sabato 2 marzo 2019

GUIDA ALLA VERGOGNA CHIAMATA ELEZIONI EUROPEE. - Paolo Barnard



Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi, e i cui legislatori devono lottare come assassini se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da gente che nessuno elegge – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – è rendersi complici intenzionali di una dittatura. Se non lo sapevate, ora lo saprete leggendo queste righe. Poi le scuse stanno a zero, italiani.
*(Nota: solo un pelo tecnico in un paio di punti, il resto spiegato a zia Marta)
La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta Populista Euroscettica alle europee di maggio sarà esplosiva contro la bieca autocratica UE di Bruxelles, è così ripartita:
Il 2% sono consapevoli falsari.
Il 98% sono inconsapevoli cretini.
Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su Sky News il faccione raggiante di Salvini ‘che non lo tiene più nessuno’, scrollerà le spalle e penserà “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita. Mica altro.
Va detto subito il perché, e s’inizia da qui: il Parlamento Europeo è il più farsesco demenziale baraccone mai pensato dalla Storia politica umana. Credere che dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, è da fessi, o da falsari come Salvini, Bannon, il 5Stelle e i loro soci in UE.
Spiego tutto qui. 
1)Votare per dei vigliacchi.
I parlamentari europei che delegano la stesura di leggi sovranazionali – cioè più potenti di quelle scritte dai singoli Paesi e sovente anticostituzionali per loro – ai burocrati non eletti della Commissione Europea di Bruxelles, non sono solo dementi, sono anche dei vigliacchi. Il “principio di comodità” è ciò che li guida. E’ comodo sedersi a Strasburgo, intascare un grasso salario, e poi dare la colpa a Bruxelles per i danni micidiali che alcune sue leggi ci causa. Questo principio fu descritto nero su bianco, proprio alla luce del sole, da due accademici (Epstein e O’Halloaran) in uno studio della Cambridge University del 1999: “I legislatori hanno noti incentivi a delegare tutto il potere ai burocrati… fra cui il fatto di evitare di essere poi chiamati a rispondere ai cittadini per scelte dure e impopolari (tradotto: per le infami ‘riforme’ di lavoro e pensioni, e i tagli di spesa alla Juncker, nda)”. Serve dire altro?
2)Dal poter far nulla, al poter fare quasi nulla!
Dal 1979 al 2007 i parlamentari europei sono stati talmente impotenti di fronte alla Commissione UE che uno si chiede cosa facessero tutto il giorno. La cosa divenne talmente oscena e grottesca che alla fine i super burocrati di Bruxelles decisero dal 2006, e poi l’anno dopo col Trattato di Lisbona, d’infilare dei ritocchini cosmetici che dessero l’impressione che il Parlamento potesse bloccargli le leggi. Coi nomi fighi di Regulatory Procedure With Scrutiny  e di Art. 290 TFEU (la cosmesi deve sempre suonar fighissima) fu dato al Parlamento il potere di opporsi alle leggi della Commissione, così come poteva fare il Consiglio dei Ministri. Ma è una totale farsa, come spiegherò sotto. Quindi il Parlamento UE è passato dal poter fare nulla al poter fare quasi nulla.
3)Prima farsa: I parlamentari contestano? Costa una fortuna, e i tempi gli sono nemici. Risultato: gliela danno su.
Il Trattato di Lisbona, che di fatto regola tutto il funzionamento dell’UE, ha reso il costo in denaro e in mezzi di una contestazione del Parlamento contro la Commissione quasi inaffrontabili. Le leggi della Commissione sono di proposito scritte da oltre 300 tecnocrati con intrichi legali asfissianti, per cui il parlamentare UE se volesse capirci il minimo dovrebbe pagare uno staff di tecnici a costi altissimi, ma non solo. Deve poi avere ulteriori mezzi per “istruire” un’intera Commissione Parlamentare sul tema che vuole criticare, e tutto questo solo per iniziare ad agire. Infine deve trovare ancora mezzi per formare una coalizione che sia d’accordo con lui/lei, e non basta: deve anche convincere la Conferenza dei Presidenti delle Commissioni.
Poi ci sono i tempi: 4 mesi per 1) organizzare tutto quanto detto prima; 2) fare uno spossante lavoro di lobby pro contestazione con tutti i partiti del Parlamento UE; 3) e rifare tutto daccapo in seno al Consiglio dei Ministri che, per legge, deve essere d’accordo. Scaduti i 4 mesi, il parlamentare UE s’attacca al tram…
Il peso, i costi e gli ostacoli di una contestazione contro una legge della Commissione sono quasi sempre maggiori dei benefici… meglio per il parlamentare una forma di baratto in privato con Bruxelles”, scriveva nel 2017 il College of Europe, Bruges, riportato allora sul The Economist. In altre parole: meglio dargliela su come Parlamento UE, e tentare il mercato dei polli in privato. (si veda anche sotto)
Ecco i risultati di questo demenziale e democraticamente osceno meccanismo per cui un parlamentare eletto deve svenarsi per contestare burocrati non eletti: dal 2009 al 2017, su 545 leggi proposte dalla Commissione, il Parlamento UE di fatto ne ha contestate l’1,1%. Il resto, e sono tutte leggi più potenti di quelle italiane, è passato liscio come l’olio. Mettiamo pure che i Populisti Euroscettici prendano buoni numeri a Maggio: è stra-ovvio da quanto detto sopra che avranno una vita infernale per anche solo mantenere una frazione di ciò che oggi sbraitano agli elettori, della serie “A Maggio gli facciamo fare le valige! Spacchiamo tutto!”. E questo anche per altri seri motivi, eccoli.
4)Seconda farsa: Contestano? Ecco la lista dei permessi che gli ci vogliono.
Quindi, il prode parlamentare UE che volesse bloccare una super-legge della Commissione deve avere una barca di soldi, dei tecnici pazzeschi, convincere un mare di altri parlamentari e partiti e commissioni solo per iniziare ad agire. Ma per arrivare a una conclusione di successo deve poi anche sconfiggere i seguenti veti: il possibile veto della Commissione Parlamentare interessata; un possibile veto che viene da conflitti di giurisdizione fra le Commissioni, cioè gli dicono “sta roba non è legalmente di tua competenza e levati dalle balle”; un veto se poi, dopo tutta sta gimcana, il parlamentare non ottiene la maggioranza assoluta di tutto il Parlamento UE e non ottiene anche l’ok del 55% del Consiglio dei Ministri (cioè di tutti gli Stati UE). Giuro, non è teatro Pirandelliano, è come funziona sto delirio chiamato Parlamento UE.
5)Terza farsa: parlamentari evirati costretti a fare i lobbysti, e spesso di nascosto.
Michael Kaeding è ‘Professore Jean Monnet’ di politica europea (per chi ha letto il mio Il Più Grande Crimine il nome Monnet dice tutto, nda) all’università Duisburg-Essen, oltre a ricoprire un’altra decina d’incarichi nelle maggiori Think Tanks d’Europa. Sì, è un super tecnocrate UE, D.O.P. direi, proprio l’opposto di un Euroscettico, ok? Ci siamo scritti di recente su questo tema, e lui è stato incredibilmente trasparente: “Guardi Barnard che l’ho dichiarato pubblicamente in diversi studi, e le cito dai miei testi. Per il fatto che la Commissione Europea, che fa tutte le leggi, è consapevole di avere una legittimità democratica piuttosto attenuata, cerca sempre di non arrivare allo scontro coi parlamentari europei…” – “Esiste un potere di fatto dove il singolo parlamentare baratta con la Commissione su certe leggi, piuttosto che tentare uno scontro. Il problema è che questi negoziati non sempre sono trasparenti, o addirittura sono difficili da scoprire”. 
In altre parole: il parlamentare UE ha in pratica zero poteri di realisticamente bloccare le leggi fatte dagli autocrati di Bruxelles, come ampiamente provato sopra, e allora può sempre tentare di fare il lobbysta nell’ombra. Ma anche un super tecnocrate come Kaeding arriva a chiedersi: “Come funzionano ste trattative informali fra parlamentari UE e la Commissione? E poi davvero hanno effetto? Rendono la Commissione più democratica agli occhi dei cittadini?”. 
6)Altra balla: il Parlamento UE può bocciare sia la Commissione che il suo Presidente.
