venerdì 14 ottobre 2011

Chiesto rinvio a giudizio per Minzolini Direttore Tg1 accusato di peculato




La Procura di Roma contesta al giornalista di aver speso circa 65 mila euro in 14 mesi con la carta di credito aziendale. Il capo del tg: "Erano spese di rappresentanza e i vertici aziendali non avevano mai obiettato. Sono tranquillo e ho la coscienza a posto. Vicenda già chiarita". Zavoli: "Interpellerò Vigilanza".


ROMA - Rischia di finire a processo per le spese dissennate con la carta di credito della Rai, il direttore del Tg1 Augusto Minzolini: il procuratore aggiunto di Roma, Alberto Caperna, ha chiesto il rinvio a giudizio con l'accusa di peculato 1. "Tenendo conto come vanno le cose in questo Paese e che l'esposto da cui nasce la vicenda porta la firma dell'ex pm Antonio Di Pietro, me lo aspettavo", ha commentato Augusto Minzolini. "Io comunque sono tranquillo e ho la coscienza a posto su una vicenda che ho già chiarito con l'azienda", ha detto.

La Procura di Roma contesta al direttore del Tg1 di aver speso circa 65 mila euro in 14 mesi con la carta di credito aziendale. L'intera somma è stata comunque restituita. Ma alla procura di Roma, che qualche giorno fa, durante una perquisizione per la vicenda della causa civile con Tiziana Ferrario 2, Minzolini ha accusato di accanimento contro di lui, non interessa che quei soldi siano poi stati restituiti. Quello che conta è che quelle spese pazze di denaro pubblico tra il luglio 2009 e l'ottobre 2010, anche se di rappresentanza, non sono giustificate.

Nel corso dell'interrogatorio che si era svolto nel luglio scorso, Augusto Minzolini si era infatti difeso sostenendo si fosse trattato di spese di rappresentanza e, comunque, senza che i vertici aziendali avessero mai obiettato qualcosa.
Per la procura di Roma l'accusa è comunque sufficiente a far sedere il 'direttorissimo' sul banco degli imputati. Ora toccherà al gip decidere.

Contro Minzolini il clima è sempre più rovente. Isolato dai vertici dell'azienda 3, in rotta di collisione con Zavoli, il "direttorissimo" viene dato in uscita dalla tv pubblica. Con una sola controindicazione non da poco: Berlusconi gli ha detto di resistere, così come fa lui a Palazzo Chigi. Ora che la richiesta del pm è stata accolta la Rai dovrebbe costituirsi parte civile e la sospensione del direttore non sarebbe automatica ma naturale.

Non basta. Incombe anche la Vigilanza Rai che, come ha ribadito il suo presidente Sergio Zavoli, non può essere estranea alla vicenda dopo la richiesta di dimissioni di Minzolini avanzata dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. "Interpellerò i capigruppo della Commissione al fine di corrispondere, e con quali modalità, agli interrogativi di carattere istituzionale che si pongono alla Rai", ha detto Zavoli richiamando l'appello alla responsabilità del presidente Napolitano.

Il presidente della Camera ha chiesto le dimissioni di Minzolini dopo un servizio trasmesso nell'edizione di ieri sera sul suo ruolo istituzionale. "All'auspicio più volte manifestato dal presidente Napolitano perché ci si faccia tutti consapevoli - ciascuno nel proprio ambito - dell'esigenza di affrontare con una speciale responsabilità la difficile congiuntura che attraversa il Paese non può restare estranea la sensibilità di una bicamerale cui spetta, per statuto, di esercitare indirizzo e vigilanza sull'agire del servizio pubblico radiotelevisivo".

A febbraio scorso la Corte dei Conti aveva aperto un'istruttoria 4 sui rimborsi spese del direttore del Tg1. Minzolini aveva sottolineato come si trattasse, anche in quell'occasione, di un "atto dovuto" della Corte, "probabilmente sollecitata" da un esposto del consigliere Rizzo Nervo su "fatti inconsistenti". Rizzo Nervo aveva smentito l'esposto 5, ma da lui era partita, lo scorso 7 dicembre, una lettera indirizzata al direttore generale Mauro Masi in cui si chiedevano chiarimenti sulle spese rimborsate a Minzolini, mentre l'Usigrai chiedeva l'intervento della magistratura 6.

