lunedì 17 ottobre 2011

PROCREAZIONE, SCOPERTO "INTERRUTTORE" NATURALE FERTILITA'.



(AGI) - Londra, 17 ott. - Alcuni scienziati hanno scoperto un enzima che agisce come "interruttore" della fertilita' femminile e ritengono che questa scoperta possa essere utile nella cura dell'infertilita' e nella prevenzione degli aborti spontanei, oltre che per lo sviluppo di nuovi anticoncezionali.
I ricercatori dell'Imperial College London, autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine Sunday, hanno scoperto che livelli alti di una proteina chiamata SGK1 sono legati all'infertilita', mentre livelli bassi di questo enzima aumentano il rischio di aborto spontaneo.



http://www.agi.it/salute/notizie/201110171233-hpg-rsa1008-procreazione_scoperto_interruttore_naturale_fertilita

Crisi, finanza e lavoro: tutte le politiche che si possono fare.



Il sistema che ha portato alla crisi è un “surrogato del capitalismo” fondato sull’ideologia del libero mercato. Le risposte che sono state date alla crisi hanno cambiato assai poco, il sistema resta fondamentalmente ingiusto. Ma ci sono politiche economiche che possono cambiare le cose, aumentare l’uguaglianza, l’occupazione e i salari

di  
Joseph Stiglitz, da sbilanciamoci.info

Forme diverse di economia di mercato esistevano anche prima della crisi attuale, e ad esse erano associati differenti modelli di policy. Per molti aspetti il “modello nordico” – quello dei paesi del Nord Europa – è riuscito a ottenere nel lungo periodo risultati migliori rispetto ai modelli alternativi, incluso quello americano, e il dibattito di politica economica si è chiesto se il “modello nordico” potesse essere applicato a paesi con condizioni differenti: potrebbe funzionare anche altrove e portare ad alti livelli di innovazione per un lungo periodo di tempo?

La crisi ha messo in dubbio i punti di forza e di debolezza dei vari modelli, e i criteri con i quali valutiamo i quadri alternativi di policy. Alcuni paesi hanno resistito meglio di altri alla tempesta, altri hanno avuto gravi responsabilità nel crearla. Alcune politiche, a lungo difese dai mercati finanziari e dalle istituzioni finanziarie internazionali, hanno contribuito alla diffusione della crisi in tutto il mondo.

C’è stato un momento in cui ogni economista era diventato keynesiano e un altro in cui Alan Greenspan ha messo in dubbio la capacità dei mercati di autoregolarsi. Ora tutto questo è passato. I mercati finanziari stanno spingendo per un ritorno alle vecchie maniere e, visto l’elevato debito pubblico, per il consolidamento dei bilanci degli stati – il che quasi sempre significa tagliare i servizi essenziali per i lavoratori e le lavoratrici. In un mondo già segnato da alti livelli di disoccupazione, le politiche di austerità pretese dai mercati porteranno a livelli di disoccupazione anche maggiori; e questo, a sua volta, provocherà una pressione verso il basso sui salari. Ma i conservatori negli Usa hanno continuato con il loro ritornello: la colpa della crisi sarebbe del governo che ha facilitato l’acquisto della casa e che ha creato rigidità nei salari: se solo i lavoratori fossero “flessibili” nelle loro richieste salariali, potremmo rimettere il mondo al lavoro.

Ogni sistema economico deve essere giudicato in base alla sua capacità di garantire miglioramenti sostenibili di benessere al maggior numero di cittadini possibile: questo è il messaggio chiave della Commissione internazionale per la misurazione delle performance economiche e del progresso sociale. In anni recenti, il sistema economico americano non ha ottenuto buoni risultati, anche prima della crisi. La classe media americana ha visto il suo reddito ristagnare o diminuire. Oggi la maggior parte degli americani sta peggio di quanto non stesse un decennio fa – e il saldo non considera la crescente insicurezza dovuta al rischio di disoccupazione e di perdita della copertura sanitaria, viste le inadeguate protezioni sociali Usa.

La crescente disuguaglianza negli Usa e in molti altri paesi è legata – secondo una Commissione di esperti dell’Onu – all’insufficienza della domanda aggregata globale, che a sua volta è al centro della crisi attuale. In un certo senso, alle classi più povere degli Usa è stato detto di non preoccuparsi della diminuzione dei loro redditi, ma di mantenere i loro standard di vita prendendo a prestito del denaro. Questa politica ha funzionato nel breve periodo, ma era chiaramente insostenibile nel lungo. E sarà difficile ripristinare un robusto e sostenibile livello di consumi senza ridurre le disuguaglianze. Sfortunatamente, le pressioni verso il basso sui salari causate dalla disoccupazione ci portano su una strada opposta, uno degli aspetti che dimostrano che i mercati di per sè non sono stabili.

