Domenica sera, durante la maratona di Enrico Mentana su La7, poco dopo le 23 è accaduto qualcosa di prodigioso: è comparso Antonio Tajani. Da sempre, Tajani brilla dello stesso fascino luminoso che caratterizza le bietole lesse. Anche quando il berlusconismo era arrembante e non come adesso tramontante, lui pareva un ballerino di quarta fila (per giunta infortunato). Del resto Tajani è uno che, nel ’68, mentre i coetanei scendevano in piazza, faceva il leader dei giovani monarchici (non è una battuta). E già questo fotografa appieno il personaggio. Tajani – per quanto la natura glielo consenta, s’intende – era tutto garrulo: tal Jole Santelli aveva innegabilmente e come previsto spezzato le reni al bolscevico Pippo Callipo, che a dispetto del nome da Walt Disney sott’acido era un ottimo candidato. Non pervenuti i 5 Stelle, che da sempre alle Regionali sono competitivi come Mazzarri contro l’Atalanta e che, a questo giro, si sono persino superati in masochismo. Tajani esultava beffardo in tivù, sempre con quella bella presenza scenica da mausoleo egizio caduto anzitempo in disgrazia. Mentana ha provato a ricordargli che in Emilia-Romagna, dove la presenza delle spoglie mortali di Sgarbi ha puntualmente coinciso con l’ennesima Waterloo elettorale, Forza Italia ha faticato a superare il 2%. Tajani ha però fatto finta di nulla. Poi si è dileguato, intendo più del solito, per consegnarsi agli ameni baccanali forzisti e ai balli sinuosi con Gasparri & Santelli.
Letteralmente: l’allegra comitiva ha proprio fatto il trenino moscio sulle note di Gloria di Tozzi, e in tutta onestà neanche Pasolini in Salò aveva osato tanto per raccontare la tragicommedia malsana insita nei poteri che crollano. Vedere Tajani e derivati che esultano a fine gennaio 2020, mentre su scala nazionale Forza Italia si fa superare da chiunque (forse persino da Italia Viva: una gogna che non si augura a nessuno), è stata un’immagine oltremodo surreale. Un po’ come vivere nel presente e, di colpo, scivolare in un varco spaziotemporale assai sadico. Qual è il nichilismo antico a cui la maggioranza dei calabresi non vuol proprio rinunciare? Certo, il centrosinistra di Oliverio ha regalato praterie al centrodestra. E i 5 Stelle son bravi come nessuno a evirarsi da soli (per poi andarne pure fieri, spacciando il gesto insano per coerenza). È però allucinante come, dopo tutti questi decenni e sfaceli forzitalioti, una regione così potenzialmente straordinaria si sia voluta consegnare a Berlusconi. Quello stesso Berlusconi che, in campagna elettorale, scherzava (?) sul fatto che conosce Jole Santelli da 26 anni ma lei “non me l’ha mai data”. Quello stesso Berlusconi accolto da sindaci locali addirittura col baciamano (il primo cittadino di Soriano, Vincenzo Bartone). Pure l’affluenza al voto, ancor più se rapportata a quella in Emilia-Romagna, è stata stitica. Quasi che votare, per molti calabresi, fosse una iattura o come minimo una perdita di tempo. È noto come un’eroica ma cospicua minoranza combatta come nessuno e soffra in Calabria come nessuno, cercando di non lasciare solo Gratteri e quelli belli come lui, ma non riescono a far breccia. Tocca ribadirlo con durezza e temo disillusione: la Calabria è riuscita a regalare un mezzo plebiscito a un partito pressoché morto, che in natura ormai non esiste quasi più e che in Emilia-Romagna ha superato a fatica il 2%. Perché la maggioranza di voi vuole così poco bene a una regione così bella, amici calabresi? Quand’è che le cose cambieranno, ma cambieranno davvero e in meglio? Buona fortuna.
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