venerdì 13 luglio 2012

Paolo Borsellino.



"Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri."
Paolo Borsellino


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Nuova inchiesta su Dell'Utri. - Lirio Abbate e Paolo Biondani

Marcello Dell Utri


Manovre in parlamento, entrature nel governo, tangenti su un affaire di gas con la Russia. La Procura di Firenze indaga sul potere del senatore. E sul suo braccio destro Massimo De Caro, il consulente di Ornaghi che al telefono evocava interventi di Passera e dossier contro D'Alema.


Una lobby in grado di condizionare parlamentari, imprenditori e burocrati di altissimo livello, interferendo perfino sul governo Monti. Presunto burattinaio, il senatore Marcello Dell'Utri. Braccio operativo, Massimo De Caro , ex «consulente speciale» di due ministri dei Beni culturali, arrestato il 24 maggio con l'accusa di aver rubato centinaia di libri antichi dalla Biblioteca dei Girolamini a Napoli, di cui era diventato direttore tra molte polemiche. Mentre i magistrati partenopei continuano a indagare sui maxi-furti addebitati a De Caro (che dopo il ritrovamento a Verona dei primi 257 preziosi volumi, ora è sospettato di averne trafugati più di 2.200), la Procura di Firenze ha scoperto le carte di un'altra inchiesta. La nuova accusa che accomuna De Caro e Dell'Utri è una presunta corruzione: tangenti per favorire l'espansione in Italia del gruppo Avelar-Renova, un colosso dell'energia controllato da un miliardario russo con base in Svizzera. Seguendo la pista degli affari i carabinieri del Ros hanno intercettato De Caro per mesi, fino all'arresto per i libri rubati. Le telefonate considerate rilevanti svelano la sua rete di relazioni nei ministeri e nello staff di Palazzo Chigi. Un ruolo conquistato grazie al legame con Dell'Utri e i parlamentari più fedeli al senatore, che nel '93-94 fu il creatore del partito-azienda di Berlusconi. 

DALLA RUSSIA CON DE CARO
 . Tra aprile e maggio 2009 Dell'Utri incassa 409 mila euro sul suo conto al Credito Cooperativo Fiorentino, la banca allora guidata dal coordinatore del Pdl Denis Verdini, poi commissariata dopo l'indagine sulla "cricca" degli appalti. A versargli quei soldi è il bibliofilo De Caro. Sulla carta è il prezzo di una «epistola di Cristoforo Colombo del 1493». Per i giudici di Firenze, però, la giustificazione «è del tutto fittizia»: Dell'Utri non aveva quell'incunabolo, mentre De Caro gli ha girato soldi che aveva a sua volta ricevuto dai russi di Renova, di cui fino al 2009 fu manager (come rivelò "l'Espresso" del 22 dicembre 2010). Dunque quei bonifici, secondo i pm, servivano in realtà a comprare «l'influenza del senatore Dell'Utri sulle amministrazione pubbliche», per assicurare al gigante straniero, che in Italia fattura già un miliardo, nuove concessioni «di rilievo strategico», come i giacimenti di gas lucani a Grottole Ferrandina e Pisticci. Con le prime perquisizioni finora è emerso solo questa accusa, ma l'inchiesta è più ampia. Le intercettazioni documentano altri interventi di De Caro sul crinale tra affari e politica. E il suo cellulare registra le manovre di Dell'Utri e dei «suoi» parlamentari per influire su leggi e fondi pubblici. Per loro, Mario Monti è «un problema». Ma tra i papaveri della burocrazia c'è chi appoggia «l'uomo di Dell'Utri» perfino mentre il senatore è in attesa del verdetto per mafia della Cassazione.