Per la stessa ragione, gli appelli a una maggiore flessibilità dei salari – che nascondono una riduzione dei salari per i più vulnerabili – finiranno per indebolire la domanda aggregata ed essere controproducenti. Queste richieste sono particolarmente insensate quando siamo di fronte ad una moltitudine di contratti di debito che non sono indicizzati. Salari più bassi renderanno più difficile per i lavoratori ripagare i loro debiti, aggravando il disagio sociale e aggravando l’agitazione di mercati finanziari già molto instabili.

Non sorprende che alcuni paesi con migliori sistemi di protezione sociale abbiano fatto meglio dei paesi che hanno sistemi inadeguati, anche quando hanno affrontato shock esterni decisamente più consistenti. Negli ultimi decenni le cosiddette riforme hanno avuto l’effetto involontario di indebolire gli stabilizzatori automatici dell’economia, diminuendo la sua capacità di recupero. La maggior parte dell’aumento del debito pubblico in molti paesi industrializzati all’indomani della crisi è il risultato del funzionamento di questi stabilizzatori automatici, e sarebbe un errore ridurli.

I conservatori sostengono che in questo momento i tagli alla spesa sono indispensabili, se gli Stati Uniti non vogliono ritrovarsi in una crisi analoga a quella di Grecia e Irlanda. L’Irlanda è andata incontro alla crisi soprattutto perché ha creduto nell’ortodossia del libero mercato: mercati finanziari senza controllo hanno portato ad un rigonfiamento del settore finanziario che ha messo a rischio l’intera economia; mentre i politici si vantavano della crescita (i cui benefici non erano diffusi uniformemente), hanno dato poca importanza ai rischi a cui stavano esponendo l’economia. La lezione fondamentale dell’esperienza irlandese – e di quella degli Usa – è che non è possibile basarsi su mercati incontrollati e autoregolamentati.

Il caso della Spagna fornisce una risposta a chi sostiene che tutto ciò che bisogna fare è rendere più rigidi i vincoli di Maastricht ed evitare che i governi possano aumentare i deficit pubblici. Prima della crisi, la Spagna era in surplus. Il governo spagnolo avevano riconosciuto che i mercati stavano producendo profonde distorsioni nell’economia, ma non ha avuto né il tempo né gli strumenti per intervenire: oggi la Spagna è in forte deficit, con il 20% di disoccupazione e il 40% di disoccupazione giovanile.

E’ singolare come economisti ragionevoli, quando viene assegnato loro il compito di ragionare sulle scelte politiche, perdano rapidamente i loro punti di riferimento. Quando guardano alla salute di un’impresa, considerano cash flow e bilancio, attività e passività. Ma quando passano ad analizzare i bilanci pubblici, si concentrano esclusivamente sulle passività. Non si può fare a meno di pensare che questa cecità sia di natura politica: riducendo il debito sperano di forzare (in tempi come questi) i tagli alla spesa sociale. C’è però una risposta economica più razionale: aumentare gli investimenti, anche se finanziati col debito, può migliorare la solidità complessiva di una nazione e anche ridurre il rapporto deficit/Pil nel medio termine. Per paesi come gli Stati Uniti, con investimenti che non vengono più realizzati da anni e con la possibilità di contrarre prestiti a tassi vicini allo zero, una politica di questo tipo avrebbe risultati positivi: le entrate fiscali aumenterebbero molto più degli interessi da pagare, portando a una riduzione del debito e un aumento del Pil. Con un numeratore inferiore e un denominatore più alto, la crescita economica diventa più sostenibile.

Queste sono politiche “a somma positiva”. Ci sono altre politiche che possono migliorare l’efficienza dell’economia e promuovere una crescita di lungo periodo. Costringere le imprese a pagare i costi che impongono all’ambiente significa eliminare un sussidio distorto, aumentando l’efficienza. Il benessere sociale è stato migliorato dall’introduzione della regolamentazione ambientale, che ha portato a un’aria più respirabile e un’acqua più sicura. Utilizzando incentivi di mercato – tassando le attività “cattive” invece delle “buone”, come il lavoro o i risparmi – è possibile generare reddito e allo stesso tempo aumentare l’efficienza. I titoli finanziari tossici americani hanno inquinato l’economia globale e imposto costi enormi sulle spalle di altri. Esiste un’ampia gamma di imposte sul settore finanziario – compresa la tassa sulle transazioni finanziarie – che potrebbero generare un ammontare considerevole di entrate fiscali e magari portare anche a un’economia più stabile. Allo stesso modo, tasse sui derivati del petrolio e sulle attività che provocano emissioni di carbonio potrebbero incrementare l’efficienza energetica dell’economia, fornendo al tempo stesso le risorse necessarie per ridurre il deficit pubblico.

