mercoledì 25 luglio 2012

In Sicilia si muore sulle strade ma 2 miliardi di euro restano nei cassetti dell’Anas. - Fedro


Viaggiare per le strade, e purtroppo, anche per le autostrade siciliane, si sa, è paragonabile ad un’autentica passeggiata di salute.
Strade strette ed anguste, voragini degne di un palcoscenico di guerra, autostrade, se tali possiamo chiamarle senza che le autostrade vere si offendano, composte da sporadici nastri d’asfalto tra un’interruzione e l’altra; questo dove le strade ci sono, visto che in Sicilia accade anche che intere contrade, luoghi abitati e perfino opifici, siano pressoché irraggiungibili per la mancanza di strade degne di questo nome.
Purtroppo non ci sono soldi, direte Voi, abituandovi ad accettare per buone le giustificazioni, peraltro poco originali, dei governi di turno, oramai abituati ad un ritornello che dovrebbe, a loro modo di pensare, giustificare anni di arretramento ed isolamento infrastrutturale nell’Isola.
Ed invece ecco dal cilindro la sorpresa: grazie alla Cgil scopriamo che l’Anas ha in cassa ben 2.170 milioni di euro ( avete capito bene: duemila e rotti milioni di euro!) per interventi sul sistema stradale siciliano e non li utilizza perché preferisce tenerli chiusi nei cassetti, agevolata dall’insipienza di questa classe dirigente.
Volete qualche esempio? 339 milioni di euro per la Siracusa- Gela, 477 per la Camastra- Gela, 57 milioni per la manutenzione delle autostrade siciliane, addirittura 815 milioni per la Ragusa- Catania, 222 per la Bolognetta-Lercara e 150 per la Mazara del Vallo- Trapani. E ci fermiamo qua solo per ragioni di spazio.
All’Anas hanno fatto di un vecchio adagio della prima repubblica la loro stella polare: “mai abituare male i cittadini facendo capire che i soldi per realizzare le opere ci sono, altrimenti quando ne facciamo una non l’apprezzano perché gli sembra una cosa facile o, addirittura, dovuta.”
Ed allora meglio tenerli in cassa i soldi, in attesa di qualche campagna elettorale o del rinnovo del consiglio d’amministrazione; pazienza se nel frattempo decine di persone in quelle strade ci muoiono, con la stessa frequenza dei coloni nella Striscia di Gaza, tanto chi dovrebbe difenderli e sostenerne le ragioni è in tutte altre faccende affaccendato.
Per queste ragioni, e non per incontri di cortesia o per sterili proteste,  Lombardo ed i suoi autonomisti dovrebbero andare a Roma: per mettere a ferro e fuoco l’Anas, per costringerli a costruire e manutenere le nostre strade, per farci restituire quello che, impropriamente ed indebitamente trattengono. E poi se resta tempo per chiedere conto e ragione ai parlamentari  siciliani perché hanno venduto la loro terra.

Ironizzando...



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Emergenza call center, a rischio 18mila posti in Sicilia. - Loredana Ales


