venerdì 1 luglio 2016

Emendamenti DDL concorrenza bocciati: l’ennesimo attacco alle rinnovabili? - Roberta De Carolis

ddl concorrenza

DDL concorrenza: il Senato boccia gli emendamenti all’articolo 33-bis ‘Misure in materia di rimodulazione delle componenti fisse e variabili degli oneri di rete e di sistema’, che miravano, stando alle parole di proponenti e sostenitori, a  ridurre gli oneri di sistema a carico dei consumatori e permettere il pieno accesso delle fonti rinnovabili nel mercato.
A gennaio 2018 sarà abolito il mercato di tutela e a quel punto 25 milioni di utenti dovranno scegliere un fornitore, altrimenti si troveranno inseriti nel cosiddetto ‘mercato di salvaguardia’ e per molti questo comporterà l’aumento del costo dell’energia del 40%.
Gli emendamenti all’articolo 33-bis del DDL, sostengono i proponenti, erano stati presentati proprio per frenare gli effetti di tale riforma e favorire fonti di energia alternative a quelle fossili, incentivando in particolare la generazione distribuita con una proporzionalità tra costi ed energia prelevata dalla rete, ma il Senato ha detto no.
È l’ennesimo attacco alle rinnovabili? L’abbiamo chiesto alle associazioni di categoria e a quelle dei consumatori. E mentre il fronte delle rinnovabili, in particolare il fotovoltaico (la tecnologia più consolidata per l’autoconsumo), è unanime sul dissenso, il mondo dei consumatori si divide.
IL FRONTE DELLE RINNOVABILI
Agostino Re Rebaudengo, Presidente asso Rinnovabili:
La bocciatura dell’emendamento al DDL Concorrenza che avrebbe salvaguardato lo sviluppo della generazione distribuita, ponendo un limite allo spostamento degli oneri generali dalle parti variabili alle parti fisse, conferma una volta di più lo scollamento del Governo Renzi tra le parole, improntate al sostegno della green economy, e i fatti, ostinatamente contrari.
Se non si interverrà al più presto, prelevare tanta o poca energia dalla rete non farà più differenza, perché comunque i costi da sostenere non saranno più proporzionati ai consumi. Una mossa senza senso: anziché premiare le imprese che investono in impianti in autoconsumo ed efficienza energetica, il Governo le punisce!
Giorgio Ruffini, Presidente Azione Energia Solare:
É di tutta evidenza che questo governo sta proseguendo imperterrito nella realizzazione di un disegno molto articolato di ostacolo alle rinnovabili e nel contempo di aumento dell’importo delle bollette luce e gas degli italiani. Si tratta di un mosaico subdolo, composto da una serie infinita di tessere, che però sono tutte finalizzate al raggiungimento degli obiettivi sopra citati.
Il primo passo è stato lo spostamento di gran parte dei costi dalla componente energia alla componente fissa, composta da oneri di rete e di sistema.  Questo ha fatto si che, a fronte di una diminuzione del costo dei combustibili fossili di oltre il 50%, l’importo delle bollette degli italiani sia diminuito di quei pochi punti percentuali, sufficienti a consentire al governo di spacciare questa vergogna, come il raggiungimento di un obiettivo prestigioso.
La recente bocciatura degli emendamenti al DDL concorrenza, volti a riequilibrare questi parametri, raggiunge un triplice scopo:
1. Rendere meno conveniente il risparmio energetico, l’autoproduzione di energia ed i sistemi fotovoltaici con accumulo;
2. Consentire grossi guadagni ai produttori di energia fossile a gennaio 2018 quando l’abolizione del mercato di maggior tutela getterà 25 milioni di utenti nelle fauci del “libero mercato” del quale tutto si può dire, fuorché che sia libero;
3. Far apparire meno esoso al consumatore l’aumento del costo della quota energia, che si avrà quando i combustibili fossili ricominceranno a salire
…e intanto gli italiani pagano e tacciono.
I CONSUMATORI CHE DICONO NO
Stefano Zerbi, portavoce Codacons:
