sabato 6 agosto 2011

Sentenza decoder: B. contro B. Chi vincerà?. - di Guido Scorza



Con una sentenza pubblicata lo scorso 28 luglio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definitivamente stabilito che i contributi per l’acquisto dei decoder digitali terrestri – e non anche satellitari – che il Governo Berlusconi tra il 2004 e il 2005 ha riconosciuto ai cittadini italiani, ha rappresentato un aiuto di Stato incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.

A beneficiare dell’aiuto sono state le società, come Mediaset S.p.A. che, all’epoca, diffondevano contenuti in tecnica digitale terrestre gratuitamente e a pagamento.

Ad essere pregiudicate le società come Sky Italia che, al contrario, diffondevano i propri contenuti esclusivamente su piattaforma satellitare.

La Sentenza, con la quale la Corte di Giustizia ha respinto l’ennesimo ricorso con il quale Mediaset S.p.A. aveva impugnato le precedenti decisioni della Commissione Ue e del Tribunale di Primo grado, stabilisce, inoltre, che toccherà ora allo Stato italiano provvedere, senza ritardo, al recupero dalle imprese beneficiarie dell’aiuto di Stato indebitamente percepito e che spetterà ai giudici italiani stabilire l’importo che Mediaset dovrà restituire all’Erario.

E’, dunque – e qui l’italico ed irrisolto conflitto d’interessi assume contorni inquietanti – a Silvio Berlusconi, Capo del Governo che spetta, a questo punto, domandare a Silvio Berlusconi & Famiglia, proprietari di Mediaset S.p.A. di restituire il tesoretto incassato tra il 2004 ed il 2005.

Berlusconi contro Berlusconi. Chi vincerà? Ma soprattutto sentiremo mai il fischio di inizio di questa partita?

Sarebbe una partita che rischia di pesare sulla già critica situazione di casa Berlusconi, finanziariamente indebolita dall’affaire Mondadori, centinaia di milioni di euro.

Con le due finanziarie [n.d.r. 2004 e 2005], oggetto della decisione dei Giudici della Corte di Giustizia, infatti, lo Stato Italiano aveva stanziato 110 milioni di euro all’anno per l’acquisto dei decoder digitali terrestri.

Un fiume di soldi che, dicono oggi i Giudici della suprema Corte Europea, hanno avvantaggiato alcune imprese – Mediaset S.p.A. tanto per fare nomi e cognomi – in danno di altre, in maniera del tutto illegittima e che, per questo, deve essere recuperato dallo Stato a norma di quanto disposto dalla disciplina europea della materia [ndr art. 14, Regolamento 659/1999/UE].

La vicenda – quella del super finanziamento di Stato per l’acquisto dei decoder digitali terrestri [n.d.r. sebbene in relazione al finanziamento contenuto nella successiva finanziaria 2006 e relativo anche all’acquisto di decoder satellitari] – è la stessa che nel dicembre del 2005 aveva indotto l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad avviare un procedimento per sospetto conflitto di interessi nei confronti del premier, Silvio Berlusconi per verificare se con il superfinanziamento disposto attraverso la legge finanziaria, quest’ultimo avesse favorito la Mediaset e la Solari.com – società del fratello, Paolo Berlusconi, attiva nella produzione e distribuzione di decoder digitali terrestri.

In quell’occasione, tuttavia, l’Autorità, pur ritenendo che la scelta politica del superfinanziamento fosse da imputare al presidente del Consiglio e che questi si trovasse, in astratto, in una posizione di conflitto di interessi, escluse che ricorresse l’ipotesi di violazione della vigente disciplina della materia in assenza, a suo dire, di “un vantaggio patrimoniale specifico e preferenziale e per assenza di un danno al pubblico interesse”.

In altre parole, il conflitto di interessi, secondo l’Autority c’era ma nessuno se ne era avvantaggiato e lo Stato non aveva sofferto alcun pregiudizio.

Ora però, i Giudici europei, dicono che non è stato esattamente così e chi ha beneficiato di quel super-aiuto deve restituire tutto allo Stato che, dal canto suo, ha l’obbligo – e non solo il diritto – di chiedere indietro il maltolto.



