Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 15 settembre 2011
Berlusconi, avrei bisogno di 850 mila euro. - di Enzo Di Frenna
Egregio presidente del Consiglio,
Lei è generoso. Avrei bisogno di 850 mila euro in contanti. Nessun assegno. Nessun bonifico. Nessuna traccia da lasciare in giro. Stia tranquillo: dirò che mi ha aiutato perché sono in difficoltà economica e ho una famiglia a carico. Utilizzerò i soldi in modo intelligente. Mi metterò al sicuro dalla crisi economica che lei ha contribuito ad aggravare, mettendo in ginocchio l’Italia.
Se lei è un uomo di parola, mi conttatterà e metterà mano al portafoglio. Altrimenti penserò che lei è solo uno sbruffone. Che le spara grosse. Mi verrà il dubbio che, tra le migliaia di padri di famiglia in difficoltà economica, lei ha aiutato proprio Gianpaolo Tarantini, indagato dalle procure per ben sette volte per varie ipotesi di reato. Ha aiutato questo signore che ha portato a a casa sua avvenenti prostitute. E se i magistrati lo hanno arrestato perché avrebbe violato la legge parecchie volte, è un dettaglio. Se si è rovinato con le sue mani, fa nulla. Lui meritava lo stesso il suo aiuto economico.
Certo, lei non immaginava che su 850 mila euro sborsati per sostenerlo spuntasse fuori un Lavitolache ne tratteneva 400 mila. Ma non si preoccupi: con me non succederà. Le do la mia parola che incasserò tutti i soldi, senza intermediari. Forza, allora. Dimostri il suo buon cuore ancora una volta. Mi consenta di ricredermi sulla sua spacconaggine. Mi permetta di non pensare più che lei ha unapropensione alla menzogna, come diceva Indro Montanelli. Mi convinca che non capovolge continuamente la realtà perché la menzogna veicolata su milioni di teleschermi può diventare una verità nelle menti dei telespettatori.
Su, mi aiuti a cambiare l’idea che mi sono fatto di lei. Non voglio più pensare che è il peggiore serpente degli schermi che l’Italia ha generato negli ultimi 150 anni. Il peggior presidente del Consiglio e il peggior corruttore della nostra democrazia. Aspetto con ansia una sua telefonata. Non si preoccupi: non sarò intercettato. Non mi conosce nessuno. Sono un italiano qualunque.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/13/berlusconi-avrei-bisogno-di-850-mila-euro/156921/
Il gip: il nastro è un regalo al premier in vista delle elezioni.
Scrive il giudice: la pubblicazione e sul Giornale «avrebbe leso, come è stato, l'immagine di Fassino»
«CONCATENAZIONE LOGICA» - «Le principali fonti di prova sono le dichiarazioni rese nel corso dei diversi interrogatori dagli allora coindagati, tali dichiarazioni dei richiamanti in correità, in quanto convergenti nei tratti essenziali, consentono la ricostruzione di una concatenazione logica di vari sillogismi che impongono la necessità dell'esercizio dell'azione penale anche per Silvio Berlusconi, in ordine al reato di rivelazione di notizia, coperta dal segreto d'ufficio». È quanto si legge nelle motivazioni con cui il gip di Milano, Stefania Donadeo, ha giovedì respinto la richiesta di archiviazione e ordinato l'imputazione coatta per il premier Silvio Berlusconi in relazione al passaggio di mano del nastro Fassino-Consorte («abbiamo una banca»). Intercettazione che venne pubblicata da Il Giornale il 31 dicembre del 2005.
