lunedì 18 giugno 2012

Uomini che non devono chiedere mai. - Marco Travaglio


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Da quando abbiamo pubblicato un lungo colloquio con Grillo, riceviamo lezioni di giornalismo dai migliori servi del regime, tutta gente che non ha mai fatto una domanda in vita sua o, se gliene scappava una, correva a chiedere il permesso a Berlusconi o a Bisignani. Alcuni ci spiegano che le domande erano sbagliate, senza peraltro suggerirci quelle giuste; altri addirittura confondono l’intervista a Grillo con l’iscrizione del Fatto al movimento 5 Stelle.
Come dire che, se un giornale intervista B. (non vediamo l’ora di farlo), diventa l’house organ di B. Premesso che siamo orgogliosi di quel colloquio e dell’invidia che ha suscitato in chi vorrebbe ma non può, è ovvio che la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato. Se e quando Grillo sarà coinvolto in qualche scandalo o vicenda tangentizia o mafiosa, ne daremo e gliene chiederemo conto con più cattiveria di quella che riserveremmo ai politici di professione. Al momento, purtroppo per i servi, non risultano né scandali né vicende tangentizie o mafiose a carico di Grillo. Il bello è che la grande e la piccola stampa che dà lezioni a noi si segnala in questi giorni per l’olimpica distrazione su una notiziola da niente: le telefonate di Mancino, appena interrogato a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, al consigliere giuridico di Napolitano e il prodigarsi del consigliere e di Napolitano presso il Pg della Cassazione per soddisfare le lagnanze di Mancino, subito dopo indagato per falsa testimonianza. La notizia l’han data due giorni fa Repubblica e il Corriere (entrambi a pagina 22: dev’essere quella riservata agli scandali di Stato). Così, quando abbiamo chiamato il consigliere Loris D’Ambrosio per chiedere lumi, lo immaginavamo assediato dalle telefonate di tutti i giornali, i tg e le agenzie. Invece il D’Ambrosio si è molto stupito per le nostre domande, visto che eravamo gli unici a porgliele. Ieri infatti siamo usciti in beata solitudine con la sua incredibile intervista, in cui non solo ammetteva le ripetute lagnanze dell’ormai indagato Mancino, ma si trincerava dietro l’“immunità presidenziale” su ciò che disse e fece in seguito Napolitano. Nessun giornale, men che meno quelli che avevano dato la notizia, ha pensato di disturbare il Quirinale per saperne di più. La parola “Quirinale”, o “Colle”, viene infatti pronunciata, anzi sussurrata a mezza voce nelle migliori redazioni con sacro timore, anzi tremore riverenziale: un po’ come il nome della divinità che, in alcune religioni, è impronunciabile perché ineffabile. In più il Quirinale, il Colle, è anche infallibile: ogni monito è un dogma, ogni sospiro un soffio di Spirito Santo. Se Ipse dixit, o fecit, avrà avuto le sue buone ragioni e non sta ai giornalisti sindacare. Poi arrivano quei rompiscatole del Fatto, D’Ambrosio risponde e ieri il Quirinale, il Colle è costretto a sputare il rospo: Napolitano trasmise le lagnanze di Mancino, ex ministro, ex onorevole, ex presidente del Senato, ex vicepresidente del Csm, da due anni privato cittadino, al Pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, per raccomandare – senz’averne alcun titolo, né Napolitano, né il Pg – un fantomatico “coordinamento” fra le indagini di Palermo sulla trattativa e quelle di Caltanissetta su via D’Amelio (fatti diversi, su cui nessuna delle due procure ha mai sollevato conflitti di competenza). Dunque d’ora in poi ogni privato cittadino interrogato in procura che voglia lamentarsi del suo pm potrà comporre l’apposito numero verde del servizio “Sos Colle”, una sorta di ufficio reclami per sedicenti vittime della giustizia. Gli risponderà il consigliere D’Ambrosio in persona, che investirà del caso il Presidente, che attiverà ipso facto il Pg della Cassazione perché metta in riga il pm incriminato. Pare che potranno chiamare anche i giornalisti che danno lezioni al Fatto, sempreché sappiano cos’è una domanda.

