giovedì 16 gennaio 2020

Chiamate la neuro - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 16 Gennaio:

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Immaginate se un giorno il ministro della Salute si affacciasse ai teleschermi e annunciasse: “L’aspirina non serve a combattere il cancro e la chemioterapia è inutile nella cura del raffreddore, dunque abbiamo deciso di vietarle”. Due infermieri lo porterebbero via per accompagnarlo in un repartino psichiatrico, prima che dica altre cazzate e faccia altri danni, essendo universalmente noto che l’aspirina non cura il cancro, ma il raffreddore, e la chemioterapia viceversa. Pare fantascienza, invece è il livello medio del dibattito pubblico in Italia, dove tutti parlano a vanvera, sommando le mele con le pere o scambiando le cause con gli effetti.
1. Va di gran moda prendersela col Reddito di cittadinanza perché non crea nuovi posti di lavoro. Il Giornale titola: “Anche l’Inps ammette: il reddito di cittadinanza non crea occupazione. Per il presidente Tridico impatto quasi nullo. Anche Gualtieri si è convinto: va cambiato”. Ma fosse solo la stampa umoristica, poco male. La sottosegretaria al Lavoro del Pd, Francesca Puglisi, dice al Corriere che, col Rdc, “chi non lavora è favorito”. Oh bella: sarebbe strano il contrario, visto che il Rdc è stato pensato appunto per chi non trova lavoro e non ha di che campare. Se uno lavora e – si spera – viene retribuito, per definizione non ha bisogno del sussidio. Con la stessa (il)logica, la sottosegretaria potrebbe alzare il ditino e censurare il sussidio di disoccupazione perché favorisce i disoccupati. O i permessi di maternità perché favoriscono le mamme. Che senso ha, dunque, dire che il reddito va cambiato perché non va ai lavoratori e non crea posti di lavoro, cioè fa ciò per cui è stato pensato? Se poi i navigator e i Centri per l’impiego, una volta a regime, faranno incontrare la domanda (altissima) e l’offerta (bassissima) di lavoro, tanto meglio. Ma i posti di lavoro si creano con gli investimenti pubblici e privati e, se arriveranno, avremo meno poveri assoluti che chiederanno il reddito. Ma intanto il reddito garantisce loro di non sprofondare nella miseria più nera, facili prede della criminalità e altre tragedie sociali. Purché un lavoro lo cerchino e non lo rifiutino se viene loro offerto. Ma, per valutare il successo o l’insuccesso del Rdc, i dati da esaminare sono altri: non il numero dei posti di lavoro, ma quello dei poveri assoluti col reddito. Che, dopo 8 mesi, è altissimo: 2,5 milioni su 5 censiti (di cui 1 milione sono finti perché lavorano in nero) ricevono ogni mese in media 520 euro. Così in pochi mesi (stime Inps) il tasso di povertà si è ridotto dell’8%, l’indice di diseguaglianza dell’1,2% e il numero dei poveri assoluti di circa il 60%.
2. Il martellamento quotidiano contro la blocca-prescrizione che “allunga i processi” fino a renderli “eterni”. Anche questa è una panzana (i processi sono già eterni, anche perché molti avvocati li allungano per arrivare alla prescrizione) e una scemenza in sé (i primi effetti del blocco si avranno fra 7-8 anni, visto che vale per i reati perpetrati dal 1° gennaio 2020, che devono ancora essere scoperti o addirittura commessi, e si prescriveranno quasi tutti fra 5 o 7 anni e mezzo, dando al Parlamento tutto il tempo per abbreviare – volendo – i tempi dei processi). Ma soprattutto è una polemica insensata, perché nessuno ha mai chiesto di bloccare la prescrizione per accorciare i processi (quello è un effetto collaterale, non il movente della legge Bonafede). La riforma serve a evitare che ogni anno centinaia di migliaia di imputati colpevoli – di solito ricchi e potenti, i più pericolosi – restino impuniti facendosi beffe dello Stato, della Giustizia e delle vittime. E, fra 7-8 anni, nei primi processi con la prescrizione bloccata dopo il primo grado, nessun colpevole la farà più franca perché è scaduto il tempo.
3. Ieri Repubblica apriva così: “Cancellare Salvini”. Vasto programma. Per carità, è confortante che il giornale che per due anni ha gonfiato Salvini come un tacchino, il padrone dell’Italia, il vero premier, il ministro unico che fa il bello e il cattivo tempo (anche se non faceva una mazza), “chiude i porti” (ovviamente sempre aperti), pilotava masse sterminate di discepoli a suon di fake news della formidabile Bestia e del retrostante Putin, il campione del Sovranismo, il nuovo Mussolini, il genio del male responsabile di qualunque disgrazia sull’orbe terracqueo, abbia deciso un bel mattino di “cancellarlo”. Poi però uno gira pagina e rimane deluso: il titolo tonitruante, abolite inspiegabilmente le virgolette, riassume un’intervista al capogruppo Pd Graziano Delrio. Il quale, come i geni di Repubblica, non vuol cancellare Salvini, ma i suoi decreti Sicurezza, in barba al programma di governo che parla solo di correggerlo sulle critiche di Mattarella alle multe eccessive alle navi delle Ong che entrano nei porti italiani senz’autorizzazione (condotta vietata e sanzionata in qualunque Paese civile). Il guaio è che questo è proprio quello che sogna ogni notte Salvini, per poter dire che il Conte2 ha riaperto i porti che lui finge di avere chiuso (con la collaborazione straordinaria di Repubblica) e riguadagnare i consensi perduti. Chi volesse davvero “cancellare Salvini”, o almeno sgonfiarlo un po’, dovrebbe lasciar lavorare l’ottima ministra Lamorgese e pensarci non una, ma mille volte prima di abolire le sanzioni (certamente eccessive, ma per principio sacrosante) per chi entra senza permesso in casa nostra e moltiplicare gli sbarchi che non Salvini, ma Minniti prima di lui aveva ridotto al minimo possibile.
Ma questo è il discorso pubblico nell’Italia del 2020: il sussidio ai disoccupati non va bene perché va ai disoccupati. La blocca-prescrizione non va bene perché sfavorisce i colpevoli. Salvini si cancella rianimando Salvini. E gli infermieri non arrivano mai.