PREMIER RINGRAZIÒ - «La pubblicazione della notizia (il contenuto dell'intercettazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, ndr) proprio dopo e solo dopo l'ascolto da parte di Silvio Berlusconi, come volevano tutti, (gli imprenditori Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli, ndr), i ringraziamenti seguiti da parte di Silvio Berlusconi, costituiscono dati di fatto storicamente provati che logicamente interpretati rendono necessario l'esercizio dell'azione penale anche nei confronti» del premier. È quanto scrive il gip di Milano Stefania Donadeo. Secondo il gip, inoltre, «non si può e non si deve escludere che (...) Raffaelli (il titolare dell'azienda che si occupava delle intercettazioni, ndr) oltre a far ascoltare le conversazioni abbia anche consegnato la chiavetta al presidente, il quale l'avrebbe ricevuta ringraziando». Tale condotta, spiega ancora il gip, «ancor più evidenzierebbe il suo favore per la pubblicazione».
SALTA LA RICETTAZIONE - Nello stesso provvedimento il gip di Milano Stefania Donadeo ha accolto invece la richiesta di archiviazione del pm in ordine al reato di materiale ricezione del supporto informatico sul quale erano riportate le conversioni tra Fassino e consorte. È quanto emerge dal provvedimento depositato dal giudice. Per il gip, infatti, «non può addebitarsi il delitto di ricettazione posto che esso si configura in ipotesi di illecita circolazione di un bene materiale e non di una informazione».
PORTAVOCE FASSINO - Gianni Giovannetti, portavoce del sindaco di Torino Piero Fassino commenta la notizia: «La decisione del Gip di Milano, che definisce addirittura «un regalo elettorale al premier» l'intercettazione pubblicata dal giornale della famiglia Berlusconi, conferma che ai danni dell'on. Fassino è stata ordita una trappola al fine esclusivo di denigrare il leader del principale partito di opposizione. Siamo fiduciosi che l'opera della magistratura accerterà fino in fondo tutta la verità».
Il direttore di «Libero» Maurizio Belpietro (Emblema) |
LA VICENDA- La vicenda giudiziaria per cui il gip di Milano ha respinto la richiesta di archiviazione per il premier, Silvio Berlusconi, nasce dalla pubblicazione su Il Giornale, il 31 dicembre del 2005, dell'intercettazione di una telefonata fra l'allora leader dei Ds, Piero Fassino, e il presidente di Unipol, Giovanni Consorte, dove il politico chiedeva al manager «Ma allora abbiamo una banca?». L'intercettazione non era a disposizione delle parti, ma nell'esclusiva disponibilità degli inquirenti, dei pm e della polizia giudiziaria e non era nemmeno stata trascritta. Inizialmente il premier, nell'avviso della chiusura delle indagini notificato alle parti alla fine dell'ottobre del 2010, era indicato come parte lesa, mentre poi è stato iscritto nel registro degli indagati con le accuse di ricettazione e di rivelazione di segreto d'ufficio; un'iscrizione, tuttavia, di tipo «tecnico», considerato che i pm avevano già deciso di sollecitare l'archiviazione. La richiesta di archiviazione, tuttavia, era stata respinta già lo scorso giugno dal giudice Stefania Donadeo, in veste di gup: il magistrato aveva fissato un'udienza per il 16 luglio scorso, così da chiarire la posizione del presidente del Consiglio. Tre giorni dopo, il 19 luglio, Donadeo, in veste di gip, a fronte della richiesta di archiviazione del pm di Milano, Maurizio Romanelli, e della difesa del premier, rappresentato da Niccolò Ghedini, si è riservato di decidere, respingendo al tempo stesso due eccezioni presentate dai difensori (l'obbligo di astensione del giudice e la mancanza di motivazioni del suo provvedimento per l'udienza). Una decisione che è arrivata giovedì, con la scelta di chiedere al pm di formulare nei confronti di Silvio Berlusconi l'imputazione coatta, una sorta di richiesta di rinvio a giudizio per la quale fisserà successivamente un'udienza preliminare. Nella stessa inchiesta è stato indagato, e poi rinviato a giudizio lo scorso giugno, anche il fratello del premier ed editore de Il Giornale, Paolo Berlusconi, accusato di ricettazione, millantato credito e concorso in rivelazione del segreto d'ufficio e il suo processo inizierà il 4 ottobre. Sempre lo scorso giugno era stato poi condannato a 2 anni e 4 mesi l'imprenditore Fabrizio Favata, che aveva richiesto il rito abbreviato; avevano invece optato per il patteggiamento gli imprenditori Eugenio Petessi e Roberto Raffaelli, titolare della Research Control System (Rcs), l'azienda che aveva fornito le attrezzature per l'intercettazione. Era stato assolto, invece, il giornalista Gianluigi Nuzzi, che nel 2005 lavorava per Il Giornale.