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Un’ecatombe. Così in molti definiscono il 2012, come l’anno dei licenziamenti e delle chiusure record in Sicilia. Quello che una volta era il bacino di impiego più vasto dell’isola ovvero i call-center adesso rischia di diventare una valle desolata pronta a lasciare l’isola e ad approdare nei paesi esteri.
Secondo i dati forniti dalla Cgil Catania nella sola provincia etnea i posti di lavoro a tempo indeterminato a rischio nel settore dei call center sono circa 2500, e nelle attività a progetto circa 6000A Palermo a rischio sono circa 10mila lavoratori. Numeri da far paura se si sommano circa 12.000 i posti di lavoro persi e circa 3.000 le richieste di ammortizzatori sociali in tutta Italia. Cifre che entro quest’anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l’attuale trend di delocalizzazioni verso l’estero.
“Le aziende coinvolte nella delocalizzazione dei call-center – spiega a BlogSicilia Angelo Villari segretario generale Cgil Catania sono AlmavivaFastweb, Eurocolle tanti altri che rischiano di essere delocalizzate in paesi quali Tunisia, Algeria, Albania, Moldavia, Romania, Croazia, India, Argentina. Mentre noi pensiamo che quelli che fanno call-center sotto scala vanno fermati del tutto, quelli che rispettano le regole dall’altro lato vengono ricattati dai committenti che propongono servizi a costi bassissimi in paesi esteri calpestando i diritti dei lavoratori. Noi come sindacato abbiamo chiesto che questa delocalizzazione non avvenga. Devono invece essere garantite le gare d’appalto a prezzi giusti e soprattutto deve essere garantita la privacy dei clienti”.
“Dopo la crescita degli anni Novanta, e grazie anche al sistema degli sgravi fiscali, la Sicilia ha vissuto una stagione florida per la crescita dei call center – continua Villari -. Ma le delocalizzazioni oggi rischiano di indebolire il valore tutto italiano della privacy dei consumatori a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica. Per questo crediamo che gli enti committenti per primi debbano evitare queste pratiche. Per fortuna, c’è chi non ha intenzione di affidarsi ai Paesi esteri e vuole investire sul nostro territorio e le nostre professionalità”.
E’ il caso della Eurocall–Mics di Piano Tavola (CT), un’azienda tutta siciliana facente capo al gruppo Ntet del Cavaliere del Lavoro Francesco Tornatoreha appena dato lavoro stabile a 120 operatori, tutti giovani e per il 65 per cento donne. L’accordo per l’avvio delle procedure di assunzione con contratti a tempo indeterminato dei giovani lavoratori, di età compresa tra i 23 ed i 35 anni: “È con grande piacere – dice Maurizio Attanasio, segretario generale Felsa Cisl Sicilia – che accogliamo la notizia di un’importante azienda del settore dei call center che avvia una fase crescita positiva e non di profitto sulle spalle di giovani lavoratori”.
“L’allarme è stato lanciato gia qualche anno fa perchè ci siamo accorti che le committenti stavano cominciando ad affidare alle aziende  gli appalti  alle stesse condizioni che avevano fissato nel 2007 – riferisce a BlogSicilia Giovanni Pistorio, Segretario Confederale Cgil Catania-. Facendoci dei conti, si capiva fin da subito che a breve termine non ci sarebbe più stata competizione economica e che ci si sarebbe spinti verso la delocalizzazione. I call-center, dunque, minacciati dai committenti hanno deciso di spostarsi all’estero. Vodafon, Sky, Wind hanno gia mandato molte commissioni all’estero ma anche Alitalia, Telecom e Teletu. Alitalia ha ditottato già gran parte del suo traffico telefonico verso l’India, gli altri verso i paesi che stanno ai margini della Comunità europea.
Gia lo scorso anno abbiamo chiesto alla Prefettura di intervenire sul caso anche perchè è a rischio la privacy dei clienti perchè la maggior parte dei paesi in cui avverrà la delocalizzazione non hanno la stessa regolamentazione sulla privacy dell’Italia. I dati su Catania sono solo in difetto perchè i numeri dei lavoratori a progetto sono incalcolabili, addirittura per tutta la Sicilia si potrebbe parlare di 40mila persone”.
Non meno tragica è la situazione su Palermo dove i lavoratori dei call-center sono circa 10mila: “C’è un grosso call- center – dichiara Marcello Cardella segretario regionale Slc Sicilia – che fa parte del gruppo Almaviva, dove i lavoratori coinvolti sono migliaia. Le aziende tendono a portare lavoro all’estero per diminuire i costi. Si tratta di circa 4500 dipendenti del gruppo Almaviva, 1500 del gruppo Foryou, ma si tratta solo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato perchè i precari sono molti di più.
Intanto la Cgil fa sapere che a livello parlamentare sono state presentate due interpellanze, una dell’ onorevole Giuseppe Beretta poi un’identica interpellanza dell’onorevole Ludovico Vico che ha presentato l’emendamento al decreto legge Fornero contro le delocalizzazioni: “A livello regionale – conclude Pistorio – Concetta Raia, deputato regionale del Pd, ha presentato qualche giorno fa un ordine del giorno approvato all’unanimità contro la delocalizzazione. Lombardo potrebbe benissimo inbtervenire in sede di Consiglio dei ministri”.