Questa è surreale: il Parlamento UE può in effetti bocciare sia la nomina del Presidente della Commissione UE, sia la lista dei Commissari UE. Poi cosa succede? Che – come di fatto successe dietro le quinte anche con Jean Claude Juncker – Presidente e Commissari vengono ripresentati quasi identici, o, al meglio, con cosmetiche correzioni per salvare la faccia ai parlamentari contestatari. Poi cosa succede? Che se un ipotetico Parlamento UE ‘machizzato’ dai salviniani non accetta il salva-faccia, esso riboccia il tutto. Allora che succede? Succede che si entra nel labirinto chiamato Crisi Costituzionale secondo il Trattato di Lisbona, il quale come già dissi anni fa è di fatto la nuova Costituzione UE introdotta di nascosto nel 2007, dopo la bocciatura francese e olandese della prima Costituzione proposta (bocciata perché “socialmente frigida”).
E allora chi la risolve la crisi costituzionale sopra descritta? Il Parlamento UE? Ma non facciamo ridere. Il Consiglio Europeo? Ma non facciamo ridere, esso ha consegnato dispute di sto genere a oltre 2.800 pagine di codicilli indecifrabili scritti da tecnocrati nel 2007 (Trattato di Lisbona), e da cui si desume, secondo studiosi come Jens Peter Bonde, che la crisi verrebbe a quel punto messa nelle mani della Corte Europea di Giustizia, che è ancor meno eletta della Commissione UE. Risultato: la bocciatura del Parlamento UE in oggetto vale, se davvero si arriva al muro contro muro, come le banconote Bolivar di Maduro oggi. Devo spiegare?
7)Infine, il punto di tutti i punti. E anche qui il Parlamento UE è zero.
Le leggi della Commissione UE ficcano il naso dappertutto, dagli omogeneizzati alle regole d’accesso alle comunicazioni satellitari; da come devono essere fatte le lampade al neon a cos’è la cioccolata; fino alla tua privacy e a come irrigare un campo, ecc. Ma ciò che questa Europa ha portato di più devastante sulla più bella e democratica Costituzione del mondo, la nostra, sono i Trattati. Finora in tutto quest’articolo abbiamo parlato del (di fatto) grottesco/inesistente potere del Parlamento UE di opporsi alle leggi sovranazionali della Commissione. Esse sono chiamate “Leggi Secondarie”.
La “Legge Primaria” in Europa sono quei Trattati, come Maastricht, Lisbona, o il devastante Fiscal Compact (quello che ci ha imposto nella Costituzione di Calamandrei la distruzione del suo senso più profondo, cioè l’equità sociale, assieme all’abolizione dei poteri di spesa sovrana del Parlamento di Roma, mica nulla).
Lottare per, come si usa dire, ‘andare in Europa’, cioè prendere numeri nel Parlamento UE, è anche in questo caso, e soprattutto in questo caso, una colossale presa per il culo del pubblico, perché  il parlamentare europeo ha lo stesso potere di cambiare o di eliminare i devastanti Trattati Neoliberisti europei – cioè quelli economici che contano perché si parla di Spesa di Stato per le nostre vite, malattie, lavoro, pensioni o giovani e della nostra Costituzione – ha lo stesso potere, dicevo, che ha la tachipirina nella cura dell’ictus.
Ecco come stanno le cose. Il Trattato di Lisbona, con l’Art. 48 TEU, sancisce che per modificare un Trattato europeo ci sono quattro procedure. In tutte e quattro il ruolo del Parlamento UE è limitatissimo. Tre sono le fondamentali: la Procedura Ordinaria, la Semplificata, e la Passerelle (in francese). Vi garantisco che non esiste un Premier in tutt’Europa che sappia cosa siano, perché sono procedure più complesse della Fisica Teorica (leggerle per credere). Vi basti sapere quanti attori a livello UE devono essere tutti insieme coinvolti, pluri-consultati, coordinati, informati e infine convinti per cambiare un Trattato:
– Tutti i 28 governi nazionali, e anche solo uno può porre il veto a tutto
– La Commissione di Bruxelles
– Il Consiglio Europeo
– Il Consiglio dei MInistri
– la cosiddetta Convenzione europea
– la Conferenza Intergovernativa
– la Banca Centrale Europea
– e in ultimo il Parlamento UE
E qualcuno crede ancora che i futuri salvinici o orbanici eroi a Strasburgo potranno dire ‘beo’ sui Trattati? Vi riassumo le procedure, e lo faccio alla disperata, perché davvero solo per un decente riassuntino occorrerebbero 25 pagine di questo articolo:
La Procedura Ordinaria: la proposta di modifica di un Trattato può partire da Stati UE, Commissione o Parlamento, e va diretta al Consiglio Europeo. A quel punto va messa assieme una Convenzione europea dove vanno chiamati: i rappresentanti di tutti i governi, con i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, con la Commissione, e col Parlamento UE. Poi verrà indetta una Conferenza dei governi europei che deciderà sulle proposte di cambiamento del Trattato in questione. Se fallisce la Convenzione, fallisce tutta la procedura. Alla fine il tutto torna poi ai Parlamenti nazionali che dovranno votare un sì o no, ma basta il veto di uno solo per bloccare tutto. Ora ditemi voi dove diavolo compare il potere del macho parlamentare Populista Euroscettico (eventuale) in sto macello.
La Procedura Semplificata: la proposta di modifica di un Trattato può partire da Stati UE, Commissione o Parlamento, e va diretta al Consiglio Europeo. Consiglio Europeo e Consiglio dei Ministri si consultano con la Commissione, con la Banca Centrale Europea e col Parlamento UE, ma non c’è nulla di vincolante da parte di quest’ultimo. Poi Il Consiglio approva la modifica, ma di nuovo si deve tornare a ogni singolo Stato membro per un sì o no, e basta il veto di uno solo per bloccare tutto. Ora ditemi voi dove diavolo compare il potere del macho parlamentare Populista Euroscettico (eventuale) in sto macello semplificato.
La Procedura Passerelle. E’ una specie di scorciatoia super tecnica nella modifica di un Trattato. Per esempio, essa permette al Consiglio Europeo di autorizzare il Consiglio dei Ministri a ignorare i Trattati modificando la maggioranza di voto che gli è richiesta per certe decisioni (da unanimità a maggioranza qualificata). Oppure lo autorizza a cambiare il modo di legiferare in UE da ‘speciale’ a ‘ordinario’ anche quando i Trattati avrebbero imposto la modalità ‘speciale’. Però per adottare la scorciatoia Passerelle, il Consiglio Europeo deve raggiungere voto unanime. Ma come sempre si deve tornare a ogni singolo Stato membro per un sì o no alla Passerelle, e basta il veto di uno solo per bloccare tutto. Ora ditemi voi dove diavolo compare il potere del macho parlamentare Populista Euroscettico (eventuale) anche qui.
Chiaro e limpido no? Soprattutto facile da capire, basta arrivare a Strasburgo, leggere Wikipedia e si cambia la Storia, eh?
8)Ma poi, è vero che a Maggio i Populisti Euroscetti vinceranno?
Non diciamo cretinate. Basta guardare i numeri dei 9 gruppi parlamentari europei per capire che i Populisti Euroscettici dovrebbero centuplicare i loro consensi per dominare il Parlamento, e gli altri perderne il 90% di botta. Una cosa sembra certa dai sondaggi: su 12 partiti cosiddetti Populisti in Europa oggi, solo la Lega otterrà un certo successo, gli altri aumenteranno di 2 o 3 o forse 4 seggi.
9)Conclusioni.
Salvini, coi suoi due economisti con 10kg di Vinavil fra culo e poltrona politica, e Di Maio con Casaleggio, vi hanno mentito su tutto. Hanno calato le braghe di fronte a Bruxelles in 5 minuti con una spesa pubblica che è un insulto alla storia italiana. I padani si sono rimangiati la Eurexit perché “eh, abbiamo beccato solo il 17% e quindi sticazzi le promesse elettorali, ma la poltrona ce la teniamo”, mentre Salvini mandava emissari anonimi da Bloomberg a dirgli “rassicurate i Mercati! staremo nei ranghi” (lo pubblicai su Twitter con foto).
Oggi sti cialtroni vi dicono che a Maggio sbaraccheranno tutta l’Europa… andando coi loro culi, Vinavil e poltrone proprio nella più ignobile Europa, quella del suo Parlamento. Avete letto qui i motivi per cui anche questa è una balla da vomitare.
Ma sti puzzoni a parte, rimane vero per tutti voi quanto ho scritto all’inizio, e lo ripeto:
Votare per un parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi, e i cui legislatori devono lottare come assassini se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da gente che nessuno elegge – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – è rendersi complici intenzionali di una dittatura. Se non lo sapevate, ora lo sapete perché avete letto queste righe. Quindi le scuse stanno a zero, italiani.
https://comedonchisciotte.org/guida-alla-vergogna-chiamata-elezioni-europee/