Senatori, hanno lavorato appena 62 giorni (in otto mesi) intascando 1907 euro al giorno!
62 sono i giorni effettivamente lavorati dai senatori dall’inizio dell’anno ad oggi.Berlusconi ha “salvato l’Italia” grazie alla sua “manovra equa”… e a noi chi ci salva da loro?
Nello stesso periodo, un normale lavoratore (non considerando i sabati e le domeniche e gli altri festivi) è stato occupato per 160 giorni.
Il dato è stato ottenuto trasformando le 498 ore di sedute di aula (298) e commissioni (200) in giornate lavorative di 8 ore.
Fino al 31 agosto, cioè in 8 mesi, i senatori hanno nel frattempo riscosso, tra indennità e altri compensi, ben 118.288 euro.
Quindi, un giorno di lavoro degli eletti di Palazzo Madama è costato 1.907 euro, un’ora 237. (L’Espesso)
http://www.stopcensura.com/2011/09/senatori-hanno-lavorato-appena-62.html
Casino royale, scommesse sulla crisi. - di Alberto Capece Minutolo
Naturalmente non potevano mancare le scommesse sulla tenuta dell’Italia: la nostra capacità di superare la crisi è data a 2,38 dai bookmaker inglesi, la più bassa tra tutti i Paesi europei compresa Cipro. Lo riporta l’Espresso, ma certamente su qualsiasi giornale avremo letto decine di volte articoli che riportano le quotazioni su qualsiasi fatto ed evento, che riguardi l’Italia, dalle elezioni al bunga bunga.
Il motivo di queste frequenti incursioni nel mondo dell’azzardo non è solo quello di riportare qualcosa di curioso, ma di dare una notizia ritenuta importante perché tali quote, che in parte si formano tramite le scelte di migliaia e talora di decine di migliaia di scommettitori, vengono considerate attendibili: gli scommettitori come dice L’Espresso, “ci prendono sempre o quasi”.
E facile vedere in questo “affidarsi” a un meccanismo molto simile a quello delle borse, un riflesso della fiducia nelle capacità del mercato di autoregolarsi e di vedere sempre giusto. A prescindere dal problema fondamentale dell’informazione necessaria perché una scommessa abbia un minimo di razionalità, il neo modernismo considera la media aritmetica delle opinioni, come l’occhio di dio. Se non fosse per un piccolo particolare: che i bookmaker possono esistere proprio perché gli scommettitori sbagliano. E’ vero che i gestori dell’azzardo prevedono una piccola quota per sé, ma se la massa di chi gioca non fosse assolutamente irrazionale nelle scelte, se non fosse guidata da informazioni spesso falsate, astutamente dirette e quasi sempre autoreferenti, se ci prendesse sempre, il gioco non varrebbe la candela. Esattamente come avviene nelle borse dove un numero ridotto di “bookmaker” o grandi operatori determina di fatto l’andamento dei mercati.
Del resto molti dei titoli tossici grazie ai quali si è creato un mercato superiore di un fattore 10 all’intero pil mondiale, altro non erano che pure scommesse, come quella che prevedeva una certa remunerazione se la temperatura media misurata su diversi aeroporti italiani fosse stata superiore a quella dell’anno precedente. Un ottimo modo di scommettere sulla bontà finanziaria dell’effetto serra.