Stato-mafia, Csm apre pratica su Scarpinato.


scarpinato
Via libera all’apertura di una pratica in Prima Commissione sul procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, in relazione alle parole da lui pronunciate
durante la commemorazione, avvenuta nei giorni scorsi, del giudice Paolo Borsellino, ucciso 20 anni fa dalla mafia. Il Comitato di presidenza del Csm ha autorizzato l’avvio della pratica, inviando anche gli atti al procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare. La Prima Commissione, da settembre, dovra’ dunque valutare se sussistano gli estremi per un trasferimento d’ufficio per incompatibilita’.
La decisione è arrivata dopo che il laico del Pdl, Nicolo’ Zanon, presidente della prima Commissione del Csm, aveva chiesto al Comitato di Presidenza di Palazzo dei Marescialli di autorizzare l’apertura di una pratica in prima Commissione sulle parole pronunciate, il 19 luglio scorso, dal procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato. Il magistrato, nelle commemorazioni per la strage di Via d’Amelio, ha letto una lettera il cui destinatario era proprio Paolo Borsellino, nella quale Scarpinato scriveva, tra l’altro, che “stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorita’, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalita’ per i quali tu ti sei fatto uccidere”.
Quanto deciso dal Csm potrebbe influire sulla corsa per la poltrona di procuratore generale di Palermo, per la quale sono in lizza l’attuale procuratore Francesco Messineo, sostenuto dalla maggioranza, e lo stesso Scarpinato candidato di minoranza.

Sos dall'Ars: gli onorevoli sono senza stipendio.


poverta
Adesso la Sicilia è veramente sull’orlo del fallimento; adesso l’economia dell’Isola è realmente in serio pericolo. Colpa della “spending review” regionale? Colpa dei tagli annunciati da Monti o dello spread balzato a livelli berlusconiani? No, nulla di tutto questo; la crisi vera è annunciata dal mancato pagamento degli stipendi di luglio ai 90 parlamentari siciliani.
Un vero macigno per l’economia siciliana ed un dramma forse insostenibile per i conti correnti degli inquilini di Palazzo dei Normanni, che saranno costretti ad attendere fino ad agosto per incassare i 20.000 euro mensili fra stipendio e prebende varie.
Scartata l’idea della colletta per sostenerli, dato il ristretto tempo per organizzarla, si potrebbe pensare ad un’apertura straordinaria del ristorante di Palazzo dei Normanni, anche i sabati e le domeniche e perfino durante le ferie, almeno per garantire agli onorevoli la sussistenza alimentare; in alternativa, si potrebbe sperimentare una convenzione con ristoranti ed alberghi a 5 stelle di Sicilia, naturalmente a carico dell’Ars, che fossero disposti ad ospitare ed aver cura dei 90 parlamentari sull’orlo dell’indigenza.
E dire che lo stipendio lo hanno meritato durante tutta la legislatura; magari non per il numero di leggi votate, poco più di una decina, ma per la perseveranza e la fatica con la quale si sono divisi cariche e stipendi supplementari (60 su 90), per la determinazione con la quale hanno costretto la magistratura ad occuparsi di loro (28 su 90), ed infine per i disagi sostenuti nel cambiare ripetutamente partito e gruppo parlamentare rispetto a quello con cui avevano centrato l’elezione. Nel frattempo per raggiungere questi risultati, hanno anche creato commissioni fantasma, hanno assistito inermi al succedersi di tre diverse maggioranze e di una trentina di assessori, ed ogni tanto si sono anche contraddistinti per essersi assegnati ferie lunghe oltre un mese durante l’anno.
E con questi numeri, i burocrati regionali vorrebbero permettersi di ritardare anche una sola ora il pagamento degli stipendi ai parlamentari? Vorrebbero negare loro quei 20.000 euro, che si sommano al milione di euro già percepito nella legislatura in corso da ciascuno dei magnifici 90, indispensabili per campare le loro famiglie?
Crudeltà, pura crudeltà! E pensare che si tratta degli uffici regionali che si dannano per trovare le risorse necessarie a pagare cassa integrati e lavoratori in mobilità: che spreco e che vergogna! Pagare prima chi vive con 800 euro al mese, e magari il lavoro lo ha perduto, rispetto a poveri onorevoli che faticano a vivere con 20.000 euro al mese è lo specchio di questa Sicilia sbagliata.
Il nostro consiglio? Evitare di pagare stipendi, indennità ed ammortizzatori sociali ai disoccupati per mettere da parte i soldi necessari a pagare gli stipendi dei parlamentari: questa è la Sicilia cui siamo abituati,nell’altra ci sentiremmo a disagio.