Ahò, questi scroccano pure er canone!


Ahò, questi scroccano pure er canone! - Il Codacons scopre che le sedi di partito non pagano il canone rai (danno di 230 mln di €) - E l'erario, anziché colpire la casta, castiga i disperati - Mal comune, mezzo crac: il 96% di alberghi, residence, campeggi, ospedali, case di cura, uffici, negozi, navi di lusso, circoli, associazioni, locali pubblici, non paga la tassa-tv...

C.Ma. per "Libero"

Anche la tv gratis. O meglio, senza pagare il canone. I partiti riescono a "scroccare" pure questo. Se si considera la lotta senza quartiere che proprio i partiti conducono per la lottizzazione di viale Mazzini, ci si aspetterebbe un minimo di coerenza... Invece, il Codacons ha scoperto che la maggior parte delle sedi di partito evade il canone.

Sono in buona compagnia, come emerge chiaramente dall'inchiesta svolta in tutta Italia, condotta per capire cosa succeda realmente con la riscossione del canone Rai da parte dell'Agenzia delle Entrate e sull'evasione della tassa. Perciò l'associazione ha presentato proprio ieri un esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia un esposto per verificare se nell'omissione di percezione dei canoni speciali sia ravvisabile il reato di omissione e abuso di atti di ufficio.

Cavallo di Viale MazziniCAVALLO DI VIALE MAZZINI

Esposto inviato anche ai venti uffici regionali della Corte dei Conti, per verificare le eventualità responsabilità per danno all'Erario dei 230 milioni di euro all'anno di mancato incasso per la Rai. L'esposto è stato presentato anche alle procure regionali della Corte dei Conti. Ma il paradosso non si ferma qui. L'inchiesta dell'associazione nasce infatti dopo la drammatica segnalazione di un pensionato invalido e nullatenente di 73 anni, che abita in un isolato casolare della campagna laziale e che non vede neppure la televisione, il quale si è visto recapitare una comunicazione che intimava il pagamento del canone Rai.

parlamento-436.jpg_415368877PARLAMENTO-436.JPG_415368877

La domanda che ha spinto il Codacons a fare la sua ricerca è appunto la seguente: quanto spende l'Agenzia delle Entrate per "inseguire" un anziano ultrasettantenne che a breve verrà addirittura esentato dal pagamento della tassa, mentre migliaia e migliaia di strutture pubbliche evadono con regolarità il canone? Follie e contraddizioni della burocrazia nostrana.

parlamentoPARLAMENTO

Infatti - come spiega il Codacons nella sua denuncia - è emerso che una miriade estesa di esercizi commerciali, strutture ricettive, circoli, associazioni private e persino istituti religiosi, non paga dunque il canone cosiddetto "speciale". Nello specifico, il 96% di alberghi, residence, campeggi, ospedali, case di cura, uffici, negozi, navi di lusso, circoli, associazioni, locali pubblici, appunto sedi di partiti politici, studi professionali, mense aziendali, scuole e persino istituti religiosi, non paga il "canone speciale", che a seconda delle categorie varia da 6.603,22 euro a 198,11 euro.

Agenzia entrateAGENZIA ENTRATE

Secondo il presidente dell'associazione dei consumatori, Carlo Rienzi, trattandosi di strutture pubbliche, l'accertamento a opera dell'Agenzia delle Entrate «potrebbe essere eseguito con facilità recandosi direttamente in loco». Invece si preferisce «assillare i singoli cittadini che magari non hanno la televisione o non la vedono, lasciando impunite tutte le altre categorie, pur soggette al pagamento del canone ». E pensare, fa rilevare ancora Rienzi, che con il ricavato di un anno di canone speciale la Rai potrebbe assumere tutti i 1.700 precari ultradecennali.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ah-questi-scroccano-pure-er-canone-il-codacons-scopre-che-le-sedi-di-partito-28533.htm



Scandalo nello scandalo: ieri i deputati si sono salvati il vitalizio d’oro (con un colpo di mano).






