domenica 5 luglio 2020

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”. - Andrea Sparaciari

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”
Consulenze - Il 15 luglio scade il nuovo bando per soggetti privati per “interpretare” la contabilità, incomprensibile pure per il Pirellone.
Settecentomila euro di consulenze esterne per farsi spiegare le norme scritte di proprio pugno. È il paradosso che vive da anni Regione Lombardia, colpevole di aver creato un sistema di gestione della contabilità sanitaria talmente complicato, che nessuno è più in grado di comprenderlo. Un mare magnum formato da flussi di soldi tra Ats, Asst, Aziende ospedaliere e Regione, norme sovrapposte, anticipazioni di cassa, compensazioni… E il bello è che quel sistema – tecnicamente “Gestione sanitaria accentrata” (Gsa) – era stato adottato nel 2012 proprio per rendere più chiara la spesa sanitaria regionale, una torta da 19,2 miliardi l’anno.
A dimostrazione della difficoltà, se non proprio sbando, in cui versano gli uffici deputati alla Gsa, ci sono, nel 2017, i circa 400 mila euro versati a Kpmg, i cui esperti dovevano fornire “un supporto al percorso di riallineamento contabile” e redigere relazioni sull’attività svolta. Risale al 20 aprile 2017 il primo affidamento attraverso gara pubblica da 331.779 euro, cui fa seguito, un mese dopo (il 25 maggio), un secondo affidamento, questa volta diretto, da 42.621 euro. Ma nonostante Kpmg, la situazione non è migliorata. Tanto che Aria SpA – l’Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti – ha appena pubblicato il nuovo bando da 300 mila euro per “il servizio di assistenza tecnica in materia di armonizzazione dei bilanci ex d.lgs 118/2011 per la tenuta della contabilità economico-patrimoniale, la predisposizione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato di Regione Lombardia, la riconciliazione tra le poste del bilancio regionale della gestione sanitaria accentrata e quelle iscritte nel bilancio regionale”. Durata del contratto: 36 mesi. Scadenza del bando: 15 luglio 2020.
E che ci sia bisogno di aiuto è indubbio. Lo ha ribadito la Corte dei Conti, nei giudizi di parifica sui bilanci lombardi. E lo ha sancito pochi giorni fa, il 30 giugno scorso, Orac – l’Organismo regionale per le attività di controllo –, nella delibera “Istruttoria su Bilancio 2018 relativo alle Aziende Sociosanitarie Regionali Regolazione delle posizioni debitorie/creditorie pregresse”.
L’organo di controllo indipendente ha scavato nei rivoli dei finanziamenti erogati dal Pirellone tra il 1999 e il 2015, tentando di capire perché nei bilanci non torni circa un miliardo di euro. Si tratta di “regolazioni pregresse”: il consultivo dei debiti-crediti sanitari, una somma algebrica che dovrebbe fare zero, ma che zero non ha mai fatto. Tanto che Regione Lombardia è riuscita ad approvare i bilanci di esercizio del 2015, 2016 e 2017, solo a tardo 2018, quando per legge dovrebbero essere chiusi entro il 30 aprile dell’anno successivo.
Il giudizio di Orac è tranchant: “La creazione di una situazione contabile non perspicua appare dovuta anche alla scelta di percorrere per anni canali di finanziamento difficilmente ricostruibili ex post; poiché questi ultimi non appaiono del tutto allineati a talune regole, affiancandosi o sovrapponendosi ad esse (anticipazioni finalizzate e altro)”.
Un pasticcio, al quale il Pirellone ha messo una “pezza” a fine 2019, con una sanatoria (ma all’appello mancherebbero comunque ancora 180 milioni). Ed è stato per arrivare a quella sanatoria che la Regione ha dovuto chiedere aiuto ai consulenti. La cui opera però sembrerebbe andata persa. Scrive infatti Orac: “La Direzione Bilancio non ha trasmesso le relazioni del consulente (Kpmg) che pure sono state richieste ripetutamente; questa lacuna limita oggettivamente la possibilità di approfondimento tecnico della vicenda e va colmata mediante l’invio delle medesime relazioni”.
Intanto, però, il Pirellone è costretto a pagare degli esterni per spiegare al suo personale come interpretare norme scritte dalla Regione stessa per rendere più trasparente la spesa sanitaria. “Oggi Regione Lombardia ha una contabilità incomprensibile”, commenta Michele Usuelli, consigliere di +Europa (e uno dei due nomi in predicato per presiedere la famosa Commissione d’inchiesta regionale sul Covid, ancora oggi fantasma). “Ed è l’unica regione italiana ad aver adottato questo metodo di analisi. Una situazione peraltro ammessa anche dall’assessore al Bilancio, Davide Caparini, il quale in Commissione Bilancio ha promesso che dall’anno prossimo le cose miglioreranno… Tuttavia mi chiedo cosa succederà con il Covid 19: se già non si riusciva a rendicontare l’ordinario, cosa accadrà con la gestione di tutte quelle spese fatte in emergenza?”.

