giovedì 17 settembre 2015

L’UMILIAZIONE DEL PARLAMENTO. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

L’umiliazione del Parlamento

(Il Presidente emerito della Corte costituzionale e Presidente onorario di Libertà e Giustizia Gustavo Zagrebelsky rivolge un appello ai legislatori alla vigilia dell’ultima lettura della riforma costituzionale promossa dal governo. Sostengono l’appello il Presidente Alberto Vannucci, la ex Presidente Sandra Bonsanti  tutto il Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia.)
Il funzionamento della democrazia è cosa difficile, stretto tra l’inconcludenza e la forza. Chi crede che si tratti di una battaglia che si combatte una volta ogni cinque anni in occasione delle elezioni politiche e che, nell’intervallo, tutto ti è concesso perché sei il “Vincitore”, si sbaglia di grosso ed è destinato a essere travolto, prima o poi, dal suo orgoglio, o dalla sua ingenuità, mal posti.
La prima vittima dell’illusione trionfalistica è il Parlamento. Se pensiamo che si tratti soltanto di garantire l’azione di chi “ha vinto le elezioni”, il Parlamento deve essere il supporto ubbidiente di costui o di costoro: deve essere un organo esecutore della volontà del governo. Altrimenti, è non solo inutile, ma anche controproducente.
Le riforme in campo, infatti, sono tutte orientate all’umiliazione del Parlamento, nella sua prima funzione, la funzione rappresentativa. Che cosa significano le leggi elettorali, che prevedono la scelta dei candidati attraverso le “liste bloccate” stilate direttamente dai capi dei partiti o attraverso la farsa delle cosiddette “primarie”, se non l’umiliazione di quella funzione nazionale: trionfo dello spirito gregario o del mercato dei voti. Il prodotto degradato, se non avariato, è davanti agli occhi di tutti. Così, mentre dalle istituzioni ci si aspetterebbe ch’esse tirassero fuori da chi le occupa il meglio di loro stessi, o almeno non il peggio, di fatto avviene il contrario. Queste istituzioni inducono alla piaggeria, alla sottomissione, all’assenza di idee, alla disponibilità nei confronti dei potenti, alla vigliaccheria interessata o alla propria carriera o all’autorizzazione ad avere mano libera nei propri affari sul territorio di riferimento. Per essere eletti, queste sono le doti funzionali al partito nel quale ti arruoli. Non devi pensare di poter “fare politica”. Non è più il tempo: il tempo è esecutivo!
Una prova evidente, e umiliante, dell’inanità parlamentare è la vicenda che ha agitato la vita politica negli ultimi due anni: la degradazione del Senato in Camera secondaria che dovrebbe avvenire col consenso dei Senatori. Si dice loro: siete un costo, cui non corrisponde nessun beneficio; siete un appesantimento dei processi decisionali, cui corrisponde non il miglioramento, ma il peggioramento della qualità della legislazione. Sì, risponde il Senato: è così. Finora siamo stati dei parassiti inutili e dannosi e siamo grati a chi ce ne ha resi consapevoli! Sopprimeteci!
Vediamo più da vicino questo caso da manuale di morte pietosa o suicidio assistito nella vita costituzionale.
A un osservatore non superficiale che non si fermi alla retorica esecutiva e “governabilitativa”, cioè ai costi (“Senato gratis”, è stato detto) e alla velocità (una deliberazione per ogni legge, invece di due), l’esistenza di una “seconda Camera” risulta bene fondata su “ragioni conservative”. Non conservative rispetto al passato, come fu al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze anarcoidi e dissipatrici della Camera elettiva, propensa a causa della sua stessa natura a sperperare denaro e tradizioni per accattivarsi gli elettori. Allora ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, di fronte alla catastrofe della società dello spreco, si tratterebbe dell’opposto, cioè di ragioni conservative di risorse e opportunità per il futuro, a garanzia delle generazioni a venire.
Il Senato come concepito nella riforma moltiplica la dissipazione. Se ne vuole fare un’incongrua proiezione amministrativistica di secondo grado di enti locali, a loro volta affamati di risorse pubbliche. A questa prospettiva “amministrativistica” se ne sarebbe potuta opporre una “costituzionalistica”. Nei Senati storici, le ragioni conservative corrispondevano alla nomina regia e alla durata vitalizia della carica: due soluzioni, oggi, evidentemente improponibili, ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola tassativa della non rieleggibilità, come garanzia d’indipendenza da interessi particolari contingenti. A ciò si sarebbero potuti accompagnare requisiti d’esperienzacompetenza e moralità particolarmente rigorosi, contenuti in regole di incandidabilità, incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti. Fantasie. I riformatori costituzionali pensano ad altro: a eliminare un contrappeso politico, ad accelerare i tempi. Non riuscendo a eliminare, puramente e semplicemente, un organo, che così come è si ritiene inutile, anzi dannoso, si sono persi in un marchingegno la cui assurda complicazione strutturale – le modalità di estrazione dei nuovi “senatori” dalle assemblee locali – e procedimentale – i rapporti con l’altra Camera – verrà alla luce quando se ne dovesse sperimentare il funzionamento.