(In genere non condivido le idee di Barnard, ma se tutto ciò che ha scritto in questo articolo corrisponde a verità, c'è da domandarsi: quando i nostri governanti hanno indetto il famigerato referendum per scegliere se entrare a far parte della UE sapevano quali sarebbero state le conseguenze? Conoscendo la loro inettitudine e svogliatezza, dubito che avessero letto il regolamento relativo alla sua costituzione e, quindi, che nemmeno sapessero a quali problemi saremmo andati incontro, primo fra tutti la svalutazione del 50% del valore e, pertanto, del potere d'acquisto della nostra moneta....

Ue, è il frutto partorito da menti contorte, malate, una lacunosa accozzaglia di leggi inique, fazioso contesto di oligarchi schiavi del potere economico. E' nata male e va corretta) bycetta.

Black Axe, l’orrore che ignoriamo. (1) - Rosanna Spadini



Un fenomeno preoccupante e largamente diffuso sul territorio italiano, anche se ampiamente sottovalutato, è quello della mafia nigeriana. L’episodio di Roma San Lorenzo, del truce omicidio della povera Desirée, come quello precedente di Pamela a Macerata, violentata, uccisa e fatta a pezzi dai nigeriani, sembrano confermare l’allarme. Del resto il presunto quarto assassino della ragazza di Roma, Salia Yusif, in fuga dalla polizia, aveva lasciato Roma per tornare a Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove aveva già soggiornato fino al 2014 presso il C.A.R.A. Si era anche tagliato i capelli per non farsi riconoscere e viveva nella baraccopoli adiacente, ove è sorto  un insediamento di immigrati che non hanno più titolo ad essere ospitati all’interno della struttura, e dove la mafia nigeriana ha creato dei potenti feudi di controllo sull’intera area.
Li chiamano «cult», dominano il racket da Torino a Palermo, tengono legami anche con i clan di Ballarò. «Ho fatto tre informative a tre procure diverse, Roma, Bologna e Palermo, interessate al fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia e tutta Europa», ha detto alla Commissione parlamentare sulle periferie il commissario della municipale Fabrizio Lotito. Gerarchia mafiosa, riti d’iniziazione, cosche: «Torino è la città con il maggior numero di immigrati nigeriani, a ruota segue l’Emilia Romagna. Le nostre indagini su questo fenomeno mafioso vedono come attori principali i ‘cult’, nati nelle università nigeriane degli anni Settanta, poi evolutisi fuori e giunti anche in Italia».
Probabilmente anche l’agguato dello scorso settembre ai giardini Alimonda di Torino contro due poliziotti antidroga circondati e pestati da una trentina di spacciatori africani, dimostra la violenza del fenomeno. La mafia nigeriana comanda ormai in molte periferie italiane, anche in quel corso Giulio Cesare così multietnico che gli ultimi bottegai locali espongono in vetrina il cartello «negozio italiano». 