Il direttore generale aveva "assolto" Minzolini 7 in una lettera di risposta a Rizzo Nervo, in cui giudicava le spese addebitate nel periodo agosto 2009-settembre 2010 sulla carta di credito della Rai in uso al direttore del Tg1, "una sorta di benefit compensativo" e affermando di ritenere chiuso il caso. La compensazione, aveva spiegato Minzolini, per concedere l'esclusiva della sua firma al Tg1 interrompendo la collaborazione con Panorama. Ma proprio la lettera di Masi aveva aperto nuovi interrogativi. Il dg, infatti, era sceso in dettagli svelando particolari del contratto di Minzolini e delle sue trasferte. Dettagli che, secondo Rizzo Nervo, configurerebbero l'ipotesi di reati fiscali, come aveva scritto nella lettera spedita a inizio febbraio al presidente Paolo Garimberti per discutere il caso in Cda.

La Direzione generale aveva avviato approfondimenti e in Cda aveva indicato che tutto quanto si doveva fare era stato fatto. In Cda Rai, la vicenda era stata seguita anche da Luciano Calamaro, delegato della Corte dei conti incaricato di controllare la gestione finanziaria dell'azienda. Allora la reazione del direttore del Tg1 alla notizia del suo nome nel registro degli indagati era stata dura. "E' l'ennesimo attacco in quel delta del Mekong che è la Rai - aveva detto il direttore del Tg1 -. Dopo l'inchiesta della procura di Trani, le polemiche dell'Usigrai, le iniziative dell'Agcom è arrivato il turno della procura di Roma".


Perché Berlusconi non può andarsene. - di Bruno Tinti



Il Rendiconto dello Stato è un bilancio: abbiamo speso tanto e abbiamo incassato tanto; lo mostriamo ai concittadini, i soci della Repubblica italiana. Come tutti i bilanci, può essere veritiero o falsificato. E, come tutti sappiamo, il presidente del Consiglio dei ministri è uno che ha commesso il reato di falso in bilancio, ma che non è finito in prigione avendo fatto emanare a un Parlamento schiavizzato una legge apposita che ha obbligato la magistratura ad assolverlo “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.

Questa circostanza potrebbe indurre a pensare che la mancata approvazione del Rendiconto sia dovuta alla constatazione che era falso; ma credo che nemmeno B. oserebbe (mah?). Sicché la sfiducia non è stata votata contro il Rendiconto, ma contro il governo che lo ha redatto. E comunque, siccome non ci sono altre possibilità, la conseguenza non può che essere: andatevene; perché avete falsificato il Rendiconto o perché non avete più la possibilità di governare il Paese.

Invece B. non se ne va e richiede una prova d’appello: votiamo di nuovo. Come i bambini che, quando perdono a rubamazzetto, strillano “non vale” e vogliono ricominciare. Che non se ne vada è abbastanza normale, dal suo punto di vista. Se se ne va perde il controllo del Parlamento. E quindi il controllo dell’agenda del Parlamento. E quindi non può far approvare le “sue” leggi, la bavaglio, il processo breve, il processo lungo, la prescrizione breve e le altre che di volta in volta si rendessero necessarie per evitargli la prigione. Se se ne va, non solo sarà dichiarato ufficialmente ancora una volta delinquente; ma correrebbe il rischio serio di finire in prigione. Confesso che attendo con curiosità cosa si inventerà se e quando il Parlamento voterà (per la seconda volta) la sfiducia.

La hybris (che significa tracotanza cui consegue senza fallo la nemesis, la vendetta degli dei) ha toccato il vertice nel discorso di giovedì. Luoghi comuni inutilmente indirizzati a un pubblico di schiavi e di comprati; con qualche storico curioso deciso a vivere di persona il crepuscolo di B. Discorso inutile: gli schiavi si sono resi tali volontariamente; sanno che, se B. cade, finiranno in prigione o a lavorare perché nessun altro partito li vorrà (mah?). E i comprati al massimo chiederanno di essere comprati un’altra volta. A che pro sprecare fiato? Bastavano ordini e promesse; come sempre, del resto. Un cerimoniale inutile e dannoso: per l’immagine di B. e, naturalmente, del Paese.