Berlusconi non deporrà al Dell’Utri bis. Il pg: “Maglie strette, rischio prescrizione”.

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Secondo la corte del nuovo appello, le dichiarazioni dell'ex premier non sarebbero "né indispensabili né decisive". Il procuratore Patronaggio: "In primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere, importante sentirlo". Cicchitto: "Tentativo di coinvolgere il Cavaliere nella trattativa-Stato-mafia".

Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi non sono “né indispensabili né decisive”. Con  queste motivazioni i giudici del processo d’appello bis contro Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, hanno respinto la richiesta avanzata dalla pubblica accusa, che voleva chiamare in aula l’ex presidente del consiglio. Ma la sua testimonianza, secondo la corte presieduta da Raimondo Lo Forti, non è rilevante ai fini della sentenza.
I motivi della presenza del boss Vittorio Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni ’70 sono già “ampiamente comprovati”, hanno argomentato i giudici respingendo al richiesta. A presentarla era stato questa mattina il procuratore generale Luigi Patronaggio. Il rappresentante dell’accusa ha ricordato che Berlusconi era stato citato già nel processo di primo grado, ma essendo all’epoca indagato di reato connesso aveva potuto avvalersi della facoltà di non rispondere (esercitata nel 2002 a palazzo Chigi, dove l’intera corte si era trasferita per sentirlo mentre era presidente del Consiglio). Convocato oggi come testimone, non si sarebbe invece potuto sottrarre alle domande. Per i giudici, però, dall’ex premier non potrebbero in ogni caso venire elementi di rilievo e pertanto è inutile citarlo. 
“L’ordinanza della Corte si è molto attenuta ai criteri della Cassazione e ha delimitato moltissimo l’oggetto della prova”, ha commentato Patronaggio. “Incombe il pericolo della prescrizione, specie se risulterà l’interruzione della condotta ascritta a Dell’Utri”. La Cassazione, infatti aveva ritenuto pienamente accertata la collaborazione di Dell’Utri con Cosa nostra, ma soltanto fino al 1977, data per la quale il reato è già abbondantemente prescritto. Da qui il rinvio a un nuovo appello, con la richiesta ai giudici di fornire motivazioni più solide per quanto riguarda gli anni successivi, e in particolare il quinquennio 1977-1982, nel quale il futuro presidente di Publitalia lasciò Berlusconi per andare a lavorare con il discusso finanziere Filippo Alberto Rapisarda
La  corte invece ammesso come teste soltanto il bancario Giovanni Scilabra, il quale ha riferito che nel 1986 Marcello Dell’Utri e l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, andarono a trovarlo nel suo ufficio per discutere di prestiti. Scilabra sarà sentito nella prossima udienza, fissata per il 3 ottobre. L’episodio risale al 1986. Dell’Utri, che oggi non era presente in aula, lo ha sempre negato e ha sporto querela contro il bancario. Il processo è attualmente pendente davanti al Tribunale civile di Roma.
Tra le richieste respinte dalla Corte, anche quella di convocare il pentito Giovanni Brusca perché parlasse della trattativa Stato-mafia. I giudici, che hanno sottolineato come su questo punto le dichiarazioni del collaboratore siano apparse contraddittorie, hanno disposto di acquisire i verbali di Brusca limitatamente alle parti relative alle estorsioni ai danni di Berlusconi. No anche alla citazione dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, e del pentito Stefano Lo Verso.
La difesa di Marcello Dell’Utri definisce la decisione della corte “molto equilibrata”, ma la polemica si sposta sul fronte politico. ”Non siamo sorpresi – visto che è guidata dal dottor Ingroia – dall’operazione che si sta tentando di fare a Palermo: quello di estendere all’equilibrio politico attuale la vicenda riguardante la cosiddetta trattativa stato-mafia”. E’ la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, che aggiunge: “Che cosa hanno in comune Conso e il governo di cui era ministro con Dell’Utri qualcuno ancora ce lo deve spiegare. Dato e non concesso che ci sia stata questa trattativa nel ’92-’93, essa poteva riguardare solo chi aveva il potere politico, giudiziario e poliziesco in quell’epoca. Ciò non era certo il caso né di Dell’Utri né di Berlusconi. Quale aria tiri è dimostrato dal titolo di oggi dell’Unità che dà già per scontato il coinvolgimento di Berlusconi”.