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE. - Lorenza Carlassare

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE

E’ il momento di far sentire di nuovo, forte, la nostra voce. Il tempo, poi, non c’è più.
Difficile contare sui media : salvo poche eccezioni, l’adesione opaca al governo e ad ogni sua iniziativa è costante. Un diffuso senso di impotenza induce a vivere il presente così come arriva, accettandolo. In questo clima, i timori espressi da molti per democrazia e costituzionalismo – vanto delle ‘democrazie occidentali’ fino alla caduta del muro di Berlino – sono ormai visti con fastidio estremo, disturbi molesti sul cammino altrimenti felice del Presidente del Consiglio e dei suoi fedeli .
Per esorcizzare i gravissimi problemi aperti dalle molteplici riforme che toccano tutti i settori della nostra vita, per tacitare ogni richiesta di riflessione e confronto e soprattutto svilire chi osa parlarne, vengono acriticamente ripetute frasi banali : “turbolenze della minoranza” sono definite dal TG 3 le sofferte obiezioni dei cittadini e le richieste di dialogo in Parlamento mentre Italia Oggi considera “ la governabilità del paese, mai come oggi messa sotto scacco da combattive minoranze reazionarie”. Ecco : c’è sempre la ‘reazione’ in agguato, e ora siamo noi!
Sono esempi recenti, ma non certo i soli. Eppure i contenuti delle leggi di riforma ( costituzionali e non ) e il modo stesso della loro approvazione, che esclude ogni effettiva apertura, urlano il loro contrasto con i sistemi della democrazia.
Dopo che al meeting di CL “Matteo Renzi ha confessato pubblicamente di essere la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi” , Paolo Flores d’Arcais invita a riflettere sul perché “le straordinarie energie che l’antiberlusconismo aveva saputo suscitare nella società civile non abbiano trovato adeguata espressione politica”. Un interrogativo che inquieta visto che non si tratta solo di parole: “dalla giustizia all’informazione, dal lavoro alla riforma istituzionale, non c’è un solo elemento della lobotomizzazione della democrazia tentata da Berlusconi che Renzi non stia realizzando”. E, aggiungerei, la scuola.
Cosa sta succedendo?
Ripetere nel dettaglio cose già troppo ripetute sembra ormai inutile . Utile é, piuttosto, sintetizzare con le parole di Hans Kelsen, un grande giurista del secolo scorso, ciò cui dobbiamo con fermezza opporci: nulla “giustifica la sostituzione della definizione di democrazia come governo del popolo con una definizione dalla quale il popolo, come potere attivo, sia eliminato o sia mantenuto soltanto come fattore passivo in quanto è richiesta da parte sua l’approvazione di un leader, comunque espressa”. E’ proprio questo, nella sostanza, il senso del processo in corso. Ridurre il popolo senza voce o lasciargli la voce solo per acclamare.