Gasparri scrive ai vigili: “Toglietemi le multe, non ho tempo per certe cose”. - Paolo Zanca

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Con carta intestata del Senato scrive all'ufficio contravvenzioni del Comune di Roma: “L'autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell'autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d'Italia".

Io sottoscritto Sen. Maurizio Gasparri, Presidente del Gruppo Parlamentare ‘Il Popolo della Libertà’ presso il Senato della Repubblica…”. La lettera comincia così, piena zeppa di maiuscole. Ma non ha niente a che vedere con il ramo del Parlamento che ha sede a Palazzo Madama o con il partito che alloggia in via dell’Umiltà. Riguarda una Mercedes classe A, che viaggia per le strade della Capitale ed è intestata ad Amina Fiorillo. La moglie del senatore Maurizio Gasparri. La lettera è datata 22 marzo 2012 e indirizzata all’ufficio Contravvenzioni del Comune di Roma.Gasparri e famiglia abitano nel centro storico e hanno preso alcune multe perché si sono dimenticati di rinnovare il pass per la zona a traffico limitato. Hanno chiesto l’archiviazione dei verbali e fatto valere il loro diritto di residenti autorizzati. Ma il senatore ha preferito non procedere come un cittadino qualsiasi. Ha scritto ai vigili su carta intestata del Senato, ha illustrato lo scranno su cui sedeva e ha tenuto a precisare che “l’autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell’autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d’Italia correlati al mio mandato istituzionale”. Talmente avvezzo alla tiritera da metterla in mezzo anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
Lui, Però, al telefono non capisce il punto. Spiega e rispiega com’è andata la vicenda: “Sono residente in centro storico, la macchina è di mia moglie, io a volte la uso a volte no: il permesso era scaduto, mi sono arrivate le multe, adesso aspetto di capire quanto e come bisogna pagare…”. Nessuno gli contesta la dimenticanza, ma lui insiste: “I residenti hanno un permesso che viene rinnovato con scadenze anomale, tipo ogni tre anni, quindi non è come l’assicurazione, o il bollo… quando scade non c’è neanche un avviso al titolare. Mia moglie non l’ha rinnovato, può capitare, e quindi, in attesa di pagare…”. Il senatore ha fatto ricorso, come avrebbe fatto chiunque. Su questo siamo d’accordo: “Non c’entra niente il fatto di essere parlamentare, non ho il permesso in qualità di parlamentare, ho il permesso come residente. Non è che non ne avevo il diritto, è che non l’avevo rinnovato”. Il punto è chiarissimo, ma perché usare la carta intestata del Senato? “Non è questo il problema, quello che mi chiederanno di pagare pagherò , quella lettera non è tesa a procacciarsi un ingiusto vantaggio: se uno voleva fare una cosa non regolare non è che si metteva a fare una lettera, giusto no?”. Sarebbe bastato presentarsi come Maurizio Gasparri, residente in via tal dei tali… “Io sono quello che sono, mica mi devo vergognare di quello che sono né devo chiedere un privilegio per la mia posizione. Sono un senatore, uso la carta intestata, che devo fa’? Non credo che per questo faranno valutazioni di alcuna natura, guardi… la procedura è assolutamente corretta, la risposta potrà essere negativa, ci atterremo a quello che sarà”. In attesa di vedere come andrà a finire, non resta che affidarsi al presagio del senatore: “Non credo che mi daranno una risposta perché sono Gasparri”.
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domenica 17 giugno 2012

CIRCONDATI DA BANCHE. - MAU BAR.




Tutti voi avrete riscontrato un curioso fenomeno che già da alcuni anni si va sempre più accentuando. 

