sabato 4 agosto 2012

Un fax a B: “Ti rompo il c…”, così Lavitola ricattava il Cavaliere. - Marco Lillo e Giuseppe Lo Bianco


berlusconi_lavitola interna

Arrestato il “mediatore” Pintabona. A giugno, intercettato sulle escort fornite da Tarantini, diceva: “Giochiamo la partita a briscola con il nano maggiore”. Secondo i pm, Valterino voleva 5 milioni di euro. Tra gli indagati dell'inchiesta compare anche Sammarco uno dei legale dell'ex presidente del Consiglio.
“Torno e ti spacco il culo”, scrive Valter Lavitola a Berlusconi sotto il biglietto di ritorno per l’Italia mostrato all’avvocato Gennaro Fredella. “Dobbiamo parlare con il nano maggiore – gli fa eco Carmelo Pintabona – una volta che lui è fuori dobbiamo sederci a tavola per giocare una briscola, ed è una briscola che perde di sicuro”. Una briscola da cinque milioni di euro, il prezzo dell’estorsione costata ieri un nuovo ordine di custodia cautelare per l’ex direttore de l’Avanti!, già detenuto. Con la stessa accusa è finito in carcere Carmelo Pintabona, faccendiere siciliano con interessi in Argentina legato all’Mpa di Raffaele Lombardo, latore delle richieste estorsive.
Nell’indagine sono coinvolti anche l’avvocato Alessandro Sammarco, pronto a volare in Argentina da Lavitola per interrogarlo nell’interesse di Berlusconi (indagato per induzione alle dichiarazioni mendaci), l’avvocato di Lavitola Eleonora Moiraghi e un amico siciliano di Pintabona, Francesco Altomare. Grazie alle testimonianze della sorella di Lavitola, Maria che ha riferito parole della compagna del fratello, Neire Cassia Pepe Gomez, e numerose intercettazioni telefoniche (tra cui una telefonata-confessione di Pintabona) i pm napoletani Henry Woodcook e Vincenzo Piscitelli hanno ricostruito tutte le tappe della richiesta di cinque milioni di euro partita con una lettera battuta al computer nella casa di Lavitola a Panama, e poi inviata ad una casella di posta elettronica della quale entrambi possedevano la password. I due magistrati sono piombati ieri a Palermo per l’arresto di Pintabona e in mattinata hanno incontrato il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, con il quale hanno avuto uno scambio di informazioni utili alle rispettive inchieste, entrambe per estorsione nei confronti dell’ex premier. Convocato il 26 luglio scorso, Berlusconi ha disertato anche l’appuntamento napoletano.
La sorella Maria e le richieste di soldi
È Maria Lavitola a rivelare ai pm un incontro nel novembre scorso a Roma, alla fermata della metro Anagnina, con Neire Cassia Pepe Gomez, appena giunta dal sudamerica: “Con la Neire andammo nello studio dell’avvocato Fredella, che mi disse che mio fratello Valter aveva spedito una mail o un fax all’on. Berlusconi con il quale mostrava un biglietto aereo di ritorno in Italia con sotto scritto: “Torno e ti spacco il culo’’. Fredella non è d’accordo, considera il suo cliente ‘pazzo’ e rivela a sua volta a Maria Lavitola di avere incontrato l’avvocato di Berlusconi, Alessandro Sammarco.
I problemi del legale
“Mi disse che era andato nello studio della sua collega Nicla Moiraghi credendo di incontrare un investigatore privato, ma invece trovò Sammarco – rivela Maria Lavitola – il quale gli disse che si sarebbe recato egli stesso in Argentina per incontrare Valter ed esporgli i termini dell’accordo che prevedeva, tra l’altro, la garanzia per mio fratello di un’adeguata difesa. Gli disse poi che la possibilità di offrire la salvezza a Valter, perché la salvezza di Valter era la salvezza del suo cliente”.
Italiani d’Argentina