E anche un ottimo modo per convincersi dell’instabilità e irrazionalità dei mercati e del loro essere estranei alla realtà che si muove al di fuori delle loro mura. In realtà veri e propri casinò dove si spera di continuare a giocare dando la mancia pour les employés. Che poi saremmo noi.
La nuova pista: corruzione internazionale. - di Paolo Festuccia
Finmeccanica e il business
degli armamenti: negli atti
"pagamenti bloccati oltre cortina"
Un giro d’ affari che qualcuno arriva a definire «colpo del secolo». Corruzione internazionale. E’ su questo che indagano pure i magistrati napoletani. Carte, documenti, indizi: nella ragnatela delle intercettazioni, spuntano gli affari nel campo della Difesa. E, inevitabilmente, «Sta gente», come si legge dalle intercettazioni, che per gli inquirenti sono quelli che ricevono tangenti per la buona riuscita degli affari: da Kuala Lumpur al Sudamerica. E nel mezzo finiscono, così, uomini e consulenti di Finmeccanica, dell’Oto Melara di Telespazio Brasil. Protagonisti e comparse come tale Ayub che tratta la vendita di cannoni italiani all’estero per 21 milioni di euro.
Il suo ruolo emerge dalle telefonate tra Alfredo Giaccherini (consulente Oto Melara presso Finmeccanica a Kuala Lumpur) e Bertolo Nardini. Giaccherini spiega a Nardini di aver saputo da Ayub che la loro «posizione in graduatoria o dipende da un input proveniente dall’alto o qualcuno ha offerto più soldi». Nardini replica: «E’ chiaro che la Oto per fare deve sapere no!... Allora evidentemente questo gli avevamo detto quel giorno 5 e 4 (5 milioni 400 mila euro?), fossero quattro e 8 o 5 che era... servito!» E ancora: «Allora lui deve dire... se passano le sue armi quelle che ha in mano o se vuole... Cannoni e armi da noi è così...». «A quel punto lì - riprende - se c’è qualcuno che dice io faccio licenziare il capo della marina e facciamolo licenziare...».
La telefonata, scrivono gli inquirenti è «l’ennesima riprova della pratica, da parte dei rappresentanti di Finmeccanica, di corrompere i rappresentanti dei governi esteri per potersi aggiudicare le gare». Il potere di incidere sulle decisioni dei governi locali, spiegano i magistrati, «appare ancor più evidente dalle dichiarazioni di Giaccherini che nella fattispecie afferma addirittura che, se necessario, si può arrivare al numero uno per far licenziare il capo della marina».
Nelle maglie delle intercettazioni, e quindi, negli atti dei magistrati figura anche Filippo D’Antoni, genero di Piero Guarguaglini, presidente di Finmeccanica. D’Antoni parla con Mauro, il quale chiede dei pagamenti «bloccati oltre cortina» e della necessità di una compensazione. Le telefonate (due) che seguono hanno ad oggetto un colloquio tra D’Antoni (si presenta come direttore commerciale della Wass) e un ammiraglio. L’Ammiraglio dice, «che altri soldi non ne possono... (...) e poi, «che qualunque iniziativa sarebbe controproducente e che ci sarà modo di recuperare in altre occasioni».
Tra le frequenze intercettate, e in molte circostanze diverse, compare pure Valter Tarantelli, direttore di Telespazio Brasil, (frequentemente in contatto con Lavitola) contattato da Marco, collaboratore di Guarguaglini. Marco chiede se Bono e Gutierrez (imprenditore) avessero firmato. Tarantelli replica che i due hanno firmato una lettera di accordo. Tarantelli parla poi con tal Romolo. Nel corso della discussione si parla di Tuccillo (Finmeccanica in Africa), «già fatto fuori»; perché avrebbe detto in giro «che in Sud Africa “Agusta” si era appoggiata a soggetti appartenenti a organizzazioni criminali, diciamo organizzazioni mafiose, mo’ non mi ricordo se era ‘ndrangheta o camorra...».