I casi della vita. La buona scuola.



La fortuna è cieca ...ma la parentela ci vede benissimo.

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martedì 15 settembre 2015

Pd-Articolo 4, i legami tra i Sudano e la Oikos dei Proto «La discarica di Tiritì prende la tessera dei democratici». - Salvo Catalano




CRONACA – A Misterbianco quasi tutto il gruppo dirigente del Pd va verso le dimissioni. A Motta Sant'Anastasia quasi. Sono i due Comuni in cui il matrimonio con il partito di Luca Sammartino e Valeria Sudano non va giù. Questione di valori. E di persone. «È inconcepibile per chi ha fatto della battaglia alla discarica una ragione di vita».

Se c'è un luogo dove il matrimonio tra Pd e Articolo 4 non unisce ma lascia ferite sanguinanti è Motta Sant'Anastasia. La scorsa primavera per giorni i deputati Valeria Sudano Luca Sammartino si sono fermati nella cittadina del Catanese, per sostenere il loro candidato sindaco, Anastasio Carrà, poi risultato vincitore per una manciata di voti. Un impegno notevole per una cittadina diventata di strategica importanza per la presenza della discarica Tiritì-Valanghe d'inverno. Impianto di proprietà della famiglia Proto, storicamente vicina proprio ai Sudano. Finora Pd e Articolo 4 si sono trovati sulle due parti opposte della barricate. Valori antitetici che ora si chiede di far convivere in un unico contenitore. Differenze da sacrificare sull'altare della capitalizzazione dei voti.
«Per chi come me ha fatto della battaglia alla discarica Tiritì una ragione di vita,è inconcepibile che Articolo 4 prenda la tessera del Pd, è come se fosse la stessa discarica a tesserarsi nel mio ormai ex partito». Massimo La Piana, militante democratico di Misterbianco e candidato a sindaco (sconfitto) del Pd alle ultime elezioni comunali, mastica amaro mentre annuncia le proprie dimissioni dal partito. Ieri nella cittadina del Catanese si è svolta una riunione per decidere cosa fare dopo il matrimonio, sancito dalla direzione regionale, con Articolo 4. «La stragrande maggioranza del gruppo dirigente si dimetterà», annuncia La Piana. A Motta Sant'Anastasia, paese che con Misterbianco condivide la battaglia contro l'impianto, i malumori sono gli stessi, mentre le decisioni al momento si limitano alla stesura di un documento che invita il Pd regionale a tornare sui suoi passi. Seguiranno chiarimenti con la segreteria provinciale. Ma se queste mosse non avranno l'effetto sperato, anche in questo caso si profila l'ipotesi di dimissioni di massa
I militanti democratici di Misterbianco e Motta non saranno gli unici a consegnare le tessere. La protesta dal basso si allarga, soprattutto nell'ala che fa riferimento a Pippo CivatiIn più di 600 tra amministratori, dirigenti locali e semplici militanti hanno sottoscritto una lettera scritta da Valentina Spata, a capo dell'area siciliana che fa riferimento a Civati. Si pone in attesa il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, anche lui del Pd. «Confido nella saggezza del mio partito e do per scontato che la nostra politica sulla discarica non cambierà. In caso contrario - continua - se dovesse cedere a eventuali ricatti, non sarebbe più il mio partito. Resta il fatto che l'adesione al Partito Democratico di esponenti politici come Sammartino e Sudano, non è affatto una bella notizia. È noto, infatti, il sostegno che gli stessi hanno profuso per mantenere in vita la discarica di Motta Sant'Anastasia». 