MI MANDA ROMANO. Nel marzo-aprile 2012, mentre è consulente ministeriale, De Caro si fa in quattro per favorire un progetto privato: un impianto fotovoltaico a Gela da 110 milioni di euro, «per un terzo coperti da contributi pubblici». L'imprenditore interessato è Paolo Campinoti della Pramac di Firenze, che è in cordata con il solito gruppo Renova del miliardario Viktor Vekselberg. Da Cipro, il colosso russo ha già versato 1,2 milioni a De Caro, che ne ha girati un terzo al senatore. Nel febbraio 2012 De Caro sta gestendo «un nuovo progetto con Saverio Romano», l'ex ministro delle politiche agricole imputato per mafia. Quindi annuncia a Dell'Utri che «lunedì 13 Campinoti mi fa visitare la sua fabbrica a Lugano, al ritorno mi fermo da lei». Il senatore commenta: «Ottimamente». In Svizzera De Caro non va in fabbrica, ma nell'ufficio di un avvocato del colosso russo. Il 23 marzo, al secondo «incontro riservato» a Lugano, partecipa anche un siciliano, Domenico Di Carlo: è il capo della segreteria di Romano e per i magistrati «rappresenta gli interessi dell'ex ministro». Prima e dopo ogni visita in Svizzera, De Caro va a rapporto da Dell'Utri. E per i giudici è molto sospetto che Campinoti voglia cedere ai russi i «costi non industriali e di contorno». «Oneri di compensazione ai comuni? No, ai privati....», ci scherza sopra un faccendiere lucano, che segnala a De Caro le pretese di un politico soprannominato "Ciaffaraffà".


PRESSIONI SU ORNAGHI. Nato a Bari nel 1973, De Caro ha nel curriculum solo un'impresa (liquidata) di libri antichi e il lavoro di lobby per i russi, quando viene nominato, il 13 aprile 2011, «consulente speciale» del ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan. In giugno diventa anche direttore della biblioteca dei Girolamini. E il 15 dicembre viene riconfermato dal nuovo ministro, Lorenzo Ornaghi, ex rettore della Cattolica, che però gli taglia lo stipendio a 40 mila euro l'anno. Dal ministero, De Caro tratta con politici e alti funzionari. Nel gennaio 2012 il senatore Elio Palmizio di "Coesione nazionale" gli annuncia un incontro con Ornaghi: «Mi ha chiamato il ministro, quindi ci vediamo prima noi per mettere giù tutte le cose da fare». All'uscita il parlamentare telefona a De Caro che «è andata bene»: «Abbiamo parlato di un sacco di cose. Con ordine: le deleghe lui non le fa scritte, però ci organizza l'incontro con il direttore generale delle biblioteche... Su Arcus mi ha detto che non c'è problema. Entro metà febbraio è operativo e da lì si parte per chiedere i soldi per le varie cose che ci interessano... Finché non si sblocca Arcus non posso fare un cacchio». Arcus è una società-cassaforte dei Beni culturali: secondo i carabinieri, il senatore pensava ai «suoi interessi». 

IMU ALLA CHIESA. Il 25 febbraio Dell'Utri è all'estero in attesa del verdetto per mafia. Alle dieci di sera De Caro gli chiede la sua approvazione a un «sub-emendamento sull'Imu della Chiesa» presentato dal senatore Salvatore Piscitelli: «Dove c'è un vincolo dei Beni culturali, non si deve pagare l'Imu... Ovviamente la Chiesa è d'accordo. Palmizio ha sentito il ministro Ornaghi che è contentissimo». Dell'Utri è «d'accordissimo»: «E' una cosa di giustizia, sottoscrivo». De Caro aggiunge: «Monti ha tagliato anche le agevolazioni per le dimore storiche, mentre noi con l'emendamento diciamo che deve continuare l'esenzione». Dell'Utri approva, «perché ci interessano le cose della Chiesa». L'unico problema è interno al Pdl: De Caro vorrebbe pubblicizzare «una delle prime cose che ha fatto la nostra corrente del Buongoverno», ma «Letta voleva andare dall'associazione delle dimore storiche a dire: vi ho difeso io». Al che Dell'Utri s'infuria: «E' un pezzo di m...». 



FALLO PER L'AMBIENTE. Il 15 marzo un funzionario delle Politiche agricole, Giamberto De Vito, segnala a De Caro l'imprenditore italiano C. che «vuole investire centinaia di milioni per le serre in Russia»: «Mi sono permesso di fargli avere la tua lettera d'intenti, che il ministro Catania non ha più portato avanti. Gli ho detto che hai un sacco di entrature». De Caro chiama subito l'imprenditore: «Vediamoci a Roma, ho l'ufficio al ministero dei Beni culturali...». De Caro era stato designato da Galan anche per il direttivo del parco del Gran Sasso, ma la nomina ora spetta ai nuovi ministri. Bisogna sapere se hanno già scelto un altro. Dopo una telefonata a Dell'Utri e un incontro con Romano, che vanta «ottimi rapporti con Catania», De Caro riesce a sapere che «non c'è ancora nulla di firmato»: glielo comunica il capo di gabinetto dell'Ambiente, che non è suo amico. Infatti De Caro gli telefona sotto falso nome: «Sono il dottor Tuzzi». 