Un geco ai Ferri. - Marco Travaglio


Elezioni Politiche: il caso dei fratelli Ferri e la stima di Forza ...
Iacopo Maria e Cosimo Maria Ferri
Ma che deve ancora fare Cosimo Maria Ferri per essere cacciato dalla magistratura? Nato nel 1971 a Pontremoli; figlio del ministro Enrico (quello del Psdi e dei 100 km all’ora, anche lui magistrato, poi eurodeputato FI); fratello di Jacopo, consigliere regionale FI condannato a 1 anno per tentata truffa, e di Filippo, ex poliziotto condannato a 3 anni e 8 mesi per falso aggravato nel processo per la mattanza alla scuola Diaz (G8 a Genova), dunque capo della sicurezza del Milan berlusconiano; giudice a Carrara. Grazie ai rapporti politico-clientelari ereditati dal padre, diventa il ras della corrente di destra MI e inizia a collezionare incarichi extragiudiziari. All’Ufficio vertenze economiche della Federcalcio, viene intercettato nel 2005 dai pm di Calciopoli mentre ringrazia il vicepresidente Figc Innocenzo Mazzini a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzurri: “Mi ha detto Claudio di ringraziarti. Sei un grande!”. Il Csm archivia e pochi mesi dopo si ritrova Ferri (a soli 35 anni) membro togato, eletto con ben 553 voti. La sua scalata di spicciafaccende fra politica, giustizia e affari prosegue nel 2009: B. tenta di far chiudere Annozero di Santoro e i pm di Trani intercettano Giancarlo Innocenzi, membro forzista dell’Agcom, che gli porta buone nuove: “Mi sono incontrato anche con Cosimo e abbiamo messo insieme un gruppo giuristi amici di Ferri, analizzato tutte e 5 le trasmissioni e riscontrato tutta una serie di infrazioni abbastanza gravi…”. Ben 15 membri del Csm chiedono di aprire una pratica su Ferri, ma il Comitato di presidenza (Mancino&C.) sorvola pure stavolta, sennò Ferri dovrebbe giudicarsi da solo.
Così il Mister Wolf della Lunigiana continua a trafficare. E a farsi beccare. Nel 2010, indagando sulla P3, i pm romani scoprono che spinge le toghe protette dalla loggia: Alfonso Marra per la Corte d’appello di Milano e non solo lui. Pasqualino Lombardi, faccendiere irpino della P3, chiama la segretaria di Ferri: “(Al Csm, ndr) han fatto pure il pubblico ministero di Isernia?”. E quella: “Aspe’, chi ti interessava?”. Lombardi: “Paolo Albano, che è pure un amico!”. Lei lo richiama due ore dopo: “Ho chiesto a Cosimo di Albano… m’ha detto che non ci dovrebbero essere problemi”. Un’altra fulgida prova di indipendenza, che non gli impedisce di pontificare sul Riformista per la “trasparenza in magistratura” e i “criteri meritocratici” contro la nefasta “influenza correntizia” che porta certi colleghi (ce l’ha con Ingroia, mica con se stesso, ci mancherebbe) ad “apparire di parte”, creando “confusione fra i cittadini”.