Black Axe, Maphite, Supreme Eiye Confraternity, Ayee sono nomi di «cult» che riempiono ormai da anni le cronache giudiziarie, molto bene lo sanno gli inquirenti e gli abitanti delle zone più interessate, il fenomeno però è meno conosciuto per l’opinione pubblica. Le prime vittime dei «don» (i capi) sono ragazze nigeriane vendute come schiave e giovani nigeriani (baseball cap) ridotti a elemosinare davanti ai bar delle grandi città per ripagare debiti di famiglia contratti in Nigeria.
Il traffico di giovani nigeriane verso l’Europa, che diventano schiave del racket e di riti vudù,  è in continua ascesa. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), in Italia nel 2014 sono arrivate dalla Nigeria, via mare, 1.450 donne, 5.600 nel 2015, oltre 11.000 nel 2016, in buona parte minorenni. Il 2017 sembra confermare il trend, con 4.000 ragazze sbarcate nei primi sei mesi dell’anno. Le stime di OIM dicono che l’80% delle giovani in arrivo dal Paese africano è destinato alla prostituzione. Le nigeriane sono diventate una fetta consistente del mercato italiano che vale 4 miliardi di euro all’anno: il 55% delle prostitute in Italia sono straniere e il 36% di loro è di nazionalità nigeriana (Istat). L’85% delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città: Benin City, l’hub africano della prostituzione.  
Il traffico degli esseri umani è una delle sue più importanti fonti di sostentamento, con introiti che non sfamano diversi strati della popolazione, comprese le famiglie delle vittime. «Ti chiamano trafficante e vogliono processarti», dice Exodus che per venti anni ha vissuto tra Benin City e la Libia e si è arricchito grazie alla tratta. «Guardiamo però alle operazioni del Naptip: arrestano un trafficante, ma poi si scopre che la famiglia era coinvolta, era d’accordo. Quindi anche loro sono trafficanti. E il passeur non è un trafficante? I poliziotti? La polizia prende i soldi dalle persone e permette loro di andarsene. Vuoi dirmi che non ci sono poliziotti nelle città al confine con il Niger? Vuoi dirmi che non ci sono funzionari dell’immigrazione? Vuoi dirmi che non ci sono posti di blocco? Dove sono tutti, dormono? E i giudici? Anche loro trafficanti! Le Ong? Ti dico solo una cosa: soldi, soldi, soldi. In America dicono ‘Money talks, bullshit walks’».
Exodus dice di non sentirsi in colpa, anzi di considerarsi un benefattore perché ha aiutato i suoi concittadini ad andarsene da un Paese povero e corrotto, inoltre, secondo lui, Tv, giornali e social media spaccerebbero dati gonfiati sulle morti «Nessuna delle ragazze che ho portato in Libia è mai morta nel Sahara. A non farcela sono le persone che partivano già malate». Purtroppo non è così, come dimostra anche l’ultimo ritrovamento, a novembre 2017, di 26 corpi senza vita di donne arrivate a Salerno, tutte di nazionalità nigeriana. Comunque non esiste un boss in questo business, dicono sia lui che il comandante del Naptip, là chiunque può diventare un trafficante, basta conoscere delle ragazze che vogliano partire e non serve nemmeno sforzarsi troppo per convincerle.
È un errore di valutazione dunque sottovalutare la mafia nigeriana, perché interessa almeno venti città (Torino e Bologna in testa) e dieci regioni coinvolte nella sua rete, e che conta in giro per il mondo trentamila affiliati in quaranta Stati.
Al Sud dove le mafie autoctone mantengono il controllo militare, la mafia venuta da Benin City ha stretto patti, come a Ballarò. Al Nord picchia duro: nel 2017, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.
A Torino si è aperta l’operazione dei carabinieri Athenaeum, che documenta il legame tra Maphite e Eiye. Giovanni Falconieri sul Corriere di Torino ha raccontato di un pentito che descrive i Maphite in termini sconvolgenti: «Sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro… Non hanno rispetto per la vita».
Poi il giudice torinese Stefano Sala, in quasi 700 pagine di ordinanza, motiva le sentenze su 21 membri di Eiye e Maphite: «I moduli operativi delle associazioni criminali nigeriane sono stati trasferiti in Italia in coincidenza con i flussi migratori massivi cui assistiamo in questi anni» (…), «tra gli immigrati appena sbarcati vengono reclutati i corrieri che ingoiano cocaina».
Se Torino è la nostra città più permeata dalla migrazione nigeriana, Bologna è considerata «la capitale» del cultismo, lo spaccio nella centrale Bolognina e nelle periferie è da anni in mano ai Black Axe. Ma le ordinanze che si moltiplicano, con le operazioni di carabinieri e polizia, descrivono un’onda assai più lunga: Black Axe, a Palermo, 2016; Aquile Nere, Caserta, stesso anno. Cults, a Roma, 2014. Niger, Torino 2005. Ancora Black Axe, Castello di Cisterna, Napoli, 2011.
«Noi siamo nate morte», raccontano le schiave nigeriane della Domiziana al sociologo Leonardo Palmisano in un libro di prossima uscita «Ascia Nera».
Nella «pista» di Borgo Mezzanone (Foggia) incomincia la bidonville dei migranti, Ogni giorno tirano su nuove baracche, sorte tra montagne di rifiuti, roghi di plastiche, fumi neri, prive di bagni, dove le ragazze appena arrivate sostano davanti al bordello. 


Una vera e propria bidonville «il Ghetto» dei migranti, di cui nessuno sa niente in Italia, se non gli abitanti della zona, preoccupati per alcune bande nigeriane che controllano il territorio, dove la legalità è sparita da un pezzo e gli episodi di violenza minacciano quotidianamente quella terra di nessuno.
I militari presidiano il Cara, ma qualche metro più in là la baraccopoli ha una vita propria, e così un docente ammette «Qui i problemi sono troppi. Si mischiano diverse forme di illegalità. Diversi tipi di migrazione. Siamo soli, abbandonati, inascoltati. Qui manca tutto, bisognerebbe ripristinare la legalità ad ogni livello».
Naturalmente i media globalisti cercano di oscurare queste notizie, zitti e mosca sulla nuova mafia nigeriana, che attraverso l’immigrazione fuori controllo di questi ultimi anni è approdata in Italia ed ha tutta l’intenzione di usare il nostro Paese come terra da sfruttare, per poi dilagare in tutta Europa. Il business è già radicato sul territorio e attraverso l’esportazione del crimine, della violenza contro le donne, dello spaccio di droga, garantisce non solo l’aumento del tasso di criminalità, ma anche di aggiungere un altro nuovo rischio per una serena convivenza urbana, in una società sempre più multiculturale.