Un nome su tutti non va giù ai militanti antidiscarica: Valeria Sudano, deputata regionale di Articolo 4, tra i principali artefici insieme a Luca Sammartino dell'ingresso nel Pd, ma soprattutto nipote dell'ex senatore Mimmo Sudano. La famiglia Sudano è legata a doppio filo ai Proto, titolari della ditta Oikos, a sua volta proprietaria dell'impianto. Il capostipite, Domenico Proto, è sotto processo a Palermo, proprio per le vicende legate alla discarica. «I legami tra le due famiglie sono storici, il Pd ha deciso di assumere una precisa identità nella quale non possiamo riconoscerci», afferma La Piana. Il cugino di Valeria Sudano, Salvatore detto Chicco, figlio dell'ex senatore di Forza Italia Mimmo Sudano, è uno degli avvocati della Oikos. La sede della ditta si trova nello stesso appartamento dello studio legale di Sudano. Il suo nome compare (da non indagato) negli atti del processo Terra Mia, alle prime battute a Palermo. Tra i rinviati a giudizio ci sono il numero uno della Oikos, Domenico Proto Gianfranco Cannova (dipendente dell'assessorato regionale Territorio e ambiente) che avrebbe rilasciato autorizzazioni alle attività di diversi impianti senza i relativi controlli, accettando denaro, regali e viaggi, agevolando gli iter per gli impianti amici. 
È proprio Chicco Sudano, per conto della Oikos, come scrive il gip nell'ordinanza per l'applicazione delle misure cautelari in carcere, a pagare due soggiorni presso l'Hotel Baia Verde di Aci Castello a Cannova. «La disinvolta confidenza tra i due indagati (Cannova e Proto ndr) - scrive ancora il Gip - è avvalorata dagli altri elementi in atti a partire dai contatti intrattenuti dal Cannova anche con l’avvocato Sudano Salvatore (Chicco), il quale ha anche inviato una sua memoria intercettata con e-mail. Un documento di notevole rilevanza dal momento che contiene, in pratica, la risposta che il Cannova a nome dell’ufficio che rappresentava quale funzionario dell’assessorato al Territorio, avrebbe dovuto fornire alla richiesta della Provincia Regionale di Catania di parere sulla chiusura della discarica di contrada Valanghe d’Inverno e sull’annullamento del decreto Aia già emesso». Danilo Festa, esponente del Pd di Motta, ricorda come, quando nel 2013 i comitati sono stati ascoltati alla commissione Rifiuti e ambiente dell'Ars, «Valeria Sudano si mostrò ostile verso le criticità da noi spiegate e quando arrivò Mimmo Proto si abbracciarono calorosamente».
Di certo se qualcosa nella politica del Pd rispetto alla discarica Tiritì cambierà si vedrà a breve. «Entro Pasqua l'impianto verrà chiuso, sono questi i tempi previsti e che vogliamo fare rispettare», spiega il sindaco Di Guardo. «A novembre - aggiunge Festa - dissero che, in base al programma di chiusura fissato della Oikos che prevede il riempimento della struttura, a marzo avrebbero chiuso. Poi si passerà alla fase di bonifica che sarà sempre a carico della Oikos. Vedremo se quanto promesso sarà effettivamente rispettato».