Nel 2010 il Csm scade e si libera di lui. Che però, con quel pedigree, diventa segretario di MI e nel 2012 è il magistrato più votato di sempre all’Anm (1199 preferenze). Nel 2013 FI lo impone sottosegretario alla Giustizia nel governo Letta. Lui si dà subito da fare per scongiurare la condanna di B. in Cassazione per frode fiscale: va a trovare il presidente Esposito per invitarlo al Premio Bancarella nella natia Pontremoli. Il giudice, per ovvi motivi, declina. B. viene condannato e decàde da senatore. Il 6 febbraio 2014 Ferri porta al neopregiudicato il giudice relatore della sentenza, Amedeo Franco, che viene registrato mentre viola (mentendo) il segreto della camera di consiglio. Pur essendo un magistrato, Cosimino non denuncia i presunti reati segnalati da Franco, nè il sicuro reato (violazione di segreto d’ufficio) commesso da Franco. Nel giro berlusconiano – rivela Tommaso Labate sul Corriere – lo chiamano “il Geco” perché “aspetta nascosto dietro le piante alte dell’ingresso posteriore di Palazzo Grazioli che gli ospiti serali se ne vadano. Poi, incassato il via libera dalla segreteria, sale in casa per conferire col n. 1”. Pochi giorni dopo, l’Innominabile lo conferma sottosegretario alla Giustizia, stavolta in quota Verdini (amico di famiglia). E Napolitano non fa una piega, anche se ha appena respinto Nicola Gratteri come ministro perché “Via Arenula non fa per i magistrati” (almeno per quelli perbene).
Il 6 luglio si elegge il nuovo Csm e Ferri, dal ministero, invia sms agli ex colleghi di MI per far votare i suoi protegé Pontecorvo e Forteleoni (puntualmente eletti). Ormai è un conflitto d’interessi vivente: membro del governo, interferisce nell’“organo di autogoverno” dei magistrati. Che però continua a fregarsene. Come pure l’Innominabile e i partiti di destra, che fingono di combattere le toghe politicizzate e invece le vorrebbero tutte così. Ferri resta sottosegretario pure con Gentiloni. Poi nel 2018 viene eletto deputato del Pd per grazia renziana ricevuta (passerà presto a Iv). Lui, berlusconiano di ferro. Lui che, quando si candidarono Grasso e Ingroia, invocò “nuove regole per tutelare la credibilità della magistratura davanti ai cittadini”. Credibilità a cui continua a contribuire nei vertici notturni all’hotel Champagne con i due Luca, il togato-indagato del Csm Palamara e il deputato-imputato Lotti, per scegliere i procuratori di Roma, Perugia e Firenze più graditi al Giglio Magico nella triplice veste di politico, giudice e faccendiere. Che l’Innominabile se lo tenga stretto, si capisce: con tutti i guai che ha in famiglia, può sempre servire. Ma il Csm che aspetta a radiarlo dalla magistratura? Il Geco, con quella faccia, è capace pure di tornarci.