Nonostante Gad Lerner dica un’altra cosa «Dopo Pamela, guardiamo attoniti la vita e la morte di Desirée: dipendente da eroina, figlia di spacciatore italiano e madre 15enne, vittima di pusher immigrati. Vicende tragiche che dovrebbero suggerirci qualcosa di più e di diverso dall’odio razziale».
Credo che Gad, da buon radical chic, collezionista di rolex, cerchi di scaricare le responsabilità di chi ha permesso che le periferie delle città italiane venissero infestate dalla presenza della mafia nigeriana, tanto che intere strade sono ormai infestate dallo spaccio di droga e dalla prostituzione h24. Il nostro buonista globalizzato condanna l’odio razziale, ma non ha tenuto conto che può esistere un ‘razzismo’ naturale, di chi cerca di difendersi dall’invadenza di un’immigrazione fuori controllo, come quello degli animali che marcano il loro territorio, e quindi sono pronti a difenderlo da qualunque ingerenza esterna, e c’è un ‘razzismo’ culturale, indotto da archetipi che si perdono nella notte dei tempi (KG Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo).
Nessun odio razziale quindi, ci basterebbe non assistere più a queste orribili vicende, e poter garantire anche la sicurezza delle donne italiane per le strade delle nostre città, ma ormai non credo sarà più possibile per molto tempo ancora.
https://comedonchisciotte.org/black-axe-lorrore-che-ignoriamo/