Audace colpo dei soliti noti: i parlamentari salvano le loro pensioni (d’oro). Ieri alla Camera bloccata una norma che metteva in discussione gli onorevoli vitalizi. La questione è semplice: perché i cittadini devono versare contributi per 35 anni per avere una misera pensione e invece i parlamentari dopo 5 anni di “lavoro” (si fa per dire) incassano assegni da nababbi? La semplice domanda non è stata riproposta nell’aula di Montecitorio perché la presidenza l’ha vietato. Abolire i vitalizi? Non scherziamo. Non se ne può nemmeno parlare.

A presentare la mozione (che sarebbe stata immediatamente esecutiva) l’onorevole Idv Antonio Borghesi, lo stesso che ci aveva già provato nel settembre 2010. I lettori di Sanguisughe ricorderanno come finì allora: la mozione fu bocciata, praticamente all’unanimità, in 4 minuti e 49 secondi (poi dicono che il Parlamento è lento…). Ieri la Camera ha fatto ancora prima: la mozione non è stata nemmeno messa in discussione. E’ stata dichiarata “non ammissibile”, cioè rigettata sul nascere in base a norme assai fumose e in parte modificate per l’occasione. Praticamente un colpo di mano che perpetua lo scandalo. Evviva: i vitalizi dei parlamentari sono salvi. Cari italiani, vi tocca continuare a pagarli.

P.S. E’ stato calcolato che in 5 anni da onorevole un parlamentare versa circa 60mila euro di contributi. Da pensionato ne incassa in media 440mila (se maschio) e 550 mila (se femmina). Significa che ogni pensione da parlamentare costa alla collettività dai 380mila ai 490mila euro. E poi mettono il ticket sulla sanità…

http://www.sanguisughe.com/2011/08/scandalo-nello-scandalo-ieri-i-deputati-si-sono-salvati-il-vitalizio-doro-con-un-colpo-di-mano/


Il PD si difende: “Siamo politicamente diversi”. I civili afghani: “Noi non ce ne siamo accorti!”.


Alessandro Robecchi, il sito ufficiale: testi, rubriche, giornali, radio, televisione, progetti editoriali e altro
Alessandro Robecchi

Inutile negare che c’è una questione morale nel Pd: il morale, in effetti è bassissimo – Buone notizie per i difensori di Penati: “Non può aver incassato tangenti, ha un alibi di ferro: in quel momento era impegnato a perdere le elezioni, la cosa che gli riesce meglio!” – Dimissionario il braccio destro di Bersani, i capelli se n’erano già andati, ora si teme per orecchie e ginocchia

Sono giorni di intenso dibattito nel Partito Democratico dopo che le recenti iniziative della magistratura hanno messo nel mirino alcuni suoi esponenti di spicco.

Filippo Penati, per esempio, indagato per corruzione, ha cominciato a dimettersi da tutte le cariche la settimana scorsa e si prevede che finirà prima di Natale.

Intanto, il segretario Bersani non ha esitato: ha preso carta e penna e ha cominciato a scrivere ai giornali.

Prima al Corriere della Sera, poi al Fatto Quotidiano, quindi al Pechino Monitor, infine all’Alabama Chronicle, e sta in questo momento, secondo indiscrezioni, scrivendo un toccante articolo per il Kingston Mirror, giornale molto popolare in Giamaica.

“Scrive con la mano sinistra – dice un funzionario che preferisce restare anonimo – perché come tutti sanno il suo braccio destro si è dimesso”.

La linea difensiva del Pd, comunque, pare chiara e univoca, ripetuta insistentemente a tutti i livelli: “Noi siamo diversi”. E la risposta univoca della società civile è stata: “Ah, sì? Cazzo, potevate avvertire!”.

In effetti, dicono alcune donne del movimento “Se non ora quando”, non sembravate tanto diversi quando organizzavate gli strip-tease alle feste dell’Unità, anche se in effetti qualche differenza c’è: mancava Emilio Fede.