sabato 4 luglio 2020

Reddito, solo 100 Comuni hanno avviato i lavori utili. - Maurizio Di Fazio

Reddito, solo 100 Comuni hanno avviato i lavori utili

Si fa un gran parlare di navigator, di questi quasi 3 mila co.co.co assunti dall’Anpal (l’agenzia nazionale per le politiche attive sul lavoro) per supportare gli operatori dei centri per l’impiego e arrivare a proporre un’occupazione ai percettori del Reddito di cittadinanza. Ma c’è un problema rimasto sottotraccia, legato a filo doppio all’avvio concreto della fase 2 del Reddito di cittadinanza. È quello dei Puc – acronimo che sta per Progetti utili alla collettività – istituiti con decreto legge il 22 ottobre 2019 e in teoria operativi ufficialmente dallo scorso 22 febbraio. Poco prima che l’Italia chiudesse per lockdown. I beneficiari del Reddito avrebbero avuto l’obbligo di prestarvi servizio nel Comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, estendibili fino a 16. Pena l’esclusione dal sussidio statale contro la povertà. Aiutando così i municipi, a corto d’organico e in sofferenza economica cronica, in settori come la cura del verde pubblico, l’inclusione sociale, la manutenzione e il controllo degli spazi cittadini, l’assistenza agli anziani, la tutela dell’arte e delle strutture culturali. A costo zero per le loro casse. Ossigeno puro.
Ma è tutto rimasto un po’ sulla carta. Una dichiarazione, più che altro, di intenti. E quest’impasse non dipende esclusivamente dal lockdown che ha bloccato fino al 17 luglio la condizionalità dell’erogazione del Reddito di cittadinanza all’accettazione di un’offerta “congrua” di lavoro, su un range di tre proposte e al volontariato per un Puc, il primo step, la misura “anti-divano” più facile e immediata. Un’esperienza di risparmio e arricchimento umano. “Il decreto è in vigore da mesi, ma questi progetti utili alla collettività latitano. Perché gli enti locali non li bandiscono? Siamo a inizio luglio, non hanno bisogno di rinforzi gratuiti? Sono tutte perfette le nostre città? – dice al Fatto Quotidiano Marco, il nome è di fantasia, un navigator di 45 anni in servizio in Emilia-Romagna -. Per me questo è il modo perfetto per boicottare il Reddito di cittadinanza, così da non poter mostrare all’opinione pubblica risultati tangibili e dimostrare che i percettori del reddito sono persone in difficoltà economica, ma perbene”.
In effetti, sono meno di 100 i Comuni (su un totale di 8 mila) che hanno stipulato accordi coi centri per l’impiego per dare vita a uno o più Puc. Lo verifichiamo accedendo alla piattaforma varata ad hoc, GePi (“Gestione patti per l’inclusione sociale”).
A tutt’oggi ci sono solo 102 Puc attivi e alcuni in carico alla stessa città o cittadina. Sugli scudi il Sud, che sembra più reattivo del resto d’Italia. Qualche esempio. A Isola di Capo Rizzuto, in Calabria, ha avuto semaforo verde un progetto di pulizia del territorio e manutenzione ordinaria delle scuole. Per restituire decoro al tessuto urbano e garantire i servizi primari sulle spiagge libere della costa. È cominciato il 10 giugno e terminerà il 31 agosto. Sono stati richiesti 40 beneficiari, ma il Centro per l’impiego ne mette a disposizione 20. Spiagge free protagoniste anche a Margherita di Savoia, in Puglia, per un Puc iniziato il 15 giugno e al capolinea il 30 settembre. “Il suo fine è quello di garantire a tutti i cittadini in transito dalle nostre parti di fruirne in totale sicurezza e nel rispetto delle norme di contrasto alla diffusione del Covid-19, a partire dal controllo di assembramenti pericolosi e del distanziamento sociale”. Vigileranno 42 operatori, tra cui 37 percettori del Reddito di cittadinanza. A Castignano de’ Greci, in provincia di Lecce, si cercano 10 figure per la guardiania di luoghi pubblici (biblioteca, palazzi, ville) e altrettante per l’organizzazione di eventi. A Vicenza, invece, è caccia a 45 volontari per i musei locali (ma ne sono disponibili la metà) e a 7 per le biblioteche. I due Puc proposti e ratificati dureranno un anno, fino al maggio-giugno 2021.
Niente male visto che il sindaco non dovrà stanziare un euro. E qualcuno avvisi i suoi colleghi addormentati.

Crossed - Thatgirlwithgorgeoushair



Mia Figlia Sara. 

