venerdì 20 aprile 2012

Diamanti consegnati a Mauro e Stiffoni. - di Francesca Brunati e Igor Greganti.




Diamanti consegnati a Mauro e Stiffoni.

Per la Procura di Milano e' ormai quasi certo che il vicepresidente del Senato Rosi Mauro e il senatore Piergiorgio Stiffoni abbiano ricevuto, lo scorso marzo, diamanti per 300 mila euro. Quel che resta da capire e' se quell'acquisto sia stato un investimento personale dei due parlamentari, come loro stessi sostengono, o se siano stati usati i soldi della Lega, come invece avrebbe fatto Francesco Belsito, l'ex tesoriere della Lega indagato e che sara' probabilmente presto convocato per un interrogatorio. Mentre spunta un presunto dossier sull'ex ministro Roberto Maroni confezionato da investigatori privati assoldati da Belsito, i pm milanesi stanno ancora sbrogliando la matassa del 'tesoro' della Lega. Se da un lato sono convinti che l'ex amministratore, ora espulso dal movimento, abbia prelevato dalle casse di via Bellerio i soldi per comprare gli 11 diamanti e i 10 lingotti d'oro, restituiti proprio ieri al Carroccio, dall'altro stanno accertando che fine abbia fatto il 'malloppo dai molti carati' che i due senatori, per gli inquirenti, hanno ritirato circa un mese fa. Rosi Mauro nei giorni scorsi ha ripetutamente smentito l'acquisto ''con i soldi della Lega''. E in serata in tv ha spiegato di aver ''comprato tante cose'' con ''i miei risparmi'', anche ''le case''. ''I miei 730 parlano - ha sottolineato - e sono pubblici come i miei investimenti''. Tra la messe di carte dell'inchiesta sequestrate dalla Guardia di Finanza, nel frattempo, e' stato individuato il certificato dell'avvenuta consegna dei diamanti - comprati dalla 'Intermarket Diamond Business' - firmato dalla 'ex pasionaria' della Lega e da Stiffoni. Centomila euro di investimento per la vicepresidente di Palazzo Madama e 200 mila euro per il senatore. Saranno pero' solo gli accertamenti in corso a dire se l'operazione sia stata effettuata con denaro dei due parlamentari o con i fondi del movimento. Cio' che e' stato accertato finora e' che i due hanno aperto ciascuno a gennaio un conto personale alla Banca Popolare di Novara, che a febbraio poi e' stata realizzata la compravendita attraverso quei conti accesi 'ad hoc' e che a marzo, stando ai documenti raccolti, i preziosi alla fine sono stati consegnati in sicurezza da un apposito corriere. Gli investigatori stanno verificando se ci siano stati passaggi di denaro, attraverso bonifici, da altri istituti di credito, in particolare dalla Banca Aletti, anche in assenza di segnalazioni in base alla normativa anti-riciclaggio.
Proprio su questo capitolo dell'inchiesta Piergiorgio Stiffoni anche oggi ha ripetuto di voler presentarsi il prima possibile al quarto piano del Palazzo di Giustizia milanese con documenti a riprova della sua versione: ''Incontrero' nelle prossime ore i magistrati che stanno indagando perche' venga fatta completa chiarezza''. In questi anni, ha aggiunto, ''ho avuto la possibilita' di risparmiare del denaro che, d'accordo con i miei familiari, e' stato oggetto di investimenti nello scorso mese''.
Intanto, secondo le anticipazioni di Panorama, Belsito avrebbe incaricato 007 privati per 'confezionare' un dossier sull'ex ministro dell'interno Roberto Maroni. Visure camerali e appunti scritti a mano, in particolare, su tre barche che, a dire dei 'segugi' dell'ex tesoriere, sarebbero riconducibili all'ex numero uno del Viminale: un catamarano e due motoscafi, il primo sarebbe intestato a una societa' di un presunto prestanome, mentre uno dei motoscafi sarebbe stato recentemente trasferito a Portorose in Slovenia. Un fatto questo che Maroni ha definito ''molto grave'', anche perche' ha assicurato: ''E' un dossier che io ho visto''. Non l'hanno ancora visto, invece, i pm di Milano titolari dell'indagine sui fondi della Lega, cosi' come non hanno ancora visto gli altri dossier che fonti ben informate del Carroccio sostengono siano stati redatti anche 'contro' i deputati 'maroniani' Gianluca Pini, Giovanni Fava e Fabio Rainieri. Al momento tra la documentazione esaminata dalla Gdf milanese risultano solo tracce di pagamenti a societa' di investigazione per le attivita' di bonifica da microspie di locali usati dal partito, cosa che in assoluto non e' anomala.
Non e' escluso pero' che, continuando a 'spulciare' nella mole enorme di carte trovate e custodite in maniera disordinata da Belsito, possano spuntare anche le pagine di questa presunta 'spy story' tutta interna alla Lega che per Rosi Mauro non esiste. ''Mai sentito parlare di dossieraggio, di spiate o altro''.