Sui contenuti non è possibile dire nulla. B. ha parlato solo degli affari suoi: l’infortunio, il complotto, la magistratura politicizzata, il repertorio recitato ormai a memoria e archiviato dagli sfortunati precettati con il consueto “ah, già”. Della crisi economica, della imminente bancarotta del Paese, dei problemi della sanità, della giustizia, dell’istruzione, della ricerca, dei rifiuti, dell’energia, della criminalità, manco una parola. Anzi tre: “Supereremo la paralisi e la sfiducia”.

Che, per puro caso, potrebbe succedere veramente: se finalmente se ne andasse e il Paese fosse guidato da gente che non passa le sue giornate a cercare di non finire in prigione per i molti reati commessi. Se poi B. in prigione finalmente ci finisse, ancora di più potremmo essere ottimisti: pensate al rating dell’Italia con la certezza di non vedere più B. a Palazzo Chigi.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/14/perche-berlusconi-non-puo-andarsene/163758/

Camera, fiducia a rischio.




Caccia all'ultimo voto nell'aula di Montecitorio. Berlusconi:

"Non so se avremo 316 voti, l'importante è battere la sinistra. 

Due deputati di Scajola non voteranno. Responsabili: Sardelli 

diserterà l'aula e Pippo Gianni: "Potrebbero esserci sorprese"


Rischio fiducia per il governo Berlusconi, che deve verificare alla Camera la solidità della propria maggioranza. Un passaggio obbligatorio dopo la bocciatura del il passo falso sul rendiconto finanziario lo scorso martedì. Ieri, giovedì Silvio Berlusconi è intervenuto alla Camera con un intervento insolitamente corto. Ad ascoltare solo mezzo emiciclo: i deputati dell'opposizione avevano lasciato l'aula. Ora i vertici del Pdl sono alla frenetica ricerca degli ultimi indecisi: l'obiettivo è raggiungere almeno quota 316 deputati. Un obiettivo sul quale non è sicuro neanche lo stesso Berlusconi, che lasciando l'aula a chi gli chiede se verrà raggiunto risponde: "Non lo so". "L'importante è che vinciamo sulla sinistra che ha inscenato questa farsa delle assenze" conclude.

Pippo Gianni: "Potrebbero esserci sorprese"
 - Santo Versace, che ha già lasciato il partito, ha fatto sapere che non parteciperà al voto, così come non lo farà l'ex sindaco di Padova Giustina Mistrello Destro. Ad astenersi sarà anche Fabio Gava, deputato considerato vicino a Claudio Scajola.  Tra i più delusi nelle file di Scajola c'è Roberto Antonione:  voterà a favore, dopo aver sentito ieri al telefono il  premier Silvio Berlusconi. Al Cavaliere l'ex coordinatore nazionale di Fi ha promesso pieno sostegno, ma nello stesso tempo ha chiesto un  repentino cambio di passo, perché così non si può andare avanti. Pippo Gianni, deputato di 'Pt', conferma il clima di incertezza: "Potrebbero esserci sorprese". Luciano Sardelli, deputato dei Responsabili, ha annunciato che non voterà la fiducia e aggiunge: "Il premier non ha i numeri. Gli ho suggerito di andare al Colle  inaugurando così una nuova fase". Rispetto all'assenza di due deputati a lui vicini, Scajola dice: "Lo so e mi dispiace. Sono portatori di istanze di grande cambiamento". 