C'era una volta.. - Massimo Erbetti




C'era, anzi c'erano una volta...
In principio c'erano i dossier. Nel lontano 2013 e precisamente l'11 luglio, Antonio Di Pietro affermava che: "Esistono nel nostro Paese organizzazioni che costruiscono rapporti su personalità politiche e le vendono al miglior offerente. Un magma in cui ci sono anche persone vicine ai Servizi"..."Ho consegnato a vari uffici giudiziari, tra i quali l'antimafia, documenti, riscontri e prove dell'esistenza di strutture criminali che hanno il compito di costruire dossieraggi su personalità istituzionali e pubbliche in generale. Me compreso"... "Esistono organizzazioni che hanno agito e agiscono con una duplice strategia: vendere dossier al miglior offerente, oppure svolgere trattative con i diretti interessati".
Per cui a quel tempo, ma sicuramente anche oggi, a distanza di sette anni, ci sono organizzazioni che su commissione, o per interessi propri, possono distruggere un politico con dei dossieraggi. Lo stesso Di Pietro fu vittima di un linciaggio, che decretò la sua fine politica. Poi le cose cambiarono, nella politica nacque un nuovo movimento fatto di gente normale, che non aveva scheletri nell'armadio, non appartenente a quel mondo, difficile fare dossier, difficile trovare scheletri, difficile, troppo difficile, anzi impossibile.
Come aggirare questo scoglio? Cosa poteva fare quel sistema marcio per poter controllare, gestire, distruggere persone non ricattabili?
Facile, si mette in atto la macchina del fango...
Il "sistema" non si da certo per vinto...e cosa fa? Scredita, sminuisce, denigra... Di Maio? Bibitaro...come se aver fatto lo steward al San Paolo, fosse una cosa di cui vergognarsi, come se lavorare e vivere di un lavoro normale sia una colpa...ma il sistema, lo fa passare per tale. Ma Di Maio, non è l'unico ad aver subito la gogna mediatica, l'ultimo in ordine di tempo è stato Toninelli. L'altro giorno era seduto al bar e mentre beveva un caffè, un gruppo di persone gli si è avvicinato e con una tecnica ormai rodata, lo ha dapprima coinvolto in una discussione apparentemente pacifica: "le posso fare solo una domanda?"...questo modo gentile di fare, rende la persona oggetto della domanda più disponibile...poi però la semplice domanda, si trasforma in un'offesa, in insulti...Bibbiano..assassini...e varie amenità che ormai conosciamo bene grazie ai social...peccato però che quegli insulti e quelle modalità, venissero da un tizio tatuato, che guardacaso, si è scoperto poi fosse un gilet arancione...strano no? No, non è affatto strano, se non puoi ricattare, se non hai dossier per distruggere, devi necessariamente scendere ai livelli più bassi, utilizzando magari un lavoro umile fatto in precedenza, o come nel caso di Toninelli, farlo passare come un ignorante che perde la pazienza per una "semplice domanda".
Poi tanto ci pensano i media a reti unificate, a dare voce alla macchina del fango...beh vi dico una cosa: fin quando ci daranno dei bibitari o degli ignoranti vorrà dire che non hanno niente di meglio per ricattare e su cui costruire dossier, dimostrando, così, sempre di più, la loro miseria e bassezza umana.



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B. & il giudice: obiettivo grazia. “Parliamone a Napolitano” Le mosse di Silvio sul Colle. - Gianni Barbacetto