Sammarco appare determinato a partire e in effetti vengono spesi seimila euro per acquistare due biglietti Roma-Buenos Aires per il legale di Berlusconi e l’avvocato Moiraghi. La somma arriva in contanti, e per i pm è il tentativo di non lasciare tracce visibili del viaggio. Ma i due legali di Lavitola considerano l’interrogatorio di Sammarco ‘inopportuno ’ e sconsigliano il loro cliente, invece entusiasta, ad affrontarlo. “Lavitola si mostrò molto contrariato – dice Fredella – ma pretese di incontrarsi almeno con la Moiraghi”. Che, infatti, partì. Sola.
Il riscontro messo a verbale
Interrogato dai pm Fredella ha confermato sostanzialmente l’episodio, negando però di avere ascoltato quest’ultima frase. Che Alessandro Sammarco, sentito dal Fatto, nega di avere pronunciato: “È vero – dice – ho incontrato Fredella, ma era doveroso farlo dovendo sentire un suo cliente. I biglietti sono stati pagati da un’agenzia su incarico del mio cliente, non so nulla del pagamento, ma tenderei a escludere i contanti.E non ho mai parlato di salvezza di Lavitola, l’unica ad interessarmi è quella di Berlusconi”.
Il faccendiere dei due mondi
Carmelo Pintabona? “Un mio amico carissimo”, detta a verbale Lavitola, che poi prosegue nel goffo tentativo di sminuirne il ruolo di “latore dell’estorsione”. Amico, prestanome, sponsor e soprattutto socio “negli affari del pesce”, Pintabona assiste a Panama alla scrittura della lettera a Berlusconi, gli presta centomila euro, gli compra persino il biglietto di ritorno in Italia e poi “confessa” al telefono al suo amico Francesco Altomare: “Mi aveva chiesto di intermediare con il presidente” (Berlusconi, ndr), che lui chiama “nano maggiore”.
Pintabona arriva a pochi passi da Berlusconi (non si capisce se a palazzo Grazioli o ad Arcore), ma è fermato dalla polizia, che lo avverte:“Non lo sa che è reato incontrare un latitante?”. E nel-l’attesa della scarcerazione dell’amico Valter progetta la costruzione di 400 mila case in Argentina con l’appoggio della Presidente del paese sudamericano e coltiva sogni megalomani: “Io sto aspettando che Valter esca tranquillo, e quando lui uscirà, io mi siederò con Putin, con Lula, Condoleezza Rice, mi siederò con persone che questi manco se lo sognano. Valter (ndr) mi ha scritto una lettera, non a me, l’ha mandata a Caselli (Esteban, senatore eletto nel Pdl in Argentina, (ndr) e mi ha mandato molti saluti anche per altre persone…a Carmelo gli voglio tantissimo, tanto bene, me lo ha detto lui, tu mi hai salvato la vita, come ti ripago?”.
Il mercenario gentiluomo
Un Lavitola molto diverso da come lo ha descritto la sua compagna Neire Gomez nell’incontro con la sorella Maria alla fermata della Metro Anagnina.“Era tornata in Italia in segreto e mi disse che Valter stava sclerando, perché assumeva con frequenza psicofarmaci. Lo aveva sentito poco prima e le aveva detto che era in Argentina dove stava eseguendo lavori come mercenario, lavori che gli stessi argentini rifiutavano di eseguire perchè pericolosi. La Neire – continua Maria – mi disse che temeva per la propria vita perchè in passato aveva lavorato con il fratello per conto dei servizi segreti. Mi disse che per Valter la vita umana non valeva nulla e questo lo aveva dimostrato in tante circostanze anche se non si era mai spinto a commettere omicidi personalmente ma ne aveva commissionati”.
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Simpaticissimo.



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Carinerie....



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Bellolampo, cresce la paura In discarica arriva l'Esercito.