Quindi il colloquio tra Tarantelli e Paolo Pozzessere dove si parla di affari in Brasile. Pozzessere spiega che alla luce della situazione di «Battisti, citando il fatto che Frattini ieri ha richiamato l’ambasciatore, e non vi è stato ancora un gran casino, ritiene che adesso, subito, bisogna chiedere il conto, visto che hanno fatto questa cosa». Prosegue dicendo che «se fa una telefonata che dice lui, dicendo questa cosa è andata, però adesso chiudete quest’altra...». Con Pozzessere parla pure Debbie Castaneda, amica del premier, che si lamenta di quanto accaduto con Alejandro Agag che le avrebbe soffiato provvigioni per 6 milioni di euro.
Il suo ruolo emerge dalle telefonate tra Alfredo Giaccherini (consulente Oto Melara presso Finmeccanica a Kuala Lumpur) e Bertolo Nardini. Giaccherini spiega a Nardini di aver saputo da Ayub che la loro «posizione in graduatoria o dipende da un input proveniente dall’alto o qualcuno ha offerto più soldi». Nardini replica: «E’ chiaro che la Oto per fare deve sapere no!... Allora evidentemente questo gli avevamo detto quel giorno 5 e 4 (5 milioni 400 mila euro?), fossero quattro e 8 o 5 che era... servito!» E ancora: «Allora lui deve dire... se passano le sue armi quelle che ha in mano o se vuole... Cannoni e armi da noi è così...». «A quel punto lì - riprende - se c’è qualcuno che dice io faccio licenziare il capo della marina e facciamolo licenziare...».
La telefonata, scrivono gli inquirenti è «l’ennesima riprova della pratica, da parte dei rappresentanti di Finmeccanica, di corrompere i rappresentanti dei governi esteri per potersi aggiudicare le gare». Il potere di incidere sulle decisioni dei governi locali, spiegano i magistrati, «appare ancor più evidente dalle dichiarazioni di Giaccherini che nella fattispecie afferma addirittura che, se necessario, si può arrivare al numero uno per far licenziare il capo della marina».
Nelle maglie delle intercettazioni, e quindi, negli atti dei magistrati figura anche Filippo D’Antoni, genero di Piero Guarguaglini, presidente di Finmeccanica. D’Antoni parla con Mauro, il quale chiede dei pagamenti «bloccati oltre cortina» e della necessità di una compensazione. Le telefonate (due) che seguono hanno ad oggetto un colloquio tra D’Antoni (si presenta come direttore commerciale della Wass) e un ammiraglio. L’Ammiraglio dice, «che altri soldi non ne possono... (...) e poi, «che qualunque iniziativa sarebbe controproducente e che ci sarà modo di recuperare in altre occasioni».
Tra le frequenze intercettate, e in molte circostanze diverse, compare pure Valter Tarantelli, direttore di Telespazio Brasil, (frequentemente in contatto con Lavitola) contattato da Marco, collaboratore di Guarguaglini. Marco chiede se Bono e Gutierrez (imprenditore) avessero firmato. Tarantelli replica che i due hanno firmato una lettera di accordo. Tarantelli parla poi con tal Romolo. Nel corso della discussione si parla di Tuccillo (Finmeccanica in Africa), «già fatto fuori»; perché avrebbe detto in giro «che in Sud Africa “Agusta” si era appoggiata a soggetti appartenenti a organizzazioni criminali, diciamo organizzazioni mafiose, mo’ non mi ricordo se era ‘ndrangheta o camorra...».