Gli interventi in aula - Il dibattito in aula non è stato particolarmente lungo. I partiti dell'opposizione non hanno partecipato e sono intervenuti soltanto i capigruppo della maggioranza. Il primo a intervenire in aula è il Responsabile Silvano Moffa, che ha ribadito che "qui non c'è nessun baratto del voto; se c'è, sta da qualche altra parte. Da parte nostra c'è solo senso di responsabilità e la indicazioni di posizioni politiche comuni a fronte dell'inconcludenza dell'opposizione". "Ritieniamo che l'assenza dell'opposizione dall'Aula leda la dignità delle Istituzioni. Non è vero che questo governo non ha fatto nulla, ha fatto il possibile".
Secondo a intervenire è Marco Reguzzoni, della Lega Nord che conferma il sì alla fiducia al
governo ma chiede al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi un forte impegno a portare a termine le riforme istituzionali, a partire dal disegno di legge Calderoli-Bossi. 
Ha chiuso Fabrizio Cicchitto, secondo cui "senza la fiducia l'unica strada sono le elezioni. Non esiste un governo di transizione, fondato su un'intesa tra il Pdl, il Pd e le altre forze politiche, perché ci sono differenze profonde sia dal punto di vista politico sia programmatico".

Guarda anche:
Fiducia: la conta dei voti
Berlusconi chiede la fiducia. E Bossi sbadiglia. IL VIDEO
Gli sbadigli nella storia. FOTO
Le immagini della Camera semi-vuota
La protesta dei Verdi davanti a Montecitorio. FOTO



http://tg24.sky.it/tg24/politica/2011/10/14/governo_fiducia_silvio_berlusconi_deputati_video.html

Scontro Palma-Anm su capo '007' ministero. - di Silvia Barocci




Lepore: 'A ispettori daremo caffe''.


Il pericolo che l'attivita' degli ispettori da lui inviati a Napoli e Bari vada a collidere con le inchieste giudiziarie, il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma lo esclude categoricamente: ''Non essendoci processi in corso, non c'e' nessuna possibilita' di interferenze'', replica di buon mattino dai microfoni di Radio 24. Senza immaginare che, di li' a qualche ora, l'Associazione nazionale magistrati avrebbe mosso l'affondo contro il capo degli ispettori ministeriali, Arcibaldo Miller, il cui nome compare nelle carte dell'inchiesta romana sulla P3.
E' sera, infatti, quando il sindacato delle toghe annuncia di aver avviato un procedimento disciplinare a carico di Miller, che come il magistrato-parlamentare Alfonso Papa, finito in galera per l'inchiesta P4, rischia ora di essere cancellato dalla lista degli iscritti all'Anm. Palma va su tutte le furie. In una dichiarazione all'ANSA non manca di far notare la ''smisurata attenzione'' riservata a Miller a distanza di pochi giorni dalla sua decisione di mandare gli ispettori nelle procure che hanno avuto a che fare con le indagini sul giro di escort portate da Gianpaolo Tarantini nelle residenze del premier Silvio Berlusconi. Appena il giorno dopo - rileva il ministro - il Csm ha fatto sapere di stare valutando l'ipotesi di revocare il collocamento fuori ruolo di Miller.
Passati tre giorni si muove il sindacato delle 'toghe'. ''Se non avessi gia' presentato le mie dimissioni dall'ordine giudiziario - attacca Nitto Palma, ex pm a Roma - comunicherei oggi stesso la revoca della mia iscrizione all'Anm''. ''Sara' senz'altro una coincidenza, ma mi chiedo come mai non sia stata adottata tale iniziativa in tempi precedenti, se si vuole anche il giorno dopo che il procuratore generale della suprema Corte di Cassazione ha archiviato il procedimento disciplinare nei confronti di Miller, affermando l'inesistenza di qualsivoglia tipo di illecito disciplinare''. In un clima cosi' surriscaldato, gli ispettori arriveranno a Napoli tra lunedi' e martedi' della prossima settimana. Il procuratore capo Giovandomenico Lepore, che nei giorni scorsi aveva denunciato il tentativo di delegittimare i magistrati che ''toccano i fili'' della politica, si dice ora disponibile a dare la sua collaborazione agli ispettori e anche ad ''offrire loro un caffe'''.
Ne' a Napoli ne' a Bari, in ogni caso, si rechera' Miller in persona. Andra' il suo numero due, Gianfranco Mantelli, affiancato da due distinte squadre di ispettori. Anche su Lepore il ministro non risparmia una stoccata polemica: ''ho l'impressione che il procuratore Lepore esageri'' anche perche' - osserva - ''le indagini che lui ha compiuto mi pare che non abbiano avuto grandi apprezzamenti a Bari, dove il Pm ha addirittura richiesto la revoca del provvedimento cautelare nei confronti di Lavitola''. Ma quella richiesta di revoca, di li' a poche ore, sara' respinta dal gip di Bari Sergio Di Paola: Lavitola, latitante all'estero, deve essere arrestato perche' - sostiene il giudice - sono gravi gli indizi di colpevolezza a suo carico per il reato di induzione a mentire.