Almeno così, personalmente, l’ho riscontrato a Roma, ma credo che il fenomeno sia generalizzato. Se non ho preso un abbaglio, accade questo: si moltiplicano, quasi con tendenza esponenziale, le nascite di nuove banche, intendo come locali, nelle strade e piazze cittadine. Laddove fino a ieri vi era un grande negozio, una piscina, un cinema, un ristorante, ecc., ecco ora, all’improvviso, spuntare un locale adibito a banca.

Belle banche, nuove nuove, di lusso, accessoriate, totalmente blindate e con tutti i dispositivi elettronici, di ultra protezione. Non mancano ovviamente le loro belle cassette esterne per prelevare con carte di credito. In alcune strade, di nuove se ne contano anche due o tre e se giri l’angolo ne trovi altre.

Il bello è che spesso sono quasi sempre vuote di clienti.

Non sono esperto di questioni finanziarie, e quindi mi chiedo, come si può spiegare questo fenomeno? Anche se, internamente, questi nuovi locali hanno un pesonale ridotto all’osso, il solo utilizzo di questi locali dovrà pur rappresentare certi costi.

A meno che le mie osservazioni siano errate, in quanto magari questi aumenti di sportelli bancari sono bilanciati da altre dismissioni, non credo che il fenomeno sia spiegabile solo con la tradizionale attività delle banche, quella cioè di drenare denaro dai risparmiatori, arraffandolo su piazza in cambio di ridicoli interessi e salati costi annui e poi reinvestendolo a tassi da usura.

Sappiamo bene come, il sistema finanziario, cresce, rapina e prospera su varie attività “virtuali”, spesso virtuali o speculative: fondi di investimento, promozioni finanziarie, compra vendita di Azioni, ecc., e sappiamo anche come sono state forzate le persone, incentivando fino all’ossesso l’offerta di finanziamenti per l’uso della carta di credito, per acquisti pagabili con comodo, ecc., tutto un giro che seppure spesso rappresenta rischi di insolvibilità nei poveri disgraziati così espostisi, consente alle finanziarie di ipotecare, sequestrare quanto è possibile, e se non c’è nulla da sequestrare, non fa niente, tanto quei “rischi” sono stati rivenduti, spalmati, sotto riciclati all’infinito, trattandoli come “beni virtuali” (la famosa “bolla” esplosa negli Usa),

D’accordo su tutto questo, ma cosa spinge il settore bancario a creare dei nuovi sportelli bancari in ogni strada della metropoli? Tanto più che il crescere delle operazioni on line avrebbe dovuto, viceversa, restringere al minimo indispensabile gli sportelli al pubblico.

A tutti coloro che hanno osservato e studiato questo fenomeno, possibilmente amici che hanno lavorato nel settore bancario, chiedo una dettagliata spiegazione, spiegazione tecnica, intendo, perché le motivazioni politiche mi sono chiare.



http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10447&mode=&order=0&thold=0