Quindi il colloquio tra Tarantelli e Paolo Pozzessere dove si parla di affari in Brasile. Pozzessere spiega che alla luce della situazione di «Battisti, citando il fatto che Frattini ieri ha richiamato l’ambasciatore, e non vi è stato ancora un gran casino, ritiene che adesso, subito, bisogna chiedere il conto, visto che hanno fatto questa cosa». Prosegue dicendo che «se fa una telefonata che dice lui, dicendo questa cosa è andata, però adesso chiudete quest’altra...». Con Pozzessere parla pure Debbie Castaneda, amica del premier, che si lamenta di quanto accaduto con Alejandro Agag che le avrebbe soffiato provvigioni per 6 milioni di euro.
Intercettazioni illegali, ordinato il rinvio a giudizio anche per Silvio Berlusconi. - di Luigi Ferrarella
Nastro a Fassino, il premier rischia il processo col fratello.
Il premier Silvio Berlusconi (Ansa) |
LA VICENDA - L’intercettazione, captata il 17 luglio, in quel dicembre 2005 era segreta nel senso che non soltanto non era ancora depositata agli atti (lo sarebbe stata solo molti mesi dopo), e neppure era trascritta o anche solo riassunta in brogliacci, ma esisteva esclusivamente come file audio nei computer della Guardia di Finanza, dei pm milanesi dell’inchiesta Antonveneta/Unipol, e dell'azienda privata «Research control system» che per conto della Procura aveva svolto in estate le intercettazioni. Proprio l’allora suo amministratore, Roberto Raffaelli, dopo aver a lungo negato, nell’estate ammise di aver trafugato e portato un computer con l’audio della telefonata nella villa di Arcore a Silvio e a Paolo Berlusconi, alle 7 di sera della vigilia di Natale 2005 in un incontro organizzato tramite un ex socio di Paolo, l’imprenditore Fabrizio Favata. Il 10 giugno scorso in udienza preliminare Raffaelli aveva patteggiato 20 mesi, Favata era stato condannato a 2 anni e 4 mesi e a risarcire Fassino con 40.000 euro per i danni morali, Paolo Berlusconi era stato rinviato a giudizio. Il giudice Donadeo aveva invece convocato una apposita udienza per approfondire la richiesta di archiviazione proposta dai pm per il premier, e si era riservata la decisione. Ora ha sciolto la riserva, respingendo l'archiviazione e ordinando alla Procura di chiedere a un altro gip il rinvio a giudizio di Berlusconi per concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio.
http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_15/nastri-fassino-gip_6b1fbaf4-df5e-11e0-b2a5-386afc6bc08a.shtml
Bavaglio, fallisce il blitz. Si tratta per il faccia a faccia tra pm e Berlusconi. - di Sara Nicoli
Il premier cerca sponde con il colle per rallentare l'interrogatorio. Ma Napolitano lo gela. La difesa: nulla è ancora deciso. Il Cavaliere teme la domanda su come sia avvenuto il pagamento da 500mila euro a Tarantini.
Il bavaglio è sempre una tentazione irresistibile. B. è tornato alla carica anche ieri, quando si è reso conto che le carte delle inchieste di Bari e Napoli stanno per travolgerlo nuovamente, proprio mentre il capo dello Stato gli diceva, al Quirinale: “Si faccia sentire serenamente dai giudici”. E lui, per tutta risposta: “Io mi faccio interrogare a patto che lei intervenga su Lepore per farmi vedere prima le carte in suo possesso, non mi posso ricordare tutto quello che ho detto…”. Pare cheNapolitano sia rimasto di sale, poi avrebbe replicato che ovviamente non ci pensava per nulla.
È stato dopo questo colloquio che in Berlusconi si sono scatenati mille diavoli tentatori di farlo davvero il blitz per mettere la pietra tombale almeno sulla possibilità che quelle carte scottanti finiscano sui giornali; le vergognose affermazioni sulla Merkel, quei consigli indecenti a Lavitoladi restare latitante e poi, si dice, altre vanterie machiste con coinvolgimenti eccellenti, persino di qualche ministra.