Dall'inchiesta tv alla Procura. I "cambiacasacca" dell'Ars. - Accursio Sabella

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Ieri le telecamere di Presa diretta hanno raccontato i "nuovi acquisti" del Pd siciliano. Mentre la Procura, dopo un esposto del Movimento cinque stelle, ha aperto un fascicolo su possibili "favori" del governo ai deputati pronti a passare in maggioranza. Al di là delle indagini, il Parlamento siciliano è l'immagine del trasformismo. Tutte le storie.
PALERMO - L'inchiesta televisiva. E quella della Procura. Il vortice dei cambi di casacca e i dubbi sugli incarichi del governo. La Sicilia è terra di trasformismo, di geometrie politiche che piegano le leggi stesse della geometria, di impasti originalissimi e impensabili.

Su Rai Tre, ieri sera, è andata in scena la rappresentazione plastica della rottamazione siciliana. Tramutatasi in inciucio, calcolo, persino paradosso. Il Pd accoglie tutti. Come fosse la Democrazia cristiana, commentano in tanti, facendo persino torto, forse, al partito di De Gasperi. I renziani prendono tutto. E la trasformazione genetica del partito è eticamente giustificata dai numeri. Cioè dai voti. Non è importante, in fondo, da dove vengano. Da quali storie. Da quali tradizioni.

Ma insieme all'inchiesta giornalistica, ecco profilarsi un'altra indagine, dai contorni ancora non del tutto definiti. Una indagine senza indagati, insomma. Che nasce, però, dalle parole di un deputato regionale, Pippo Sorbello (al momento “in panchina” in seguito all'ennesima pronuncia dei giudici sul ricorso del primo dei non eletti nell'Udc, Edi Bandiera) durante la seduta d'Aula del 4 aprile scorso. Secondo Sorbello, i cambi di casacca all'Ars altro non sarebbero che un metodo scientifico per ottenere in cambio dal governo incarichi per “parenti, amici e amici degli amici”. Frase “raccolta” dai parlamentari grillini che hanno presentato un esposto in Procura. “Pochi giorni dopo – racconta il capogruppo grillino Giorgio Ciaccio – sono stato convocato dalla Digos. Hanno avuto mandato dalla Procura di Palermo di approfondire quell'esposto”. In pratica, un fascicolo è stato aperto. Si vedrà.

Al di là delle responsabilità penali eventualmente da verificare, a unire le due inchieste è il riferimento ai “saltafosso” dell'Assemblea regionale. Tanti. Così tanti da rendere complicata persino la ricostruzione dei loro movimenti. Movimenti in qualche modo favoriti dalla nascita in seno a Sala d'Ercole di gruppi che non esistevano al momento delle elezioni: da Articolo 4 al Pdr, per giungere a Sicilia democratica.

Chi salta dentro il Pd

Ieri, le telecamere di Presa diretta hanno puntato i propri obiettivi verso il Partito democratico. Il “nuovo” Pd, quello che ha cambiato verso con Renzi. Quello, per intenderci, che avrebbe dovuto rottamare e ha preferito, alla fine, rivolgersi all'usato sicuro. Scegliendo, ad esempio, la “Leopolda sicula” voluta da Davide Faraone per dare il benvenuto al partito agli ex di Articolo 4. Si tratta, lo ricordiamo, di Luca Sammartino eletto tra le fila dell'Udc, di Valeria Sudano nipote di Mimmo Sudano big democristiano a Catania e soprattutto eletta col Cantiere popolare dei cuffariani di Saverio Romano. Democristiano si definisce Nello Dipasquale che fu sindaco a Ragusa col Pdl, negli anni in cui il Pd “gli faceva schifo”. L'altro Pd, ovviamente, perché adesso quel partito ha “cambiato verso”, nella direzione di Dipasquale, pronto a cambiare casacca dopo essere stato eletto nel Megafono di Rosario Crocetta ed esser transitato nel gruppo “Territorio”. Alice Anselmo, invece, è riuscita a cambiare cinque gruppi in meno di tre anni dopo essere stata eletta nel listino di Rosario Crocetta. Nell'ordine: Megafono, Territorio, Drs, Udc e appunto Pd. Pippo Nicotra, invece, è stato eletto con l'Udc, poi ha deciso di seguire Lino Leanza in Articolo 4, infine ecco l'approdo a quel Pd che oggi, ha ammesso ai cronisti di Raitre, “somiglia tanto alla Dc”. Il trapanese Paolo Ruggirello viene da una esperienza con l'Mpa di Lombardo e persino da un breve innamoramento per il “nuovo Berlusconi”, quel Luca Samorì che fondò il Mir: i Moderati in rivoluzione. Un paradosso già in partenza, quella forza politica dei moderati rivoluzionari, ma in un certo senso anche un segno premonitore. Il moderato Ruggirello, che verrà eletto addirittura con la Lista Musumeci, quella che faceva capo allo sfidante di Crocetta, giungerà al Pd, dopo aver già sposato la rivoluzione crocettiana col passaggio ad Articolo 4.