Black Axe: l’orrore che ignoriamo (2). Rosanna Spadini



Arriva la seconda puntata di “Black Axe: l’orrore che ignoriamo”, per approfondire il diffondersi in Italia di questa nuova mafia, i cui boss non sono nati in Sicilia e non parlano il siciliano, ma vengono da lontano, e la loro organizzazione ha un una storia cresciuta nel continente africano.
Dalla Nigeria si sta espandendo da tempo in Italia, c’è la Supreme Eiye  Confraternita, ci sono i Vikings, e poi c’è Black Axe, la più potente tra i cults. Arrivata in Italia parallelamente ai flussi migratori, è protetta da un vincolo di omertà e da una capacità intimidatoria molto simili a quelli usati dalla piovra nazionale. Quando la Procura di Palermo ha portato alla sbarra i boss di Black Axe, nessun nigeriano in tutta la Sicilia ha accettato di fare da perito o da interprete.
Da qualche anno i tentacoli di questa nuova piovra criminale hanno occupato il territorio italiano, e i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di diverse città. La struttura criminale nigeriana è frazionata in bande aggressive, i cults, organizzazioni nate in patria all’interno delle università locali, e cresciute al fianco di gruppi più articolati e complessi, definiti vere e proprie holding del crimine. Infatti, la struttura delle cellule criminali nigeriane varia a seconda dei contesti in cui i clan si trovano a operare, dimostrando una elevata adattabilità ambientale.
Ciò che accomuna i diversi gruppi criminali è l’assenza di una reale affiliazione all’organizzazione, perché chiunque può partecipare, chiunque può essere membro di un clan che gestisce traffico  droga, di organi o sfruttamento della prostituzione. Il sistema organizzativo reticolare appare privo di una struttura gerarchica, al contrario del processo di affiliazione all’interno dei clan, che invece sono spesso dotati di un assetto piramidale.
La sua eterogeneità strutturale poi produce cellule di piccole dimensioni, spesso dotate di maggiore fluidità, che permettono l’assenza di particolari clausole di affiliazione per i giovani iniziati, se non una buona dose di propensione al rischio. Del resto la popolazione nigeriana, spesso oppressa da gravose dittature, estrema povertà, eccessiva violenza, è molto sfiduciata nei confronti del futuro, quindi maggiormente assuefatta ad affrontare azioni rischiose.
L’Italia rappresenta la principale piazza di sfruttamento delle donne nigeriane, le quali giungono principalmente dallo Stato meridionale di Edo, e vengono sfruttate dalle loro connazionali, le madame, ex vittime di tratta entrate a far parte del medesimo circuito criminale da cui sono state assoggettate.
Molte sono le domande rimaste ancora inevase che ruotano intorno a queste organizzazioni criminali, dunque proveremo ad approfondire l’argomento con un’intervista fatta ad un giornalista infiltrato che vivendo a Torino ha conosciuto questi ambienti.
Ciao. Hai mai avuto contatti con qualche affiliato della Mafia Nigeriana?
Assolutamente, sì. Non è stato difficile entrare in contatto con persone affiliate alla mafia nigeriana, anche perché la maggior parte dei nigeriana presenti nel territorio, se non tutti, un 98% appartengono o vogliono appartenere alle associazioni per delinquere. Le organizzazioni sono molte, quali Aye Confraternite, Eiye, Black Axe, e non mi è possibile stabilirne le intesità sul territorio, essendo queste tristemente dinamiche. Cosa diversa vale per gli africani francofoni e anglofoni.
La piramide sociale che compone la ”mafia” nigeriana è composta dai nigeriani puri in primis, poi dai francofoni e, successivamente, dal resto degli africani appartenenti al continente. Tra di loro vi sono alcuni che per varie ragioni parlano francese e che godono di una diversa percezione da parte dell’organizzazione. Quest’ultima, qualsiasi essa sia, è una lanterna che attira innumerevoli francofoni africani, giovani, giovanissimi e donne.
Tutti quelli con i quali sono venuto in contatto ‘lavoravano’ in gruppo e vivevano in simbiosi, felici di spacciare e dediti all’alcolismo. I capi branco scimmiottavano e scimmiottano molto lo stereotipo del ”nigga”, il nero americano tipico dello stile rap statunitense. Ci sono diverse etnie e, nonostante abbia girato i bassifondi di Torino e Milano in lungo e in largo, infiltrandomi tra i tossicodipendenti ed i bar dediti allo spaccio, non ho visto l’ombra di un siriano o di un libico. Ho avuto esperienza di un solo siriano, oramai residente in Italia da diversi decenni, che ha preferito appoggiarsi ai marocchini per la droga ed il contrabbando. I cinesi, solo loro, sono stati gli unici che hanno aperto le porte delle loro rivenditorie alla Black Axe, assieme a qualche discoteca o night club detenuto da albanesi e latini. Questi gruppi etnici non disprezzano, ma, anzi, vedono di buon occhio il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione ed il contrabbando (basta notare il personale di ”sicurezza” o di antitaccheggio per comprendere quali siano gli equilibri in corso di validità tra le varie etnie).
Tutto gira intorno allo sfruttamento  delle etnie ritenute rivali, nemiche.Tutto è droga, usura, sfruttamento. Gli stereotipi vengono confermati, e solo qualche idiota continua a diffondere leggende sull’esistenza di una camorra, ‘ndrangheta o mafia siciliana operativa ed attiva al nord Italia. Queste strutture sono state oramai tutte assorbite in ben altri circuiti, legalizzate e sostituite. Le sostituzioni che sono entrate in campo si chiamano mafie africane.
Come hai fatto ad agganciare simili contatti?
Ho dovuto comprare qualche volta della droga e, molte volte, per simpatia me ne hanno dato un po’ di più. Ed è lì che ho capito che potevo instaurare un rapporto di fiducia che potevo sfruttare per fare domande e ottenere risposte. Inoltre, stavo simpatico ad alcune bariste latino americane, fidanzate con alcuni di questi spacciatori. Tra un bicchiere e l’altro mi hanno raccontato, mi hanno mostrato foto, video, e alle volte narrato vicende assurde, come quando hanno portato in caserma il fidanzato di una di queste e gli hanno trovato, su whatsapp, le foto erotiche che si inviavano loro due.
Quali sono le pratiche criminali più diffuse all’interno di quel mondo?
In città come Torino e Milano, ove vi è il più alto consumo di droga in Europa, lo spaccio di stupefacenti è sicuramente il business più redditizio e diffuso. Professionisti, padri di famiglia comprano, come fossero in gita campestre, il ”crack”, la cocaina cotta dei ”neri” che, immobili, presidiano gli incroci. La polizia si limita solo a fermare e a portare in caserma chi va da loro a comprare un po’ di erba o qualche pezzo di crack, mentre si tiene volutamente alla larga dai neri. Da quanto ho potuto apprendere direttamente, la polizia ed i carabinieri non hanno nessuna voglia e nemmeno i mezzi per fermare tutto ciò. Dovrebbero, se non sbaglio, cogliere sul fatto minimo 10 volte un ”sospetto” per poter avallare un procedimento d’allontamento. Gli africani sono consapevoli della loro immunità e rimangono tranquilli se gli parli di strane macchine nere che girano per i quartieri. Personalmente, sono portato a pensare che esista una forte corruzione nei nuclei della prefettura e della questura, poiché è assurdo vedere 24 ore su 24 gli stessi ragazzi fermi a spacciare.
Di molti di loro ho i numeri di cellulare, sono andato a comprare droga e ci scambio anche qualche parola in francese. Quando mi vedono, addirittura mi salutano. Ed io ricambio. Per quanto riguarda la prostituzione, esistono le cosiddette ”cantine”, case ove avvengono gli ”spacci di fiducia” e ove è possibile ”prenotare” qualche prostituta. Molte sono giovanissime, alcune non molto presentabili, altre davvero brutte. Le più belle, quelle che fanno girare tutti gli uomini al loro passaggio, o sono le badanti dei figli dei boss o portano i succhi di frutta e le merendine agli spacciatori capo referenti. Sì, addirittura hanno il servizio a domicilio. Roba assurda, da non crederci. Comunque, i business principali sono droga e prostituzione, principalmente crack ed erba. La novità sconvolgente, che dovrebbe allarmare i nuclei antimafia, è che gli africani hanno i propri personali laboratori. E questo è assurdo. Per produrre e raffinare la droga, sono necessarie certe sostanze che si possono reperire difficilmente. La ‘Ndrangheta è la principale importatrice di tali sostanze a livello europeo, e non si esclude una connessione tra le due organizzazioni. Sappiamo da tempo che la ‘Ndrangheta ha sostituito Cosa Nostra in un complesso molto più ampio ed esteso di traffici e commerci, e di come essa sia diventata una struttura unica insieme a finanza, massoneria e sezioni di politica e intelligence.
Come avviene lo smercio al dettaglio?