Insomma, molto più di Ruby, molto peggio di Ruby. E non è vero, come ha detto al capo dello Stato, che lui non si ricorda nulla di ciò che ha detto al telefono, ripetendo per l’ennesima volta la litania che su Tarantini lui avrebbe fatto “solo un’opera di bene, per aiutare una famiglia in difficoltà”. La richiesta di vedere le carte prima di essere sentito era già arrivata ai pm napoletani martedì sera per bocca di Ghedini, durante l’interrogatorio del legale come persona informata dei fatti; il premier accetterebbe il faccia a faccia a patto di poter vedere prima tutte le carte dell’inchiesta e solo in presenza di un suo avvocato di fiducia, ovviamente non Ghedini (che è coinvolto) ma Pietro Longo. Per leggere l’imponente mole di atti è ovvio che ci vorrebbe un periodo di tempo piuttosto lungo, dunque la richiesta deve essere letta anche come modo per tentare di prendere ulteriormente tempo prima di parlare. C’è, infatti, una domanda che Berlusconi (e i suoi legali) temono più di qualsiasi altra ed è una domanda che, più o meno, suonerebbe così: “Ma lei si ricorda che metodo ha usato per dare i 500 mila euro a Lavitola per girarli a Tarantini?”.
Per un pagamento in contanti, B. rischia di essere indagato per ricettazione, a meno che non dimostri l’esistenza di una transazione bancaria che, evidentemente, non c’è. Ed è quindi soprattutto su questo punto, non tanto su altre ipotesi di reato, che gli avvocati del Cavaliere le stanno provando tutte pur di tentare di prendere tempo. Eppure ieri pomeriggio Napolitano su questo punto è stato più determinato del solito: il premier deve assecondare le richieste dei magistrati napoletani perché non è certo questo il momento di aprire un nuovo scontro istituzionale tra poteri dello Stato. E anche a livello internazionale, la nostra reputazione ne risentirebbe. Ulteriormente. Sarebbe stato subito dopo questo delicato passaggio che Berlusconi, inferocito, avrebbe provato a buttare lì la necessità, “l’urgenza” di bloccare nuove fuoriuscite di notizie con un decreto impedendo così la pubblicazione delle intercettazioni, ma il Quirinale non ha confermato questo passaggio.
Sta di fatto che, appena sceso dal Colle, il Cavaliere ha chiamato a sé il Guardasigilli Nitto Palma, per un confronto sul da farsi, in modo da poter intervenire, casomai, proprio nel Consiglio dei ministri di ieri sera dedicato a tutt’altro. Anche Nitto Palma, a quanto sostengono uomini del Pdl, avrebbe provato a dissuaderlo, dicendo che un decreto in materia penale, in fondo, non s’è mai visto e che dunque, casomai, sarebbe più opportuno “accelerare il ddl alla Camera, che tanto dobbiamo trovare solo il giorno giusto, è già in aula…”, ma lo stop definitivo è arrivato via Gianni Letta, raggiunto da una telefonata del Colle. Che, più o meno, deve essere suonata così: che non si parli di nessun decreto, sarebbe scandaloso. Affondato il blitz, resta in atto il braccio di ferro tra Berlusconi e i magistrati di Napoli. Alcune fonti vicine al presidente del Consiglio ipotizzavano, ieri sera, che il Cavaliere potesse essere ascoltato tra sabato e domenica, alla presenza di Longo, ma non c’è nessuna conferma (mentre lunedì sarà a Milano per il processo Mills). “C’è stato un primo contatto con la Procura – ha ammesso Ghedini – ma ancora non sappiamo; dipende dal comportamento della procura”. La trattativa, anzi l’ultima sfida, dunque, continua.
da il Fatto quotidiano del 15 settembre 2011
È stato dopo questo colloquio che in Berlusconi si sono scatenati mille diavoli tentatori di farlo davvero il blitz per mettere la pietra tombale almeno sulla possibilità che quelle carte scottanti finiscano sui giornali; le vergognose affermazioni sulla Merkel, quei consigli indecenti a Lavitoladi restare latitante e poi, si dice, altre vanterie machiste con coinvolgimenti eccellenti, persino di qualche ministra.