Caro Napolitano, che cos’è risibile. - Marco Lillo



Risibile. È questa la parola chiave del comunicato con cui la Presidenza della Repubblica, finalmente, ammette quello che non può più negare dopo le rivelazioni del Fatto di ieri: il Capo dello Stato è intervenuto, dopo la richiesta dell’ex senatore Nicola Mancino, sul Procuratore generale della Cassazione con una lettera nella quale chiedeva alla massima autorità dell’accusa in Italia di intervenire “prontamente” sulle inchieste che preoccupavano l’amico Mancino sulla trattativa Stato-mafia.   
Risibile però non è – come afferma il comunicato del Colle – il titolo della prima pagina di ieri del Fatto Quotidiano, su “I misteri del Quirinale”. Quel titolo racconta semplicemente un fatto, imbarazzante per il potere e quindi ignorato dalla stampa italiana, come al solito. Risibile è invece il comportamento dello staff del Presidente in questa vicenda delicata. Per il rispetto che si deve all’Istituzione, ci auguriamo che Giorgio Napolitano sconfessi nell’ordine: le affermazioni del suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nell’intervista pubblicata ieri; il comunicato del suo portavoce; e la lettera del suo segretario generale.
È risibile quello che ci ha detto D’Ambrosio e cioè che sia una prassi per il consigliere giuridico del Capo dello Stato ascoltare i cittadini che si lamentano dei pm e intervenire sulle autorità giudiziarie dopo i loro sfoghi. Soprattutto quando sono ex presidenti del Senato, aggiungiamo noi. Quasi che il Quirinale fosse diventato uno sportello reclami per politici trombati o in pensione. Risibile, ma anche inquietante, è la lettera scritta su input di Napolitano, a suo dire, dal segretario generale Donato Marra al Pg della Cassazione. Non si è mai visto un Capo dello Stato che si abbassa a smistare al capo dell’accusa la lettera di un testimone reticente, com’è Mancino secondo i pm, chiedendogli di intervenire, per di più, “prontamente”.
E non si è mai visto nemmeno un Presidente costretto a tirare fuori dal suo cassetto una lettera simile solo perché un giornale ne ha rivelato l’esistenza. Anche questo sarebbe risibile se non fosse per un piccolo particolare: qualcuno, 20 anni fa, su questa storia della trattativa tra Stato e mafia, ci ha rimesso la pelle. E noi vorremmo capire perché. “Prontamente” e non risibilmente, signor Presidente.
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Nulla di più vero.



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Moral dissuasion. - Marco Travaglio.



Presto, appena gli avvocati dei 12 indagati li avranno fotocopiati, saranno pubblici gli atti dell’inchiesta appena chiusa dalla Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Comprese le intercettazioni di alcuni protagonisti: quelli che, non essendo parlamentari, possono essere intercettati. A quanto si sa, nel maremagno delle bobine depositate, c’è una telefonata che Nicola Mancino, ministro dell’Interno nel 1992-’93 ai tempi della trattativa, poi presidente del Senato, poi vicepresidente del Csm, ora privato cittadino, fece il 6 dicembre 2011: appena uscì dalla Procura di Palermo dov’era stato sentito come testimone. Evidentemente Mancino si rendeva conto di non aver convinto i pm, che difatti di lì a poco lo indagarono per falsa testimonianza. Dunque chiamò allarmato Loris D’Ambrosio, magistrato, già membro del discusso Alto Commissariato Antimafia ai tempi di Sica, una vita al ministero della Giustizia come consulente di Martelli, vicecapogabinetto di Conso, capogabinetto di Flick, Diliberto e Fassino, poi al Quirinale come consulente di Ciampi e consigliere giuridico di Napolitano.
 
Cosa vuole il privato cittadino Mancino dall’uomo del Colle? Lagnarsi dei pm di Palermo, i quali pretendono addirittura che dica la verità su due vicende cruciali: il suo incontro con Borsellino il 1° luglio ’92, annotato dal giudice nell’agenda grigia, ma prima negato da Mancino, poi quasi escluso, infine quasi ammesso (“forse gli ho stretto la mano, ma non l’ho riconosciuto”); e sulla strana cacciata di Scotti, fautore della linea dura con i boss insieme a Martelli, dal Viminale per far posto a lui, Mancino, che non fece nulla contro i negoziati del Ros con la mafia (Martelli giura di averlo avvisato), né contro la revoca di 400 e più 41-bis firmata da Conso. Nella drammatica telefonata a D’Ambrosio, Mancino sembra chiedere aiuto per dirottare l’inchiesta palermitana verso procure da lui ritenute più morbide, Caltanissetta o Firenze. Poi lascia cadere una velata minaccia: si dipinge come “un uomo lasciato solo che va protetto”. Si sa come sono gli uomini che si sentono soli: rischiano di doversi cercare compagnia, tirando in ballo “altre persone” (e fa il nome di Scalfaro).
Abbiamo chiesto lumi a Mancino, invano. Invece D’Ambrosio ha risposto a Marco Lillo, ammettendo ciò che peraltro non poteva negare, visto che la telefonata è incisa su nastro, e aggiungendo alcuni particolari sconcertanti. Ma ha taciuto su due questioni decisive: cosa chiese Mancino al Colle? E cosa rispose e/o fece Napolitano? È vero che scrisse al Pg di Cassazione, titolare dell’azione disciplinare? D’Ambrosio dice di non poter rispondere perché vincolato a un inedito segreto presidenziale e perché gli atti del capo dello Stato sono “coperti da immunità”. C’è dunque qualche notizia penalmente rilevante? Di certo si sa soltanto che, dopo la telefonata, Mancino si sentì le spalle coperte e, dotato di quei superpoteri, chiamò il procuratore di Palermo Francesco Messineo, lagnandosi anche con lui dell’operato dei suoi pm. Sarà un caso, ma Messineo ha rifiutato di firmare la chiusura indagini, lasciando soli i suoi pm. Per non lasciare solo Mancino?