I nuovi aspiranti renziani

Ma il Pd della rottamazione trasformista non è riuscito ovviamente ad accaparrarsi l'esclusiva dei cambiacasacca. Dovunque ti volti, vedi deputati seduti su uno scranno dal colore diverso da quello originario. Una mano di vernice e voilà, chi è di destra diventa di sinistra. I moderati diventano “compagni”. È quello che sta accadendo al'interno di due movimenti che – tra polemiche interne e speranze – hanno già deciso di sposare la causa renziana. Movimenti che abbiamo già descritto in un articolo di qualche giorno fa, citato proprio ieri sera dai giornalisti di Presa Diretta. Ci limitiamo a ricordare qui il contenuto di quel servizio. Secondo il capogruppo di Sicilia democratica Totò Lentini, nei giorni della festa dell'Unità, il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini, in occasione della sua partecipazione alla kermesse palermitana, darà la sua “benedizione politica” (e quindi quella del Pd) alla federazione tra il Pdr di Totò Cardinale e, appunto, il movimento che rappresenta uno dei due tronconi in cui si è spezzato Articolo 4. Ma chi fa parte, oggi, di questi gruppi? A chi insomma, il Pd “metterà il bollino” (per usare le parole dello stesso Lentini) di nuovi renziani? C'è intanto lo stesso Lentini, eletto con l'Udc dopo un passato nell'Mpa di Lombardo e transitato da Articolo 4, c'è la vicecapogruppo Luisa Lantieri eletta addirittura con Grande Sud il movimento dell'ex plenipotenziario di Forza Italia in Sicilia Gianfranco Micciché, c'è un cuffariano storico come l'agrigentino Totò Cascio non a caso eletto col Cantiere popolare di Romano e transitato da Articolo 4, c'è Giamabattista Coltraro eletto col Megafono prima di lasciarlo in polemica con Crocetta e infine ecco Pippo Currenti. E qui dobbiamo fermarci un attimo. Il deputato messinese infatti, giunto alla terza legislatura, è riuscito a farsi eleggere più o meno da tutti i partiti di centrodestra che in questi anni hanno “comandato” in Sicilia. La prima elezione è tra le fila di Alleanza Nazionale, la seconda col Pdl, la terza con la Lista Musumeci. In mezzo, una militanza con Futuro e Libertà, il movimento politico fondato, senza troppo successo, da Gianfranco Fini. Se passi al Pdr di Cardinale, poi, puoi imbatterti in Michele Cimino, un berlusconiano della prima ora non a caso finito dentro la prima giunta di Raffaele Lombardo insieme agli ex compagni dell'Udc di Cuffaro, dei berluscones, dei miccicheiani. Con Grande Sud in effetti Cimino verrà eletto a Sala d'Ercole, per poi prenderne le distanze e transitare ai Drs (poi Pdr) di Cardinale appunto. Dove milita un altro ex miccicheiano come Edi Tamajo. Salvo Lo Giudice decise di cambiare casacca prima ancora dell'inizio della partita: pochi giorni dopo le elezioni aveva già deciso di lasciare la Lista Musumeci e passare al movimento “Territorio” di Dipasquale, poi l'approdo appunto al Pdr. Lo stesso capogruppo Beppe Picciolo, che eppure ha un trascorso col Pd, è stato eletto con l'Mpa di Raffaele Lombardo, a sostegno del candidato governatore Gianfranco Micciché.