Insomma, molto più di Ruby, molto peggio di Ruby. E non è vero, come ha detto al capo dello Stato, che lui non si ricorda nulla di ciò che ha detto al telefono, ripetendo per l’ennesima volta la litania che su Tarantini lui avrebbe fatto “solo un’opera di bene, per aiutare una famiglia in difficoltà”. La richiesta di vedere le carte prima di essere sentito era già arrivata ai pm napoletani martedì sera per bocca di Ghedini, durante l’interrogatorio del legale come persona informata dei fatti; il premier accetterebbe il faccia a faccia a patto di poter vedere prima tutte le carte dell’inchiesta e solo in presenza di un suo avvocato di fiducia, ovviamente non Ghedini (che è coinvolto) ma Pietro Longo. Per leggere l’imponente mole di atti è ovvio che ci vorrebbe un periodo di tempo piuttosto lungo, dunque la richiesta deve essere letta anche come modo per tentare di prendere ulteriormente tempo prima di parlare. C’è, infatti, una domanda che Berlusconi (e i suoi legali) temono più di qualsiasi altra ed è una domanda che, più o meno, suonerebbe così: “Ma lei si ricorda che metodo ha usato per dare i 500 mila euro a Lavitola per girarli a Tarantini?”.
Per un pagamento in contanti, B. rischia di essere indagato per ricettazione, a meno che non dimostri l’esistenza di una transazione bancaria che, evidentemente, non c’è. Ed è quindi soprattutto su questo punto, non tanto su altre ipotesi di reato, che gli avvocati del Cavaliere le stanno provando tutte pur di tentare di prendere tempo. Eppure ieri pomeriggio Napolitano su questo punto è stato più determinato del solito: il premier deve assecondare le richieste dei magistrati napoletani perché non è certo questo il momento di aprire un nuovo scontro istituzionale tra poteri dello Stato. E anche a livello internazionale, la nostra reputazione ne risentirebbe. Ulteriormente. Sarebbe stato subito dopo questo delicato passaggio che Berlusconi, inferocito, avrebbe provato a buttare lì la necessità, “l’urgenza” di bloccare nuove fuoriuscite di notizie con un decreto impedendo così la pubblicazione delle intercettazioni, ma il Quirinale non ha confermato questo passaggio.
Sta di fatto che, appena sceso dal Colle, il Cavaliere ha chiamato a sé il Guardasigilli Nitto Palma, per un confronto sul da farsi, in modo da poter intervenire, casomai, proprio nel Consiglio dei ministri di ieri sera dedicato a tutt’altro. Anche Nitto Palma, a quanto sostengono uomini del Pdl, avrebbe provato a dissuaderlo, dicendo che un decreto in materia penale, in fondo, non s’è mai visto e che dunque, casomai, sarebbe più opportuno “accelerare il ddl alla Camera, che tanto dobbiamo trovare solo il giorno giusto, è già in aula…”, ma lo stop definitivo è arrivato via Gianni Letta, raggiunto da una telefonata del Colle. Che, più o meno, deve essere suonata così: che non si parli di nessun decreto, sarebbe scandaloso. Affondato il blitz, resta in atto il braccio di ferro tra Berlusconi e i magistrati di Napoli. Alcune fonti vicine al presidente del Consiglio ipotizzavano, ieri sera, che il Cavaliere potesse essere ascoltato tra sabato e domenica, alla presenza di Longo, ma non c’è nessuna conferma (mentre lunedì sarà a Milano per il processo Mills). “C’è stato un primo contatto con la Procura – ha ammesso Ghedini – ma ancora non sappiamo; dipende dal comportamento della procura”. La trattativa, anzi l’ultima sfida, dunque, continua.
da il Fatto quotidiano del 15 settembre 2011
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