Prescrizione, Pd-M5s-Leu sopprimono pdl Costa che annulla riforma Bonafede. Italia viva vota con Fi e attacca i dem: “Si sono grillizzati”.

Prescrizione, Pd-M5s-Leu sopprimono pdl Costa che annulla riforma Bonafede. Italia viva vota con Fi e attacca i dem: “Si sono grillizzati”

Strappo nella maggioranza in commissione Giustizia alla Camera: i renziani si schierano con gli azzurri contro lo stop della prescrizione dopo le condanne in primo grado. I dem dimostrano che l'intesa con i 5 stelle sul cosiddetto lodo Conte regge. Tensione tra parlamentari Iv e gli ex colleghi che replicano: "Noi non siamo a rimorchio delle destre". L'ex premier: "Inseguono populismo giudiziario". Il ministro Bonafede: "In arrivo testo per la riforma del processo penale".
Il Partito democratico compatto con M5s e Leu in difesa della riforma Bonafede sulla prescrizione; Italia viva schierata con Forza Italia, Lega, Fdi e in dissenso rispetto alla stessa maggioranza. Lo strappo è andato in scena in commissione Giustizia alla Camera: (quasi) tutte le forze che sostengono il governo hanno votato per la soppressione della proposta di legge Costa (Fi) che vuole togliere lo stop, entrato in vigore a gennaio, dopo la condanna in primo grado. In dissenso si sono espressi i renziani, mettendo in pratica quella che finora era stata solo una minaccia. I voti a favore sono stati 23 a 22 e decisivo, nonostante le polemiche delle opposizioni, è stato il voto della presidente M5s Francesca Businarolo.
Proprio la riforma della prescrizione agita gli animi della maggioranza da mesi e, se da una parte il Pd ha dimostrato che il tavolo di lavoro sul cosiddetto lodo Conte sta dando i primi risultati (tanto da far loro evitare la strada della rottura), dall’altra la spaccatura con Italia viva è netta. Al termine dell’ultimo vertice era stato proprio il renziano Davide Faraone a dire che, la mediazione proposta dal governo, “non era sufficiente”. Così oggi Iv ha deciso di andare fino in fondo: è passata con il centrodestra e lo ha fatto attaccando gli ex colleghi dem: “Vanno a rimorchio dei 5 stelle”, ha dichiarato la capogruppo in commissione Lucia Annibali, “si stanno grillizzando”. Dal Pd è arrivata poco dopo la replica: “Loro votano con le destre”, ha dichiarato il responsabile Giustizia Walter Verini. Ma soprattutto, ha detto il dem Michele Bordo: “Dicano se vogliono rompere”. L’impressione effettivamente è proprio quella e, per rincarare la dose, in serata è intervenuto anche l’ex premier Matteo Renzi: “La legge Bonafede è un obbrobrio“, ha detto. “Noi siamo rimasti fedeli alla legge Orlando e il Pd sta inseguendo il populismo giudiziario di Bonafede e dei 5 stelle”. Insomma, il clima tra gli ex alleati è e rimane molto teso: è di oggi l’annuncio che in Puglia i renziani non correranno in sostegno del candidato Michele Emiliano. Un altro fronte di rottura per il centrosinistra.
In parallelo, dentro la maggioranza, vanno avanti le trattative per lavorare sulla riforma dei tempi dei processi. Tanto che il ministro della Giustizia, subito dopo la notizia del voto contrario in commissione, è tornato a garantire che il testo sarà presentato a breve: “Prendo atto che la proposta di Forza Italia è stata bocciata”, ha scritto in una nota Bonafede. “Continuo a lavorare per garantire processi con tempi brevi: nei prossimi giorni manderò il nuovo testo della riforma del processo penale, sulla base di quanto emerso nell’ultimo vertice di maggioranza. I cittadini chiedono una giustizia più veloce ed efficiente e dopo l’ultimo vertice ci sono tutti i presupposti per dare finalmente una risposta concreta”. E’ questo il punto uscito dal vertice di maggioranza dello scorso venerdì e sul quale i partiti che sostengono il Conte 2 hanno dato un primo via libera.