Infine, ci sono politiche che comportano pesanti trade-off , in cui non tutti hanno benefici nel breve periodo. Se il consolidamento fiscale ci dev’essere, questo non dovrebbe pesare sulle spalle di chi ha sofferto per il malfunzionamento del sistema durante l’ultimo quarto di secolo, ma piuttosto sulle spalle di chi ha beneficiato di questo sistema. Negli Stati Uniti, per esempio, con circa un quarto dell’intero reddito nazionale che appartiene all’1% più ricco della popolazione, moderati incrementi delle tasse sul reddito, sui guadagni in conto capitale e sul patrimonio potrebbero portare grandi entrate fiscali senza compromettere lo standard di vita. Anche una piccola tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe far recuperare grandi risorse.

Il sistema economico è governato da un insieme di regole. Ogni insieme di regole favorisce alcuni giocatori alle spese di altri. E le regole influiscono sul funzionamento dell’intero sistema. Negli ultimi trent’anni, abbiamo cambiato molte regole in modo frammentario, sotto l’influenza di un’ideologia per la quale le regole migliori erano quelle che interferivano il meno possibile con i mercati. Questo, almeno, era ciò che sostenevano i loro difensori. Ma, nella pratica, il loro programma è stato ben diverso. La deregolamentazione, infatti, non ha portato a meno, ma a più interventi sul mercato: c’è stata una minore interferenza negli anni precedenti alla crisi, ma molti più interventi nel periodo successivo. Tutto ciò era prevedibile ed era stato previsto. Ciò che i sostenitori del cosiddetto “libero mercato” stavano creando era un sistema che ho chiamato un “surrogato del capitalismo”, il cui elemento essenziale è la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei guadagni. Questo “surrogato del capitalismo” è strettamente legato al capitalismo delle grandi imprese promosso da Bush e da Reagan. In alcuni casi non c’è trasparenza su chi finisce per pagare i regali fatti alle imprese: alla fine, naturalmente, a pagare sono i cittadini – come consumatori o contribuenti – spesso in modi che non sono facili da riconoscere, per esempio, attraverso la tassazione o l’aumento dei prezzi dei beni acquistati.

Alcune delle modifiche alla legislazione durante gli anni di Bush hanno colpito le persone più vulnerabili. Le norme che hanno reso la vita più difficile alle persone più indebitate – insieme alla mancanza di limiti ai tassi da usura che le banche potevano applicare – hanno reintrodotto negli Stati Uniti vincoli di servitù. Questo ha permesso alle banche di essere più avventate nel concedere prestiti, sapendo che esse avevano una maggiore possibilità di vederseli restituiti, con interessi, non importa quanto oltraggioso fosse il contratto. Si poteva sperare che scrupoli morali potessero prevenire il verificarsi di queste diffuse pratiche predatorie, ma l’avidità ha trionfato; con i regolatori del mercato che andavano a braccetto con le banche o erano accecati dall’ideologia del libero mercato, non c’è stato alcun controllo su tali pratiche abusive. Le banche avevano scoperto che c’era del denaro alla base della piramide sociale e hanno creato tecniche, e un sistema legale, per farlo muovere verso l’alto. Nessuno, guardando a ciò che è accaduto, direbbe che queste transazioni “volontarie” ma spesso ingannevoli hanno accresciuto il benessere di quelli che stavano alla base della piramide. Alla fine, a farne le spese è stato tutto il sistema mondiale.

Quattro anni dopo l’esplosione della bolla speculativa americana sul mercato mobiliare, che ha trascinato nel baratro l’economia globale, il prezzo di questi misfatti non è ancora stato pagato del tutto. La produzione rimane ben al di sotto del suo potenziale in molti paesi industrializzati, con perdite misurate nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari. A queste vanno sommate le perdite dovute alla cattiva allocazione del capitale da parte del settore finanziario e alla cattiva gestione del rischio prima della crisi. A parte i periodi di guerra, nessun governo è stato mai responsabile di perdite cosi ingenti come quelle causate dalla condotta del settore finanziario. E tuttavia, quattro anni dopo, le regole del gioco, le regolamentazioni che il governo impone alle banche, devono ancora essere cambiate. Gli incentivi al rischio e alla speculazione di breve periodo rimangono; il problema dell’azzardo morale posto dalle banche “troppo grandi per fallire” si è aggravato, non si è ridotto. In alcune aree ci sono stati miglioramenti, ma anche in questi casi le leggi rimangono piene di esenzioni ed eccezioni, basate non su ragioni economiche ma sul bruto potere delle lobby.