Ora una risposta del Quirinale s’impone
: non per esigenze giudiziarie, ma per la necessaria trasparenza di ogni atto del capo dello Stato. Nessun privato cittadino, a parte Mancino, può chiamare l’Sos Colle per lamentarsi di un’indagine e poi, forte dell’alto viatico, andare a piangere sulla spalla del capo della Procura che indaga. In ogni caso il triangolo telefonico Mancino-D’Ambrosio (Napolitano)-Messineo fa finalmente giustizia della pubblicistica oleografica che dipinge lo Stato da una parte e la mafia dall’altra. In questo momento, un pugno di pm solitari cercano la verità sul più turpe affare di Stato della seconda Repubblica: le trattative fra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Tutti gli italiani onesti sono dalla loro parte. Da che parte sta il Quirinale che dovrebbe rappresentarli?

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Le prime pitture rupestri sono più vecchie E forse sono opera dei Neandertal.

Pitture rupestri nella grotta El Castillo, in Spagna (Ap)


Risalgono ad almeno 40 mila anni fa, 15 mila in più di quanto finora ritenuto. E forse le fecero i neandertaliani


MILANO - Un nuovo studio costringe archeologi e paleontologi a rivedere le loro ipotesi su chi fece le più antiche pitture rupestri in Europa. Ricercatori guidati dall'Università di Bristol hanno pubblicato su Scienceun'analisi secondo la quale le prime pitture rupestri in Europa risalgono ad almeno 40.800 anni fa, e sarebbero di 15 mila anni più antichi di quanto finora ritenuto. La datazione è stata eseguita utilizzando gli isotopi di uranio e non il carbonio-14 come nelle datazioni precedenti.

DUE IPOTESI - Ma non solo, i dati lasciano aperte due ipotesi. La prima (la più probabile) è che gli Homo sapiens (cioè i nostri diretti antenati) arrivarono in Europa prima di quanto stimato finora. La seconda è che i dipinti furono eseguiti dai Neandertal. Finora però si riteneva che i nostri progenitori Sapiens fossero gli unici in grado di poter esprimere forme d'arte così complesse. La tesi dei neandertaliani è affascinante, ma gli stessi autori della ricerca ammettono che non è sostenuta da prove incontrovertibili. Secondo altri studiosi, la nuova datazione delle pitture rinvenute in undici grotte in Spagna è in linea con le date emerse negli ultimi anni grazie alle nuove tecnologie, anche se i rapporti intercorsi tra Sapiens e Neandertal sono da rivedere.

PIÙ ANTICO - Il dipinto più antico - una sfera rossa - è stato datato a 40.800 anni fa nella grotta El Castillo. Si trova in mezzo a 25 impronte di mani datate 37.300 anni fa. Intorno ci sono anche dipinti di cavalli, ma più recenti. Finora i dipinti più antichi erano ritenuti quelli della grotta Chauvet, in Francia, datati tra 37 mila e 32 mila anni fa.