La legge Costa disinnescata in commissione, ma andrà in Aula il 27 gennaio – La proposta di legge Costa, bocciata quindi dalla maggioranza in commissione, andrà comunque in Aula alla Camera il 27 gennaio. Lo ha stabilito proprio oggi, pochi minuti prima della riunione dell’organismo parlamentare, la capigruppo a Montecitorio: arriverà come proposta di legge in quota opposizioni, ma con parere negativo da parte della commissione Giustizia della Camera. L’assemblea sarà chiamata quindi a votare sulla richiesta di soppressione arrivata dalla commissione Giustizia. “La maggioranza ha segnato un gol decisivo grazie all’arbitro, la presidente della Commissione, che finora non aveva mai votato”, ha protestato oggi il forzista Costa, autore della proposta di legge, “ma è solo il primo tempo. Il secondo si giocherà in Aula e siamo sicuri di poter ribaltare il risultato. Per noi è comunque un risultato politico significativo”. La grillina Businarolo ha respinto le critiche: “A noi spetta il compito di portare avanti il lavoro della maggioranza“, ha detto in risposta alle frasi di Costa, “e in questo senso ho ritenuto di partecipare alla votazione, una scelta coerente con il regolamento e già fatta dai miei predecessori e da altri miei colleghi attuali. Ricordo inoltre che il tema della prescrizione è alla costante attenzione del confronto costruttivo tra le forze di governo ed è strettamente legato alle azioni positive intraprese per il rafforzamento degli uffici giudiziari”.
Lo scontro Partito democratico-Italia viva e gli effetti sul governo – Tra i segnali più significativi del voto di oggi c’è stata l’apertura del Partito democratico che, esprimendosi insieme ai 5 stelle, ha dimostrato che l’asse dentro la maggioranza esiste ed è anche consistente. Lo scontro è invece tra i dem e gli ex colleghi ora approdati a Italia viva. “La scelta”, ha dichiarato il capogruppo Pd in commissione Alfredo Bazoli, “è coerente con l’avvio del nuovo percorso per trovare un punto di equilibrio”. E, in particolare, “si è registrata la disponibilità del ministro a rivedere la sua riforma distinguendo tra sentenze di condanna e di assoluzione e una larga convergenza su una riforma più complessiva”.
Per i renziani è intervenuta Lucia Annibali subito dopo il voto, attaccando i colleghi: “Noi continuiamo il nostro percorso di coerenza”, ha dichiarato. “Spiace, invece, prendere atto che il Pd abbia deciso di recedere su principi come quelli del diritto e del giusto processo per andare a rimorchio del Movimento 5 stelle anche sulla giustizia. Il Pd mostra che si sta ‘grillizzando’. Il problema non è, però, il futuro del Partito democratico, ma il rischio di imbarbarimento giuridico perché un processo senza fine è la fine della giustizia“. Per replicare a queste parole è intervenuto il responsabile Giustizia del Pd Walter Verini: “Siamo stupiti di due cose, la prima è l’atteggiamento di Italia Viva”, ha commentato. “Siamo andati a rimorchio della coerenza e del fatto che per la prima volta c’è l’occasione in questo Parlamento di discutere e di arrivare a tempi certi dei processi. Noi non andremo mai, a proposito di coerenza e di rimorchio, non voteremo mai con Salvini. La nostra è una scelta di campo e su questo siamo davvero coerenti.
Respingiamo ogni maldestra accusa, in questo caso venuta da Iv, che oggi ha tenuto in Commissione un atteggiamento ambiguo. Meno stupiti siamo dall’atteggiamento di alcune forze di opposizione, le quali strumentalmente hanno confermato di voler usare la giustizia per propri interessi di partito”.

mercoledì 15 gennaio 2020

Istat, i nonni salvano oltre 7 milioni di famiglie dalla povertà.