Ogni società si fonda su un senso di coesione sociale e di fiducia, sul senso di equità. Non dovremmo sottovalutare le conseguenze che la crisi – e il modo in cui è stata affrontata – hanno avuto nello spezzare il contratto sociale e tutti quegli elementi che garantiscono il corretto funzionamento di una società. Che i banchieri abbiano perso la fiducia dei loro clienti è ovvio; una banca che aveva attuato pratiche ingannevoli ha semplicemente sostenuto che prendere precauzioni era responsabilità di altri; le banche di cui ci si possa fidare appartengono chiaramente al passato. La disuguaglianza viene di solito giustificata con il fatto che chi è pagato molto ha reso un maggiore contributo alla società, di cui tutti beneficiamo. Ma quando chi paga le tasse finanzia i bonus dell’ordine di milioni di dollari che vanno ai banchieri – che sono stati responsabili di perdite dell’ordine di miliardi di dollari per le loro aziende, e dell’ordine di migliaia di miliardi per la società – tutto questo non ha più alcun senso. Quando un esponente dell’amministrazione Obama ha annunciato il “doppio standard” – i lavoratori dovevano riscrivere i loro contratti per rendere le imprese dell’auto più competitive, ma i contratti dei banchieri erano sacrosanti e non potevano essere rivisti – anche questo ha mostrato che il sistema è fondamentalmente ingiusto, e che il governo, piuttosto che correggere le iniquità, vuole mantenerle.

Quel che è peggio, ai cittadini è stato chiesto di subire politiche di austerità, maggiore disoccupazione e tagli ai servizi pubblici per pagare i debiti provocati dal comportamento della finanza e in parte per proteggere gli azionisti e i possessori di titoli delle banche.

Un’economia non può funzionare senza la fiducia, e quando le banche insistono a voler tornare ai comportamenti di prima della crisi i cittadini sono giustamente scettici. La fiducia non tornerà fino a quando non saranno introdotte regole buone e rigide, fino a quando non verrà ristabilito un nuovo senso di equilibrio. Il settore finanziario dovrebbe servire l’economia – non viceversa. Abbiamo confuso i fini con i mezzi.

Oggi abbiamo le stesse risorse – in termini di capitale umano e fisico – che avevamo prima della crisi. Non c’è ragione per cui dovremmo aggiungere agli errori che ha fatto la finanza nella cattiva allocazione del capitale prima della crisi, l’ulteriore errore di sottoutilizzare le risorse della società dopo la crisi. La tecnologia moderna ha la capacità di accrescere il benessere di tutti i cittadini – e tuttavia in molti paesi – Stati Uniti inclusi – abbiamo creato un’economia in cui lamaggior parte dei cittadini peggiora la propria condizione anno dopo anno. Possiamo anche vantarci dell’aumento del Pil, ma cosa c’è di buono se quest’incremento non si trasforma in benefici per i comuni cittadini? Se la crescita economica non porta a più ampi miglioramenti del benessere? O se questi incrementi sono effimeri e non sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale?

Le sfide che i governi, le nostre società e le nostre economie devono affrontare sono enormi. Forse non siamo più sull’orlo del baratro in cui eravamo nell’autunno del 2008, ma non siamo ancora fuori dai guai. Anche se profitti, bonus e crescita sono tornati, non potremo cantare vittoria fino a quando la disoccupazione non sarà tornata ai livelli di prima della crisi, e fino a quando i redditi reali dei lavoratori non saranno aumentati e non avranno recuperato le perdite subite in questi anni. Possiamo farcela – ma solo se sapremo correggere gli errori del passato, cambiare direzione e tenere bene a mente quali sono i veri obiettivi per i quali dobbiamo batterci.

[Questo testo è apparso come prefazione al volume dell’Istituto Sindacale Europeo-ETUI Exiting from the crisis: towards a model of more equitable and sustainable growth (ETUI, 2011) scaricabile dal sito. Scritta prima del precipitare della crisi dell’estate, l’analisi di Stiglitz presenta le alternative di politica economica per affrontare la crisi]

Traduzione di Silvio Majorino



http://temi.repubblica.it/micromega-online/crisi-finanza-e-lavoro-tutte-le-politiche-che-si-possono-fare/

Berlusconi, telefonate shock a Lavitola "Facciamo fuori il tribunale di Milano"



Berlusconi, telefonate shock a Lavitola "Facciamo fuori il tribunale di Milano"


"Rivoluzione con milioni in piazza. Diamo l'assedio a Repubblica". E' l'autunno del 2009. Il premier parla con il direttore del'Avanti! di lodo Alfano, raccomandazioni alla Guardia di Finanza e soldi ai giornali