B. & il giudice: obiettivo grazia. “Parliamone a Napolitano” Le mosse di Silvio sul Colle

Agganciare direttamente Giorgio Napolitano – tramite un consigliere giuridico del Colle – per riaffrontare il tema della grazia. È una delle strategie che, il 6 febbraio 2014, Silvio Berlusconi pensa di mettere in campo dopo la batosta della condanna in Cassazione nel 2013 a quattro anni per frode fiscale e la decadenza da senatore. Di questo parla con Amedeo Franco, giudice relatore di quello stesso verdetto che poi davanti a Berlusconi ha rinnegato. Quel giorno la conversazione tra i due, come è noto, viene registrata ed è stata poi depositata dalla difesa dell’ex presidente del Consiglio nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Alcune frasi – quelle in cui Franco parla di “plotone d’esecuzione” e di sentenza “porcheria” – sono state già pubblicate. Altre no. Come quelle in cui Berlusconi parla con il giudice della grazia: richiesta che al Colle non arriverà mai.
Nella conversazione del 6 febbraio di sei anni fa, quindi, il giudice Franco (deceduto lo scorso anno) si mostra disponibile a lavorare per il riscatto di Berlusconi. “Bisognerebbe trovare un modo – dice – in cui sia efficace questa, perché a me non è che mi dispiacerebbe sollevarmi la coscienza e dire: ‘Io ho fatto, ho accettato di fare questa cosa perché è un modo per esprimere la mia solidarietà al presidente Berlusconi (…) perché a mio avviso… come si sono svolte le vicende, ma a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subìto una grave ingiustizia’”. “Però – aggiunge Franco – che si faccia una lettera… bisogna pensare il modo, perché se si fa una lettera al presidente della Repubblica, noi soprattutto se è segreta, secondo me non va bene”. Berlusconi interviene: “E chiedergli un incontro?”. E Franco: “E che gli dico? Io posso andare non da lui, posso andare da Lupo in qualsiasi momento, dico di ricevermi, ma non serve a niente”.
Il Lupo citato potrebbe essere Ernesto Lupo, presidente di Cassazione dal 2010 al 2013, che lascia il posto pochi mesi prima della condanna di Berlusconi. Poi diventa consigliere per gli Affari di giustizia al Quirinale, con Giorgio Napolitano presidente. Su Lupo il discorso torna più volte. Franco dice di avergli parlato della sentenza che, dopo aver firmato, rinnega. Circostanza questa che Lupo, in un’intervista al Corriere della Sera, ha già spiegato: “La camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettezza grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. (…) Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione. Non per sviare”.
Parlando dunque di Lupo, Franco ribadisce: “Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo, ecc ecc. Ho cominciato a dirglielo e ha cambiato subito opinione, ha chiuso il discorso. Ma lo sa, figurarsi…”. E Berlusconi: “Però aveva capito?”. “Sì che aveva capito – risponde il giudice – ma non è diciamo che c’ho molta confidenza con lui… non è che… mi posso permettere di dirglielo apertamente. Casomai ritorno al Quirinale, ci devo parlare per quell’altra questione, ci vado… ritorno al Quirinale, glielo dico (…) in via riservata”. “Va bene, ci pensi un po’, lei veda un po’”, conclude Berlusconi. Che poco dopo, durante la stessa conversazione, torna alla carica sul tema della grazia: “L’unico modo – dice l’ex premier – potrebbe essere questo, che lei telefoni a Lupo e gli dice (…) ‘Guarda, io ho un peso sulla coscienza, siccome so che adesso c’è il fatto grazia sì, grazia no per Berlusconi, vorrei venire a dire…’”.
Sentito dal Fatto, Ernesto Lupo smentisce nettamente: mai il giudice Franco gli ha parlato della grazia per Berlusconi. Insomma quella dell’ex presidente del Consiglio rimase una intenzione non realizzata, con Franco come pedina per provare ad arrivare al Colle. Ma Napolitano aveva già messo i suoi paletti: il 13 agosto 2013 aveva fatto sapere che non c’erano le condizioni per la grazia.