Calderoli sulla torre antica. Spunta un’altra casa romana, con piscina e vista sul Cupolone. - di Marco Lillo



Prima di trasferirsi nella mansarda da duemila euro al mese a carico della Lega, l'ex ministro usufruiva di una dimora storica ancora più lussuosa alla Balduina. Un'abitazione da 3-4 mila euro di canone, ma sulle cifre tutte le bocche restano cucite.

Quando si trattava di sbugiardare i contribuenti, l’allora ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli era implacabile: “Staneremo chi mente sulla prima casa”, dichiarava bellicoso nel gennaio 2011. Con un giornale che tentava di metterlo in difficoltà cercando la sua abitazione romana, piagnucolava: “Vivo in un appartamento in affitto di 65 metri quadrati, in periferia”. Sarà anche di 65 metri l’appartamento in questione ma si fatica a definirlo “in periferia” e soprattutto non è mai stato pagato da lui. Il Noe dei Carabinieri su delega della Procura di Napoli ha sentito il proprietario della casa sul Gianicolo e il signor P. C. ha dichiarato che il partito ha pagato per il “ministro con vista” ben 2 mila e 200 euro al mese in comode rate trimestrali da 6 mila e 600 euro, a partire dall’aprile 2010.
Siamo a due passi da Villa Sciarra, nel quartiere chic e sinistrorso di Monteverde Vecchio dove abitano Serena DandiniNanni Moretti e Nicola Piovani. I leghisti sono arrivati di recente e hanno evitato di pagare come i comuni mortali. Il viceministro Castelli era ricorso all’ente previdenziale degli agenti di commercio, l’Enasarco, per agguantare un affitto da 700 euro per 90 metri in via quattro venti. Sembrava uno scandalo: Castelli fu costretto a levare le tende da quell’angolo di Affittopoli grazie anche ai nostri articoli. Ma non era nulla a confronto di Calderoli, che ha ottenuto una casa molto più bella e pagata dalla Lega. A conferma del fatto che nel partito c’erano gli inquilini del cerchio magico e i “barbari paganti”, più che sognanti.

I carabinieri avevano intuito qualcosa. “Come minuziosamente descritto da Francesco Belsito in numerose intercettazioni telefoniche”, scriveva il Comandante del Nucleo Operativo del Noe,Pietro Raiola Pescarini, “rilevanti somme di denaro sono state utilizzate per sostenere esigenze personali e familiari, estranee alle finalità ed alle funzionalità del partito Lega Nord e a favore di:Bossi Umberto, (…..) Mauro Rosi, Calderoli Roberto”. L’intercettazione chiave era quella in cui si affrontava il capitolo dei soldi per Calderoli dopo avere parlato del milione di euro chiesto per la scuola cara ai Bossi: “e invece quelli (i soldi Ndr) di Cald (ndr, Calderoli) come faccio? Come li giustifico quelli?”.

Ora spunta la mansardina a carico del partito, un tetto su Roma, con vetrata ad angolo e vista mozzafiato più un terrazzo di venti metri quadrati, pagato dalla Lega. Sul citofono non c’è il nome dell’ex ministro ma quello del proprietario. L’ex ministro della semplificazione come un novello Nerone amava le fiamme per far fuori le pandette inutili ma non disdegnava la vista sui sette colli, a sbafo. Via Ugo Bassi è una strada poco leghista: termina con una scalinata che scende lievemente verso tre simboli della Roma più romantica: la scala di Righetto, Trastevere e Porta Portese. La casa non è enorme, dicono i vicini, una sessantina di metri quadrati coperti più la terrazza di venti metri. La vista però è impagabile.

“Mi si infanga per aver avuto in dotazione da parte del movimento una casa-ufficio dal costo di 2200 euro al mese, quando io ne verso mensilmente 3000 di euro alla Lega Nord’’, è il commento di Calderoli. “Da dieci anni svolgo l’incarico di coordinatore delle segreterie nazionali della Lega nord, che mi ha portato a lavorare quasi sette giorni alla settimana, feste, sabati e domeniche compresi, girando su tutto il territorio nazionale. Per anni il movimento mi ha riconosciuto solo un rimborso che è stato totalmente devoluto al movimento”.