Il DDl Concorrenza continua a non convincere i consumatori. Dopo l’assurdità della scatola nera obbligatoria su tutte le automobili che determinerà aggravi di spesa per i cittadini, e l’addio al mercato tutelato nel settore dell’energia, una nuova nube si profila all’orizzonte, alimentata dalla bocciatura dell’emendamento sulle fonti rinnovabili, che avrebbe determinato risparmi in bolletta per le famiglie.
Proprio allo scopo di ridurre gli oneri di sistema a carico degli utenti e facilitare l’accesso delle fonti di energia rinnovabili nel mercato, sono stati presentati alcuni emendamenti al ddl concorrenza, in particolare l’ Art. 33-bis ‘Misure in materia di rimodulazione delle componenti fisse e variabili degli oneri di rete e di sistema’, che tuttavia è stato bocciato nel corso della discussione al Senato.
Il nostro paese resta ancorato alle fonti di energia tradizionali, in primis il petrolio, con costi elevati per le famiglie e ripercussioni sull’ambiente. A differenza di altri paesi europei, l’Italia non ha saputo “rinnovarsi” e, come dimostra il ddl concorrenza, c’è ancora una netta ostilità verso le fonti alternative di energia.
A farne le spese sono soprattutto gli utenti, che, attraverso le bollette, finanziano oneri di sistema e reti di distribuzione e approvvigionamento che nulla hanno a che vedere con il “green”. Ancora una volta in materia di ambiente la classe politica si limita alle belle parole che, purtroppo, non trovano alcun riscontro nella realtà.
I CONSUMATORI DUBBIOSI
Marco Vignola, Responsabile settore Energia e Ambiente Unione Nazionale Consumatori:
La nostra risposta è intermedia, né sì né no. Noi siamo assolutamente favorevoli allo sviluppo e all’aumento della quota di fonti rinnovabili e all’abbandono di un’economia basata sulle fonti fossili, visto quanto questa costa ai consumatori. Come associazione dei consumatori quindi cerchiamo di essere attenti a questi aspetti.
Oggi gli incentivi alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, su cui noi puntiamo tantissimo, dovrebbero essere stabilizzati, ma sulle tecnologie che hanno davvero bisogno di aiuto per diventare economicamente vantaggiose.
Ormai alcune tecnologie rinnovabili sono consolidate e hanno dei costi che sono nettamente diminuiti nel corso del tempo, ed è ormai opinione comune che gli incentivi iniziali alle fonti rinnovabili sono stati troppo generosi, tanto che più volte si è pensato ad una rimodulazione.
Oggi, di fatto, questa situazione ha portato la spesa per gli incentivi alle fonti rinnovabili per i consumatori domestici a un quarto della bolletta elettrica, e quindi all’assurdo per cui una famiglia numerosa, monoreddito, che vive in un condominio, che non ha possibilità di ridurre i consumi né di installare un impianto fotovoltaico, finanzia in bolletta chi nel corso di questi anni ha potuto installare il suo impianto fotovoltaico o addirittura grossi produttori che hanno istallato impianti fotovoltaici sul territorio nazionale.
Questo poi ricade anche sulla questione gestione della rete: la grossa incidenza delle fonti rinnovabili ha mandato in frantumi quella che era l’idea di rete elettrica di paese che avevamo, e questo purtroppo ha dei costi che ricadono in bolletta.
Basta vedere gli aggiornamenti trimestrali e si vede come addirittura oggi c’è una speculazione sul dispacciamento, proprio perché le fonti rinnovabili, essendo aleatorie, hanno un intervento sulle politiche di dispacciamento che è difficile da controllare.
Dunque, per tutti questi motivi, è fondamentale che vengano ridiscussi, ridefiniti e riequilibrati gli oneri di sistema, a vantaggio, dal nostro punto di vista, di chi poi consuma questa energia, ovvero l’utente finale, naturalmente senza che questo impedisca la possibilità di diventare più efficienti.
Da questo punto di vista, ad esempio, la spinta all’utilizzo del vettore elettrico ci vede assolutamente favorevoli, perché oggi le tecnologie elettriche sono di gran lunga più efficienti. Con il vecchio modello di tariffa progressiva che avevamo non avevamo la convenienza che invece si potrebbe avere con la componente gas.