Perché Berlusconi non si dimetterà mai. - di Gianfranco Mascia



Siamo in un momento importante per la nostra democrazia. Questa maggioranza è alla frutta, ma è ancora pericolosa. I suoi colpi di coda sono imprevedibili e, statene certi, B. non si dimetterà mai e, se lo costringeranno, prima di andarsene farà di tutto per salvaguardarsi il c…. Sa troppo bene che se cade le porte dei tribunali dei suoi processi  si spalancheranno e non ci sarà leggina o decreto urgente che potrà salvarlo.

Il video sotto, tratto dal film collettivo Signore e signori, buonanotte, è drammaticamente attuale. In particolare lo sono gli “incontri a Montecitorio” del  reporter del Tg3 (anche se nel 1976 non esiteva ancora la testata giornalistica della Rai) con il ministro indagato immortalato mentre risponde che non si dimette “per combattere la mia battaglia da una posizione di privilegio [perché] dal mio posto posso agevolmente controllare l’inchiesta, inquinare le prove,  corrompere i testimoni…”. Risponde un Mastroianni/giornalista: “Ma non è irregolare?” e lui: “No giovanotto, io le leggi le rispetto e soprattutto la legge del più forte.

Per questo B. non si dimetterà. Ma noi possiamo cacciarlo e spiegare le nostre ragioni.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/14/perche-berlusconi-non-si-dimettera-mai/163637/

Regione Sicilia, marito promuove la moglie Diecimila euro al mese in più di stipendio. - di Giuseppe Lo Bianco




Luisa Paladino, a capo del Polo museale di Catania è stata promossa a numero uno dell'Unità operativa per i beni storici-artistici alla Soprintendenza etnea. A firmare lo scatto, il marito a sua volta guida del dipartimento dei Beni culturali. La denuncia arriva dai Cobas. Ma la famiglia Campo non è nuova a questi exploit visto che la figlia 27enne è già dirigente della Regione a Bruxelles.

Il simbolo della Regione Sicilia
Il marito, Gesualdo Campo, guida il dipartimento dei Beni culturali della Regione Sicilia, la moglieLuisa Paladino, da dirigente del Polo museale di Catania è stata promossa a capo dell’Unità operativa per i beni storici-artistici alla Soprintendenza etnea: una promozione che ha fatto schizzare in alto la sua busta paga, da 5.164 a 15.494 euro di sola indennità aggiuntiva. E da chi è stata promossa? Dal marito stesso, che con un tratto di penna ha proiettato in alto la carriera della moglie.

Miracoli della burocrazia siciliana che sembra non temere i tempi delle vacche magre annunciati dal governatore Raffaele Lombardo e resta sorda ad ogni appello anti-sprechi lanciato dal presidente della Regione. In nome del ‘’tengo famiglia’’, la busta paga lievita anche a dispetto delle regole: a Palermo, infatti, alla dirigente dell’unità operativa per i beni storici artistici, Campo ha concesso un’indennità pari a 10mila e 800 euro; alla moglie, a Catania, invece, per lo stesso identico tipo di responsabilità, l’importo è di 15mila 494 euro, ‘’ovvero – sottolineano i Cobas, che hanno denunciato il caso – la cifra massima assegnabile a un’unità operativa nella Regione siciliana: comunque, circa il 50% in più dell’importo corrisposto alla collega palermitana”. E ‘’visto il grado di parentela della dirigente catanese con Gesualdo Campo – prosegue il sindacato – sembrerebbe che nessuno si sia preoccupato che ciò possa avere assunto il profilo del cattivo gusto, della mancanza di bon ton istituzionale e, chissà, dell’eccesso di onnipotenza e di danno all’immagine della pubblica amministrazione”. Ecco perché i Cobas segnalano a Lombardo,’’ come da lui stesso richiesto’’ questa storia ‘’per inserirla nel suo blog nel rispetto di una corretta e completa informazione a tutti i cittadini’’.