Un gruppo di anziane su una panchina in una foto di archivio.


Il 36% dei pensionati sotto i 1.000 euro.


"Per quasi 7 milioni e 400mila famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile e nel 21,9% dei casi le prestazioni ai pensionati sono l'unica fonte monetaria di reddito (oltre 2 milioni e 600mila di famiglie)". Lo rileva l'Istat confermando, in base a dati del 2017, che "la presenza di un pensionato all'interno di nuclei familiari 'vulnerabili' (genitori soli o famiglie in altra tipologia) consente quasi di dimezzare l'esposizione al rischio di povertà".
 "Nel 2018, i pensionati sono circa 16 milioni, per un numero complessivo di trattamenti pensionistici erogati pari a poco meno di 23 milioni. La spesa totale pensionistica (inclusa la componente assistenziale) nello stesso anno raggiunge i 293 miliardi di euro (+2,2% su variazione annuale)". Lo rileva l'Istat. "Il peso relativo della spesa pensionistica sul Pil si attesta al 16,6%, valore appena più alto rispetto al 2017 (16,5%), segnando un'interruzione del trend decrescente osservato nel triennio precedente". Il 36,3% dei pensionati riceve ogni mese meno di 1.000 euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro".L'Istat in base a dati del 2018 definisce "ampia la disuguaglianza di reddito tra i pensionati: al quinto con redditi pensionistici più alti va il 42,4% della spesa complessiva".

Come Salvini tiene in vita il network di disinformazione più grande d'Italia. - Simone Montana



Che fine ha fatto la rete di siti e pagine portata alla luce da Buzzfeed nel 2017? È viva e vegeta, ha numeri enormi e soprattutto viene condivisa dalla comunicazione del leader leghista: l'inchiesta di Wired.

“Mai più metodi Bibbiano!”. Quando nella tarda serata di sabato 4 gennaio la macchina comunicativa di Matteo Salvini ha rilanciato un articolo della testata MeteoWeek, molti commentatori si sono chiesti da dove arrivasse quello strano sito web e perché il leader del primo partito italiano lo considerasse una fonte d’informazione attendibile.

Per rispondere a entrambe le domande è necessario fare un passo indietro lungo almeno due anni e tornare al 21 novembre 2017, il giorno in cui un’inchiesta di Buzzfeed ha rivelato l’esistenza della più vasta rete italiana di siti e pagine Facebook di disinformazione. Una storia dai contorni ormai sbiaditi, ma che appare quantomai utile per comprendere le dinamiche interne alla comunicazione della nuova destra italiana.


L’inchiesta di Buzzfeed.

Al centro dell’inchiesta realizzata nel 2017 dai giornalisti Alberto Nardelli e Craig Silverman figuravano Giancarlo Colono e suo fratello Davide, imprenditori romani a capo di Web365 e NextMediaWeb, società a responsabilità limitata che si occupavano di creare e gestire siti internet.

Secondo le informazioni raccolte da Buzzfeed, ai fratelli Colono sarebbero riconducibili almeno 175 domini registrati, un vero e proprio impero mediatico in miniatura che spazia dal gossip al calciomercato, passando per salute, motori, animali e cinema. Outlet di notizie come tanti, rigorosamente devoti alle logiche del posizionamento su Google e al clickbait, ma che spesso e volentieri finiscono per sfociare apertamente nella disinformazione di stampo nazionalista e islamofobico.


Punta di diamante della rete erano Direttanews e iNews24, rispettivamente una testata giornalistica – che al momento dell’articolo americano poteva vantare 
una pagina Facebook verificata da quasi 3 milioni di fan, oltre che un volume annuale di 5 milioni di condivisioni – e il suo corrispettivo slegato da responsabilità giornalistiche, un “giornale online indipendente” in grado di attrarre un milione e mezzo di seguaci sul social blu grazie a titoli come “Immigrati e malattia: il connubio che tutti stanno nascondendo” e “Caso Weinstein, l’Imam: Se si mettono il velo non verranno molestate”.


In seguito alle informazioni contenute nell’articolo di Buzzfeed, Facebook ha provveduto a sospendere gli account delle due testate, per non meglio precisate “violazioni della policy”.