giovedì 30 giugno 2016

Revisori e controllori, in Italia sono 170mila. Ma tra tangenti e crac, nel 2015 solo 7 depennati da elenchi dei ministeri. - Thomas Mackinson

Revisori e controllori, in Italia sono 170mila. Ma tra tangenti e crac, nel 2015 solo 7 depennati da elenchi dei ministeri

Un esercito di avvocati, commercialisti e notai è retribuito per vigilare sulla correttezza dei conti in enti pubblici e privati. Negli elenchi tenuti dai dicasteri dell'Economia e della Giustizia, in un anno solo una manciata di loro è stata "punita" in seguito a condanne e interdizioni. Nonostante i tanti casi di cronaca che evidenziano buchi nella sorveglianza. Il difetto del sistema: sono i controllati a scegliere e retribuire i controllori.

L’Italia malata di corruzione campa su un singolare paradosso: insieme a quello del malaffare, detiene anche il record dei “controllori”. Sparsi per lo Stivale ci sono ben 153mila revisori legali e 17mila controllori dei conti degli enti locali, tutti abilitati al ruolo in appositi registri detenuti dal ministero dell’Economia e da quello della Giustizia. Questo non piccolo esercito di commercialisti, avvocati e notai vigila per legge sul rispetto delle procedure e la corretta redazione del bilancio di esercizio delle società pubbliche, ma entra in azione anche nelle srl e nelle società per azioni, dove il controllo può essere attribuito al collegio sindacale solo a condizione che al suo interno ci sia almeno un revisore legale abilitato. Insomma, i controllori sono dappertutto e possono pretendere ogni atto amministrativo e contabile della società che controllano, fino all’ultima fattura. Potrebbero dunque essere l’antidoto naturale a scandali e sprechi prima che si si muova la magistratura o la Corte dei Conti, ma lo fanno davvero?
Partiamo da un dato. Nel 2015 su 153.816 revisori legali solo sette sono stati cancellati a seguito di condanne o interdizioni dall’apposito registro professionale presso il Ministero dell’Economia e Finanze. Uno ogni 21.428 iscritti, lo 0,0046% del totale. Un numero infinitamente piccolo rispetto agli scandali e alle inchieste degli ultimi anni, dal Mose all’Atac, passando per Expo e Mafia Capitale. Dov’erano i controllori? È evidente che le guardie non rincorrono i ladri e a volte si adoperano per coprire anziché scoprire le loro malefatte. Tanto nessuno li controlla, quasi mai qualcuno li punisce.
Banca Etruria, buco da un miliardo. Ma il bilancio era "veritiero".
Esempio recente, tra i mille: Banca Etruria e il suo buco da un miliardo. La voragine salta fuori quando le sofferenze sono già state scaricate sugli incolpevoli risparmiatori. Dov’erano i revisori legali? Negli anni in cui l’istituto fiorentino collassava, tra il 2009 e il 2015, certificavano che “i bilanci  rappresentano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico”. La firma era di tal Alessandro Parrini, partner di PricewaterhouseCoopers (Price) che sfornava relazioni senza rilievi e incassava dalla banca assegni sempre più generosi, fino al milione di euro. Ancora peggio hanno fatto i revisori di Banca Marche: l’istituto era già schiantato sotto una montagna di sofferenze non stimate e non correttamente contabilizzate, ma le relazioni restituivano agli investitori un quadro sereno dei conti. Si scoprirà poi che chi le firmava, Fabrizio Piva, era stato già multato da Bankitalia per “omesse comunicazioni all’organo di vigilanza” come revisore di Banca Esperia. Per questi professionisti s’ipotizza ora una chiamata in concorso con gli amministratori. E proprio qui sta uno dei punti deboli del sistema di controllo: chi sbaglia, prima o poi, paga?