PASSERA E LA REGIONE
. Il 27 gennaio De Caro fa il punto su un progetto di Renova in Basilicata: «Oltre al politico nazionale, lì è intervenuto, sul presidente della Regione, il ministro Passera, perché ha ricevuto una telefonata molto minacciosa dall'ambasciatore russo, dicendo che se non avessero dato questa concessione, avrebbe creato problemi tra Italia e Russia». De Caro racconta spesso balle che gli fanno comodo. Certo è che l'oligarca Vekselberg è davvero protetto da Putin. 

D'ALEMA E LA LIBIA
 . In gennaio De Caro tenta di ispirare un dossier contro Massimo D'Alema. Come presunta fonte cita l'amico pugliese Roberto De Sanctis, che lavorò con lui per i russi. «Roberto ha organizzato viaggi in Libia su mandato dell'altro quando era ministro, con aerei privati, per fare contratti con la società del gas libica. Ci sono anche scambi di lettere. Poi l'hanno presa nel sedere perché era calato il gas». Anche queste parole vanno prese con le pinze: l'amico di Dell'Utri può avere interesse a screditare D'Alema. Ma in altri casi De Caro parla direttamente con i politici.



L'AMICO POMICINO. Quando il governo Monti annuncia il taglio degli incentivi al fotovoltaico, l'imprenditore Campinoti cerca «una via politica per tenere Gela fuori dal quinto conto energia». In aprile incontra a Palermo l'ex ministro Paolo Cirino Pomicino, che promette aiuto: «Bisogna salvare il progetto». L'imprenditore si è indebitato per la crisi e il politico di Tangentopoli gli garantisce appoggi anche con le banche. «Sono a Roma, oggi rivedo il gran capo», lo rassicura, senza fare nomi al telefono. 

MARCELLO IN CASSAZIONE
. Il 9 marzo, mentre la Suprema Corte decide, Dell'Utri è all'estero. Quando esce la sentenza, è De Caro a passargli la moglie Miranda, che gli elenca gli amici in festa, da Verdini al senatore Riccardo Villari. Proprio De Caro è l'unico a sapere dov'è Dell'Utri: «Madrid? No, c'è un oceano di mezzo. Brasile? No: parlano spagnolo».



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/nuova-inchiesta-su-dellutri/2186911

Dell'Utri e l'oro nero di Putin. - Lirio Abbate e Paolo Biondani

Marcello Dell Utri con Silvio Berlusconi


Il braccio destro del Cavaliere protagonista del business petrolifero con la Russia. In affari con un calabrese ora latitante per mafia. E l'appoggio dei servizi segreti di Mosca. Ecco le intercettazioni esclusive.


Tra l'Italia di Berlusconi e la Russia di Putin ora spuntano gli affari petroliferi di Marcello Dell'Utri. Braccio destro del Cavaliere fin dagli anni Settanta, il senatore del Pdl è il mediatore d'eccezione in compravendite di greggio e trattative per forniture di gas definite "colossali". Operazioni commerciali che vengono gestite attraverso una società energetica che ha sede in Svizzera, ma è controllata da un miliardario russo di origine ucraina: tra i suoi amministratori c'è un manager italiano, che Dell'Utri indica come il suo emissario, impartendogli istruzioni e direttive. Ma il dato più strabiliante è che questo business viene organizzato dal parlamentare berlusconiano, da poco condannato anche in appello per mafia a Palermo, accordandosi con un pregiudicato calabrese, emigrato in Venezuela per sfuggire a precedenti condanne per bancarotta, che ora è ricercato dai magistrati di Reggio Calabria che indagano nientemeno che sul clan Piromalli, la cosca della 'ndrangheta di Gioia Tauro.