L'incendio in corso a Bellolampo (foto da Geapress.org)
Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, invita ad “evitare allarmismi che appaiono oggi ingiustificati, ma la discarica comunale di Bellolampo brucia ancora. Si lavora ininterrottamente da 7 giorni, per lo spegnimento del rogo divampato domenica scorsa. In azione anche oggi canadair, autobotti e ruspe.
Secondo quanto riferito dalla centrale operativa dei vigili del fuoco, da oggi anche l’Esercito è impegnato a supporto dei pompieri. Un rafforzamento di uomini e mezzi in campo per tentate di spegnere, con acqua e terra, il rogo entro domani.
Ma circolano scetticismo e timori. Ieri, il primo cittadino, massima autorità sanitaria della città, ha emesso “in via cautelativa” un’ordinanza per la tutela della saluta pubblica. Il provvedimento ha creato non poca preoccupazione per i palermitani. Sempre nella serata di ieri, il Comune ha diffuso una nota ricevuta dalla Regione siciliana (proprietaria della discarica) giorno 1 agosto, in cui si afferma che i rilievi effettuati a Bellolampo e in altre zone non evidenziano pericoli per la salute umana.
I dati dell’Arpa sull’inquinamento non documenterebbero ancora pericoli ma i cittadini vorrebbero vederci chiaro. Il consigliere comunale Alberto Mangano ha inviato ad Orlando una lettera per chiedere che i dati dell’Arpa vengano resi pubblici. E’ corsa contro il tempo per impedire un preoccupante peggioramento.
Dopo una settimana cresce l’allarme nelle zone e nei paesi circostanti e non viene esclusa l’ipotesi di evacuazione dei comuni di Torretta e Montelepre qualora l’incendio continuasse a divampare e la qualità dell’aria peggiorasse. Programmato per oggi un nuovo sopralluogo, con l’ausilio di un elicottero della polizia, per scattare delle foto e capire meglio la situazione, con la partecipazione del procuratore aggiunto Ignazio De Francisci.
La procura ha acquisito gli atti dei vigili del fuoco e della Protezione civile e disposto il sequestro della documentazione che riguarda la gestione della discarica.
Intanto, l’Assessorato alla Salute smorza l’allarme. Lunedì, nella sede di Piazza Ziino a Palermo, si riunirà un tavolo tecnico con la partecipazione di tutte le componenti coinvolte nella gestione dell’emergenza provocata dal rogo.
Alla riunione, tra gli altri, prendernano parte Arpa, l’Azienda sanitaria provinciale e il Comune.L’assessore e vicepresidente della Regione Massimo Russo vuole monitorare da vicino la situazione sotto il profilo dell’igiene e della sicurezza alimentare. “La situazione – spiega Lucia Borsellino, dirigente generale del dipartimento Attivita’ sanitarie – e’ sotto controllo ma non intendiamo lasciare nulla al caso. I cittadini, in particolar modo quelli che abitano nelle zone limitrofe, devono ricevere le necessarie garanzie per la loro salute”.


http://palermo.blogsicilia.it/bellolampo-cresce-la-paura-in-discarica-arriva-lesercito/96354/

Foto: bestie con Giraffa.



http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/464675/

Inchiesta Ilva, intercettazioni choc "Dobbiamo pagare tutta la stampa". - Guido Ruotolo



I pm : così l’azienda ha tentato di alterare i dati dell’inquinamento ambientale.


TARANTO
Un dirigente dice a un altro: «La stampa dobbiamo pagarla tutta». I pm si presentano con un faldone di intercettazioni. Che compromettono pesantemente le posizioni degli indagati, lo staff dell’Ilva di patron Emilio Riva. Che dimostrano l’inquinamento probatorio, e cioè il tentativo di alterazione dei dati sulla emissione dei veleni prodotti dallo stabilimento. Ci sono intercettazioni in cui l’Ilva chiede conto al direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato, dei risultati di una campagna di rilevamenti.