Noi, appesi come foglie d'autunno. Barbara Spinelli



NESSUNO di noi sa quel che voglia in concreto il governo tedesco: se vuol salvare l'euro sta sbagliando tutto. Se gioca allo sfascio ci sta mettendo troppo tempo. Nessuno sa come intenda procedere la Banca centrale europea. Draghi ha detto a Le Monde che l'euro è irreversibile, che la Bce "è molto aperta e non ha tabù". Ha detto perfino che "non siamo in recessione". Ma venerdì scorso ha deciso che non accetterà più titoli di stato greci in garanzia, dando il via alle danze macabre attorno a Atene e votandola all'espulsione. 

Decisione singolare, perché qualche giorno prima Jörg Asmussen, socialdemocratico tedesco del direttorio Bce, aveva detto alla rivista Stern che bisogna "aver rispetto per gli sforzi greci". Una contrazione di 5 punti di pil sarebbe tremenda per chiunque, Germania compresa: "Dovremmo almeno dire a Atene: ben fatto, buon inizio". La maggioranza nella Bce non sembra d'accordo: smentendo che siamo in recessione, si allinea non tanto alla Merkel ma all'ala più dura del suo governo. Nessuno sa infine a che siano serviti 19 vertici di capi di Stato o di governo. Dicono che gli Europei stanno correndo contro il tempo. Ben più tragicamente l'ignorano, vivono nella denegazione del tempo, dei fatti. Se tutte queste cose non le sappiano noi, figuriamoci i mercati: il caos che producono è il riflesso molto fedele del caos che regna nelle teste, negli atti, nelle parole dei capi che pretendono governare l'Unione.

Il tempo imbalsamato, mentre la storia precipita. La nefasta lentezza con cui si muovono politici e Bce: nei libri di storia, se finisse l'euro, si parlerà di strana disfatta dovuta a questo tempo che s'insabbia: strana perché il tracollo, essendo politico più che economico, poteva essere evitato. La Grecia esce, non esce? Lo sapremo a settembre, quando parlerà la trojka (Commissione, Bce, Fmi). Il Fondo salva-Stati nascerà, anche se con pochi soldi? Da settimane, l'intero Sudeuropa sta appeso alla decisione che la Corte Costituzionale tedesca prenderà, il 12 settembre, su Fondo e Patto di bilancio (Fiscal Compact). I due accordi sono compatibili con la costituzione tedesca, e in particolare con il principio di democrazia che nell'articolo 20 fa discendere il potere dello Stato dalla sovranità del popolo e del Parlamento? Fino ad allora resteremo appesi, come d'autunno le foglie sugli alberi. La foglia greca già è semi-staccata, ma la morte va inflitta a fuoco lento. Alcuni dicono che l'espulsione serve a sfamare il sotterraneo bisogno tedesco di punire, più che di aggiustare. Di sfasciare e comandare, più che di ricostruire e guidare. Anche per questo, incerti più che mai sulla voglia europea d'esistere, i mercati impazziscono.

Non sono dilemmi secondari, quelli trattati a Karlsruhe: sono in gioco la sovranità del popolo, il suo diritto inalienabile a influire sui bilanci nazionali. Da anni la Corte tedesca se ne occupa, e certo gli occhiali che inforca sono nazionali: non conta nulla la sovranità del popolo europeo, rappresentato con flebile forza dal Parlamento europeo ma pur sempre rappresentato. Tuttavia è troppo facile tacciare lei, e i tedeschi, di nazionalismo. Il fatto è che da quasi vent'anni la Corte s'accanisce su materie essenziali per noi tutti. Che sovranità possiedono esattamente gli Stati, e com'è esautorata dall'Unione? Il Parlamento europeo ha la forza e le prerogative per incarnare un interesse generale europeo, una sovranità parallela cogente come quelle nazionali?
L'unica certezza, nell'odierno turbine monetario, è che gli Stati sono ormai un ibrido: non più sovrani, non sono ancora federali. Di questo si parla a Karlsruhe: non solo di democrazia tedesca, ma del profilo giuridico, costituzionale, politico che dovrà darsi l'Unione: sempre che la si voglia salvare. Che si voglia dire ai popoli il mondo caotico che abitano e come evolverà.