"Portiamo in piazza milioni di persone, facciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano, assediamo Repubblica: cose di questo genere, non c'è un'alternativa...". Parola di Silvio Berlusconi nell'ottobre 2009. Sì, proprio lui. Si sfoga al telefono con Valter Lavitola, il giornalista-faccendiere incredibilmente di casa a palazzo Grazioli. Questa è solo una delle migliaia di telefonate raccolte negli atti dell'inchiesta di Pescara sui fondi dell'Avanti. Sta in un cd depositato al processo. Intercettazioni ormai pubbliche quindi. Sorprendenti. Confermano il rapporto strettissimo tra il premier e Lavitola. Che, come dice lui stesso, lo accompagna abitualmente in aeroporto. In questa stretta relazione il Cavaliere rivela i suoi odi e le sue ossessioni: "La situazione oggi in Italia è la seguente: la gente non conta un cazzo... Il Parlamento non conta un cazzo... Siamo nelle mani dei giudici di sinistra, sia nel penale che nel civile, che si appoggiano aRepubblica e a tutti i giornali di sinistra, e alla stampa estera". Qual è, allora, la ricetta risolutiva del premier? "Facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera". Colloqui continui tra Lavitola e il premier, l'affannosa ricerca di non farsi intercettare, di beffare "il maresciallo" che ascolta.

La segretaria Marinella, pressata da Lavitola, gli dice "lasciami vivere" e "togli il fiato". Ma lui dà ordini su chi e come deve entrare dal Dottore. Parla con tutti i palazzi del potere, tutti gli rispondono, spesso con insofferenza e con fastidio, ma è evidente dai colloqui registrati che nessuno gli può dire di no. Sembra un plenipotenziario occulto, la cui frase preferita è: "Ne ho parlato con il capo".

ASCOLTA GLI AUDIO DELLE INTERCETTAZIONI

Dottore come va?
Male male

(20 ottobre 2009 ore 9.30)

Lavitola. "Buongiorno dottore come va?".

Berlusconi. "Male male... dimmi...".

L. "Quando ci riusciamo a vedere un minuto?".

B. "Venerdì".

L. "Venerdì ok, l'altra faccenda ancora sulla questione editoria... Ma prima... Quello lì che poi ha incontrato, è andato bene (il riferimento è al generale Spaziante, ndr.)? Perché ho avuto riscontri entusiastici...".

(...)

B. "Non conto niente... Che cosa vuoi che conti... Hai visto la Corte Costituzionale che ha detto che io sono esattamente come gli altri ministri... quindi non ho bisogno di tutele... Allora, parliamoci chiaro, la situazione oggi in Italia è la seguente: la gente non conta un cazzo... Il Parlamento non conta un cazzo... Siamo nelle mani dei giudici di sinistra, sia nel penale che nel civile, che appoggiandosi alla Repubblica e a tutti i giornali di sinistra, alla stampa estera...".

L. "Ci fanno un culo come una casa...".

B. "Poi quando in Parlamento decidono qualcosa che alla sinistra non va, interviene il presidente della Repubblica che intanto non te la fa fare prima... come quella delle intercettazioni... e poi passa tutto alla Consulta, che hanno occupato, e con undici giudici la bocciano. Berlusconi è sputtanato, tiranneggiato, se va in tribunale a chiedere giustizia perché gli hanno dato del buffone... Berlusconi va a Messina, lavora tutta la mattina per rifare le case, va in chiesa e sta tre ore in piedi con la gamba che gli fa male, di fronte alle bare. Abbraccia tutti coloro che deve abbracciare perché hanno perso i cari eccetera ... Poi dalla chiesa va alla sua macchina e ha quindici giovani da una parte e dall'altra che gli dicono "assassino", "buffone", "vergogna", "vai via" "vai a casa", e non succede niente. Vado da un avvocato e gli dico "vorrei denunciare questi qua" e l'avvocato mi dice "lei vuol perdere soldi e tempo". Poi quando Berlusconi aggredito dalla stampa non dico non fa querela, ma semplicemente chiede un danno per far capire a questi giornali che non possono andare avanti così, rivolgendosi in maniera disarmata a quella magistratura civile che gli è ostile e dicendo "se per caso trovo un giudice onesto e vinco, quello che porto a casa lo da ad un'istituzione benefica... ti dicono che non c'è la libertà di stampa, che lui è un dittatore e portano il Parlamento Europeo a discutere e a votare sulla libertà di stampa in Italia... tu capisci che siamo a una situazione per cui: o io lascio, cosa che può essere anche possibile e che dato che non sto bene sto pensando anche di fare, oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera... Portiamo in piazza milioni di persone, facciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano, assediamoRepubblica: cose di questo genere, non c'è un'alternativa...".