La produzione è oramai monopolizzata. I nigeriani producono, i francofoni principalmente rivendono (promoter) e gli africani non nigeriani lavorano negli angoli delle strade. Rumeni, albanesi e marocchini si uniscono difficilmente a questi ultimi negli incroci e nello spaccio, ma non è raro trovarli. Tutti lavorano nella stessa strada o davanti allo stesso bar, parco o piazzetta. I capi, tuttavia, sono quelli che naturalmente danno gli ordini. I facchini prendono la droga e te la portano, così se capita qualcosa i carabinieri fermano loro. Il punto forte degli africani è l’immunità legislativa che possiedono. In virtù di ciò sono pochi gli extracomunitari non africani che spacciano per le strade, preferendo il commercio al dettaglio, con qualche bar o negozio sempre da referenza strategica. Il tutto è collegato come una ragnatela: compartimenti sezionati ma interconnessi, e non è difficile scorgere i punti che legano tra loro i vari segmenti. I veri capi difficilmente compaiono per le strade, ma a cercar bene, se vuoi, li incontri.
Vero che controllano oltre allo spaccio anche la prostituzione minorile?
Anche in questo caso, sì. Le donne sono praticamente schiave. Molte di loro nemmeno utilizzano droghe poiché i loro ”mariti” non vogliono che si contaminino. Le meno fortunate e belle sono schiave del sesso, parlano esclusivamente l’africano e non vanno in giro per le strade. Le più emancipate vanno a fare la spesa o vanno a prostituirsi a casa dei clienti facoltosi. Poche hanno il permesso di frequentare i locali e di partecipare alle attività quotidiane. Quelle meno ”belle” esercitano liberamente la professione. Ogni tanto si vede fuori casa di una di loro un energumeno che le ”protegge”. Nel mio caso, la mia vicina è una di loro. Una donna ”in carne”, che ama diventare amica di qualche cliente. Molte volte io e i miei amici, uscendo di casa, la incontriamo con qualche signore e qualche amica. Salutiamo, scherziamo, e ce ne andiamo. In passato, per qualche tempo, abbiamo incontrato un paio di volte un marocchino che parlava spagnolo, e che, prendendoci in simpatia, ci regalò anche un pezzo di fumo. Un giorno, senza preavviso, non vediamo più la simpaticona in carne. Siamo venuti a sapere giusto qualche giorno fa che si trova in Francia, sempre sottoposta alla legge della sua giungla. Erano mesi che non avevamo sue notizie.
Hai sentito parlare di regolamenti di conti a colpi di scure e machete?
Non solo. Ho conosciuto persone che hanno assistito in diretta a questi scontri. Nei ghetti difficilmente succede qualcosa del genere, poiché nonostante l’incompetenza e la corruzione della polizia, qualche pattuglia, se si trova a passare, deve pur sempre intervenire se succede una cosa del genere. Nessuno è interessato a suscitare eclatanti episodi di violenza o a far sì che il livello d’attenzione aumenti. Quando qualche tossico richiede un decimo di grammo in più, i nigeriani o chi lavora per loro glielo concede senza troppo discutere, preferendo liberarsi del momentaneo fastidio. Quest’agire mi ricorda molto quello dei Casalesi. Calmi e tranquilli: gli affari si curano in silenzio. Non è un caso che la base della mafia nigeriana sia a Castel Volturno e che il modus operandi somigli a quello dei Casalesi. E non è nemmeno un caso che la maggior parte dei poliziotti in borghese, di cui ho scorto la presenza nei diversi ritrovi, fosse partenopeo. Sono portato a pensare che il legame che un tempo vi era tra i Casalesi e servizi segreti adesso abbia come referenti i Nigeriani. Ma non bisogna intendere i vecchi Casalesi come una struttura criminale con la quale lo ”stato deviato” veniva in contatto, bensì come un sottoposto, un esecutore di una struttura statale parallela che, dalla caduta della Prima Repubblica ad oggi, è stata un tutt’uno tra criminalità, apparati di spionaggio e di finanza.
Questo trio tecnicamente ricade nella definizione che oggi diamo di ”intelligence”. Nel concreto, ciò non si configura altro se non come un meccanismo che al posto della ”proiezione” casalese oggi ha quella nigeriana. Come espresso dal libro inchiesta ”Codice Inverso” della giornalista Francesca Nardi, le cui ricerche ho approfondito sul campo, i casalesi erano gli esecutori economici di un mercato che richiedeva azione e mediazione politica locale. Ora sono i nigeriani gli esecutori di quella mediazione economica, ma non politica. Molti politici espressione della sinistra, incarnazione di interessi economici e finanziari, tentano senza troppe finzioni di sostituire la criminalità nazionale, legata ai circoli berlusconiani, con quella nigeriana, immigrata, e fedele alla sinistra. Dunque, di affidargli anche la mediazione politica. Ciò distruggerebbe ogni prerogativa nazionale, anche in materia criminale, esautorando l’interesse nazionale a vantaggio di pochi potentati. Precisiamo: quando pensiamo alla ‘mafia’ di sinistra includiamo sia ‘ndranghetisti che immigrati. E, come sempre, non è un caso che questi circoli siano legati ad ambienti in odor di massoneria e magistratura deviata.
 Hai mai avuto esperienza con i suoi riti di affiliazione, che si dicono molto violenti, come quello di imporre di bere sangue umano?
Purtroppo, no. E mi hanno consigliato di non avvicinarmi troppo. Ho chiesto ad uno spacciatore che parla milanese, simpaticissimo, se poteva presentarmi qualcuno dei suoi capi. La faccia che ha fatto è stata di puro terrore. Dire che un nero diventa bianco come un lenzuolo sarebbe divertente e renderebbe bene l’idea. Ciò mi ha permesso di capire quale sia la violenza di questa nuova organizzazione. E non dovrebbe meravigliarci nel complesso, poiché come potrebbero mai agire persone prive di civiltà ed abituati a culti tribali? Nessuno mi ha parlato bene dei nigeriani. Nessuno. Una volta un cubano ”negro” (come si definiva lui), omosessuale, mi disse: ”Questi neri fanno proprio schifo. Ed io lo posso dire, che mia nonna, che mi ha cresciuto, è una di loro. Io sono per metà africano. Ma pur sempre cubano. Un ‘signorina’ un po’ troia, ma mai come questi.”
Ti sembra anche che sia autonoma rispetto alle altre mafie, oppure no? E che differenza esiste tra di loro, magari anche in base al loro radicamento sul territorio italiano, nord e sud?
Ci sono libri che spiegano perfettamente cosa è accaduto e perché, come quello di Francesca Nardi. In sintesi, Cosa Nostra ha lasciato libertà d’azione alla mafia nigeriana perché oramai quella siciliana non esiste più. E’ notizia di qualche tempo fa che alcuni vecchi nostalgici palermitani avevano deciso, morto Riina, di inaugurare un ”concilio mafioso” per eleggere il nuovo capo dei capi. Anche i bambini sanno che dopo Riina, il potere è passato a Provenzano e, in seguito, a Messina Denaro. Tale sciocco tentativo non è altro che la riprova di quanto oramai la criminalità italiana sia diventata un fenomeno ricollegabile al banditismo armato. Solo la ‘Ndrangheta, per via della sua attuale conformazione, è classificabile come un potere istituzionale e non di coercizione. Il concetto stesso di criminalità è cambiato. Al Sud, tuttavia, essendo la cultura della criminalità nazionale radicata rispetto al Nord, si è portati per istinto a contrastare quella nigeriana, nonostante l’ordine certo dei servizi di lasciarla indisturbata. Vi è addirittura una competizione con quest’ultima specialmente nel napoletano, ove si tenta di emulare l’immunità a cui li sottopone la legge: se i nigeriani non possono essere arrestati allora i partenopei utilizzano i bambini, In Sicilia è diverso, anche se a tratti analogo. Lì è nata la mafia, ma senza il padrone di casa… come si dice, quando il gatto non c’è i topi ballano. Penso che anche Messina Denaro sia messo alla strette più per la sostituzione dell’apparato criminale che per l’illecito che rappresenta.
Come mai nessuno pensa di risolvere il problema e di mettere un freno a questa lenta ma visibile ed inarrestabile avanzata?
Sicuramente, vi sono degli interessi in gioco. Gli africani rappresentano da sempre una merce da poter sfruttare, anche in campo criminale. Per l’appunto, ricordi quando Sciascia ‘accusò’ Borsellino di essere un professionista dell’antimafia? I due si parlarono e si ”chiarirono”. Borsellino non convinse nessuno, fu Sciascia a capire che quella mafia di cui aveva tanto narrato era cambiata, e che non esistevano più i professionisti di un qualcosa che si era oramai estinto, ma solo anime dedite a combattere un male, o meglio il male, l’illecito, una corruzione che si fa strada e che si evolve nei circuiti macro sociali di un’organizzazione statale per mera brama di potere.
Ora che farai?
Andrò all’estero. Ho visto troppo degrado e mi è venuto lo schifo dell’Italia. Mi dedicherò a qualche lavoro sociale. Per un po’ voglio staccare la spina. Ho attirato troppa invidia da parte delle persone, che non si spiegano come chi ti scrive possa essere amico di buoni e cattivi e avere come dame di colloquio ragazze strafighe nonché fidanzate di spacciatori. Parlo di ‘amici’ che mi hanno preso ad odio, ma anche di nemici. Il mondo del nord Italia è una somma di stereotipi che già conosco alla perfezione. Me ne andrò dove c’è bisogno di studiare qualche fenomeno nuovo, raccontando e servendo la causa della verità, della correttezza e della chiarezza tra i vari livelli che compongono questo nostro mondo. Per chi ama la verità, non c’è spazio per una vita ‘normale’.