A svelare questo assurdo intreccio tra petrolio, politica, mafia e affari è un faldone di intercettazioni internazionali finora inedite. Tra dicembre 2007 e aprile 2008 Dell'Utri parla a lungo al telefono con un certo Aldo Miccichè, ex politico della Dc calabrese trasferitosi in Sudamerica per sfuggire alla giustizia italiana. Miccichè viene intercettato perché ha rapporti strettissimi con la cosca mafiosa di Gioia Tauro, in particolare con Antonio Piromalli, oggi 38enne, che guida la famiglia dopo l'arresto del padre. L'inchiesta è delicata per molti motivi: gli appalti del porto stanno facendo scoppiare una guerra di mafia tra i Piromalli e i Molè, alleati "da cent'anni"; e il figlio del boss incarica Miccichè di muovere le sue conoscenze, tra massoneria e ministero della Giustizia, per far revocare il carcere duro (41 bis) al genitore. Miccichè parla anche di affari e politica: alla vigilia delle elezioni del 2008 garantisce a Dell'Utri di poter "bruciare e sostituire" migliaia di schede con i voti degli italiani all'estero. La polizia avverte subito il Viminale. E così, già due anni fa, i giornali pubblicano le prime intercettazioni, quelle sui progetti di frode elettorale. Gli affari petroliferi invece restano segreti. 

Nel frattempo sono successe tante cose: nel luglio 2008 i magistrati hanno ordinato l'arresto di Miccichè, che da allora è latitante; i suoi amici del clan Piromalli sono stati incarcerati e condannati in primo grado; e nei processi l'accusa ha dovuto pubblicare anche le intercettazioni su gas e petrolio. Mentre i messaggi svelati da WikiLeaks hanno mostrato la preoccupazione degli Stati Uniti per i rapporti tra Berlusconi e Putin, con richieste ai diplomatici di scoprire i possibili interessi personali e i misteri degli accordi Eni-Gazprom. Ora "L'espresso" è in grado di fornire una prima risposta, documentata dalle chiamate dello stesso Dell'Utri. Che, essendo parlamentare, non è mai intercettabile direttamente, ma solo quando è al telefono con un intercettato per mafia.

La prima chiamata è del 14 dicembre 2007, ore 18.39. Dell'Utri dice di aver "ricevuto il fax" su un affare petrolifero. Miccichè gli fa notare che "Massimo è un ragazzo in gamba". E il senatore commenta: "Trovare persone valide è il mio mestiere". Chi è questo "ragazzo" reclutato da Dell'Utri? E' Massimo De Caro, che ad appena 34 anni è vicepresidente della Avelar Energy (gruppo Renova), che ha sede in Svizzera ma appartiene all'undicesimo uomo più ricco della Russia, Viktor Vekselberg (vedi box a pag. 44). La prima sorpresa è proprio questa: Dell'Utri ha un suo uomo al vertice di un colosso russo-elvetico dell'energia. 
Le intercettazioni registrano tutte le fasi del primo affare: greggio venezuelano, che però è esportabile solo tramite triangolazioni con Mosca. 

Il 29 dicembre proprio De Caro è al fianco di Dell'Utri mentre il senatore telefona a Miccichè, che lo saluta come "il miglior del mondo". Leggendo "una nota segretissima", il calabrese propone di acquistare greggio dalla compagnia venezuelana Pdvsa. Qui interviene De Caro: "Però la Russia... Gli conviene che a farla sia Viktor". Viktor è il nome del padrone della Avelar. Eppure, secondo Miccichè, l'affare dipende da Dell'Utri: "Io vado lì e dico: mi manda Picone, e quando dico Picone intendo Marcello... E' un'operazione perfetta". Cosa c'entri la Russia con il greggio venezuelano, lo si capisce solo quando Dell'Utri tira in ballo un intermediario "che poi vende tutto a Gazprom", il gigante energetico controllato dagli uomini di Putin.

Le telefonate con il manager De Caro chiariscono anche le cifre di questo primo affare. Si tratta di vari tipi di petrolio: "Un milione di "crudo oriente" e tre milioni di "napo" ogni mese". Il calabrese Miccichè precisa che "il greggio parte per Mosca, ma poi in effetti va a Londra". E aggiunge che "il vero segreto è che bisogna dare 1,50 dollari al barile sottobanco" ai manager di Caracas. Solo questo "sottobanco", fatti i conti, vale "4,5 milioni di dollari al mese".