L. "Presidente, però se lei mi permette la prima opzione scordiamocela per due o tre motivi: uno, si distrugge il Paese, due a lei la fanno a fettine sottili come la... come si chiama lì ... la bresaola diventa una cosa doppia, e mica solo a lei, a tutti quelli che...".

B. "Ci vediamo venerdì, ciao".

L. "Un bacio, grazie, buon viaggio".

Viene Spaziante
non lo deve sapere Milanese

(14 ottobre 2009 alle 9.45)

Lavitola raccomanda il generale della Gdf Emilio Spaziante a Berlusconi. "Per fare il numero due, non il numero uno, la mediazione la sta facendo il ministro" diceva al telefono. Il premier lo incontra a Palazzo Grazioli, come dimostra la conversazione tra Lavitola e una Marinella spazientita per la richiesta di tenere nascosta la cosa a Milanese.

L. "Sono Valter".

M. "Sì, è arrivato tutto, gliel'ho già messo sul tavolo, gli ho detto che lo deve leggere prima dell'incontro".

L. "La freccia alata, ascolta, siccome il generale sta venendo lì tra un quarto d'ora, mica c'è pure Letta all'appuntamento?".

M."No, Letta non c'è forse".

L. "Gli mandi qualcuno giù per farlo salire alle sei meno cinque?".

M. "Ma dove, davanti o dietro?".

L. "No... secondo me è meglio anche dietro?".

M. "A piazza Grazioli".

L. "Ma Valentino c'è lì?".

M. (a un altro telefono) "Qualcuno può scendere a prendere il generale Spaziante?".

L. "Valentino, o coso, siccome ci sta un certo Marco Milanese che non deve sapere niente assolutamente, vedi se fai in modo che non lo veda proprio nessuno, ... i due assistenti, chi c'è dei due?".

M. "Ci sono tutti e due in giro, io non posso nascondere gli assistenti, Valter per piacere, o dirgli andate a casa...".

L. "Hai ragione, ma vedi se puoi farlo entrare senza farlo vedere".

M. "Allora non deve entrare da noi, ma di là, perché se entra di qua ci vede Betta, Valter... Valter è a posto, ho già dato indicazione alla scorta, hai detto dietro, ho detto dietro, ciao, oh, togli il fiato, ciao".

Un telefono tranquillo
per parlare con il Dottore

(21 ottobre 2009, alle 18)

Lavitola. "Salve, sono Lavitola, Marinella c'è?".

Segretario. "Un attimo...".

Marinella "Pronto, sì, ciao, dimmi".

L. "Avevamo detto di sentirci per sapere se tu sai il Dottore che fa".

M. "Rimane qua ad Arcore".

L. "E domani?".

M."Ad Arcore. Se chiami domani ci parli al telefono... dai".

L. "Allora ascolta un secondo, siccome mo' io sto andando dove gli avevo detto che andavo no... lui mi deve dare un orario preciso in cui io lo chiamo da un telefono tranquillo, così il mio maresciallo in ascolto non sa gli affari miei...".

Manda a Schifani
gli appunti per l'emendamento

(30 ottobre 2009 alle 9.38)

L. "Buongiorno sono Walter... c'è Marinella".

Segretario "Un attimo"

L. "Bella buondì".

M."Sì, dimmi".

L. "Sei riuscita a dargli quella cosa a Schifani?".

M. "No, no no assolutamente, io non l'ho ancora visto e non riesco ancora a vederlo".

L. "Marinè..., vedi che il fatto è urgente perché oggi questi devono dare il parere di legittimità. Tu l'hai vista pure quella cosa firmata dai giornali (lettera di protesta perché il governo vuole tagliare i fondi all'editoria, ndr.)?".

M. "Sì, vista, e... niente, adesso comunque si sta informando anche un'altra persona su sta cosa".

L. "Vedi se è Bonaiuti, senno non combiniamo un cazzo".

M. "È Bonaiuti, è Bonaiuti, perché è il suo settore per cui non possiamo scavalcarlo. Chiama Bonaiuti".

L. "Ma lascia stare Bonaiuti, Bonaiuti l'ho sentito, chiede al Dottore di mandare questa cosa da Schifani.. ti prego, perché è importante".

M. "Ciao...".

L."Non me lo puoi passare?".

M. "No, non te lo posso passare, non abbiamo ancora modo di parlargli...".

L. "Che fa, chiamo tra un po'?".

M. "Prova, ciao".

(richiama dopo pochi minuti)

L. "Scusi, sono di nuovo Walter. Marinella?".

M. "Pronto..."

L. "Bella... ci pensavo un secondo... senza far casini, senza disturbare lui più di tanto... se tu ti facessi autorizzare a mandare solo la copia di quell'emendamento a Schifani, con due righe, dicendo vedi se si può renderlo ammissibile, senza...".

