Cetrone, ora coordinatrice regionale di Cambiamo! con Giovanni Toti, e gli altri 4 arrestati sono accusati a vario titolo di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, aggravati dal metodo mafioso. L'inchiesta nata da le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: nel 2016 fece minacciare un imprenditore che le doveva 15mila euro.
“Ha usato gli uomini del clan Di Silvio come esattori per un suo credito”. Con questa accusa è stata arrestata, su disposizione del giudice per le indagini preliminari di Roma, Gina Cetrone, ex consigliera regionale del Pdl tra il 2010 e il 2013 e attualmente coordinatrice regionale di Cambiamo!, il movimento di Giovanni Toti. Con lei sono finiti in cella tre esponenti dei Di Silvio – Armando, Gianluca e Samuele – e il suo socio e marito Umberto Pagliaroli. Le accuse, a vario titolo, sono di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, aggravati dal metodo mafioso.
Le indagini costituiscono l’esito di un ulteriore approfondimento investigativo che la squadra mobile sta conducendo, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Roma, circa le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Stando alla ricostruzione degli investigatori, nel 2016, l’ex consigliera vantava un credito nei confronti di un imprenditore abruzzese per una fornitura da parte della società Vetritalia Srl.
Nello specifico, Cetrone e Pagliaroli – sempre stando all’inchiesta – avevano convocato l’imprenditore presso la loro abitazione per richiedergli il pagamento immediato della somma dovuta, impedendogli di andare via a bordo della sua macchina. E lo avevano costretto ad attendere Agostino Riccardo, Samuele Di Silvio e Gianluca Di Silvio, i quali, una volta giunti, lo minacciavano, prospettando implicitamente conseguenze e ritorsioni violente.
Il giorno dopo l’imprenditore si recò in banca – sotto la stretta sorveglianza di dei tre Di Silvio e di Umberto Pagliaroli, tutti in attesa fuori dall’istituto bancario – per effettuare un bonifico di 15mila euro a favore della società Vetritalia Srl, riconducibile a Cetrone e Pagliaroli, nonché a consegnare a loro “per il disturbo” la somma di 600 euro. Durante l’inchiesta, gli investigatori hanno anche ricostruito come, sempre nel 2016, quando Cetrone si candidò come sindaco di Terracina, gli uomini legati al clan Di Silvio “costringevano addetti al servizio di affissione dei manifesti elettorali di altri candidati alle elezioni” ad “omettere la copertura dei manifesti” di Cetrone, “costringendoli ad affiggere i propri manifesti solo in spazi e luoghi determinati, in modo che i manifesti di quest’ultima fossero più visibili degli altri”.
Per il gip ciò avvenne in cambio di un contributo di 25mila euro. Il giudice fa riferimento all’episodio di violenza messo in atto ai danni di due addetti al servizio di affissione dei manifesti degli altri candidati costretti da uomini del clan a mettere in evidenza quelli della Cetrone rispetto agli altri. L’accordo stretto con i Di Silvio prevedeva, infatti, l’affissione “anche abusiva” dei manifesti elettorali della Cetrone a “scapito degli altri candidati”. “Non coprite Gina Cetrone altrimenti succede un casino… fatevi il vostro lavoro e noi ci facciamo il nostro”, la minaccia che Riccardo fece ai due addetti. In particolare Riccardo, diventato collaboratore di giustizia, sentito dagli inquirenti nel luglio del 2018 ha raccontato che “Cetrone si era lamentata perché la sua visualizzazione non era buona, non si vedeva abbastanza bene nei manifesti di Terracina”.
Come aveva raccontato Il Fatto Quotidiano lo scorso 10 gennaio, sempre Pugliese ha raccontato che nel 2013 Cetrone non venne rieletta perché “all’ultimo momento ci fu uno scambio di voti – ha raccontato il pentito – Praticamente i 500 voti che sarebbero andati a Gina Cetrone dalla curva del Latina Calcio… (…) essendo presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta ci mandò a di’ che ‘sti 500 voti li dovevamo gira’ a Nicola Calandrini. Infatti i 500 voti della curva li girammo a Nicola Calandrini”.