e presidenza della Camera per dare un segnale concreto per lavorare contro la crisi.

Scuola: 30 mila immissioni in ruolo, ma a scapito del Sud. - di Antonio Rispoli


Scuola: 30 mila immissioni in ruolo, ma a scapito del Sud

ROMA - Ma quante sentenze di condanna del governo italiano e in particolare del Ministero della Pubblica Istruzione ci dovranno essere, perchè la smettano di colpire il Sud Italia?
La domanda è inevitabile, dopo l'annuncio dei dati relativi alle immissioni in ruolo nella scuola per l'anno prossimo.
SI tratta di 30308 precari che diventeranno titolari di cattedre, di cui 10 mila scelti con le vecchie graduatorie; il resto con quelle nuove, che piazzano gli insegnanti provenienti da province diverse in coda e che sono state più volte bocciate dalla Corte Costituzionale.
Ed è qui il punto. Il governo, per accontentare la Lega, che vuole penalizzare gli insegnanti del Sud (in proporzione alla popolazione, gli insegnanti sono di più nel meridione), insiste con norme dichiarate incostituzionali, ma che garantiscono l'ingresso di un insegnante scarso ma residente al nord piuttosto che uno bravo ma residente al sud.
Dal 2008, anno in cui il Ministro Gelmini creò le "code" (ciascun insegnante può icriversi nelle graduatorie di altre tre province, oltre alla propria, ma in coda; cioè verrà preso in considerazione solo dopo che saranno state esaurite le liste dei residenti in quella provincia), ci sono stati migliaia di contenzioni amministrativi e due sentenze della Corte Costituzionale, e tutti hanno dato torto a queste regole imposte dal Ministero, stabilendo il principio che non si può limitare la libertà di trovare lavoro spostandosi da una zona all'altra dell'Italia.
Ora il Ministero insiste. Quante migliaia di ricorsi ci saranno questa volta? E chi risarcirà i cittadini italiani dei soldi spesi due volte, da chi fa ricorso, ma anche dal Ministero, che tanto gli avvocati li paga con i soldi dei cittadini?


La Moratti festeggia la fine della campagna elettorale e la mafia si siede in prima fila.


Nel 2006 due uomini vicino alla mafia calabrese hanno partecipato al party organizzato per festeggiaro la fine della campagna elettorale di Letizia Moratti.


MILANO – Davanti c’è Expo 2015, dietro il grande lavoro per infiltrare la classe politica milanese. Sono questi gli obbiettivi dichiarati della ‘ndrangheta che nel terzo millenio si appresta a scalare l’ex capitale morale d’Italia. Un’opa mafiosa che a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it inizia quattro anni fa durante una tiepida nottata di mezza estate passata tra brindisi, palloncini e manifesti elettorali che tanto ricordano le feste dei repubblicani americani. Al posto di Nixon o Regan, a pochi passi da piazza Duomo, si celebra, invece, Letizia Moratti, futuro sindaco di Milano.

E’ il 26 maggio 2006, ultimo giorno della campagna amministrativa. Per settimane i due candidati alla poltrona di palazzo Marino si sono dati battaglia. Il centrosinistra presenta l’ex prefetto Bruno Ferrante, mentre il centrodestra corre con l’ex ministra dell’Istruzione nel secondo e terzo governoBerlusconi. In realtà non c’è gara, soprattutto dopo i due mandati consecutivi di Gabriele Albertini. Del resto in città dal 1993 governano Forza Italia e Lega nord. E dunque a Le Banque, un lussuoso locale a due passi dal palazzo della Borsa, più che la fine della maratona che ha portato alle elezioni, si festeggia la scontata vittoria di donna Letizia. Tra gli ospiti però ci sono due uomini. Sono arrivati in compagnia delle rispettive mogli a bordo di un Porsche Cayenne. Indossano giacche eleganti e hanno i volti visibilmente soddisfatti. Un particolare, però, li rende speciali: sono uomini vicini alla ‘ndrangheta. Chi li conosce? Non certo il futuro sindaco, certamente ignaro della loro presenza. Gli investigatori della polizia, invece, sanno molto bene chi sono. Loro, quella sera, fotografano, riprendono e annotano tutto.

Per questo il racconto della festa si trasforma ora in una storia politicamente imbarazzante per un sindaco che, dopo aver fatto naufragare la commissione antimafia, periodicamente si affretta a dire che “la mafia a Milano? Fatemela vedere”. Da cinque giorni, infatti, le parole servono a poco. Perché tra gli atti dell’inchiesta della procura di Reggio Calabria che, il 23 giugno ha ottenuto l’arresto di 44 presunti affiliati alle cosche dei Condello e dei Di Stefano, c’è anche un rapporto, non della polizia, ma del Ros dei Carabinieri che ricostruisce, intercettazione dopo intercettazione, la storia della l’ascesa della mafia calabrese sino ai vertici della politica lombarda. Settecento pagine in cui compare anche il nome di uno dei due strani personaggi presenti a quel ricevimento di fine campagna elettorale.