“Ah si? Diversi? Beh, non si vedeva per niente!”, hanno detto le comunità rom italiane, ricordando una storica frase di Filippo Penati quando era presidente della Provincia di Milano: “Gli zingari non sono mica i Gipsy Kings!”. “In più è stato uno dei pochi presidente di Provincia favorevole alle ronde.

Non sembrava mica tanto diverso da Bossi e Calderoli!”, dicono ora stupiti gli sgomberati dai campi nomadi. “Diversi? Quelli che hanno fatto eleggere Tedesco quando era già inquisito? Diversi da chi?”, ha detto un funzionario che preferisce restare anonimo.

La linea difensiva del PD, però, non cambia: “Noi siamo diversi”, ha ribadito il segretario in un articolo comparso sul Kamchatka Times. La difesa nel merito delle accuse, invece, è affidata a un pool di avvocati abilissimi, che – almeno nel caso di Penati – puntano sull’infermità mentale. “Si è candidato per la Provincia e ha perso. Si è candidato per la Regione e ha perso. Vi pare che chiunque sano di mente gli chiederebbe di fare qualcosa che funzioni, per di più pagando?”. Un’argomentazione decisamente solida, non a caso ripresa anche dal segretario Bersani in un suo articolo redatto per l’Eco di Taipei, dal perentorio titolo: “Noi siamo diversi”.

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201107/il-pd-si-difende-siamo-politicamente-diversi-i-civili-afghani-noi-non-ce-ne-siamo-accorti/


Il Tesoro Usa scende in campo e la Bce commissaria il Cavaliere


L'intervento del segretario al Tesoro Tim Geithner convince la Merkel a dare il via libera all'acquisto dei titoli pubblici italiani. Il forcing di Sarkozy preoccupato dalla crisi dei titoli di Stato francesi. La Casa Bianca ringrazia Parigi e Berlino per il "ruolo guida".


dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK - "La Bce ha commissariato l'Italia, Trichet governa a Roma su mandato di Germania e Francia". Sono le 13 a Wall Street, manca un'ora e mezza alla conferenza stampa di Silvio Berlusconi in Italia, e i mercati sanno già tutto. Un "gabinetto di crisi" sovranazionale ha dato mandato alla Bce per scrivere l'agenda del governo italiano. "Anticipo dei tagli al deficit; pareggio di bilancio nella Costituzione; liberalizzazioni dei mercati": in tre diktat, è l'anticipazione che la Borsa americana apprende molto prima dei cittadini italiani.

La fonte che firma lo scoop è l'agenzia Dow Jones, le gole profonde stanno al Tesoro di Washington e alla Federal Reserve, e subito gli indici di Borsa recuperano.

Barack Obama a tarda sera di venerdì si mette al telefono con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che "ringrazia per la loro leadership". A mezzanotte ora italiana non c'erano invece conferme di telefonate con Berlusconi. Il segretario al Tesoro Tim Geithner è al lavoro dietro le quinte fin da giovedì sera. È costretto a un intervento eccezionale sui governi europei dopo il tracollo di 513 punti del New York Stock Exchange.

I suoi interlocutori privilegiati sono il leader francese che è anche presidente di turno del G7 e G20; la cancelliera tedesca; il presidente della Bce. L'obiettivo è far passare uno schema familiare a Geithner, che si fece le ossa al Fmi e nella diplomazia Usa quando i focolai di crisi erano Thailandia, Argentina, Brasile.

Per spegnerli, arrivavano gli esperti del Fmi con i diktat del "Washington consensus" nelle loro valigette. Commissariamento dei governi inaffidabili, in cambio di aiuti. È la ricetta che ieri Geithner ha caldeggiato nel corso della giornata, nelle sue ripetute triangolazioni con Berlino, Parigi, Francoforte. A Berlusconi le condizioni sono state anticipate a metà pomeriggio dal presidente Ue Herman Van Rompuy e dal commissario all'Economia Olli Rehn: "l'Italia deve accelerare il suo risanamento", prendere o lasciare.