Miccichè però punta molto in alto. "Dopo il petrolio, cominciamo l'operazione gas, che è di un'importanza colossale... E' l'operazione che stanno tentando la Germania, la Francia...". E Dell'Utri, elogiandolo, cita ancora i russi: "Perfetto... Può essere che Gazprom faccia da copertura".
Il 10 gennaio il calabrese di Caracas parla di una "seconda operazione petrolifera": stando alle intercettazioni, almeno "sei milioni di tonnellate metriche" di greggio russo, chiamato in gergo D2. Trattando l'affare con il solito Miccichè, il manager De Caro spiega che "Avelar non ha raffinerie", ma fa parte del gruppo Renova e quindi del consorzio russo Tnk-Bp, per cui potrà usare gli impianti di Mosca. C'è però un problema, annunciato da un avvocato italiano: la raffineria russa ha bisogno dello "svincolo dei servizi". E il 19 febbraio Avelar viene bocciata, perché gli 007 di Mosca sospettano che voglia "rivendere il petrolio a paesi ostili". Lo stop sembra insuperabile. Invece, per gli amici di Dell'Utri, si risolve in dieci giorni. Il 28 febbraio infatti Miccichè comunica al senatore lo sblocco del contratto con queste parole: "I russi hanno mollato, stasera dovremmo avere il via libera per il D2. Questo è un colpo grosso, ma ricordati che tutto deve passare attraverso di te, se no io non faccio niente". Dell'Utri: "Benissimo". 

Come sia stato possibile superare così in fretta il veto dei servizi di Mosca, resta un mistero solo fino a quando scoppia una lite sui profitti dell'affare. Sentendosi dire dall'avvocato che "De Caro vuole prendersi tutti i meriti e i compensi", Miccichè diventa furibondo: "Farò intervenire direttamente Dell'Utri... perché chi ha messo lì Massimo è stato Marcello!". E di seguito aggiunge: "I rapporti con il russo sono di Marcello perché Berlusconi, allora, ha dato a lui questo rapporto, chiaro?". Come dire che De Caro è nella Avelar solo perché lo ha scelto Dell'Utri. E il senatore, a sua volta, può entrare nel business del petrolio solo perché lo ha voluto Berlusconi. Forte di un accordo personale con la Russia di Putin, mai rivelato, che sembra risalire al suo secondo governo (2001-2006), visto che nel 2007-2008 viene già rispettato.
Da notare che Miccichè, infuriato dopo lo stop dei servizi di Mosca, spiega al suo avvocato che "questo russo fa parte della catena di Putin", però "sta giocando con tutti, anche con Berlusconi e quindi con Marcello". E l'8 marzo 2008, quando protesta che "il ragazzo, De Caro, non si muove bene", Dell'Utri gli risponde così: "Per questo bisogna accreditarlo".

La Avelar, in tutti questi affari, fa solo da intermediario: compra, rivende all'estero e trattiene un guadagno. Le intercettazioni fanno pensare che tra gli acquirenti finali del petrolio ci fosse un gruppo americano con uffici a Los Angeles. Ed è alla fine di questo giro stesso di telefonate che Miccichè spiega al senatore come truccare "i cosiddetti voti di ritorno" degli italiani all'estero. Con Dell'Utri che risponde: "Chiarissimo". 

Il 18 marzo anche l'affare D2 sembra chiuso: l'avvocato comunica che potranno usare quattro diverse raffinerie russe, ma "il massimo della produzione lo determinerà Gazprom". E il primo aprile De Caro annuncia di aver fissato "la prossima settimana l'appuntamento tra Marcello Dell'Utri e Igor Akhmerov", che è il manager numero uno della Avelar. Ma proprio alla vigilia dell'incontro tra i big, la nostra polizia non sente più nulla: una talpa ha avvisato gli indagati che "tutti i telefoni sono sotto controllo".