Merdaset.- (2) - Marco Travaglio

Berlusconi e il no a M5S e Lega. Ma il web e persino Feltri lo ...
1996. Stefania Ariosto rivela a Ilda Boccassini che B. e gli avvocati Previti e Pacifico compravano giudici e sentenze. Giornale e Panorama accusano la Boccassini di aver offerto 500 milioni a un pentito per incastrare l’ex pm e deputata FI Tiziana Parenti in un traffico di droga: tutto falso. Allora Renato Farina, sul Giornale di Feltri, scrive che la Boccassini ha arrestato ingiustamente una somala, Sharifa, sottraendole il marito e due bambini (“Quella Procura che rapisce i bambini”): balle anche quelle.
1998. L’Avanti! pubblica un falso dossier sulla Ariosto agente dei servizi segreti. E i media berlusconiani la accusano di essere prezzolata dalla Finanza: altra maxi-balla, con le solite condanne per diffamazione. Ma ecco due nuove campagne sulle testate di B. (Rai inclusa) contro la Boccassini e Gherardo Colombo: i due pm avrebbero manipolato con lo Sco l’intercettazione dei giudici romani Renato Squillante e Francesco Misiani al bar Mandara (tutto falso, appurerà il gup di Perugia). E occultato le prove dell’innocenza di B. e Previti nel fascicolo segreto 9520/95, negato illegalmente ai difensori (tutte balle, stabilirà il gup di Brescia).
2001.Mentre il governo B. è impegnato ad abolire le rogatorie che incastrano il premier e Previti e a opporsi al mandato di arresto europeo, Panorama e Giornale pubblicano uno scoop di Lino Jannuzzi (“Il gioco dei quattro congiurati”) che racconta nei dettagli un incontro segreto in un hotel di Lugano fra la Boccassini e i colleghi Carlos Castresana, Carla Del Ponte ed Elena Paciotti per architettare l’arresto del presidente del Consiglio. Poi i congiurati dimostrano che quel giorno si trovavano in quattro città diverse e piuttosto lontane: Boccassini a Milano, Castresana a Madrid, Paciotti a Bruxelles, Del Ponte in Tanzania. Jannuzzi, anziché andare a nascondersi, giura di avere “le prove”. Il Cda di Panorama chiede lumi al direttore Carlo Rossella. Che difende Jannuzzi perché, vertice o non vertice, “il problema esiste”. Sarà condannato per diffamazione. Jannuzzi si farà eleggere al Senato e nominare al Consiglio d’Europa, con doppia immunità.
2003. La Cassazione sta per decidere sulla richiesta di B. di traslocare i processi a Brescia per “legittimo sospetto”. La triade Tg1-Studio Aperto-Giornale spara un nuovo scoop. In una bacheca della IV sezione del Tribunale di Milano, quella del processo Mondadori, i giudici avrebbero affisso foto di Previti sotto una frase di Platone contro i tiranni: la prova del nove che tutti i giudici milanesi sono prevenuti. Ma è una bufala. Le foto, ritagliate dai giornali, non sono nell’ufficio dei giudici, ma dietro una colonna della stanza di una cancelliera.
E la frase di Platone non c’entra: è lì appesa da 12 anni e non è contro i tiranni, ma contro i governi troppo corrivi con i moti di piazza.
2009. Il giudice civile Raimondo Mesiano condanna la Fininvest e B. a risarcire con 750 milioni di euro Carlo De Benedetti per lo scippo della Mondadori col famoso verdetto comprato e definisce il premier “corresponsabile nella corruzione” del giudice Vittorio Metta. E viene linciato da tv e giornali berlusconiani e pedinato dalle telecamere di Mattino 5 dal barbiere e al parco zoomando sui suoi calzini turchesi. “Tra la stravaganza del personaggio e la promozione del Csm, qualcosa non funziona”, denuncia il direttore Claudio Brachino. E Sallusti: “Non è solo stravaganza fisica, ma anche professionale”. Brachino verrà sospeso dall’Ordine dei giornalisti per due mesi.
2011. B. è indagato per la prostituzione minorile di Ruby e le chiamate in Questura per farla rilasciare. Il Giornale di Sallusti contrattacca con “Gli amori privati della Boccassini”, che nel lontano 1981 fu sorpresa da un“addetto alle pulizie del tribunale” nientemeno che a “baciare un cronista di Lotta Continua”.
2013. Il processo Mediaset (B. condannato in I e II grado a 4 anni per frode fiscale) arriva in Cassazione. Il Giornale blandisce il presidente Esposito e i giudici Franco, D’Isa, Aprile e De Marzo: “toghe moderate e di lungo corso”. Ma, appena questi condannano B., per i suoi house organ diventano dei farabutti. Tranne Franco, risparmiato chissà perché dal linciaggio, sebbene abbia firmato la sentenza come gli altri. Il Giornale accusa Esposito di aver definito B. “grande corruttore” e “genio del male” in una cena privata a Verona nel lontano 2009. Lui smentisce. Libero e Panorama gli scagliano addosso le accuse più fantasiose: persino una cena con l’attore Franco Nero, oltre al solito fango su tutti i parenti fino al terzo grado. Anche i giornali “indipendenti”, Corriere, Sole 24 Ore, La Stampa e Messaggero, sdraiati sul governo Letta Pd-FI, attaccano la sentenza e invocano l’amnistia o la grazia. Il Mattino intervista Esposito, che risponde solo su questioni generali senza entrare nel processo, ma poi gli infilano una domanda mai fatta sulla condanna di B. Un assist al Pdl, che scatena il putiferio, ricorre a Strasburgo, chiede la testa del giudice e la revisione della sentenza. Esposito viene trascinato dinanzi al Csm, dove ovviamente sarà prosciolto da tutto. Intanto il suo collega Franco sta spifferando i segreti (peraltro falsi) della camera di consiglio al neopregiudicato armato di registratore. Ma questo ancora nessuno lo sa: se ne riparlerà soltanto sette anni dopo, su Rete4 e sul Giornale. Nella migliore tradizione della casa.
(2 – fine)