M. "Io non la faccio se non mi dà l'ok il capo".

L. "Ma è ovvio... Mi fai sapere?".




http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/10/17/news/berlusconi_lavitola-23345546/?ref=HREA-1



Bavaglio agli indignati. Chi ha organizzato i violenti? Palazzo sfrontato, tagli alle polizie e spese per nuovi viceministri

www.italiainformazioni.com

Quando si commette un crimine, la prima domanda che si pongono gli inquirenti riguarda il movente: chi poteva avere interesse a commetterlo? Quel centinaio di delinquenti con il volto coperto che si sono infiltrati nei cortei pacifici di ragazzi venuti da ogni parte d’Italia – forse duecentomila – hanno messo in pericolo la vita dei poliziotti, usato violenza e provocato danni, , danneggiando vetrine, autovetture e negozi, hanno oscurato le ragioni della protesta. Televisione, radio, internet, carta stampata hanno riferito dei crimini commessi, della violenza gratuita e, in qualche caso, addebitato ai partecipanti, pacifici e “arrabbiati” i crimini.

Il risultato che quel centinaio di facinorosi hanno raggiunto, dunque, è chiaro come la luce del sole: ribaltare tutto quanto, non più una manifestazione di protesta, ma l’indignazione dell’opinione pubbliche che, quasi unanimemente, ha condannato gli episodi di violenza. E’ stato servito su un piatto d’argento un formidabile alibi ai Palazzi per “seppellire” le buone ragioni della manifestazione.



Il movente, dunque, dei delinquenti, considerando i risultati, non poteva che essere uno solo: impedire agli indignati di farsi vedere, ascoltare e manifestare. Sono i Palazzi, dunque, ad avere tratto vantaggio dalla cieca gratuita violenza, non le ragioni della manifestazione. E’ dunque da sospettare che una regia occulta e trinariciuta abbia fatto in modo che ciò avvenisse? Se così non fosse, dobbiamo trarne la convinzione che il branco di delinquenti sia formato da idioti che riescono a fare danno a se stessi ed agli altri, rendendo un servigio ai loro avversari.

Appena 24 ore prima, con una sfrontata ed indecente decisione il governo aveva premiato e nominato quattro deputati vice ministri e sottosegretari. Senza vergogna, una sfida a viso aperto al buonsenso, alla coscienza civile, ad un’Italia in ginocchio, schiacciata dalla crisi e costretta a pagare le conseguenze di buchi di bilancio e ruberie commessi da coloro che tengono il cordone della borsa.

Il branco ha fatto del male ai lavoratori delle polizie, a semplici cittadini, a centinaia di migliaia di cittadini che avrebbero voluto urlare la loro indignazione anche per questo becero modo di esercitare il potere.

C’è anche lo sconcerto per la facilità con cui è stato possibile mettere a ferro e fuoco la Capitale e tenerla sotto scacco per ore.
E’ avvenuto altre volte, sempre a Roma. Bande di teppisti riconducibili a tifoserie locali sono state protagoniste di violenze inaudite. E in ogni occasione a pagare, in prima linea, i poliziotti, mandati talvolta allo sbaraglio. Unica trincea dello Stato governato con becera arroganza. Quei quattro nuovi membri dell’esecutivo in carica sono solo un insulto incancellabile ed in qualche modo, una violenza perpetrata ai danni della società civile.

Black bloc e governo, sullo stesso piano? No, la violenza fisica non ha niente a che vedere con la violenza politica, ma le conseguenze di questa possono essere più gravi di quelle prodotte dalla delle bande di teppisti.



http://www.italiainformazioni.it/giornale/politica/133973/bavaglio-agli-indignati-organizzato-violenti-palazzo-sfrontato-tagli-alle-polizie-spese-nuovi-viceministri.htm

Come previsto. - di Antonio Padellaro.



Primo. Cinquecento (o forse meno) teppisti organizzati hanno distrutto la gigantesca e pacifica manifestazione degli Indignati e messo in ginocchio un intero movimento. Il corteo di duecentomila giovani e meno giovani giunti a Roma da tutta Italia e da tutta Europa è stato minato, disarticolato e infine disperso da bande di incappucciati che per cinque ore, praticamente indisturbati hanno tenuto in ostaggio una città, bruciato auto, distrutto banche, saccheggiato negozi, incendiato un blindato dei carabinieri mettendo alle corde forze di polizia numericamente superiori.