La cosa grave è che la Corte discute, sentenzia, in totale isolamento. Nessun'altra Corte, o partito, o governo, ragiona in Europa su tali problemi. Ci si lamenta del peso abnorme dei giudici tedeschi, ma su Unione e sovranità democratica non circolano idee alternative, né tantomeno comuni. Neppure il Parlamento europeo è scosso da accordi (Fiscal Compact, Meccanismo di stabilità ovvero Esm) che di fatto estromettono i deputati di Strasburgo, non essendo Trattati comunitari ma inter-nazionali. L'Unione già si trasforma, influenzando sempre più le vite dei cittadini, ma fino a quando non saranno sciolti i due nodi vitali  -  quello della democrazia, quello di una Bce che non può intervenire come la Banca centrale americana o giapponese, perché nessuno vuole affiancarle un governo federale  -  la sua sovranità sarà considerata illegittima, non credibile, sia dai cittadini sia dai mercati. L'indipendenza della Bce è importante, ma a che serve se l'Unione  -  a differenza dell'America, del Giappone, dell'Inghilterra  -  non ha il dominio della propria moneta? Uno scettro è stato tolto agli Stati, e giace per terra nella polvere.

Solo in Germania è forte, in alcuni dirigenti, l'esigenza di codificare le presenti mutazioni: lo impone il principio di non contraddizione (è impossibile che due proposizioni divergenti abbiano lo stesso significato). Per questo la Corte costituzionale sta lì e si rompe il cervello. Il ministro Schäuble, monotonamente chiamato il falco, lo ha detto in piena crisi dell'euro, il 18 novembre a Francoforte: "Dall'8 maggio 1945 la Germania non è mai stata sovrana (...) Da almeno un secolo la sovranità è finita ovunque in Europa". Di qui la necessità di una sovranità federale superiore: prospettiva invocata in Germania da molti, gradita da pochissimi. Non a caso Schäuble evita la parola sovranità: usa l'indecifrabile termine governance. Ecco un altro concetto senza peso costituzionale. Se è governance, non è vero governo federale. Anche ai vocabolari siamo appesi.
Neppure Schäuble tuttavia ha il senso del tempo, così come non lo ha Hollande sullo Stato-nazione. Quel che né Parigi né Berlino vedono, è che il problema della sovranità politica e democratica europea non va risolto in un secondo momento, superata la crisi. Essendo all'origine della crisi, è ora che va risolto. L'interrogativo di fondo (che sovranità spetti all'Unione, come ricucire Nord, Est e Sud) va posto in mezzo al tifone degli spread, prima di espellere un paese del Sud dopo l'altro. Altrimenti non staremmo ad aspettare il verdetto di una Corte costituzionale che mette al centro non i deficit pubblici, ma sovranità e democrazia.

Naturalmente l'Europa federale non si farà subito. Ma si può fissare una scadenza, come avvenne con l'euro. Il Parlamento può farsi assemblea costituente, come già negli anni '80. La Bce può riflettere sull'impotenza cui oggi è condannata. I mercati devono capire, finalmente, se l'Unione vogliamo farla o disfarla pezzo dopo pezzo. Cominciando col cacciare la Grecia non avremo un'Unione tedesca. Avremo una non-Unione. Intanto l'unità del continente torna a essere quella degli esordi: una questione di pace o guerra civile, di odii  -  anche razziali  -  che crescono per forza di inerzie mostruose.

Proprio perché è l'unico paese a pensare costituzionalmente, la Germania ha primarie responsabilità. Non può insistere sull'unione politica, e poi imporre il dogma nazional-liberale della "casa in ordine". Un dogma che sta facendo proseliti: "Abbiamo fatto i nostri compiti: come mai i mercati ci colpiscono lo stesso?". Ci colpiscono perché il compito casalingo non è tutto. Ha detto il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco: "200 punti di spread sono colpa nostra, il resto è dovuto ai problemi comuni dell'euro". È l'Unione che non fa propri compiti. Quando li farà, quando avrà una Banca centrale prestatrice di ultima istanza, casa in ordine significherà qualcos'altro. Non diminuiranno gli obblighi di ognuno, ma la casa sarà europea e il suo volto muterà.



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