I bilanci rappresentano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale”. Poi Etruria fa crac.
Partiamo dagli sbagli. Più che a “distrazioni” o scarse capacità sono da imputare al congenito conflitto d’interesse che espone i controllori a “sintonie sospette”: a nominarli, infatti, è direttamente il controllato che ne stabilisce pure i compensi. Questo vincolo li espone a pressioni volte a blandirne, condizionarne e modificarne i giudizi fino a comprometterne del tutto l’imparzialità e la veridicità. Il legislatore è ben consapevole di questo rischio, tanto da punire l’impedito controllo, ma lo tratta come un pericolo astratto e ben si guarda dal risolverlo alla radice, prevedendo ad esempio incarichi attribuiti per sorteggio, come avviene per i loro “cugini poveri”.                                                                    
NEL PUBBLICO, COMPENSI TAGLIATI. E CHI DENUNCIA E' UNA MOSCA BIANCA 
Eh sì, perché ci sono anche i 17.117 revisori dei conti degli enti locali (7.362), iscritti nell’apposito registro del Ministero dell’Interno, i cui requisiti di onorabilità vengono autocertificati al momento dell’iscrizione e decadono solo se l’ordine d’appartenenza li cancella e lo comunica, cosa non scontata. Il loro tallone d’Achille? La fame. Lo Stato dovrebbe remunerarli il giusto per incentivarli a un controllo serrato ma fa l’esatto contrario: li remunera secondo massimi tabellari da 2mila a 17mila euro l’anno (lordi) secondo la consistenza demografica degli enti da controllare. Nel 2010 i loro compensi sono stati pure ridotti del 10% per essere poi aggiornati trimestralmente per decreto: il decreto, sei anni dopo, non è ancora arrivato. In queste condizioni quanti si improvvisano paladini della legalità a tutti i costi? Quanti sono disposti a ingaggiare irriducibili scontri con i vertici politico-amministrativi degli enti, contestando i loro atti e le loro decisioni?
Spulciando bandi e gare ho fatto il mio dovere”. Così Giovanna Ceribelli ha dato il via all’inchiesta su Lady Dentiera
E qui s’impone il tema dei controllori fuori controllo. Le norme che regolano le due categorie di revisori fanno molto affidamento sulla “diligenza” dei professionisti che attiene però alla sfera soggettiva dei singoli. Idem per l’analiticità e la profondità del controllo da eseguire, definiti in modo tanto ampio quanto generico. Così il controllore, a seconda dei casi, può rappresentare una spina nel fianco oppure un fiancheggiatore che per interesse o debolezza fa da paravento ai disonesti. Sempre revisori sono. Valga, per tutti, il monito di Giovanna Ceribelli, la tenace sindaca del collegio di vigilanza dell’Ospedale di Desio-Vimercate che ha fatto deflagrare lo scandalo di Lady Dentiera in Lombardia: “Spulciando bandi e gare ho fatto il mio dovere – diceva al fattoquotidiano.it – ma a sindaci e revisori dico: non fatevi condizionare, intimorire, blandire ma denunciate”.
IL CASO VENUTI. ARRESTATO PER IL MOSE, CONTROLLORE DI PADOVA FIERE
L’Ordine dei commercialisti, come si conviene, difende la categoria ricordando che “i revisori possono essere comunque chiamati rispondere in solido agli amministratori delle società che devono controllare”. Il nostro dato di partenza dice però che questo accade assai di rado e non mancano casi di controllori che restano in lizza anche quando vengano accertate a loro carico “condotte contrarie ai doveri d’ufficio”.
La commissione ministeriale conferma all’unanimità l’incarico. Al fiscalista che aveva patteggiato due anni.