Sarkozy e Geithner hanno confermato, costringendo il premier italiano alla conferenza stampa. Ben più difficile era convincere la Merkel. Sull'altro piatto della bilancia, infatti, al commissariamento dell'Italia da parte di un gabinetto di crisi corrisponde l'intervento della Bce per acquisti di titoli pubblici italiani. Uno strappo alle regole del rigore monetario. Un'operazione contrastata dalla squadra tedesca in seno alla Bce: il capo della Bundesbank Jens Weidmann, il chief economist Juergen Stark, più gli alleati olandesi e lussemburghesi.

Ma Sarkozy ieri mattina ha capito di dover fare un pressing estremo su Berlino, quando ha visto allargarsi di nuovo lo spread dei tassi francesi su quelli tedeschi. A dargli man forte sono intervenuti gli americani. "Attenzione a non ripetere l'effetto Lehman - hanno detto gli uomini di Geithner agli europei - quando quella banca fu lasciata fallire nel 2008, nessuno capì che ne avrebbe trascinate molte altre a picco, e di più grosse". Chiara l'antifona: "l'Italia ha il terzo debito pubblico mondiale in valore assoluto, se avanza verso il default non vi basterà triplicare il fondo di salvataggio europeo".

È intervenuto Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, con dati inquietanti sull'esposizione delle stesse banche americane al debito pubblico italiano; figurarsi quelle francesi e tedesche. A rafforzare le pressioni americane sulla Merkel, si sono aggiunte due voci autorevoli dall'Estremo Oriente: Cina e Giappone, due mercati strategici per il made in Germany. I governi di Pechino e Tokyo hanno chiesto un'"azione coordinata" per arginare il panico creato nel giovedì nero dallo spettro del default italiano.

Per smuovere la Merkel il contributo finale lo ha dato Trichet. "Il presidente della Bce sta facendo un lavoro straordinario, dobbiamo dargli atto del ruolo prezioso durante questa crisi", confida Geithner ai collaboratori. La mossa chiave di Trichet, è proprio quella che i mercati non hanno capito giovedì, e che ha provocato il panico. Nelle ore terribili in cui Milano perdeva il 5% e poi andava in tilt, a contenere le perdite iniziali delle altre Borse si era la diffusa la voce che la Bce avrebbe acquistato Btp italiani e bond spagnoli. Invece niente.

A sorpresa gli acquisti si erano limitati ai titoli portoghesi e irlandesi. La delusione per il mancato sostegno all'Italia aveva contribuito al tracollo del Dow Jones, la capitolazione finale. Geithner e Bernanke erano stati fra i primi a chiedere spiegazioni. Ieri la vicenda si è sciolta: il giovedì nero "è servito", la Bce ha mostrato i muscoli alla Merkel e a Roma. Una prova di forza giocata sul filo del terrore: per costringere Berlusconi a ingoiare qualsiasi imposizione esterna; per mostrare alla Merkel fin dove poteva degenerare il panico dei mercati.

"Non possiamo correre il rischio che un altro focolaio di crisi nell'eurozona uccida le speranze di una ripresa", è l'imperativo che Obama ha sottolineato ai suoi ieri pomeriggio, prima di chiamare i leader europei. Il presidente ha incassato ieri mattina un dato di 117.000 assunzioni, meno negativo di quanto temeva, ha annunciato una nuova manovra per l'occupazione, ma ricorda che un anno fa il crac greco diffuse la sfiducia sui mercati, soffocò i germogli della crescita americana.

Oggi è ancora peggio: l'America è già sull'orlo della ricaduta in recessione, il default di Roma va evitato ad ogni costo. Il pacchetto delle direttive confezionato tra Parigi e Francoforte, Berlino e Washington, a Berlusconi è stato consegnato a scatola chiusa. Il gabinetto sovranazionale di crisi ha avuto il suo battesimo di fuoco. Ora i mercati lo attendono al varco, e già ieri cominciavano a serpeggiare i primi dubbi: per esempio sul valore che ha, in Italia, un obbligo di pareggio del bilancio scritto nella Costituzione.


venerdì 5 agosto 2011

“Anticipare il pareggio di bilancio al 2013″. La ricetta del governo contro la crisi.