Le intercettazioni, quindi, non svelano altri dettagli o ulteriori affari. Per saperne di più, "L'espresso" ha interpellato De Caro, che nel frattempo ha lasciato la Avelar ed è diventato consulente ministeriale, mentre il gruppo Renova creava in Italia un impero nei parchi eolici e nelle bio-energie. Sugli affari con Dell'Utri nel 2008, però, oggi De Caro ricorda poco: non fa alcun cenno al greggio russo D2 e cita solo "due trattative tra Avelar e Pdvsa, una per il petrolio venezuelano, l'altra per commercializzare in Italia il loro gas", sostenendo che "non andarono in porto, perché Miccichè si vendeva come rappresentante della Pdvsa e invece non aveva alcun mandato".

Una versione che contrasta con quelle fornite proprio da Dell'Utri e Miccichè nel 2008, quando nessuno parlava della Avelar e il loro unico problema era smentire brogli elettorali. Dell'Utri spiegava così a "La Stampa" le sue telefonate al calabrese: "Lui in Venezuela si occupava di forniture di petrolio. Io ero in contatto con una società russa che ha sede anche in Italia, per cui conoscendo questi russi ho fatto da tramite... Non vedo dove sia la materia del contendere". E Miccichè, da Caracas, ribadiva al "Corriere": "Non ci siamo mai visti. C'eravamo sentiti via telefono alcuni mesi fa per un contratto di compravendita di petrolio. Io da una parte, alcuni suoi amici russi dall'altra e lui da trait d'union. Ho capito che avrebbe potuto portare a compimento il contratto. Cosa fatta magistralmente e con molta affettuosità".

(art. del 6 dic 2010)


giovedì 12 luglio 2012

Truffa sui corsi di formazione arrestato Rossignolo.


L'imprenditore titolare della De Tomaso è agli arresti domiciliari per truffa ai danni dello Stato. Altre due persone in manette: un dirigente e un mediatore. L'ipotesi: sottratti 13 milioni e mezzo di finanziamenti.



L'imprenditore Gian Mario Rossignolo è stato arrestato dalla Guardia di Finanza all'alba nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Torino su corsi di formazione professionale alla De Tomaso di Grugliasco, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno. E' agli arresti domiciliari.



L'ORIGINE DELL'INCHIESTA
Rossignolo è stato arrestato nella sua villa a Vignale Monferrato ed è stato posto ai domiciliari per aver superato i 70 anni di età. L'operazione scattata oggi ha toccato Piemonte, Lombardia e Toscana:  oltre 50 uomini delle Gialle Gialle hanno notificato tre ordinanze cautelari emesse dal Gip di Torino su richiesta della Procura del capoluogo piemontese per il reato di concorso in truffa ai danni dello Stato.

LEGGI Rossignolo, cinque anni tra annunci e promesse

Oltre a Rossignolo sono stati arrestati un dirigente della De Tomaso, bloccato a Livorno, e un mediatore creditizio, che opera nel Bergamasco dove è stato fermato all'alba. Quest'ultimo è coinvolto nell'inchiesta per aver fornito una polizza - poi risultata falsa, secondo l'accusa - richiesta dalle procedure per l'erogazione 

dei fondi per i corsi di formazione. Nell'operazione la Guardia di Finanza ha eseguito anche otto perquisizioni. 

Finanziamenti pubblici per sette milioni e mezzo di euro per corsi di formazione che, in realtà, non sono mai stati avviati: è questa la contestazione che viene mossa  a Gian Mario Rossignolo e agli altri due coinvolti. A questi si aggiungerebbero altrie sei milioni versati dalle Regioni. Quindi in totale una truffa da 13 milioni e mezzo.

FOTO De Tomaso per immagini, dal prototipo agli schiaffi degli operai

Le ordinanze sono state emesse dal gip di Torino su richiesta del procuratore aggiunto Alberto Perduca e notificate come si ricordava in tre regioni. In particolare, a Livorno ha sede la De Tomaso, azienda automobilistica produttrice di auto di lusso rilevata da Rossignolo, ex manager della Zanussi e della Telecom, nel 2009 e già dichiarata fallita dal locale tribunale di Livorno (un'istanza analoga è in corso presso il tribunale fallimentare di Torino).

In Piemonte la De Tomaso aveva acquisito lo stabilimento ex Pininfarina di Grugliasco e gran parte dei dipendenti dell'azienda che avrebbero dovuto essere riqualificati con i corsi di formazione finanziati con fondi pubblici. Secondo l'accusa, per accedere ai contributi è stata utilizzata una fidejussione falsa dell'ammontare di alcuni milioni e parte dei fondi è finita direttamente nelle tasche di dirigenti della De Tomaso.