Dal grillino pentito al deputato "contromano"

Una valzer infinito. Che ha finito per coinvolgere persino il Movimento cinque stelle. Antonio Venturino, una volta messosi in tasca l'elezione a vicepresidente dell'Ars, ha deciso di lasciare i pentastellati, scoprendosi “socialista”. Oggi fa parte di un gruppo “composito” insieme al Megafono di Crocetta. Il Nuovo centrodestra di Alfano, nato ovviamente in seguito alla scissione del Pdl, ha accolto Giovanni Lo Sciuto, eletto tra le fila dell'Mpa di Lombardo. In Forza Italia, invece, finirà l'esperto deputato Riccardo Savona, giunto alla quarta legislatura di fila. Per lui, inizialmente eletto tra le fila di Grande Sud (nonostante avesse lanciato un proprio movimento alleatosi, senza conquistare seggi, col Fli di Fini), il passaggio al Pdr di Totò Cardinale. Per lui si deve parlare di una trasmigrazione “contromano”. Uno dei pochi, insomma, a passare dalla maggioranza all'opposizione. E il motivo è legato a un intervento di Crocetta a una convention del Pdr: il governatore di fatto cacciò Savona prendendo spunto da una vecchia inchiesta sull'Eolico nella quale si era fatto riferimento ai rapporti del deputato con un imprenditore compromesso. E se il “cambio di casacca” di Santi Formica, eletto col Pdl e passato alla Lista Musumeci, è solo tecnico (utile per garantire, numericamente, la sopravvivenza del gruppo parlamentare), paradossale è il cambio di casacca più prestigioso. Quello del governatore. Crocetta, in seguito a feroci polemiche nel Pd, ha lasciato il gruppo Megafono passando a quello dei democratici. E così, a Sala d'Ercole, per mesi potevi imbatterti in una “Lista Crocetta”. Ma senza Crocetta.

La fronda del Pd in Sicilia: “Quelli di Articolo 4 non li vogliamo”. E il partito perde 10.000 euro al mese…