Firenze: Corte dei conti congela beni per 9 milioni a Verdini e Parisi.

Verdini Parisi

Beni ‘congelati’ fino a un valore di 9 milioni e 100mila euro, pari ai contributi pubblici per l’editoria ottenuti “non avendone diritto”.

Questo quanto disposto, con misura cautelare, a garanzia del credito erariale, dalla procura presso la Corte dei conti della Toscana, nei confronti dell’ex senatore Denis Verdini e dell’ex parlamentare di Forza Italia e Ala Massimo Parisi nell’ambito delle indagini contabili sulla vicenda dei contributi per la Ste, la Societa’ toscana di Edizioni poi fallita. La notizia è riportata oggi da ‘La Repubblica’ e ‘La Nazione’ e fa riferimento alla relazione di ieri della procura contabile, guidata da Acheropita Mondera, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della magistratura contabile.
Il provvedimento nei confronti di Verdini e Parisi è scattato alcune settimane fa. Contestualmente sono stati notificati inviti a dedurre. La vicenda si lega alla presunta truffa alla Stato riguardo ai contributi erogati dal Fondo per l’editoria alla società che faceva capo, tra gli altri, a Verdini e Parisi.

Scusali, Silvio, - Marco Travaglio

Lo attendevamo con ansia, e finalmente il gran giorno è arrivato: il giorno della difesa del conflitto d’interessi da parte di chi l’aveva sempre denunciato. L’ingrato compito è toccato, su £La Stampa", a Lucia Annunziata. Si parte, naturalmente, dal “bullismo dei 5Stelle” che, ispirati dall’empireo direttamente da Gianroberto Casaleggio, vorrebbero “distruggere i media tradizionali” (come se questi non ci pensassero già da soli), “smembrare i maggiori gruppi del Paese”, “abbatterli” e “smantellare l’editoria”. Tutto perché Di Maio ha annunciato una legge contro i conflitti d’interessi editoriali degli “editori impuri” che usano i mezzi d’informazione come merce di scambio per fare profitti in altri settori che confliggono con la libertà di stampa. L’Annunziata riconosce, bontà sua, che “il conflitto d’interessi è un tema serio”, ma purché non disturbi i suoi editori (le famiglie Elkann-De Benedetti, proprietarie col gruppo Gedi di Stampa, Repubblica, Espresso, Secolo XIX e varie testate locali). Infatti riesce a dire, restando seria, che “c’è anche in Italia una legge (sia pur morbida) che regola il rapporto fra editoria e interessi economici”.
Deve trattarsi di quella barzelletta della legge Frattini del 2004 che, insieme alla coetanea Gasparri per le tv, ha sempre fatto scompisciare il mondo intero e, fino all’altroieri, anche Repubblica, Espresso e Annunziata: una legge-selfie su misura per B. che, essendo solo il “mero proprietario” di Mediaset&C., non ha conflitti d’interessi. Una legge senza sanzioni, ma soprattutto senza colpevoli che, avallando il mega-conflitto del Caimano, avalla quelli medi e mini di tutti gli altri. Cioè degli editori impuri che producono un’informazione serva e falsaria. Ora si scopre, grazie all’autorevole penna dell’Annunziata, che quella norma-farsa magari sarà un po’ “morbida”, ma nessuno deve azzardarsi a riformarla, nemmeno se l’ha promesso agli elettori. Saranno contenti Frattini e B. per il tardivo riconoscimento dopo 14 anni di calunnie. Un po’ meno i lettori di Stampubblica, nello scoprire che i loro liberissimi giornali non solo si sono innamorati in tarda età della prescrizione solo perché a riformarla sono i 5Stelle. Ma difendono pure i conflitti d’interessi, perché quei barbari minacciano di punirli tutti, compresi quelli dei loro editori. L’Annunziata previene l’obiezione con una supercazzola: “Il caso Berlusconi ha provato a essere estremo non perché la legge non ci fosse a regolarlo, ma perché estremi erano gli intrecci fra proprietà e politica. E del resto la opposizione ha fatto di questo intreccio una battaglia”.
Cioè, se capiamo bene, il problema sarebbe che un giorno B. entrò in politica (quanto alla “battaglia” del centrosinistra, ci vien da ridere). Già, ma il conflitto d’interessi ce l’aveva anche prima. Già nel 1983, aggirando Montanelli, chiamò il condirettore del Giornale per raccomandare di non attaccare Craxi in quanto Bettino “deve farmi la legge sulle tv”. Idem la famiglia Angelucci, che ha il suo patriarca in Senato con FI, ma sarebbe in conflitto d’interessi anche senza, perché controlla Libero e il Tempo e fa soldi a palate con le cliniche private convenzionate con le Regioni. Se per decenni la Fiat ha incassato carrettate di miliardi dallo Stato in aiuti diretti, commesse pubbliche, cig straordinaria e rottamazioni, difficilmente La Stampa poteva mettersi contro i governi: infatti, come diceva Giovanni Agnelli sr., è stata per oltre un secolo “governativa per definizione” (salvo negli ultimi 5 mesi). Se il costruttore Caltagirone vive di appalti pubblici, qualcuno può pensare che la linea del Messaggero, del Mattino e del Gazzettino sui governi nazionali e locali non ne risenta? Infatti il suo gruppo ha sempre lisciato giunte e governi che assecondavano i suoi interessi; ha sempre beatificato tutte le opere pubbliche sparse nell’orbe terracqueo, tranne una, lo stadio della Roma (lo fa il suo rivale Parnasi); e i primi sindaci di Roma che ha massacrato sono stati Marino e la Raggi (vedi alla voce Olimpiadi). Se il Sole 24 Ore è di Confindustria, che affidabilità possono mai avere le sue pagine finanziarie o i suoi pezzi sul Tav? La stessa che hanno le pagine dell’auto de La Stampa, le recensioni del Giornale sui programmi di Mediaset e del Corriere sui programmi di La7 (medesimo editore: Cairo). La stessa che ha Repubblica sulla politica da quando s’è scoperto che Renzi aveva spifferato il decreto Banche popolari in anteprima a De Benedetti, consentendogli di specularci in Borsa e tirar su 600 mila euro in un minuto senza muovere un sopracciglio. L’unico editore puro prima dell’avvento del Fatto era il genovese Carlo Perrone col Secolo XIX, che però tre anni fa fu venduto agli Elkann.
Questi padroni di giornali non fanno direttamente politica, ma sono in conflitto d’interessi lo stesso. Il grosso del loro business non è l’editoria, ma gli autoveicoli, la finanza, le banche, le assicurazioni, le costruzioni, gli appalti pubblici. E i loro giornali sono ora bastoni per minacciare o punire chi non asseconda i loro affari, ora carote per premiare chi li agevola. E se i lettori se ne accorgono e fuggono, poco importa: molto meglio tenerseli e ripianarne ogni anno le perdite, che rinunciare a una preziosa arma di pressione e di ricatto sulla politica. Non sappiamo se Di Maio riuscirà a varare una buona legge contro i conflitti d’interessi che inquinano l’informazione in Italia, né se Salvini – il nuovo cocco dei giornali – glielo consentirà. Ma sappiamo che, come già sul Tav e sulla prescrizione, ha toccato una delle metastasi del cancro italiano: una classe dirigente che campa da sempre di soldi pubblici e di impunità; e la stampa al seguito, che più rivendica la sua libertà e più difende la sua servitù.
“Scusali, Silvio”, di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 16 novembre 2018