Ecco un esempio. Era un fiscalista di grido, gran collezionista di incarichi in società pubbliche e private del Veneto nonché commercialista di fiducia dell’ex governatore Galan. Due anni fa Paolo Venuti, padovano del ‘57, viene arrestato per lo scandalo del Mose. I finanzieri del Gico lo bloccano all’aeroporto di Venezia. In mano, una valigetta zeppa di contratti di compravendite societarie e operazioni commerciali dell’ordine di 50 milioni di euro, prevalentemente diretti in Indonesia, dove il Fisco italiano non ha cittadinanza. Venuti uscì dall’inchiesta patteggiando due anni e 700mila euro. Ammise d’aver fatto da prestanome per l’ex ministro. Ma non ha cambiato mestiere. Nonostante quella vicenda il suo nome è rimasto nel libro mastro dei revisori legali tenuto al Mef. E infatti, un anno dopo il patteggiamento, Venuti sarà riconfermato come presidente del collegio dei revisori di PadovaFiere, spa a maggioranza pubblica. Rimase in carica tre mesi, finché dovette rinunciare “sponta​nea​mente” all’incarico per porre fine a comprensibili polemiche. La sua conferma era stata però all’unanimità e la commissione ministeriale che vigila sui requisiti e l’idoneità dei professionisti iscritti al Registro dei revisori non aveva fatto una piega.
LA RIFORMA POSSIBILE: ESTRARLI A SORTE. MA NESSUNO LA PROPONE 
Tutto normale. Si scopre così che perfino i “controllori-dei-controllori” non controllano, che al ministero delle Finanze la mano destra che verifica i requisiti di idoneità dei revisori non sa cosa fa la mano sinistra che li arresta. Epilogo: a ottobre dell’anno scorso Venuti è stato sospeso dall’ordine dei Commercialisti, colto da un tardivo sussulto e non potrà esercit​are fino al 2017. Incredibilmente, però, il suo nome è ancora oggi nel registro dei revisori legali con la dicitura “attivo”. Come nulla fosse successo. “Una cosa gravissima”, commenta Lidia D’Alessio, che oltre a fare l’assessore al Bilancio di De Luca in Campania è una stimata docente di economia aziendale, presidente del collegio dei revisori in diversi consorzi pubblici e componente della commissione centrale presso il Mef che vigila sul registro, o almeno dovrebbe.
Perfino i controllori-dei-controllori non controllano. Nonostante una “dote” da 12 milioni l’anno
La legge che disciplina la professione del revisore prevede espressamente che gli iscritti siano soggetti a un “controllo di qualità da parte del Ministero che lo esercita tramite un’apposita Commissione centrale per il Registro dei revisori tramite ispezioni, richiesta di documenti, assunzione di notizie, verifiche incrociate, audizioni personali dei singoli iscritti”. Dal Mef e dal Viminale fanno però presente che i fondi a disposizione per queste attività sono pochi, compatibili al massimo con iniziative di controllo a campione. Ma è davvero così? Ogni iscritto paga ai due ministeri un contributo obbligatorio di 25 euro l’anno a titolo di copertura delle spese di mantenimento nel relativo registro. Quindi, esiste una “dote” annuale da spendere che solo negli ultimi tre anni, per i soli revisori, ha portato all’Erario ben 12 milioni di euro. Quanto venga speso per l’attività di vigilanza non è dato sapere ma in ogni caso, se non bastano, lo si potrebbe alzare graduandolo in base al reddito professionale dei singoli iscritti, molti dei quali hanno plurimi incarichi con gettoni a molti zeri. Ma è una proposta che converrebbe a tutti (i cittadini) e a nessuno (degli interessati). E infatti nessuno, finora, si è sentito di farla.