Il network della disinformazione, oggi.

Quasi 800 giorni dopo, la rete di siti e pagine gestita dai fratelli Colono è viva e più in salute che mai. Archiviata la battuta d’arresto seguita all’inchiesta di Buzzfeed, DirettaNews è tornata a guadagnare un discreto – seppur non paragonabile a quello della precedente esperienza – seguito sui social, mentre iNews24 esiste al momento solo come sito web.

Poco male, perché nel frattempo il network si è evoluto, perfezionando la complessità del sistema e aumentando i nodi a sua disposizione. Le notizie prodotte dai singoli siti sono ora diffuse attraverso un sottobosco di pagine Facebook apparentemente indipendenti, come E Sti Ca (1,5 milioni di follower) e Curiosauro (1,2 milioni di follower), o dai profili delle componenti più centrali della galassia-Colono, come Calciomercato.it (1,5 milioni di follower) e ViaggiNews.com (1,2 milioni di follower).


Una rete che si autoalimenta per aggirare l’oscuramento voluto da Facebook nel 2017, ma che al tempo stesso incrocia il flusso di un altro grande network. È quello della Planet Share di Andrea Caroletti, azienda romana proprietaria di circa 140 domini, che contribuisce al traffico dei Colono condividendo gli articoli attraverso i canali social di siti come Newnotizie.it (760mila follower), Leggilo.org (già al centro di un rapporto di Avaaz, collegato alla pagina Facebook Ma Anche No da 1,1 milioni di follower), Stelledivita.it (1 milione di follower) e Iotibenedico.it (450mila follower).


La ragnatela di pagine che condividono i link di Leggilo.org.

Le due organizzazioni appaiono formalmente distinte, ma curiosamente il dominio del sito vetrina di Planet Share – oggi non più online – risulta registrato proprio da Web365. Punto d’incontro ufficiale tra i due network è invece La Luce di Maria, pagina Facebook da 1,4 milioni di follower, sito web dedicato alla diffusione di “una corretta informazione”, ma soprattutto associazione culturale no profit presieduta da Andrea Caroletti.


La Luce di Maria è una strana terra di mezzo dedita 
al culto della Madonna di Medjugorje, che in qualità di associazione si occupa perlopiù di organizzare pellegrinaggi nei luoghi sacri al cattolicesimo più conservatore, ma che online condivide preghiere giornaliere, consigli per combattere il desiderio di masturbazione e articoli decisamente antiscientifici su come guarire con digiuno e preghiera.


Tra i collaboratori più stretti troviamo ancora una volta Giancarlo e Davide Colono (che scrive sotto lo pseudonimo “Paolo”), devoti di Medjugorje e assidui frequentatori del paesino bosniaco, nonché i veri artefici della presenza online del sito, nonostante si dichiarino semplici volontari. La pagina Facebook de La Luce di Maria, in ogni caso, funge da nodo centrale di diffusione tanto dei contenuti prodotti dal network Web365, che di quelli firmati Planet Share.


Il caso MeteoWeek.

Un mese esatto dopo il clamore suscitato dall’inchiesta di BuzzFeed nasce MeteoWeek, un portale di meteo, naturalmente, ma anche di attualità, cronaca, viaggi e spettacolo. Il sito web è gestito dalla solita Planet Share, ma una veloce ricerca su Google restituisce numerosi annunci di lavoro pubblicati a nome di Web365.

In uno di questi, MeteoWeek si dice alla ricerca di un web content editor, per la “stesura di articoli originali” della lunghezza minima di 380 parole. Tre articoli al giorno, sei giorni su sette. Compenso mensile: 200 euro (da pagare con cadenza trimestrale, nel caso non si disponga di partita Iva).


MeteoWeek ha una propria pagina Facebook, ma il grosso del traffico arriva attraverso la solita rete di pagine che ne rimbalzano i contenuti. Il picco delle condivisioni (e della notorietà) giunge però grazie a Matteo Salvini, che il 4 gennaio decide di riportare in auge il caso Bibbiano (proprio come da istruzioni rinvenute a Bologna da Repubblica).


L’ex ministro dell’Interno – quarto protagonista di questa storia devoto alla Madonna di Medjugorje – condivide sui propri canali social la disavventura di tre bambini, “sottratti” alla famiglia a causa di un disegno. Il riferimento al cosiddetto “metodo Bibbiano” è esplicitato nel post che correda l’articolo e tira in ballo ancora una volta le responsabilità degli assistenti sociali.