Chi sono questi professionisti della guerriglia? Da dove vengono? Chi li guida? Chi li paga? Il ministro Maroni parla di “violenza inaccettabile” ma è mai possibile che malgrado i ripetuti allarmi dell’ intelligence, l’orda abbia potuto agire indisturbata?

Secondo. Non era difficile prevedere che un’enorme concentrazione di popolo in cui confluivano decine di sigle sindacali e movimentiste, priva di un qualsiasi servizio d’ordine, abbandonata a un’improvvisata autogestione diventasse l’habitat ideale della guerriglia annunciata.

Abbiamo visto i manifestanti arrivare allo scontro fisico con i violenti, e perfino bloccarli e consegnarli alle forze dell’ordine. Ma, e lo diciamo agli organizzatori, bisognava pensarci prima. Non vorremmo davvero che la logica dei “compagni che sbagliano” abbia reso ciechi e sordi quanti avrebbero potuto impedire o comunque denunciare l’infiltrazione nel corteo dei manipoli teppisti. I quali hanno inferto al movimento un danno incalcolabile proprio mentre in altre 82 capitali la protesta si dispiegava forte e pacifica.

Terzo. Il governatore Draghi, bersaglio simbolo della protesta, ha usato parole sagge accogliendo le ragioni del 99 per cento costretto a pagare il conto dell’1 per cento, presentato dalla grande finanza mondiale. Ma nessuno poteva pensare che un altro 1 per cento, questa volta armato di spranghe avrebbe potuto fare qualcosa di peggio alla generazione degli indignati.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/16/come-previsto/164205/

domenica 16 ottobre 2011

Caritas: italiani sempre più poveri. In aumento i giovani che non studiano né lavorano




Nel nostro Paese sono 2,73 milioni le famiglie che vivono sotto la soglia dell'indigenza. Dal 2005 al 2010, in crescita del 60% gli under 35 che si rivolgono alle associazioni di volontariato.
La crisi economica cambia volto alla povertà. Anche in Italia, che si ritrova ogni anno che passa con meno risorse e più disperazione. Secondo il rapporto 2011 della Caritas (“Poveri di diritti”,Edizioni Il Mulino) sono 8,3 milioni i cittadini che vivono in povertà, pari al 13,8% della popolazione. Tra le fasce più colpite, le famiglie numerose, quelle con un solo genitore e i nuclei meridionali. Il dato che più colpisce, però, è un altro: in tempi di crisi economica la povertà sta cambiando volto, tanto che il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni.

In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, del resto il numero di giovani che si rivolgono alle associazioni di volontariato è aumentato del 59,6%. Il 76,1% di essi, inoltre, non studia e non lavora, percentuale che nel 2005 era del 70%. Il rapporto sarà presentato domani a Roma da Caritas Italiana e Fondazione Zancan, in occasione della Giornata mondiale contro la povertà, secondo cui l’Italia è ben lontana dal trovare una soluzione efficace alla piaga della povertà: se nel 2009 erano 7,8 milioni i poveri (13,1%), nel 2010 hanno raggiunto quota 8,3 milioni (13,8%). In totale, in Italia sono 2,73 milioni le famiglie povere.


Indignati: Ugl Polizia accusa Maroni.




«Grave sottovalutazione da parte del ministro degli Interni».









«Se i poliziotti distratti presso gli stadi per le partite di calcio fossero stati impiegati per la manifestazione, gli incidenti e i danni sarebbero stati sicuramente molto meno gravi». A parlare è il segretario generale dell'Ugl Polizia di Stato Valter Mazzetti riferendosi ai disordini di Roma, evidenziando la «grave sottovalutazione da parte di Maroni. Poichè da tempo si sapeva che il corteo degli indignati sarebbe stato imponente e che avrebbe potuto sfociare anche in violenze», ha detto Mazzatti.
TROPPA LEGGEREZZA DA PARTE DI MARONI. E ha poi aggiunto che «il ministro Maroni avrebbe dovuto sospendere le partite di calcio e impiegare nella manifestazione di Roma le forze dell'ordine lì distratte. Gli oltre 30 feriti al momento registrati, sono l'ennesimo tributo che le forze dell'ordine stanno pagando ai teppisti di professione che abbiamo già visto all'opera nelle scorse settimane in Val di Susa. Tuttavia, ancora una volta il personale impiegato ha dato dimostrazione di grande professionalità e di senso di responsabilità per aver saputo resistere alle innumerevoli ed indegne provocazioni dei facinorosi. I fatti di Roma» ha concluso Mazzetti «dimostrano che mentre il governo continua a tagliare i fondi e le risorse al comparto sicurezza e agli operatori, i poliziotti e gli altri appartenenti alle forze dell'ordine vengono costretti a fronteggiare violenti di tutti i tipi con mezzi e modalità operative palesemente inadeguati».