Stuprata dal branco a 16 anni: ora le danno della "troia" su facebook. - Claudia Sarritzu

Foto di repertorio

Ecco cosa deve sopportare una ragazzina di Salerno.

Lo stupro di una donna non finisce mai nel momento in cui il mostro, o i mostri come in questo caso escono dal suo ventre. Continua durante gli interrogatori in caserma, le visite mediche in ospedale dove cercano (spesso con modi inumani) di capire se sei una pazza bugiarda. Continuano nello sguardo di chi osserva e cerca di trovare una causa scatenante, come se la violenza avesse sempre una colpa. Lo stupro si consuma in ogni "però, ma, forse, perché”. O ancora più esplicitamente con frasi come questa che violentano più in profondità la vittima, violentano un intero genere. Ogni volta che questa frase viene pronunciata tutte le donne del mondo ricevono uno schiaffo mortale: "Avete visto bene come quella si concia e se ne va in giro?".

Ecco cosa deve sopportare la 16enne di Salerno che pochi giorni fa era stata violentata dal branco in un garage a San Valentino Torio. Oggi è costretta a subire un'altra aggressione: una valanga di insulti sul suo profilo Facebook.

A riportarli è “Il Mattino” che ben scrive "frasi in piena sintonia con le tante in corsa libera nello stupidario incontrollato dei social forum, digitate da compagni di scuola, adolescenti amici dei cinque o anche conoscenti della ragazza, in vena di commenti carichi di minaccioso scherno verso di lei, e sfruttando l'occasione validi come messaggi espliciti nei confronti di tutte le altre perché se ne stiano avvisate: “Se fate le troie, questo meritate". 

Ovviamente a insultare la ragazzina sono soprattutto i maschi. Gli amici, parenti e conoscenti dei 5 minorenni arrestati per lo stupro, che vorrebbero così "ribaltare i ruoli e far apparire colpevole la vittima" afferma il  quotidiano.

In un paese fatto di genitori che permettono ai figli minorenni di scrivere sui social affermazioni così violente e criminali, che giustificano un reato terribile, non ci si può certo stupire che quelle 5 belve esistano. Noi siamo quello che respiriamo, vediamo, ascoltiamo, sentiamo. Siamo l’educazione che la società e la famiglia ci offrono.

Proporrei non solo pene severe per i 5 delinquenti, ma un corso accelerato di umanità a chi ha cresciuto figli mostri che stuprano e se ne vantano. Un genitore che giustifica un figlio criminale è più criminale e pericoloso del figlio stesso.

E' badate bene, anche il giorno in cui la nostra società non colpevolizzerà più la donna vittima, uno stupro è un dolore che dura una vita. Un ergastolo che non può valere un paio di anni di carcere e permessi premio. 

Il Brexit ridistribuisce la geopolitica globale. - Thierry Meyssan



Nulla potrà più impedire il collasso UE. Tuttavia, in gioco non è la stessa UE, ma tutte le istituzioni che permettono il dominio USA nel mondo.

Mentre la stampa internazionale cerca un qualche modo per rilanciare la costruzione europea - sempre senza la Russia e ora senza il Regno Unito - Thierry Meyssan è convinto che nulla ormai potrà più impedire il collasso del sistema. Tuttavia, sottolinea, ciò che è in gioco non è la stessa Unione Europea, ma tutte le istituzioni che permettono il dominio degli Stati Uniti nel mondo e l'integrità degli Stati Uniti stessi.

Nell'immagine di apertura: favorevole al Brexit, la regina Elisabetta sarà in grado di reindirizzare il paese verso lo yuan.

Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l'Unione europea. I commentatori, che interpretano la politica politicante e hanno perso da tempo la conoscenza delle questioni internazionali, si sono focalizzati sugli elementi di una campagna assurda: da un lato gli avversari di un'immigrazione senza controlli e dall'altra gli jettatori che minacciavano il Regno Unito dei peggiori tormenti.
Ora, la posta in gioco di questa decisione non ha alcun rapporto con questi temi. Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza.
Quando il velo si strappa davanti ai nostri occhi, le nostre élites non riescono a capire la situazione meglio del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, quando non prevedeva le conseguenze della caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989: la dissoluzione dell'URSS nel dicembre 1991, poi del Consiglio per la mutua assistenza economica (Comecon) e del Patto di Varsavia sei mesi più tardi, e poi ancora i tentativi di smantellare la Russia stessa che quasi si trovava a perdere la Cecenia.
In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell'Unione Europea e della NATO, e - se non staranno abbastanza attenti - allo smantellamento degli Stati Uniti.