Del resto, per i colleghi e per il sindacato non è stata una sorpresa l’exploit della famiglia Campo, che nel luglio scorso aveva piazzato a Bruxelles la figlia Giordana, 27 anni, e già dirigente, con una vera e propria “chiamata diretta” per un contratto da funzionario direttivo che ricalca quello utilizzato per i componenti degli Uffici di gabinetto. Giovane, dirigente e con un incarico di tutta comodità: gli uffici della Regione siciliana a Bruxelles non brillano, infatti, per particolare produttività, se Lombardo, nella delibera 161 del 21 giugno, ha sentito il bisogno di specificare che ‘’l’indennità di trasferta ai dipendenti di ruolo verrà corrisposta solo in caso di effettiva presenza nella sede belga’’, dalla quale, evidentemente, in molti, tra gli impiegati, si tenevano alla larga.



Primarie subito. - di Paolo Flores d'Arcais








Due zombie tengono sequestrato il Paese. Berlusconi Bossi stanno costringendo l’Italia allo sfacelo, pur di non cedere il potere nemmeno ai propri complici di ogni omertà (il famoso “passo indietro”). Che si tratti di due zombie è ormai certo al di là dell’idiomatico “ragionevole dubbio”. Nessun voto di fiducia cambierà questa realtà, se un governo può finire in minoranza ogni giorno perché uno Scilipoti si ritiene non sufficientemente ripagato e un Tremonti adulato. Ma i due zombie, proprio perché ormai politicamente dei “morti viventi”, possono procurare al paese ulteriori sciagure, visto che istituzionalmente sembra impossibile fermarli.

Tra un paio di settimane il Parlamento assisterà all’ennesimo scempio: una maggioranza di lacchè che manda al macero migliaia di processi (denegando giustizia a migliaia di vittime e familiari) pur di salvare lo zombie di Arcore dalla condanna che lo aspetta nel processo Mills. Non possiamo immaginare che il presidente della Repubblica firmerà una legge che della legge fa strame, ci sentiremmo offensivi solo a pensarlo, ma proprio questa è invece la “road map” di Berlusconi: impunità nei processi in corso, crisi “amica” a gennaio e voto a marzo con la legge elettorale “porcata”. Sembra inaudito che a dettare l’agenda politica possano essere ancora l’amico di Putin e il suo compare “ditomedio”, ma i frondisti democristiani e leghisti, e le loro sussurrate minacce, hanno credibilità e consistenza ameboidi.

Sarà bene prepararsi, perciò, perché marzo è vicinissimo. Berlusconi ha già “in pectore” “Forza Silvio”, dove troveranno posto solo troiette e prosseneti, ma soprattutto criminali e piduisti. Bossi farà piazza pulita di chi non abbia i requisiti dell’uomo vichiano “tutto stupore e ferocia”. La società padronale ha già i suoi Montezemoli e Marcegaglie e Della Valle in pole position. E l’opposizione democratica? Il Pd nel giro di un paio di settimane dispiega la sua opulenza con i raduni concorrenziali dei veltroniani, degli ex-rottamatori soft (Civati e Serracchiani), dei diversamente berluschini (Matteo Renzi), dei succubi di Bagnasco (in ritiro bipartisan a Todi). Un orizzonte dimasochismo che lascia sgomenti.

Bersani, Di Pietro e Vendola devono perciò convocare – ora, subito – le primarie per gennaio, altrimenti a gennaio, quando il caimano aprirà la sua crisi, D’Alema ci dirà che è troppo tardi. Primarie vere, cioè primarie aperte – senza condizioni – ai candidati della società civile. Che questa volta non starà a guardare, si spera.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/13/primarie-subito/163451/