Con una risposta pubblicata su Facebook, l’ordine nazionale degli assistenti sociali ha bollato come fake la notizia di MeteoWeek, che parlava di “ordine” arrivato direttamente “dagli assistenti sociali” e, pur non contestando il resto della ricostruzione, ha annunciato querele “quando ci saranno gli estremi, per il senatore e per tutti gli altri che diffondono false notizie”.


La comunicazione leghista, in ogni caso, non è nuova a condivisioni di questo tipo e ha già dimostrato una certa familiarità con i siti della galassia Colono-Caroletti. Prima della new entry MeteoWeek – ormai entrato stabilmente nella rotazione di notizie proposte dallo staff leghista ai membri del gruppo ufficiale di Matteo Salvini – Morisi e colleghi avevano attivamente contribuito al traffico di iNews24 (qui, qui, qui e qui qualche esempio).

Decisamente un bel regalo per un network che, complessivamente, può contare su oltre 14 milioni di follower su Facebook. Più di qualsiasi compagnia italiana di media mainstream.

https://www.wired.it/attualita/politica/2020/01/13/network-disinformazione-lega-web365/?fbclid=IwAR0WAoOu6Zhl8L_hWSmpZHYZ6nBARHQ6pobpHk_hvNPW-6h1vgZf21UL4_o

Sistema Bibbiano: “Bimba, se accusi mamma e papà ti diamo un premio”. - Sarah Buono



“Angeli e Demoni” - Chiusa l’inchiesta, nella chat degli indagati: “Il padre vuole vederla? Non lo diremo alla bambina”.

“Ciao bimba mia, il papà non riesce ad aver risposte per portarti a mangiare il sushi fuori, spero tu stia bene, ti voglio bene”, recita il whatsApp. “Bene, questo messaggio non lo diremo alla bambina”. “Ma come giustifichiamo la sospensione degli incontri protetti?” “Relax della minore, vacanza”. È la chat degli assistenti sociali indagati per i presunti abusi nel sistema degli affidi della Val d’Enza, nel Reggiano. Si confrontano, decidono la tattica caso per caso e parlano dei giudici e delle famiglie a cui tolgono i bambini. L’ultimo capitolo dell’inchiesta “Angeli e Demoni” svela, attraverso i cellulari sequestrati, come funzionava il “sistema Bibbiano” secondo i protagonisti.
I carabinieri di Reggio Emilia hanno notificato a 25 persone l’avviso di fine indagine, che di solito preludono a una richiesta di rinvio a giudizio: 107 i capi d’imputazione. Nove i minori coinvolti, per lo più tornati alle loro famiglie prima degli arresti del 27 giugno. I reati contestati sono, a vario titolo, peculato d’uso, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggio, rivelazioni di segreto in procedimento penale, falso ideologico in atto pubblico, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, lesioni dolose gravissime, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Violenze inventate per allontanare i minori.
Le indagini sono state coordinate dalla pm Valentina Salvi e dal procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini, esplodono il 27 giugno. Secondo l’accusa i bambini sono stati tolti alle famiglie dopo aver raccontato violenze sessuali e psicologiche inventate. Anzi inculcate per guadagnarci sopra. Un’organizzazione che, per i pm, faceva girare centinaia di migliaia di euro, equamente spartiti a seconda del ruolo. Bastava un accesso al pronto soccorso o la chiacchiera di un bimbo a un’insegnante, qualsiasi segnalazione, anche labile, di un abuso sessuale. Allontanamento del minore dalla famiglia, relazione falsa che assume per certo la violenza e invio del minore alla struttura pubblica “La Cura” di Bibbiano, amministrata da Federica Anghinolfi e dal suo braccio destro Francesco Monopoli. Qui ai piccoli veniva inculcata “la verità” da parte di professionisti riconducibili all’associazione “Hansel & Gretel” di Moncalieri (Torino) fondata dallo psicoterapeuta Claudio Foti. È indagata anche la moglie Foti, Nadia Bolognini, altra psicoterapeuta: in un caso prometteva “benessere” e “vantaggi” a una bambina se avesse svuotato gli “scatoloni” dei suoi ricordi, cioè accusato il papà.