Il Fatto ha scoperto però che Calderoli, prima di andare ad abitare al Gianicolo, viveva in una casa molto più bella e di valore: una torre antica sul colle della Balduina con piscina e parco a disposizione. Probabilmente per combattere meglio l’odiata Roma ladrona è bene guardare il nemico dall’alto. Se oggi l’ex ministro dal Gianicolo scorge in lontananza il Colosseo, dalla vecchia casa poteva quasi toccare il Cupolone. “La chiamano la ‘torre della luna’”, spiega l’inquilina che è subentrata nella torre, “si sviluppa su tre livelli. È molto romantica ma forse un po’ scomoda. La vista è unica. Calderoli abitava qui e poteva, come facciamo noi, usare la piscina. Non so quanto pagasse”.

VIDEO/2 – LA “TORRE DELLA LUNA”



La proprietaria, una nobildonna napoletana con accento britannico, abita nella villa accanto. Alla domanda del Fatto su chi pagasse (“la Lega o il ministro?”) replica: “Non ho intenzione di rispondere”. Certo è che Calderoli, nel suo comunicato relativo alla sola casa del Gianicolo abitata da due anni a questa parte, eccede ricordando che “da dieci anni svolgo l’incarico di coordinatore della segreteria”. Come a dire che anche il pagamento dell’affitto precedente per “la torre della luna” sarebbe giustificato.

La risposta di Calderoli, a leggerla in filigrana, legittima altre domande inquietanti anche sulla casa abitata da Umberto Bossi. Si tratta di un quinto piano su via Nomentana composto di sei vani catastali che dovrebbe superare di poco i 150 metri quadrati. È stato ristrutturato nel 2008 prima di essere affittato al leader della Lega. Il canone dovrebbe aggirarsi sui 3-4 mila euro, stando alle quotazioni della zona. Casa Bossi è di proprietà della Immobiliare Elma. Il Fatto ha chiesto al titolare, Guido Cespa chi pagasse l’affitto. La risposta è stata: “Non lo dico certamente a un giornalista. Se mi chiameranno i magistrati lo spiegherò a loro”.

Il Fatto ha girato le domande sulle case leghiste all’unica persona titolata a parlare in materia: il tesoriere del partito. Stefano Stefani, però, sui canoni della torre di Calderoli e sull’attico di Bossi replica: “A queste domande io non voglio rispondere”.



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Abolita Commissione per Olimpiadi a Roma. «È costata 80mila euro l'ora»


Il presidente del consiglio regionale del Lazio Mario Abbruzzese

Ok dal Consiglio Regionale del Lazio dopo due mesi dallo stop di Monti ai Giochi del 2020. I Radicali: 400 giorni per 3 sedute ufficiali sono costati 250mila euro.

ROMA - Alla fine è stata abolita. Ci hanno messo due mesi, ma alla fine ce l'hanno fatta: il Consiglio Regionale del Lazio ha dato l'ok all'abolizione della Commissione speciale denominata Olimpiadi e grandi eventi. Lo ha fatto sapere il presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, spiegando che «dopo aver acquisito il parere positivo disposto dalla commissione Affari Istituzionale e Statutari, l’Aula ha oggi approvato la proposta di legge che avevo presentato nei giorni scorsi per l’abolizione». Era «un passeggio obbligato quello di stabilire con legge questa abolizione», ha aggiunto Abbruzzese: «A questo punto mi auguro si possa mettere un punto a tutte le polemiche scaturite all’indomani della decisione del governo nazionale di non sostenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020».
COSTI ALTISSIMI - Ma la polemica invece continua. Perché i consiglieri regionali Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo Lista Bonino Pannella, Federalisti Europei fanno un po' di conti: «La commissione è vissuta per 400 giorni e 3 sedute ufficiali. Il suo costo è stato di 200.000 euro l’anno, possiamo stimare 250.000 euro dalla sua istituzione fino a oggi. Se calcolassimo per 60 minuti il tempo di ciascuna seduta, sapremmo che il costo di ciascun minuto di vita di questa commissione è stato di 1388 euro. Oltre 80 mila euro l’ora». E in una nota spiegano: «Come Radicali abbiamo tentato, da soli, al tempo della istituzione di questa e delle altre commissioni speciali di fermarla. Non ci fu consentito, neanche di approvare un emendamento che prevedesse lo scioglimento automatico della commissione qualora non fosse stata scelta Roma quale sede dei giochi. Ci saremmo risparmiati due mesi di altra inutile attesa e spreco».
LE ALTRE COMMISSIONI - «Ci auguriamo - concludono i Radicali - che le altre 19 commissioni residue vengano drasticamente e razionalmente ridotte; e che i soldi risparmiati a bilancio per questa commissione olimpiadi siano effettivamente utilizzati a servizio dei cittadini. Ci dicano ora come».