Dopo l'ennesima giornata nera delle borse, si muove tutta la politica italiana. Fini annuncia Napolitano che le Camere apriranno già la prossima settimana. Obiettivo: mettere a punto un ddl che renda legge costituzionale il pareggio di bilancio.

Pareggio di bilancio da inserire direttamente nella Costituzione e avvio, subito, di misure per le liberalizzazioni con la riforma dell’articolo 41 della Carta sulla libertà d’impresa. Sul tavolo c’è la crisi economica e la richiesta, arrivata direttamente dalla Bce, di trovare al più presto una soluzione. Via dunque ai tagli. Senza aspettare il 2014 con l’ombra delle elezioni del 2013. Insomma, l’Europa non si fida e nemmeno i mercati che ancora oggi hanno scosso le borse facendo precipitare per l’ennesima volta Piazza Affari. Ecco allora la mossa a sorpresa di Berlusconi. Una conferenza stampa convocata in tutta fretta e poi slittata dalle 19 alle 19 e 30. E che alla fine è andata in scena. Poco più di mezz’ora in cui il premier assieme al ministro ha squadernato i quattro punti attorno ai quali ruoterà il programma di salvataggio dell’economia italiana. Un salvataggio, ancora tutto da verificare, che arriva in zona Cesarini dopo una due giorni a dir poco pazzesca. Con l’intervento in aula del premier condito da un intervento inconsistente. Dopodiché il vertice con le parti sociali. In mezzo il tonfo fragoroso in borsa di ieri. Quindi oggi la soluzione finale. Che non tocca il contenuto della manovra, ma solo lo anticipa senza modificarlo a partire dai tagli ai costi della politica. Insomma, “un segnale di discontinuità”, come ha detto Italo Bocchino di Fli, che non pare farina del sacco del premier, ma il frutto di pressioni esterne e di telefonate che oggi hanno impegnato a partire dalla mattinata la nostra politica.

Il mondo, spiegano da Palazzo Chigi, è cambiato in una notte e l’Italia per prima si è dovuta muovere, seppur di concerto con gli altri, avendo gli speculatori dedicato a noi “una particolarissima attenzione” ed essendo quindi necessario noi per primi “porre subito degli argini”. E’ toccato a noi – rilevano sempre fonti del governo – anche se l’Italia ha sempre onorato il suo debito e mai è andata in default. E ora si dovranno assumere misure concertate con gli altri (a giorni sarà convocato un G7 dei ministri delle Finanze che potrà trasformarsi in un G8 dei capi di Stato e di Governo) perchè “la crisi è globale, la crisi finanziaria colpisce tutti i Paesi e non rispetta nè la realtà economica né i fondamentali economici”.

Ma al di là degli scenari, per nulla chiari, sul tavolo restano i pilastri pensati dal governo per salvare l’Italia. Primo punto, decisivo e inderogabile, dopo l’intervento della Bce, l’anticipo del pareggio di bilancio. Non più nel 2014, ma un anno prima. Obiettivo: “Arginare la speculazione”. Questo il punto del Cavaliere che solo ieri aveva detto di non sentirsi preoccupato per gli scivoloni della borsa e per lo spread che tocca tetti record. Oggi la musica è sembrata diversa.

La palla passa a Tremonti. Esordio: il governo agirà su quattro pilastri, due di finanza pubblica e due di crescita e sviluppo. Pareggio di bilancio come legge costituzionale e anticipo di un anno del risanamento. Gli altri due porteranno alla riforma del mercato del lavoro e alla “madre di tutte le liberalizzazioni”, ovvero “tutto è libero tranne ciò che è vietato”. Dopodiché la road map punterà alla approvazione in tempi rapidi della delega assistenziale. “Si tratta di garantire – ha detto il capo dell’Economia – ciò che si può dare a chi ha bisogno e intervenire sul problema dei falsi invalidi”. Una delega assistenziale “che ha un profondo spirito morale in tempi dove i soldi non te li regala nessuno, devi garantire il futuro dei nostri anziani e via via delle nostre famiglie”. “Pensiamo a un investimento sul benessere di chi ha bisogno – ha aggiunto Tremonti – avrà impatti riduttivi del tipo falsi invalidi, se c’e’ questa delega a saldi invariati c’e’ anche la riforma fiscale perche’ non verra’ saccheggiato il sacco delle agevolazioni da spostare verso il lavoro, la famiglia e i giovani”.