Al mediatore sono andati 1,7 milioni di premio per aver procurato la polizza fidejussionaria richiesta dal ministero successivamente rivelatasi falsa. Si indaga anche su 400 mila euro di retribuzioni riconosciute in tre mesi ai membri della famiglia Rossignolo e a dirigenti di fiducia. Dei mille dipendenti che nell'arco dei tre anni dovevano usufruire dei corsi finanziati e che in realtà non sono mai partiti, appena in 67 hanno iniziato la formazione e solo per pochi giorni.



http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/07/12/news/truffa_sui_corsi_di_formazione_arrestato_rossignolo-38918953/?ref=HREC2-10

Svizzera, tagliano l’erba e trovano lingotti d’oro.


I lingotti ritrovati a Klingau

I lingotti trovati a Klingau

Incredibile ritrovamento a Klingau, ma nessuno finora ha reclamato il sacchetto il cui valore ammonta a 104.000 euro.

MILANO - Certo, non capita tutti i giorni di trovare dell’oro nei cespugli. In Svizzera, invece, è successo proprio così. Mentre stavano tagliando l’erba a Klingnau, piccolo comune vicino al confine con la Germania, due operai comunali hanno trovato in un cespuglio un sacchetto di plastica con lingotti d'oro del peso di 2,5 chilogrammi. Il valore: 104.000 euro. Al momento, la polizia brancola nel buio. Nessuno finora ha reclamato il prezioso metallo giallo.
MISTERO - I lingotti erano avvolti in carta velina bianca e legati con del nastro adesivo. Come riferiscono i media elvetici, i due dipendenti comunali avevano in un primo momento sospettato si trattasse di pacchetti con dello stupefacente. Stupefatti sono invece rimasti di fronte alla scoperta. Si tratta di «un caso senza precedenti», ha detto il portavoce della polizia cantonale, Bernhard Graser. In realtà, il ritrovamento risale al 28 giugno, ma la notizia è stata resa pubblica solo ora. Finora nessuno si è fatto vivo per segnalare il singolare «smarrimento». Sottolinea Graser: «Vicino al sacchetto di plastica con l'oro qualcuno ha scavato una buca, il caso è davvero misterioso». I pezzi sono punzonati e provengono dalle banche UBS e Bank Leu (Credit Suisse). I due istituti di credito non hanno voluto commentare, dicono di aspettare i risultati delle indagini.

L’Unione europea blocca i fondi alla Sicilia: “Gravi carenze nei sistemi di controllo”.


Il versamento di diversi fondi Ue alla Sicilia è sospeso fino a nuovo ordine. Questa l’indicazione dei servizi del commissario Ue per gli affari regionali Johannes Hahn. Il blocco è stato comunicato ufficialmente da Bruxelles alla Regione ed è stato causato da “gravi carenze” riscontrate nei sistemi di controllo. La doccia fredda per il governo della Regione – in gioco ci sarebbero circa 600 milioni di euro – è arrivata da Bruxelles con una lettera inviata dal direttore generale della Commissione europea per gli affari regionali, Walter Deffaa, braccio operativo del commissario competente, l’austriaco Johannes Hahn.
“La Commissione – ha detto all’Ansa un portavoce dell’esecutivo comunitario – ha riscontrato l’esistenza di gravi carenze nella gestione e nel sistema di controllo dei programmi operativi” sotto osservazione. Una situazione, ha aggiunto, che “colpisce l’affidabilità delle procedure di certificazione dei pagamenti” e rispetto alla quale “non sono state prese misure correttive. Fino a quando queste gravi carenze non saranno state risolte, i pagamenti non riprenderanno”.
A dare l’anticipazione della pesante misura adottata da Bruxelles è stato oggi il “Giornale di Sicilia”, secondo il quale ad essere nel mirino della Commissione europea sono gli investimenti effettuati dagli assessorati alle infrastrutture, all’economia, alla salute e per la protezione civile. I funzionari europei hanno segnalato che, nell’ambito delle procedure per l’assegnazione degli appalti, in un caso era sfuggito ai controlli della regione il fatto il vincitore della gara avesse procedimenti giudiziari a carico. In molti altri casi, secondo i rilievi di Bruxelles, le verifiche sono state parziali o inadeguate.
Lo stop di Bruxelles riguarda il rimborso, attraverso i fondi strutturali messi a disposizione dall’Ue, di spese per 600 milioni di euro già effettuate dalla Regione tra la fine del 2011 e il mese scorso. In particolare 200 milioni sarebbero stati spesi tra ottobre e dicembre 2011 e altri 400 da gennaio a giugno scorso. Già lo scorso 6 gennaio una lettera di ‘avvertimentò era stata inviata da Bruxelles all’Italia per chiedere di chiarire la situazione sull’impiego di 198 milioni di euro entro sei mesi. Il termine è scaduto il 6 luglio scorso e le conseguenze del mancato chiarimento non hanno tardato ad arrivare.
Il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ha così commentato le notizie provenienti da Bruxelles:“”I rilievi della Commissione europea, a quanto pare, riguardano certificazioni, controlli e gestioni. Adempimenti tutti di carattere prettamente tecnico di cui chiederemo conto ai dirigenti che se ne sono occupati. Intanto – ha aggiunto il governatore – ovvieremo ai rilievi e adotteremo ogni misura che riterremo adeguata a superare la difficoltà. E’ una comunicazione, peraltro datata, rispetto alla quale la buona collaborazione che abbiamo avviato con il ministero della Coesione territoriale credo che ci abbia fatto già superare parecchi dei rilievi che ci sono stati mossi”.