Assenteismo al Comune di Roma



Parla Monica Cirinnà. Sotto di lei, seduto, Alfredo Ferrari. Scranno centrale il presidente del consiglio comunale Marco Pomarici

Si discute una manovra da 730 milioni, vendono l'acqua pubblica, tagliano i fondi all'assistenza sociale e cultura, ma i consiglieri non ci sono.


ROMA - Comincia l'iter per l'approvazione del bilancio del Comune di Roma. Quando l'Assessore competente, Carmine Lamanda, illustra la relazione l'aula è vuota. La maggioranza non c'è, e neppure il Sindaco Alemanno. L'opposizione decide di sedersi fra il pubblico. Sembra che la cosa non interessi a nessuno eppure le cifre non sono rassicuranti e i consiglieri comunali, che rappresentano i cittadini romani, intascano di diaria circa 1500 euro al mese, e il loro gettone di presenza è comunque salvo perché la seduta era iniziata al mattino e all'appello hanno risposto in più di 30. Hanno chiamato la pausa per avere il tempo di leggere la relazione tecnica. Ma poi si sono dati alla fuga.
L'assessore Lamanda espone la relazione al bilancio: manca tutta la maggioranza
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LA MANOVRA - Secondo quanto dice Lamanda Roma dovrà affrontare una manovra d'aula di circa 730 milioni di euro a causa dei minori trasferimenti statali e regionali. E allora il comune punta a far cassa con le tasse, l'Imu su tutte, che si stima porterà 165,5 milioni dalla prima casa e 448,5 milioni dagli altri immobili. Ma non finisce qui: Lamanda parla di stipendi a rischio e difficoltà di cassa già a partire da settembre. E se gli stipendi non si possono pagare, allora, tutto è lecito, anche vendere un pezzo di Acea. Poi ci sono i tagli: 66,63 milioni in meno per i servizi, di cui 21 milioni in meno per il sociale e assistenza abitativa; 6,37 milioni in meno alla cultura, 1,38 per lo sviluppo economico. Cifre e strategie che meriterebbero una profonda discussione. Ma a Roma oggi, durante la discussione, c'è il sole.


Marco Travaglio: i rimborsi economici ai partiti - puntata 20 - Servizio Pubblico.

giovedì 19 aprile 2012

Vittorio Corradino - Candidato al Consiglio Comunale di Palermo - amministrative 2012