Prioritaria anche la riforma del lavoro. ”Qui – dice Tremonti – c’e’ un testo importante già elaborato, sarà presentato alle parti sociali per essere presentato al Senato”. E ancora:“Il mercato del lavoro – aggiunge – è fondamentale per lo sviluppo e gli investimenti e l’attrazione degli investimenti”. Subito dopo il pacchetto passerà al Senato. Per questo il presidente Renato Schifani nel corso di una telefonata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo ha informato di aver convocato le commissioni Affari Costituzionali e Bilancio e che convocherà l’Assemblea appena arriverà il testo sulla riforma del lavoro.

Insomma, il governo sterza. Una manovra già nell’aria questo pomeriggio, a borse ancora aperte, i telefoni della politica sono rimasti caldissimi. Prima chiamata: Fini a Tremonti per preparare un ddl che costituzionalizzi il pareggio di bilancio. Quinid la telefonata del presidente della Camera al Colle per avvertirlo della riapertura della Camera. Dopodiché il ministro dell’Economia ha parlato con il segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner. I due si sono soffermati ad analizzare la situazione economica e dei mercati di questi ultimi giorni, anche alla luce dei contatti internazionali in corso in queste ore.

Le prime indiscrezioni sul contenuto della conferenza stampa erano circolate sul sito del Financial Times. “Dopo ore di colloqui Berlusconi e Tremonti – si leggeva fin dal pomeriggio sul sito – hanno raggiunto l’accordo per accelerare un pacchetto di misure per liberalizzare l’economia italiana”.

Il tutto dura mezz’ora. Poche domande dei giornalisti e il tempo per l’ennesimo battibecco tra Tremonti e Berlusconi. Il punto è cruciale: si sta parlando di riforma del lavoro e soprattutto di tagli anticipati. Un giornalista chiede: “Se n’è parlato ieri con le parti sociali?”. Berlusconi dice no. Giulio sì. Quindi? Risolve l’imbarazzo il Cavaliere. “Non ho sentito perché sono stato chiamato al telefono da un collega”. Quindi scioglie l’imbarazzo: “Anticipo che domani mattina io e Giulio ci sfideremo a duello, dobbiamo solo scegliere l’arma”.

Chiusa la conferenza e squadernati punti, inizia arriva la valanga di reazioni. Il primo a dare il calcio d’avvio è il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: ”Dobbiamo lanciare un messaggio al mondo per dire che l’Italia ha capito. Ognuno abbassi la propria bandiera e si inchini al tricolore. Noi siamo disposti a farlo, ma Berlusconi faccia un passo indietro. Si formi un governo nuovo per dare risposte al Paese”. Immediata la risposta del Pdl per bocca di Osvaldo Napoli: ”Il governo – dice – accelera su tutti i fronti per varare riforme strutturali e costituzionali importanti e, per questa via, varare un piano ambizioso per la crescita e lo sviluppo; le Commissioni parlamentari sono state convocate per la prossima settimana e Bersani che fa? Chiede al presidente del Consiglio di fare un passo indietro?”. Quindi conclude: “Ora il segretario del Pd rischia di essere davvero patetico”


Londra, apre il Bunga Bunga Bar.


Londra, apre il Bunga Bunga Bar

Siamo stati a vedere come sarà il locale dedicato a Berlusconi e alle sue prodezze. Un trionfo di chliché made in Italy, dove Silvio fa cucù dagli oblò della toilette, si mangia la pizza Ruby e l'aperitivo si beve nelle tazze con la faccia del Presidente.