È Giulio Giuseppe Lampada (sotto inchiesta ma piede libero). E’ nato a Reggio Calabria il 16 ottobre 1971. Originario del quartiere di Archi, gli investigatori lo definiscono “una tipica figura criminale che si innesta pienamente nel substrato mafioso, con compiti e ruoli connessi alla gestione del patrimonio economico del cartello mafioso riconducibile a Pasquale Condello“, il boss arrestato nel febbraio 2008 dopo 18 anni di latitanza. E come in tutte le storie di mafia, a suggellare l’alleanza c’è di mezzo un matrimonio. In questo caso si tratta delle nozze tra il fratello di Giuseppe Lampada, Francesco, eMaria Valle, giovane rampolla di una nota famiglia di ‘ndrangheta che da anni domina tra Pavia e Milano. Alla cerimonia partecipano il figlio e il genero del capo bastone.

Lampada sta perfettamente a suo agio tra i tavolini di cristallo del locale. In fondo lui è abituato a trattare con i politici. Il suo grande amico e sponsor si chiama Armando Vagliati. Dal 1997 Vagliati è uno storico consigliere comunale di Palazzo Marino. Fedelissimo di Berlusconi, l’ingegner Vagliati (non indagato), già membro della segreteria cittadina di Forza Italia, il febbraio scorso è stato pizzicato a proporre un emendamento al Piano regolatore del Comune per trasformare un’area da industriale a residenziale. Peccato che uno dei proprietari di quel terreno fosse Alberto Bonetti Baroggi, consigliere regionale del Pdl e capo gabinetto del sindaco Moratti.

Grazie a Vagliati, il presunto braccio finanziario dei Condello è riuscito a partecipare alla festa. Ultimo atto di una serata intensa. Iniziata nella zona della vecchia Fiera dove il consigliere della Moratti ha il suo comitato elettorale. I due, assieme alle mogli, vanno a cena, dopodiché si presentano alle celebrazioni di donna Letizia. Con loro c’è anche un personaggio legato a doppio filo con la cosca di Africo capeggiata da Giuseppe Morabito, alias u tiradrittu, il cui nome è per ora segreto.

Così, da quel 26 maggio 2006, Giuseppe Lampada spicca il volo. Giunto da Reggio Calabria con alle spalle un modesto negozietto di macelleria, a Milano si ritrova a gestire un patrimonio in locali e società che commerciano in videopoker. Di questa improvvisa liquidità Lampada ne parla per telefono con Alberto Sarra. Presidente del Gruppo consiliare di Alleanza nazionale alla regione Calabria. “Quando mi muovo a Milano – racconta Lampada a Sarra – ho una chiavetta nera. Ho praticamente un centinaio di sportelli Bancomat, perché quella è la la chiave del cambiamoneta (si riferisce ai videpoker)”. Poi prosegue: “Ti faccio un esempio: stasera sono con te e mi serve da prendere mille euro, vado in uno dei bar apro e me li prendo”, così vanno le cose per Giulio Giuseppe Lampada che come buen ritiro ha scelto una villa dell’hinterland milanese.

In realtà, però, quello che gli preme di più è la politica. Ecco, allora, cosa racconta a Sarra nel novembre 2007 mentre i carabinieri del Ros intercettano tutto. “Sono stato a cena in una villa d’epoca con Formigoni. Eravamo assieme ad Armando (Vagliati, ndr). C’erano tutti i consiglieri comunali, provinciali, regionali”. Millanterie? Forse. Fatto sta che il rapporto con Vagliati, invece, appare consolidato. Come anche quello con Giovanni Pezzimenti, altro consigliere azzurro (non indagato) alla corte dell’ignara Letizia Moratti.

“Armando – dice Lampada, che con il consigliere ha appena parlato di licenze per aprire locali pubblici – mi ha fatto capire che il problema si può risolvere con quelli del Comune”. A margine del borgliaccio ecco cosa annotano i gli investigatori. “E’ importante sottolineare che il Vagliati, stando alle affermazioni di Lampada, aveva preferito non parlare al telefono, attestando l’illecità dell’operazione”. Del consigliere comunale, Lampada discute anche con Vincenzo Giglio, un medico di Reggio Calabria, che alle politiche del 2008 tentò senza riuscirci di farsi eleggere nel movimento La rosa bianca. “Questo – gli dice Lampada a proposito di Vagliati – ha sete di fare. E’ uno che ha la massima fiducia”. Quindi passa alla programmazione futura “per il raggiungimento degli scopi criminali nella città di Milano”. Ecco allora di nuovo Lampada su Vagliati: “Siamo accreditati, c’è la fiducia, capisci cosa voglio dire. Perché lui sa che sputazza io non ne ho mai fatta. E allora si butta a capofitto. E mi dice facciamo quello che cazzo ti interessa”. A questo punto gli investigatori riferiscono di come “Vagliati fosse a conoscenza dell’appartenenza di Lampada al gruppo criminale”. Ed è sempre grazie a lui che la cosca Condello pensa di avvicinare Claudio De Albertis, presidente delle Associazioni imprese edili e complementari delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza. “Lui – dice Lampada – conosce trecentomila persone nel campo dell’impresa”. Ma quando si parla di Provincia, l’uomo del clan può contare anche su Antonio Oliverio, ex assessore al Turismo nella giunta di Filippo Penati, poi passato al Pdl nel 2009 ed ex segretario provinciale dell’Udeur. Insomma, un bel ventaglio di conoscenze per quell’ex macellaio di Reggio, che all’ombra del Duomo è diventato straricco investendo, secondo i detective, i denari della mafia.

di Enrico Fierro e Davide Milosa

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