Questo avviene nel giorno in cui l’Ilva si presenta al Riesame (con il suo nuovo presidente Bruno Ferrante) perché vuole contestare le conclusioni a cui è giunta l’accusa. L’udienza fiume iniziata alle 9 del mattino in un clima surreale, con il Tribunale completamente isolato dalle forze dell’ordine, e un corteo “solidale” con gli imputati bloccato dallo stesso presidente Ferrante che non intende più «manovrare» i suoi dipendenti, e si è conclusa alle 9 di sera. I giudici hanno tempo fino al 9 agosto prima di decidere sulla scarcerazione degli indagati e sul dissequestro degli impianti.

Udienza drammatica di un’inchiesta giudiziaria dagli esiti imprevedibili, perché il Riesame potrebbe confermare il sequestro degli impianti e far accelerare le procedure di spegnimento degli impianti, rompendo così quell’«armonia» costruita tra Bari e Roma di attiva convergenza tra governo, regione, azienda ed enti locali.Nel giorno in cui Palazzo Chigi nomina un commissario per bonificare Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa rischia la chiusura se la proprietà non rispetterà le prescrizioni stabilite dal gip Todisco.

«Non ci dormo la notte al pensiero che 20.000 persone rischiano di non lavorare più». Francesco Sebastio, procuratore di Taranto, in una pausa del Riesame, risponde alle domande dei giornalisti. Mentre un legale degli imputati commenta amaro: «Dopo sei ore di discussione, le posizioni sono cristallizzate. Non si fanno passi avanti».

I legali dell’Ilva si presentano con le memorie e controperizie da depositare: «Lo stabilimento Ilva di Taranto esercisce nel pieno e indiscusso rispetto di una legittima Autorizzazione integrata ambientale, emessa dalla competente pubblica amministrazione nell’agosto 2011. Anche le contestazioni elevate in passato non hanno mai individuato presunti sfondamenti dei limiti di emissione. Dal 1998 al 2011 lo Stabilimento Ilva di Taranto ha investito, solo in tecnologie finalizzate alla tutela dell’ambiente e della salute, circa un miliardo e centouno milioni e 299 mila euro, pari al 24% degli investimenti totali. Le polveri? I livelli di Taranto sono considerevolmente inferiori a quelli medi annui registrati nelle aree urbane del Nord Italia, e anche a Firenze o Roma».

Insomma, una radicale contrapposizione rispetto ai dati emersi dall’incidente probatorio, i cui esiti, dice il procuratore Sebastio, sono ormai «una prova del processo». Naturalmente il «processo» avviene nell’aula del Tribunale del Riesame. E le affermazioni di accusa e difesa raccolte nei corridoi del Tribunale ne sono una fedele rappresentazione. Sebastio sostiene che la ricostruzione della memoria dell’accusa fatta ai giudici dal pm Buccoliero è molto netta: «L’Ilva sostiene di aver rispettato i parametri indicati dall’Aia, dall’Autorizzazione integrata ambientale. In realtà l’Aia fa riferimento alle emissioni convogliate, cioè quelle che escono dal camino E 312. Ma noi invece abbiamo dimostrato che il problema è rappresentato dalle emissioni diffuse (parchi minerari) e fuggitive. In un anno i controlli effettuati sono stati soltanto tre e preavvisati. Occorrono campionamenti continui. Dove sono stati scaricati i sacchi di diossina presi e caricati a spalle?».

In mattinata il procuratore aggiunto Pietro Argentino aveva presentato un’istanza per spostare a metà settembre la decisione sul sequestro dello stabilimento. Istanza respinta dal Riesame per gli evidenti «rilevanti interessi socio economici» che impongono una decisione immediata.
L’accusa si è rivolta ai giudici del Riesame con un quesito: «A Genova è sorto lo stesso problema di Taranto. Tra il 2002 e il 2005 l’area a caldo è stata sequestrata (ottenendo le conferme del Riesame e della Cassazione) ed è stata trasformata in area a freddo. Perché non si può fare la stessa cosa a Taranto?».