Molti indagati condividevano una chat. “La regola per il 2019 per salvare capre e cavoli è che diciamo ai genitori che il servizio non accetta alcun pacco da consegnare ai propri figli, siete d’accordo?”, si legge. Il riferimento è al modus operandi dei servizi sociali della Val d’Enza, che come scoperto dall’inchiesta, accumulava pacchi e lettere delle famiglie naturali senza mai farli avere ai bambini dati in affido: una pratica forse legittima ma ai piccoli veniva raccontato che i genitori li avevano dimenticati.
Il ghanese preso in giro: ”Come si dice vaff…?”
A una famiglia del Ghana va anche peggio. Il padre non parla né capisce l’italiano o l’inglese ma le assistenti sociali gli fanno sostenere lo stesso il colloquio per capire se abbia o meno abusato della figlia. Nella relazione finale scrivono che l’uomo ha avuto “un atteggiamento di totale chiusura”. Peccato che poi nella chat privata commentino lo stesso episodio diversamente: “Oh comunque noi parliamo anche il ghanese, come si dice ‘vaff’ in ghanese? Muoio dal ridere”. E poi i giudizi sui giudici non amici. Monopoli ritiene che l’audizione protetta in sede del primo incidente probatorio sia stato “uno schifo”, a causa del giudice che era “così ignobilmente suggestivo” al punto da impedire alla bambina di confessare gli abusi. Abusi mai subiti o accertati finora.
Il sindaco Carletti: “Era consapevole”.
Tra gli indagati è rimasto Andrea Carletti, sindaco Pd di Bibbiano. Cadono per lui due capi di imputazione su quattro inizialmente contestati, restano un abuso di ufficio e un falso. Secondo la Procura contribuì a rendere possibile lo stabile insediamento dei terapeuti privati all’interno di una struttura pubblica pur consapevole dell’assenza di una procedura ad evidenza pubblica e dell’illiceità del sistema. Proprio ieri la Cassazione ha annullato senza rinvio l’obbligo di dimora a suo carico. Non c’erano gli elementi per imporre la misura per “l’inesistenza di concreti comportamenti” di inquinamento probatorio e la mancanza di “elementi concreti” che legittimassero la previsione di reiterazione dei reati.
I protagonisti e i fascicoli nascosti.
Federica Anghinolfi è la responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, il suo braccio destro è l’assistente sociale Francesco Monopoli: “Al fine di impedire e ostacolare le indagini – scrive la pm – immutavano artificiosamente lo stato dei fascicoli del servizio sociale, mediante sottrazione e successivo occultamento dei diari sui quali gli assistenti sociali avevano riportato appunti relativi agli incontri”. Secondo (almeno) sei testimoni diversi e non tutti indagati a Bibbiano il lavaggio del cervello non veniva fatto solo sui bambini ma anche sugli adulti. Anghinolfi e Monopoli avrebbero così convinto i loro collaboratori della necessità di strappare alle famiglie i piccoli, anche con perizie false. Parlavano di una “rete cannibale pedofila e satanista”. Mai esistita.
Foti risponde di frode processuale: avrebbe convinto una minore di essere stata abusata dal padre e dal suo socio. Una testimonianza indotta che ha portato la minorenne a non voler più incontrare il papà, poi decaduto dalla potestà genitoriale. Il tutto sarebbe testimoniato da un video, lo stesso che a luglio era servito a Foti per ottenere la revoca degli arresti domiciliari. Foti in quella occasione dichiarò: “Su di me fango”. Le indagini successive e l’analisi fatta da un consulente tecnico della Procura di Reggio Emilia hanno portato a una valutazione completamente antitetica, ritenendolo piuttosto una prova a sostegno delle ipotesi accusatorie.