Quali interessi dietro il Brexit?
A differenza delle spacconate di Nigel Farage, l'UKIP non è all'origine del referendum che ha appena vinto. Questa decisione è stata imposta a David Cameron da membri del partito conservatore.
Per loro, la politica di Londra deve essere un adattamento pragmatico al mondo che cambia. Questa "nazione di bottegai", come la definiva Napoleone, osserva che gli Stati Uniti non sono più né la più grande economia del mondo, né la prima potenza militare. Non hanno dunque più motivo di essere i loro partner privilegiati.
Proprio come Margaret Thatcher non ha esitato a distruggere l'industria britannica per trasformare il suo paese in un centro finanziario globale, allo stesso modo questi conservatori non hanno esitato ad aprire la via all'indipendenza della Scozia e dell'Irlanda del Nord, e quindi alla perdita del petrolio del Mare del Nord, per fare della City il primo centro finanziario off shore dello yuan.
La campagna per il Brexit è stata ampiamente sostenuta dalla Gentry e da Buckingham Palace che hanno mobilitato la stampa popolare per fare appello a ritornare all'indipendenza.
Contrariamente a quanto spiega la stampa europea, la separazione dei britannici dalla UE non si farà affatto lentamente, perché l'Unione europea crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per la loro uscita. Gli stati del Comecon non hanno avuto da negoziare la loro uscita perché il Comecon ha smesso di funzionare una volta iniziato il movimento centrifugo. Gli Stati membri della UE che si aggrappano ai rami e continuano a salvare quel che resta dell'Unione non riusciranno ad adattarsi alla nuova situazione con il rischio di sperimentare le convulsioni dolorose dei primi anni della nuova Russia: caduta vertiginosa del livello di vita e della speranza di vita.
Per le centinaia di migliaia di dipendenti pubblici, funzionari eletti e collaboratori europei che perderanno inevitabilmente il loro posto di lavoro e per le élites nazionali che sono parimenti dipendenti da questo sistema, vi è un urgente bisogno di riformare le istituzioni per salvarle. Tutti credono a torto che il Brexit apra una breccia in cui gli euroscettici andranno a introdursi. Ora, il Brexit è solo una risposta al declino degli Stati Uniti.
Il Pentagono, che prepara il vertice della NATO a Varsavia, non ha capito che non era più in grado di imporre ai suoi alleati di sviluppare il loro bilancio della Difesa e di sostenere le sue avventure militari. Il dominio di Washington nel mondo è terminato.
Quel che abbiamo è un cambiamento d'epoca.

Che cosa sta per cambiare?
La caduta del blocco sovietico è stata dapprima la morte di una visione del mondo. I sovietici e i loro alleati volevano costruire una società solidale in cui si mettessero quante più cose possibili in comune. Hanno avuto una burocrazia titanica e dei dirigenti necrotizzati.
Il Muro di Berlino non è stato abbattuto da anti-comunisti, ma da una coalizione di giovani comunisti e di Chiese luterane. Intendevano rifondare l'ideale comunista liberato dalla tutela sovietica, dalla polizia politica e dalla burocrazia. Sono stati traditi dalle loro élites che, dopo aver servito gli interessi dei sovietici si sono precipitate con tanto ardore a servire quelli degli statunitensi. Gli elettori del Brexit più impegnati cercano in primo luogo di riguadagnare la loro sovranità nazionale e di far pagare ai leader dell'Europa occidentale l'arroganza di cui hanno dato ampia prova con l'imposizione del Trattato di Lisbona dopo il rifiuto popolare della Costituzione europea (2004- 07). Potrebbero anche essere delusi da ciò che seguirà.
Il Brexit segna la fine della dominazione ideologica degli Stati Uniti, quella della democrazia al ribasso delle "quattro libertà". Nel suo discorso sullo stato dell'Unione del 1941, il presidente Roosevelt le aveva definite come 
(1) la libertà di parola e di espressione, 
(2) la libertà di ciascuno di adorare Dio come vuole, 
(3) la libertà dal bisogno, 
(4) la libertà dalla paura [di un'aggressione straniera]. 
Se gli inglesi risaliranno alle loro tradizioni, gli europei continentali ritroveranno gli interrogativi delle rivoluzioni francese e russa sulla legittimità del potere, e rovesceranno le loro istituzioni a rischio di veder risorgere il conflitto franco-tedesco.
Il Brexit segna altresì la fine del dominio militare-economico degli Stati Uniti laddove la NATO e l'UE sono solo due facce di un unico pezzo, benché la costruzione della politica estera e di sicurezza comune abbia richiesto più tempo per la sua messa in opera rispetto al libero scambio. Recentemente, ho scritto una nota su questa politica nei confronti della Siria. Ho esaminato tutti i documenti interni della UE, fossero essi pubblici o meno, per giungere alla conclusione che sono stati redatti senza alcuna conoscenza della realtà sul campo, per esserlo invece a partire dalle note del Ministero tedesco degli esteri, che a sua volta riproduce le istruzioni del Dipartimento di Stato USA. Mi ero trovato alcuni anni fa a seguire lo stesso processo per un altro Stato e sono arrivato a una conclusione simile (solo che, in questo altro caso, l'intermediario non era il governo tedesco, ma quello francese).