Valentino, il marchio passa al Qatar.



Il gruppo vende a Mayhoola for Investments SpcIl valore dell'operazione è di almeno 700 milioni di euro.


Mancava solo l'ufficialità. E dopo poco è arrivata. Il gruppo Valentino finisce in Qatar. Mayhoola for Investments Spc, società partecipata da un «primario investitore» del paese - spiega un comunicato -, ha acquisito l'intera partecipazione della società dal fondo Permira e i Marzotto per almeno 700 milioni di euro. Recenti indiscrezioni avevano indicato i reali del Qatar dietro l'interesse per l'operazione.
IL PREZZO- Il prezzo dell'operazione non viene reso noto. Secondo alcune indiscrezioni finanziarie, tuttavia, la cessione sarebbe stata realizzata sopra i 700 milioni di euro, con un multiplo quindi di 27-28 volte il margine operativo lordo del 2011 (22 milioni di euro). L'annuncio ufficiale non svela chi via sia dietro Mayhoola, ma fonti finanziarie confermano che si tratta della famiglia dei reali del Qatar. Il gruppo Valentino ha chiuso il 2011 con un fatturato di 322 milioni di euro, e segna una crescita del 60% del fatturato tra il 2009 e il 2012.
Valentino, il marchio passa al QatarValentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar
Maria Grazia Chiuri, a destra, e Pier Paolo Picciolo, gli stilisti di ValentinoMaria Grazia Chiuri, a destra, e Pier Paolo Picciolo, gli stilisti di Valentino
IL GRUPPO- Con l'operazione - spiega una nota - Mayhoola acquisisce il controllo di Valentino spa e la licenza M Missoni, mentre MCS Marlboro Classic, altro marchio getsito dal gruppo è stato separato dal perimetro di cessione e resterà in carico a Permira. Il fondo con la famiglia Marzotto, ha acquisito il controllo di Vfg nel 2007, nel quadro di una transazione che comprendeva anche una quota di maggioranza in Hugo Boss.
«HANNO FATTO UN OTTIMO LAVORO»- Un rappresentante di Mayhoola ha osservato che «Valentino è da sempre un marchio di grande fascino e di indiscusso posizionamento. Siamo rimasti colpiti dal lavoro fatto in questi anni dai direttori creativi Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli e da tutto il management team guidato da Stefano Sassi. Il nostro obiettivo è quello di supportare il management al fine di raggiungere una piena valorizzazione delle prospettive di questo magnifico marchio. Crediamo inoltre che Valentino sia la base di partenza ideale per creare una più ampia presenza nel settore del lusso».


http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_12/valentino-qatar_f9ddc582-cbfe-11e1-b65b-6f476fc4c4c1.shtml