Alta tensione nel Partito Democratico in Sicilia dopo la comunicazione dell’avvenuta “fusione” con Articolo 4, il partito degli autonomisti che a sua volta ingloba molti ex Mpa, persone che hanno una storia a volte lontanissima, se non contrapposta, a quella dei democratici. Alla faccia della rottamazione….
L’ingresso di Articolo 4 nel Pd assume poi un valore particolare a Trapani dove Articolo 4 è, essenzialmente, Paolo Ruggirello, uomo dalle migliaia di preferenze, che alle ultime elezioni regionali è stato eletto con il centrodestra. “Lo abbiamo saputo da Roma” dicono i dirigenti locali del Pd dopo la notizia dell’accordo con Articolo 4. Nel fine settimana è stato un rincorrersi di riunioni, telefonate, incontri. Nessuno vuole Ruggirello nel Pd, ma nessuno vuole fare la prima mossa. “Non è una questione di voti e di peso elettorale – dice un dirigente trapanese del Pd – ma di rispetto del territorio, dei ruoli. Noi e Ruggirello abbiamo storie diversissime”. E mentre c’è chi ricorda le ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto esponenti di Articolo 4, come il consigliere comunale di Castelvetrano Lillo Giambalvo arrestato per mafia, proprio da Castelvetrano e da Marsala vengono due nodi politici difficili da risolvere: a Castelvetrano il Pd è appena uscito dalla Giunta del Sindaco Felice Errante, che ha contribuito a fare eleggere, perchè quest’ultimo ha preferito l’abbraccio del suo ex avversario Giovanni Lo Sciuto, supportato proprio da Articolo 4. Paradossalmente, dunque, in questo momento a Castelvetrano il Pd è all’opposizione di un Sindaco che però ha fatto eleggere nel 2012, mentre un altro pezzo di Pd – Articolo 4 è in giunta. E che dire di Marsala, dove Alberto Di Girolamo ha vinto le primarie del Pd per la scelta del candidato Sindaco di centrosinistra, chiudendo di fatto l’alleanza elettorale con Articolo 4, che insiste per candidare Enzo Sturiano, presidente del consiglio comunale. In questo momento il Pd avrebbe due candidati Sindaci… A Tremestieri Etneo, Santi Rando (Articolo 4), proprio ieri, ha annunciato la sua candidatura a sindaco. Anche a Bronte, Marsala e Gela potrebbero nascere i primi conflitti. Intanto, sabato e domenica prossimi è in programma a Palermo la «Leopolda siciliana» che avrà 24 tavoli tematici a cui parteciperanno circa mille persone.
Tenta di gettare acqua sul fuoco il segretario siciliano del Pd, Fausto Raciti: “Il Partito democratico è aperto a tutte le soggettività senza mai perdere la “bussola”, ha detto in occasione della direzione regionale del Partito. Il segretario regionale ha spiegato come i democratici propendano per un modello di allargamento ed irrobustimento del partito che va, comunque, governato dal punto di vista politico:  “E un processo che va gestito politicamente in maniera serena, fuori dai giochi di corrente, fuori dai meccanismi interni del PD e con assoluta serietà. La bussola del Pd è la capacità di ritrovarci con queste realtà, a volte soggetti politici, altre volte amministratori, a volte ancora singoli deputati, in una condizione dove loro riconoscano il percorso del Pd e in cui questa volontà di costruire un cammino insieme non diventi un tentativo di “occupazione” del Pd. Lo spirito di disponibilità con cui Articolo 4 si sta approcciando a questa vicenda, è quello giusto. Una forza politica che si mette a disposizione del Pd e del suo processo di allargamento è un fatto significativo ma la forza politica deve necessariamente cessare la propria attività”. Raciti insiste sul criterio da adottare che deve essere “equanime e politico. Laddove siamo in grado di costruire un percorso politico comune, dobbiamo procedere al tentativo di allargare l’esperienza del Partito democratico”.
La preoccupazione è rappresentata dal fatto che nuovi soggetti politici possano disturbare i rapporti di forza interni e portare ad una frammentazione che mini l’identità del partito ma Raciti è molto chiaro, non vuol sentir parlare di divisioni e afferma che occorre partire dal punto fermo che lui chiama “bussola, ovvero la capacità di stare insieme alle realtà che offrono la loro disponibilità ad unirsi al PD riconoscendosi nel progetto democratico. Spero e auspico che ci sia un approccio di tutte quelle soggettività che vogliano intraprendere un percorso insieme, un percorso di inclusione del PD”.
PD SICILIANO SENZA SOLDI. Nessuno paga la sua quota e chi lo fa invoca almeno una rateizzazione. Nel Pd siciliano scoppia il caso dei deputati morosi. «Pubblicherò a breve i nomi di quei deputati iscritti al Pd che non hanno pagato quanto dovuto al partito in Sicilia, mentre non solleciterò più agli assessori Pd freschi di nomina, perché altrimenti mi potrebbero denunciare per estorsione…».
È lo sfogo del tesoriere del Partito democratico siciliano Tuccio Alessandro, che è intervenuto stamane alla direzione regionale del Pd a Palermo.
«Abbiamo una perdita mensile secca di diecimila euro – dice Alessandro – Così non possiamo continuare. La situazione finanziaria del partito è drammatica. Io fino a ora, anche per salvaguardare l’immagine del partito, non ho tirato i nomi dei deputati che non pagano quanto spetta loro come previsto, perché non è una bella cosa andare sulla stampa con i nomi e i cognomi. Ma li pubblicherò sul sito non appena approverete i bilanci».
E spiega che «ognuno dei deputati che non pagano da le sue motivazioni: c’è chi dice che già contribuisce al Circolo, c’è chi dice che deve non vuole finanziare una fazione opposta alla sua perché poi le risorse vengono usate contro di lui».
Il contributo previsto per i deputati nazionali è di 25 mila euro per la campagna elettorale. «Alcuni hanno pagato, altri hanno chiesto la rateizzazione e stanno pagando, altri non hanno mai iniziato i versamenti e nonostante qualche sollecitazione vengo considerato lo schiavo della serva. Anche questi saranno pubblicati sul sito non appena approveremo i bilanci, perché è un dovere». Parlando poi dei dipendenti del Pd in cassa integrazione, Alessandro annuncia: «Se non viene riapprovata la cassa integrazione, saremo costretti a licenziare».