Le prime conseguenze in seno alla UE
Attualmente, i sindacati francesi rifiutano il disegno di legge sul lavoro che è stato redatto dal governo Valls sulla base di un rapporto dell'Unione Europea, a sua volta ispirato dalle istruzioni del Dipartimento di Stato USA. Se la mobilitazione della CGT ha permesso ai francesi di scoprire il ruolo dell'UE in questo caso, non hanno ancora colto in cosa consista l'articolazione UE-USA. Hanno capito che invertendo le norme e mettendo i contratti aziendali al di sopra dei contratti di settore, il governo rimetteva in realtà in questione la preminenza della Legge sul contratto, ma ignorano la strategia di Joseph Korbel e dei suoi due figli, la sua figlia naturale democratica Madeleine Albright e la sua figlia adottiva repubblicana Condoleezza Rice. Il professor Korbel affermava che per dominare il mondo, era sufficiente che Washington imponesse una riscrittura delle relazioni internazionali secondo termini giuridici anglosassoni. In effetti, nel porre il contratto al di sopra della Legge, il diritto anglosassone privilegia nel lungo periodo i ricchi e i potenti in rapporto ai poveri e ai miserabili.
È probabile che i francesi, gli olandesi, i danesi e altri ancora cercheranno di rompere con l'Unione europea. Dovranno per tutto ciò affrontare la loro classe dirigente. Se la durata di questa lotta è imprevedibile, il risultato non lascia più dubbi. In ogni caso, nello sconvolgimento incombente, i lavoratori francesi saranno difficilmente manipolabili, a differenza dei loro omologhi inglesi, oggi disorganizzati.

Le prime conseguenze per il Regno Unito
Il primo ministro David Cameron ha usato l'argomento delle vacanze estive per rimettere le sue dimissioni a ottobre. Il suo successore, in linea di principio Boris Johnson, può quindi preparare il cambiamento per applicarlo immediatamente al suo arrivo a Downing Street. Il Regno Unito non aspetterà la sua uscita definitiva dalla UE per gestire la propria politica. A cominciare dal dissociarsi dalle sanzioni prese contro la Russia e la Siria.
A differenza di quel che scrive la stampa europea, la City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit. Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l'autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell'Unione europea. Certo, non potrà più ospitare le sedi sociali di certe aziende che ripiegheranno verso l'Unione, ma al contrario potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan. Già ad aprile, ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca centrale della Cina. Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei.
Se il Brexit disorganizzerà temporaneamente l'economia britannica in attesa di nuove regole, è probabile che il Regno Unito - o almeno l'Inghilterra - si riorganizzerà rapidamente ottenendo il massimo profitto. La domanda è se chi ha concepito questo terremoto avrà la saggezza di far arrivare dei benefici al proprio popolo: il Brexit è un ritorno alla sovranità nazionale, non garantisce la sovranità popolare.
Il panorama internazionale può evolvere in modi molto diversi a seconda delle reazioni che seguiranno. Anche se questo dovesse andare male per alcune persone, è sempre meglio attenersi alla realtà come fanno i britannici, anziché persistere a stare in un sogno fino a quando questo non va in pezzi.

Traduzione a cura di Matzu Yagi.

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=126120&typeb=0&il-brexit-ridistribuisce-la-geopolitica-globale