martedì 14 gennaio 2020

Il presidente di Confindustria sull’orlo del fallimento.


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I padroni, si sa, sono sempre lì a dar lezione su come – secondo loro – dovrebbe essere governato il Paese, ridotta la spesa pubblica (aumentando però la parte che deve andare a “sostenere le imprese”), reso efficiente questo e quello,
L’ideologia, o il senso comune, degli ultimi decenni recita infatti “privato è meglio, il pubblico è solo sprechi e inefficienza”. Poi uno guarda le Autostrade privatizzate, che cadono fisicamente a pezzi (dal Ponte Morandi in poi, almeno, se ne dà notizia in attesa della prossima strage), e qualche dubbio comincia a venire anche ai più tonti.
Tra i padroni, i più severi di tutti sono da sempre i dirigenti di Confindustria (il “sindacato” degli imprenditori). I quali, per una sorta di proprietà transitiva, essendo i rappresentanti di più alto livello delle imprese, diventano automaticamente i veri “maghi dell’economia”, quelli che sanno come si fa e quindi hanno solo da insegnare a tutti. Ricordate le prime campagne elettorali di Berlusconi? Tutto il suo argomentare si reggeva sul fatto che “ho creato aziende, dunque…”.
Va da sé che il Presidente di Confindustria, sebbene carica elettiva temporanea, debba essere considerato il Migliore della categoria, o almeno uno dei più bravi (anche Gianni Agnelli fu tra loro…).
Errore.
Nelle pagine interne dei giornali, magari in “taglio basso” (a fondo pagina), fa capolino timidamente una notizia: il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, titolare della omonima Arti Grafiche Boccia, ha depositato in tribunale una domanda ex articolo 182 della legge fallimentare, «affinché possa essere concesso dal tribunale competente il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione non concordati». 
Negli Stati Uniti si chiama Chapter 11, e significa “protezione dai creditori”. In pratica, non potendo pagare i fornitori e rimborsare i creditori, chiede tutela legale perché questi non possano rivalersi sugli assset aziendali, decretandone così la fine.
Nel 2017 l’azienda aveva accusato perdite per 3 milioni di euro, e girava voce che i suoi dipendenti vedessero lo stipendio sempre più di rado.
La richiesta al Tribunale è accompagnata da un nuovo piano industriale: «un piano di rilancio che prevede nuovi investimenti pari a 10 milioni di euro nei prossimi 18 mesi, che si aggiungono ai 40 milioni già investiti negli ultimi 15 anni, oltre a un aumento di capitale già realizzato pari a 1,3 milioni con annessa ristrutturazione del debito».
La parolina magica è proprio alla fine (“ristrutturazione del debito”), che quando viene evocata per i conti pubblici equivale a dichiarazione di bancarotta (il debito “ristrutturato” è quello che, in parte o in toto, non viene restituito ai creditori).
Le difficoltà aziendali sono comprensibili (la crisi globale non è mai stata superata da 12 anni a questa parte, e il mondo della stampa-grafica-editoria l’ha subita più seriamente di altri settori), e nessuno pretende di insegnare come si fa l’imprenditore.
Però, per simmetria, ci si aspetterebbe che il quasi fallimento come imprenditore inducesse “l’amministratore delegato” in crisi a un profilo più basso, modesto, defilato, sul fronte pubblico.
E invece no. Boccia, come presidente di Confindustria, continua a pontificare come se non ne avesse mai sbagliata una, da imprenditore.
Viene nostalgia dei tempi in cui far parte della borghesia era una cosa seria, esisteva la “legge sui falliti” per cui uno che faceva bancarotta non poteva più fare l’imprenditore, ma solo il lavoratore dipendente (se trovava qualcuno disposto ad assumerlo…). Una forma di “selezione dentro la classe dirigente” mirante a “migliorare la qualità”, a “premiare il merito” e bastonare il demerito.
Ma manco la borghesia è più quella di una volta…

Porto di Bari nelle mani della mafia, 24 condanne: 20 anni al nipote del boss Capriati.

porto di Bari

BARI - Il gup del Tribunale di Bari Antonella Cafagna ha condannato a pene comprese tra i 20 anni e i 4 mesi di reclusione 24 persone, affiliate al clan Capriati di Bari, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, aggravati dal metodo mafioso e dall’uso delle armi, porto e detenzione di armi da guerra, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate. Atri due imputati sono stati assolti. Stando alle indagini della Dda di Bari, il clan aveva assunto di fatto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto di Bari.
Le condanne più elevate, a 20 anni di reclusione, sono state inflitte a Filippo Capriati, nipote dello storico capo clan Antonio, e al pregiudicato Gaetano Lorusso. Condanna a 16 anni per i pregiudicati Michele Arciuli (40 anni) e Pasquale Panza, a 14 anni per Pietro Capriati, fratello di Filippo, a 12 anni per Salvatore D’Alterio. Il giudice ha rigettato la richiesta di risarcimento danni per la Cooperativa Ariete (che gestiva i servizi nel porto e di cui alcuni imputati erano dipendenti), mentre ha riconosciuto il risarcimento nei confronti delle altre parti civili costituite (Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale-Adsp Mam, Ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate e Associazione Antiracket Puglia).
Le indagini della Polizia, coordinate dal pm Fabio Buquicchio, hanno accertato anche che il gruppo criminale avrebbe obbligato i commercianti del mercato di Santa Scolastica e gli ambulanti della festa patronale di San Nicola del 2015 ad acquistare merce da fornitori amici, utilizzando la forza di intimidazione del 'brand Capriatì, oltre ad occuparsi delle attività tipiche della criminalità organizzata: traffico di armi e droga, furti e rapine.
La sentenza è stata emessa al termine di un processo con il rito abbreviato. Contestualmente alla sentenza, il giudice ha rinviato a giudizio altri 9 imputati, tra i quali Sabino Capriati, figlio di Filippo, e ne ha prosciolti due al termine dell’udienza preliminare. Il processo nei loro confronti inizierà l’1 aprile 2020.