La nuova Ilva di Bruno Ferrante è ottimista. Anche se quelle intercettazioni telefoniche depositate ieri mattina sono compromettenti, l’importante è guardare al futuro, voltare pagina. Che ha deciso di ritirarsi da tutti i contenziosi sollevati, e con la presenza del suo presidente Ferrante nell’aula del Riesame conferma la volontà di difendersi «nel processo e non dal processo».

Ilva, ecco le intercettazioni che provano la corruzione Quel manager tesseva le trame. - Mimmo Mazza



TARANTO - Descrive un sistema di potere ramificato. Capace di arrivare a chiunque, almeno a parole, per sistemare le faccende dell’Ilva. È ricca di spunti l’informativa redatta dal Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che vede indagati Fabio Riva, per una fase presidente del siderurgico, Girolamo Archinà, potente pubblic relations man del gruppo Riva, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il consulente della Procura ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti. Un lavoro meticoloso, quello compiuto dagli uomini guidati dal capitano Giuseppe Di Noi, confluito ieri mattina negli atti all’attenzione del tribunale del riesame chiamato a decidere se confermare o meno gli arresti di 8 tra proprietari e dirigenti dell’Ilva e il sequestro dell’area a caldo. I pubblici ministeri hanno deciso di depositare una parte di quell’informativa allo scopo di dimostrare la capacità di inquinamento probatorio del gruppo Riva. 

All’attenzione dei giudici ma anche della difesa degli indagati sono finite così alcuni stralci di intercettazioni telefoniche e ambientali. La storia principale è quella raccontata ieri dalla Gazzetta, cioè della busta bianca - contenente 10mila euro per l’accusa, la bozza di un protocollo per la difesa - consegnata da Archinà al professor Liberti il 26 marzo del 2010 nel retro della stazione di servizio ubicata ad Acquaviva delle Fonti, sull’autostrada Taranto-Bari. Attorno a quella vicenda - tutta peraltro ancora da definire visto che ieri mattina la difesa del gruppo Riva ha depositato un verbale dell’ex arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa che sostiene che quei soldi, quei diecimila euro, erano per lui - ruota ben altro. Parte ancora rigorosamente coperta da segreto istruttorio e dunque destinata ad ulteriori analisi da parte dei pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Giovanna Cannalire che un mese fa hanno ereditato il fascicolo dal collega Remo Epifani, parte invece rivelata. Il perno del sistema di potere dell’Ilva sembra Archinà, consulente del gruppo Riva per la comunicazione e le questioni ambientali. Archinà tiene i rapporti con i giornalisti ma anche con politici e organi di controllo. In una telefonata con l’allora direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso discute di un controllo annunciato da Arpa e Asl e senza mezzi termini dice al collega che «quelli, con la sedia legata al culo devono stare, altro che controlli». 

Poi parla con Liberti, suo co-indagato, a cui chiede spiegazioni sulla perizia che il docente stava facendo per conto della Procura. Rimprovera brutalmente il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato, reo, a suo dire, di aver calcato la mano in una relazione sul micidiale benzo(a)pirene emesso dall’Ilva, con Assennato che cerca di giustificarsi, suggerendo la convocazione di un tavolo per trovare una soluzione. Archinà ha dimestichezza con i dirigenti, vecchi e nuovi, della Regione che si occupano di ambiente. Ma vanta conoscenze anche a Roma. Parlando, nel 2010, con un consulente del gruppo Riva, già funzionario del Cnr, discute dei componenti della commissione ministeriale che sta esaminando l’Autorizzazione integrata ambientale per lo stabilimento siderurgico di Taranto. Il discorso scivola su Corrado Clini, oggi ministro dell’Ambiente, all’epoca dei fatti direttore generale del ministero. Archinà tranquillizza il suo interlocutore, forse vantandosi forse chissà: «Clini è uomo nostro».



http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=540657&IDCategoria=1