Perché lo stato deve finanziare i partiti. - Nadia Urbinati



La corruzione dei partiti, soprattutto quando sembra un fiume in piena che si ingrossa giorno dopo giorno, ha effetti devastanti. Non soltanto, come è ovvio, sulla stabilità dell’ordine democratico e la credibilità delle sue istituzioni. Ma anche sulla mentalità politica generale. Poiché induce i cittadini a pensare che se lo Stato mettesse i partiti a pane e acqua questi non avrebbero più i mezzi sufficienti per essere disonesti.
Togliere il finanziamento pubblico ai partiti può apparire come la ricetta vincente per costringere all’onestà secondo il detto popolare che l’occasione fa l’uomo ladro. Sull’onda degli scandali giudiziari e in un tempo come questo in cui il governo e il Parlamento impongono ai cittadini enormi sacrifici, questa tesi si fa via via più convincente.
Ma c’è da dubitare che sia la via migliore per impedire la corruzione. Basta ripercorrere brevemente la storia del finanziamento pubblico ai partiti per rendersene conto.
La legge sul finanziamento pubblico dei partiti, introdotta nel 1974 per sostenere le strutture dei partiti presenti in Parlamento, fu voluta e approvata sull’onda di scandali. Attraverso il sostentamento diretto dello Stato, si disse, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusione con i grandi interessi economici. Ma si trattò di una pia illusione perché gli scandali non si fermarono come mostrano le vicende Lockheed e Sindona. Evidentemente, la ragione della corruzione non sta nella sorgente del finanziamento. Che sia pubblicoo privato, la corruzione resta. Quindi, pensare di rendere virtuosi i politici facendoli questuanti di soldi privati è illusorio. Non solo non vale a togliere la piaga della corruzione, ma ne produrrebbe una peggiore. Aggiungerebbe alla corruzione classica, quella cioè dello scambio – favori politici in cambio di denaro- un’altra cheè ancora più devastante per la democrazia: la diseguaglianza politica. Infatti, lasciando che siano i privati a finanziare i partiti si darebbe alle differenze economiche la diretta possibilità di tradursi in differenze di potere di influenza politica. Quindi alla corruzione della legalità si aggiungerebbe la corruzione della legittimità democratica. È questa la ragione per la quale il modello statunitense è pessimo.
In questi giorni di malaffare dilagante, che tocca addirittura il partito che si è consolidato gridando agli scandali altrui, si sente proporre il modello americano, magari corretto. Contro quel modello da anni si battono giuristi, opinionisti e teorici politici americani (da John Rawls a Ronald Dworkin tanto per menzionare i nomi più prestigiosi). Gli Stati Uniti sono la prova evidente di quanto sbagliato sia per la democrazia avere partiti privatizzati.
Per un democratico, proteggere le istituzioni politiche dalla corruzione significa proteggere l’eguaglianza politica dall’infiltrazione della diseguaglianza economica. La democrazia accetta le differenze economichee crede che sia possibile impedire che trasmigrino nella sfera politica. Essa quindi si avvale di istituzioni, procedure e norme che bloccano il travaso di influenza economica in influenza politica.
Peri critici di destrae di sinistra questa è una illusione. Perché non sia un’illusione occorrono buone leggi. Ora, le controversie americane sulla questione dei finanziamenti delle campagne elettorali vertono tutte su questo tema. La lotta tra il potere legislativo (il Congresso americano ha proposto e passato leggi che regolano e limitano il finanziamento privato) e il potere giudiziario (la Corte Suprema ha in casi importanti bloccato l’azione del legislatore) verte proprio sull’interpretazione della libertà, se solo un diritto dell’individuo (indifferente all’eguaglianza di condizione) o invece un diritto del cittadino (attento all’eguaglianza di opportunità politica). Il giudici sono schierati con la seconda interpretazione.
Il loro punto di riferimento è il Primo emendamento alla costituzione, il quale tutela la libertà di espressione dall’interferenza dello Stato.
Come bruciare la bandiera è stato definito, in una sentenza memorabile, un segno di libertà di opinione quindi un diritto intoccabile, così è per le donazioni private ai partitio ai candidati. Bloccarle significa, dicono i giudici, bloccare la libertà di espressione. Nella sentenza del 2010 (che riprendeva sentenze precedenti molto importanti) conosciuta come Citizens United versus Federal Election Commision, la Corte Suprema a maggioranza liberista-conservatrice ha sì riconosciuto che “l’influenza del denaro delle corporazioni” esiste ed è “corrosiva” perché causa di corruzione in quanto facilita una “influenza impropria” ovvero una ineguale “presenza politica” nel foro politico. Nonostante ciò, la Corte ha concluso che nonè comunque provabile che le compagnie private perseguano piani espliciti quando finanziano le campagne elettorali. Non si può provare che il loro denaro si traduce in decisione politica. Quindi non si può impedire la libertà di donazione. Tuttavia l’uso dell’espressione “influenza impropria” è significativo perché suggerisce che la base della democrazia è l’eguaglianza politica dei cittadini, ovvero la loro eguale opportunità di influire sull’agenda politica dei partiti, non solo attraverso il voto. Allora, quando c’è corruzione? C’è corruzione solo quando un politico è colluso? Non c’è corruzione anche quando si dà ad alcuni cittadini più opportunità di voce che ad altri? Se per la virtù repubblicana la prima solo è corruzione, per i democratici la seconda è anche e forse più grande corruzione. Perché lede il fondamento della libertà politica eguale. Ecco dunque che la questione di come finanziare i partiti rinvia a una concezione della libertà: se solo del privato individuo che vuole dare i soldi a chi desidera, o invece del cittadino che deve godere di una eguale libertà rispetto agli altri cittadini e non avere meno opportunità di altri di far sentire la propria voce. Nella democrazia rappresentantiva ancor più che in quella diretta, l’esclusione politica può facilmente prendere la forma del non essere ascoltati perché la propria voce è debole, non ha mezzi per giungere alle istituzioni.E il denaro è un mezzo potentissimo.
È questa la ragione per la quale è importante avere il finanziamento pubblico dei partiti. Certo, si può intervenire sulla quantità, le forme, le condizioni; si possono inasprire le pene per chi viola la legge. Ma è sbagliato pensare di combattere la corruzione e il malaffare di cui i politici e i partiti si macchiano eliminando il finanziamento pubblico. Privatizzare i partiti (già ora troppo aziendalie familistici) significherebbe indebolire ancora più gravemente l’eguaglianza politica.